sabato 25 aprile 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 62. Rubare la scena alla sposa

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Le nozze di Francesco Monterovere e Silvia Ricci-Orsini, nel giugno del 1974, furono l'unica occasione in cui tutti i personaggi di questo romanzo (ovviamente quelli all'epoca viventi) si incontrarono di persona e sedettero fianco a fianco nello stesso luogo.
E dunque tali nozze possono essere considerate come il punto in cui le vite "quasi parallele" a cui fa riferimento il titolo, simili a rette in uno spazio geometrico, si incrociarono per poi tornare, lentamente, ma inesorabilmente, ad allontanarsi.
Dal momento che il numero di invitati era decisamente troppo grande per la chiesa di Casemurate o di Pievequinta, gli sposi decisero che la cerimonia si sarebbe tenuta nella basilica di San Mercuriale, nel centro di Forlì, a metà strada tra le residenze delle rispettive famiglie.
Ad officiare la funzione, a fianco del parroco di San Mercuriale, fu chiamato Don Pino Ricci, lo sferico e panciuto parroco di Casemurate, cugino del padre della sposa.
Don Pino era un uomo che ispirava serenità solo a guardarlo: il suo volto roseo e circolare era improntato ad un eterno sorriso. Era noto per una risposta costante e memorabile, ogni volta che un fedele in preda al dolore gli chiedeva dove fosse Dio: <<Dio è ovunque, ma Gesù è qui>>
Per l'Arciprete di Cervia, che faceva le veci dell'Arcivescovo di Ravenna, questa asserzione era al limite dell'eresia, ma la parrocchia di Don Pino rientrava nella Diocesi di Forlì, e dunque "il Don" rispondeva soltanto al Vescovo di Forlì, uomo pragmatico e molto amico del senatore democristiano Leandro Baroni, marito di Caterina Ricci, sorella maggiore di Ettore e quindi cugina dello stesso Don Pino, il quale si considerava, a ragione, in una botte di ferro.
Come il lettore avrà certamente intuito, Forlì è una cittadina piccola e piuttosto noiosa, un posto dove non succede mai niente, a parte qualche mostra di quadri e qualche scossa di terremoto.
Per questo il matrimonio tra Silvia e Francesco, due docenti già noti e apprezzati, con un grande numero di amici e parenti "di peso", tra cui famosi e controversi notabili, "optimates" e personaggi altolocati, divenne, contro le intenzioni degli sposi, un evento mondano che riscosse da parte della popolazione locale un entusiasmo spropositato, manco si trattasse delle nozze del Principe di Galles.
Per l'occasione, i genitori della sposa, Ettore Ricci e Diana Orsini, finsero di andare d'amore e d'accordo, per la prima volta nella vita.
Si rivolgevano persino qualche sorriso accompagnato da un monosillabo, non molto, ma era già qualcosa.
I genitori dello sposo spiccavano per la loro altezza e distinzione: Romano Monterovere era alto due metri e sua moglie Giulia Lanni era molto longilinea, benché la sua bellezza apparisse debilitata dalla malattia cardiaca che di lì a due anni l'avrebbe portata precocemente alla tomba.
Romano Monterovere, integer vitae scelerisque purus, sembrava un tedesco di "pura razza ariana", con quegli occhi azzurri, quei capelli d'oro e avorio e quello sguardo severo alla Rommel che incuteva timore reverenziale.
Le due consuocere Diana Orsini e Giulia Lanni si conobbero per la prima volta e ahimè anche ultima volta, e scoprirono di essere stranamente simili, sia nel fisico che nel carattere.
C'erano anche le tre nonne ultranovantenni degli sposi: la maestra Clara Torricelli vedova Ricci, la contessa madre Emilia Orsini, nata de' Calboli, e la matriarca Eleonora Bonaccorsi Monterovere, che in quel contesto ritenne opportuno rispolverare il feudo perduto, presentandosi come Contessa di Querciagrossa e di Pavullo nel Frignano.
Queste tre dame rinsecchite, ingioiellate, con ampi cappelli piumati e ghirigori di pizzo bianco, ricordavano la buonanima della "queen Mary" di Teck (moglie di Giorgio V e nonna di Elisabetta II), e pertanto sembravano l'ultimo, antichissimo residuo della Belle Epoque: rimanenze di un'età conclusa da molto tempo, e che tuttavia persisteva, ostinata, nel non voler morire.

Pre-War photo of Queen Mary wearing a wide hat | Grand Ladies | gogm

Seguiva la sorella minore di donna Eleonora, ossia Valentina Bassi-Pallai, nata Bonaccorsi, col marito Carlomanno e le figlie Berta e Fernanda. I Bassi-Pallai erano tutti soci di peso della premiata ditta Fratelli Monterovere, un dettaglio che avrà un notevole peso negli eventi futuri di questa narrazione.
Giulia Lanni Monterovere, molto emozionata, accompagnò all'altare il figlio Francesco.
La sposa si fece aspettare il classico quarto d'ora e poi fece il suo ingesso, deludendo tutti per il minimalismo e la sobrietà del suo abito da sposa.
Ettore Ricci, con aria seccata e la lingua tra i denti (immortalata per l'eternità dal fotografo) fece la stessa cosa con sua figlia Silvia, lanciando occhiate minacciose a destra e a manca.
L'abito di Silvia, per quanto minimalista, era comunque molto elegante.
Purtroppo tale sobrietà non apparteneva alla grande maggioranza delle invitate.
Esiste una regola ferrea, riguardo a come vestirsi ai matrimoni: non bisogna rubare la scena agli sposi, e in particolare le invitate non devono rubare la scena alla sposa.
Ebbene, le numerose fotografie che hanno immortalato quel giorno memorabile mostrano senza ombra di dubbio che mai, in tutta la storia, la regola del "non rubare la scena alla sposa" fu violata in maniera così plateale.
Certo gli Anni Settanta non erano sobri, ma quella cerimonia involontariamente barocca andò molto oltre.
Come c'era da aspettarsi, colei che più di ogni altra invitata attirò su di sé l'attenzione, anche se in maniera ridicola e a tratti esilarante, fu l'ultraottantenne  Signorina Mariucca De' Toschi, la cui mise tutta fiocchi, balze, gioielli e boccoli, unita alla sua imponente e massiccia bruttezza, ricordava, per gli intenditori, quella di Sua Altezza Reale Anna Maria Luisa di Borbone-Orleans, Duchessa di Montpensier, meglio conosciuta, nella Versailles di Luigi XIV, come La Grande Mademoiselle.

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A pensarci bene, la Signorina De Toschi era in tutto e per tutto la reincarnazione della Grande Mademoiselle de Montpensier.
Ma non fu l'unica ad esibire uno sfarzo degno del più esuberante barocco.
Infatti, il secondo posto in ordine di vistosità, fu il look di Anita Monterovere, zia dello sposo, anche lei zitella e nel contempo ninfomane, animatrice di salotti e personalità istrionica con evidente disturbo narcisistico della personalità-
Anita detestava la sposa e dunque la sua scelta di rubarle la scena fu doppiamente colpevole.
Si presentò completamente vestita di nero (per sottolineare la luttuosità rappresentata per lei da quell'evento), con un cappello a veletta sopra una tinta di capelli rosso fuoco catarifrangente, occhiali da sole oblunghi e puntati verso l'alto, tenuti anche in chiesa, pelliccia ottenuta sterminando l'intera popolazione dei visoni della Siberia, sigaretta con bocchino d'avorio, perennemente accesa, calze a rete nere, scarpe nere a punta con tacco 14.
Ma lo spettacolo più impressionante derivò dalle sorelle e dai fratelli di Ettore Ricci.
La più grande, Caterina, moglie del Senatore Baroni, sembrava un incrocio tra Mina, Milva e Iva Zanicchi.
La seconda, Carolina, vedova del Conte Gagni di Montescuto, indossava una tiara di diamanti e smeraldi con collier, orecchini e anelli in coordinato,
Ma era nulla rispetto a ciò che segue.
La terza, Adriana Ricci diede scandalo vestendosi da uomo.
I due fratelli di Ettore riuscirono a fare anche peggio.
Aristide indossò un tight con tuba che sarebbe stato considerato eccessivo anche al Royal Ascot.
L'altro fratello, il ruvido e burbero Alberico, che per principio faceva tutto il contrario di quel che erano le convenzioni, sembrava un barbone.
La quarta ed ultima sorella, Maria Teresa, era ancor più sferica di Don Pino, ed era tutta impegnata a tenere a bada il marito, l'ex commissario in pensione Onofrio Tartaglia, che cercava di sedurre ogni donna al di sotto dei trent'anni, comprese le minorenni.
I figli di Maria Teresa erano un'attrazione da circo: enorme e impassibile, Arido occupava una panca intera. Magrissima e tignosa, con gli occhi fissi e il naso a becco.
Aurelia sembrava un barbagianni e suo marito, l'ufficiale sardo Augusto Vermis, era calvo, basso e rotondo nel viso e nella pancia, ma i suoi occhi libidinosi tradivano una rapacità sessuale di non poco conto.
L'unica bella e maestosa, Viviana, mostrava con orgoglio il fidanzato cavaliere Piercarlo Maria Zampetti, ricco imprenditore della zona.
Infine, vistosamente incinta, Virginia copriva interamente il magrissimo marito, ingegner Lando Landini.
Passando momentaneamente al "lato nobile della famiglia", un posto di primo piano era ricoperto Ginevra Orsini e da suo marito, il giudice Guglielmo De Gubernatis.
Ginevra aveva un fascino simile a quello di sua sorella Diana, ma al contrario di lei aveva i capelli rossi e gli occhi verdi, come la madre, e aveva assunto, col tempo, un portamento rigido e solenne, tipico delle dame dell'alta società impegnate in opere filantropiche per far dimenticare gli scandali di famiglia (suo marito aveva infatti avuto un figlio dalla segretaria, ma di questo si parlerà in uno dei capitoli successivi)
Le figlie gemelle di Ginevra Orsini e del giudice De Gubernatis occupavano a loro volta un ruolo di spicco nella "crème de la crème" forlivese.
Elisabetta sembrava la sosia di Jackie Kennedy durante il matrimonio con Onassis.
La sua felicità era ben motivata: finalmente era riuscita nel suo decennale obiettivo, ossia fidanzarsi con Massimo Braghiri, il quale, a trentacinque anni, aveva già i capelli bianchi, dovuti allo stress derivante dalla sconfitta nei tentativi di impalmare Silvia Ricci-Orsini. Ma già la sua mente tramava una vendetta implacabile, che era destinata ad avverarsi in tutti i minimi dettagli.
L'altra gemella, Anna si era fatta le meches, ma a catturare l'attenzione fu suo marito, Adriano Trombatore, il Sommo Poeta, che per l'occasione sfoggiava un vero look bohémienne: capelli lunghi e scompigliati alla Beethoven, cappello floscio alla Goethe, pipa, mantello alla Sherlock Holmes, sciarpa di seta alla Oscar Wilde, giacca di velluto marrone, un'ombra di barba di tre giorni, pantaloni bordeaux, stivali neri lucidi, panciotto di satin verde pisello con orologio d'oro da taschino, sul cui coperchio era inciso in corsivo il motto di famiglia: "De Bono et Malo".
Fortunatamente i testimoni, le damigelle e i paggetti riuscirono a contenere il loro estro.
Testimoni dello sposo erano suo fratello Lorenzo, ricercatore universitario, e suo cognato Ludovico Lamoni, marito di Enrichetta, la quale era perennemente occupata a tenere a bada i due figli fin troppo esuberanti
Testimoni della sposa erano i cognati, Amilcare Spreti di Serachieda, marito di Margherita Ricci-Orsini e Silvio Zanetti Protonotari Campi, marito di Isabella Ricci-Orsini.
La loro aria compunta sembrava quasi voler dire addio ad un terzo dell'eredità di Ettore Ricci.
Ida Braghiri, suo marito Michele e i loro numerosi figli e nipoti, erano tutti lividi per l'invidia e pareva che già tramassero qualcosa per rovinare la festa.
Ma la vera attrazione erano i pezzi grossi: molti imboscati, infatti, erano accorsi più che altro per incontrare di persona i notabili.
Il Senatore Baroni, andreottiano, complottava trame politiche col Vice-Preside Prof. Priamo Marchesi, eminente doroteo, col sottosegretario De Angelis, socialista e con l'assessore Edoardo Monterovere, comunista (di cui furono molto apprezzate la moglie e le figlie, di una bellezza dal sapor mediorientale) insieme al Presidente del Rotary Club, Everardo Rocca Rossellino, liberale di vecchio stampo,  e all'Avvocato Altiero Oddi Ruspanti, Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone, che ricordava Marlon Brando nella parte di Don Vito Corleone.
Inutile dire che fu un gran giorno.
Fu anche l'inizio di un matrimonio d'amore, molto ben riuscito, ma destinato a dover affrontare troppe avversità e una sciagura inenarrabile, ossia un figlio totalmente inadeguato alle grandissime aspettative nutrite nei suoi confronti da due intere dinastie.

martedì 21 aprile 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 61. Molti difetti in comune

Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi. Andrea e Rimini a Tempio Pausania

Quando Silvia Ricci-Orsini e Francesco Monterovere ufficializzarono il proprio fidanzamento, il prof. Piero Giovannelli rimase di sasso.
<<Ma quindi fate sul serio? Voglio dire, intendete proprio sposarvi?>>
I neo-fidanzati confermarono.
Giovannelli scosse il capo, sinceramente costernato.
Per quanto avesse da molti anni una relazione con la professoressa Gatti, era contrarissimo ad ogni forma di convivenza, e più che mai al matrimonio, che definiva senza mezzi termini "un salto nel buio".
Nel caso concreto di Silvia e Francesco, poi, si aggiungevano ragioni oggettivamente fondate, che sarebbero apparse chiare anche a loro, se non fossero stati innamorati.
<<Io mi sento in colpa>> disse Giovannelli sconcertato <<Se avessi anche solo lontanamente immaginato le conseguenze, non vi avrei mai fatti conoscere!>>
Francesco si accigliò:
<<Ma di cosa stai parlando?>>
Silvia intervenne:
<<Piero non crede nel matrimonio in generale e tanto meno nel nostro caso, visto che le nostre famiglie, fino a poco fa, si odiavano>>
Giovannelli però non era soddisfatto di quella risposta:
<<Magari fosse solo per quello! Anzi! Per me è stata proprio l'opposizione alle vostre famiglie la cosa che vi ha fatto sentire uniti... ma adesso che la Guerra delle Due Rose si è momentaneamente fermata, dovreste cercare di ritornare con i piedi per terra e ragionare un po' anche con la testa.
 Non offendetevi, io vi invito a riflettere su cosa vi unisce... ascoltatemi... è un discorso serio: non vi siete resi conto che le cose che avete in comune sono solo i punti deboli? Pensateci bene!>>
Detto questo fuggì via, prima che Francesco potesse esplodere in uno dei suoi temibili attacchi di rabbia.
<<Ma come si permette?>>
Silvia cercò di placare il fidanzato:
<< Ah, non farci caso, Piero è fatto così, a volte non riesce a frenare la lingua, ma non è per cattiveria. In fondo è stato lui a farci conoscere. Ha paura di sentirsi in colpa se tra noi le cose non dovessero andar bene>>
Francesco era perplesso:
<<E perché mai non dovrebbero andar bene?>>
Silvia scrollò le spalle:
<<E infatti andranno benissimo, e glielo dimostreremo, ma con lui bisogna aver pazienza, e poi... sai, è una di quelle persone che hanno un certo seguito, da queste parti. E' meglio non averlo come nemico>>
Su quel punto anche Francesco era d'accordo:
<<Sì, hai ragione. Però come si fa a dire delle cose del genere... che abbiamo in comune solo i difetti! 
E poi quali sarebbero questi difetti in comune? Avrei voluto che ci facesse qualche esempio, tanto per capire se aveva degli argomenti concreti o solo dei pregiudizi>>
In effetti era una domanda interessante.
Silvia ci pensò, passandosi una mano nei capelli, che all'epoca erano lunghi e mossi, come tutti quelli delle donne degli Anni Settanta.
<<Magari siamo un po' ansiosi. Tu che ne dici?>>
Lui piegò le labbra all'ingiù, in espressione dubitativa:
<<Mah, va be', forse un po', ma in fondo, chi non lo è, al giorno d'oggi, con tutte queste cose che succedono, questo ritmo frenetico in un mondo meccanizzato che non è più a misura d'uomo>>
E da lì nacque tutto un discorso filosofico di profonda critica verso la società dei consumi, espresso tuttavia, va detto per onestà, da una persona che era perseguitata dalle rate da pagare per la macchina nuova, l'impianto stereo, la cinepresa, il proiettore, la macchina fotografica ultimo modello e altre simili amenità.
Silvia aveva già intuito quelle contraddizioni, ma non aveva dato loro troppa importanza, perché in fondo le aveva riconosciute anche in se stessa.
<<Forse non abbiamo molto senso pratico...>> disse Silvia, riconducendo il discorso nell'alveo iniziale.
Lui lo sapeva benissimo, ma cercò nuovamente di svicolare:
<<Ma anche questo dipende dal fatto che certe cose non ci sono state insegnate, perché del resto anche certi mestieri stanno scomparendo, nella società tecnologica. 
In fondo perché imparare a fare cose che possono essere replicate con maggiore precisione da una macchina? A questo proposito aveva già detto tutto Walter Benjamin ne L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità...>>
E anche qui Francesco si perse in una digressione profondamente intellettualistica, ma in fin dei conti poco pertinente con il discorso principale.
Ma Silvia, con altrettante ostinazione, tornò, come si direbbe adesso "on topic":
<<Magari a volte ci lasciamo prendere un po' dalla malinconia, o da una visione pessimistica della realtà. Siamo ipercritici, bisogna ammetterlo>>
Francesco inarcò le sopracciglia:
<<Ma questo succede perché siamo persone di intelligenza superiore: è chiaro che vediamo tutto con più chiarezza e profondità, ne individuiamo subito i punti deboli, la maglia rotta nella rete, il punto morto del mondo, l'anello che non tiene. E' quello che, come tu ben sai, Montale chiamava il male di vivere. Del resto, la felicità è il premio di consolazione degli idioti. Soltanto un idiota può essere felice di fronte alle palesi ingiustizie di questo mondo, alla crudeltà dell'esistenza, alla spaventosa sorte del vivere>>
Silvia fu colta da un dubbio:
<<Ma se questa è la nostra idea della vita e del mondo, come possiamo pensare di fare un figlio?>>
Francesco fu colto di sorpresa:
<<Un figlio? Ma io ne voglio almeno dieci!>>
A lei venne da ridere:
<<Ah, ah, te lo scordi! E poi scusa, oltre che essere un pensiero velleitario, non lo trovi contraddittorio con quello che hai detto prima?>>
Lui scrollò le spalle:
<<Ma noi offriremo ai nostri figli il meglio del meglio! Non commetteremo gli errori dei nostri genitori... l'abbiamo detto tante volte! I nostri figli avranno tutto quello che a noi è stato negato. Ti posso garantire che avranno tutto il sostegno necessario per diventare forti e capaci di difendersi dai colpi della vita>>
Silvia sospirò:
<<Certo, certo, le nostre intenzioni sono le migliori, e ce la metteremo tutta, ma a volte tutto questo non è sufficiente>>
Francesco la fissò con aria severa:
<<Si tratta di casi rari. Non vedo perché dovrebbe capitare proprio a noi!>>
Lei socchiuse gli occhi, come per cercare dentro di sé una risposta che non urtasse i sentimenti del fidanzato:
<<Non so, hai presente quando ci si sposa tra cugini o consanguinei c'è il rischio che nascano figli menomati.
No, non ridere, ha un senso quello che dico... 
Il fatto è che, a prescindere dai pregi e dai difetti, noi ci somigliamo troppo, abbiamo troppe cose insieme, sembriamo davvero parenti di sangue. 
I nostri genitori si somigliano moltissimo tra loro, le nostre madri sono quasi identiche, sia nel corpo che nell'anima, o nel carattere, nel temperamento>>
Lui sorrise:
<<Ma è proprio per questo che siamo anime gemelle! Siamo simili pur senza essere consanguinei, e quindi non c'è nulla da temere, perché, come ho detto, siamo gemelli nell'anima, e soltanto nell'anima! 
Non devi dare ascolto a gente come Piero Giovannelli, che in fondo ha di noi soltanto una conoscenza superficiale. 
Dobbiamo concentrarci solo su noi stessi, sul fatto che vogliamo le stesse cose e questo garantirà equilibrio ed armonia alla nostra unione>>
Anche Silvia sorrise:
<<Hai ragione. Perdonami per tutte le mie paure. 
Derivano da quello che è successo a mia madre, a sua sorella, a suo fratello, e anche all'uomo che amava. Un uomo che non era mio padre. 
C'è stato così tanto dolore, ed io sono nata nel dolore.
E' un'ombra che mi porto dietro da tutta la vita, senza mai parlarne con nessuno, anche se tutti ne parlano alle mie spalle>>
Lui la abbracciò:
<<Non preoccuparti, noi fonderemo una nuova famiglia, tutta nostra, e i fantasmi del passato non ci inseguiranno>>
Lei si strinse nell'abbraccio, tremando:
<<Non sono fantasmi. Mio padre ha molti nemici ed io sono sempre stata il loro bersaglio. Io e tutti coloro che amo. Se la prenderanno con te e con i nostri figli. E' gente disposta a tutto, e non ci lasceranno mai in pace>>
Francesco aveva incominciato a rendersene conto, ma non aveva ancora compreso l'intensità dell'odio di questi nemici:
<<Sappiamo difenderci, e ci difenderemo!>>

giovedì 16 aprile 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 60. Tu, felix Austria, nube!

L'Ultima Thule: Filippo il Bello, Re di Castiglia, Arciduca d ...

Molto spesso le guerre del passato si concludevano con un fidanzamento tra gli eredi delle due parti in causa. In alcuni casi, addirittura, le guerre venivano evitate del tutto proprio grazie ad una astuta politica matrimoniale: il caso più clamoroso fu quello di Filippo I d'Asburgo, detto il Bello, della casa d'Austria e Borgogna, e Giovanna di Castiglia, detta la Pazza, erede al trono della casa di Castiglia e d'Aragona. Dalla loro unione, la cui vicenda appassionata e tormentata meriterebbe un romanzo a sé, nacque Carlo V, che dominò su un Impero talmente vasto, nel vecchio e nel nuovo continente, che il sole non vi tramontava mai.
Dai tempi del padre di Filippo, l'imperatore Massimiliano, già Arciduca d'Austria, pare sia stato coniato da Mattia Corvino, re di Boemia d'Ungheria, per stigmatizzare ironicamente l'espansionismo asburgico (che avrebbe poi inglobato anche la corona boema e ungherese) : "Bella gerant alii, tu felix Austria nube" : <<Che gli altri facciano le guerre, tu, fortunata Austria, sposati!>>
Questa strategia era stata seguita anche, se è lecito accostare le grandi vicende a quelle piccole, dagli Orsini di Casemurate, prima con le famose e burrascose nozze di Diana Orsini con Ettore Ricci, poi con quelle delle loro figlie: Margherita con Amilcare Spreti di Serachieda e Isabella con Silvio Zanetti Protonotari Campi. 
In tal modo, come sappiamo, il clan Ricci-Orsini, che era già di suo una ragnatela di relazioni tra famiglie influenti, riuscì a far nascere la Società Ricci, Orsini, Spreti e Zanetti, in accomandita semplice, che controllava, oltre al Feudo Orsini, anche tutte le attività economiche della famiglia Ricci e di quelle dei generi del "prode Ettore".
In questo sublime arazzo, però, c'era quella che Montale avrebbe chiamato "una maglia rotta nella rete", "il punto morto del mondo, l'anello che non tiene".
Si trattava, naturalmente, della relazione di Silvia Ricci-Orsini, la figlia ribelle di Ettore e Diana, con Francesco Monterovere, l'erede altrettanto ribelle dei Monterovere di Querciagrossa, i cui interessi economici e politici costituivano una grave minaccia per la Contea di Casemurate.
Si era tentato di tutto per separare i due giovani, ma più si insisteva in quella direzione e più la loro unione si rinsaldava.
A quel punto si decise che era meglio cambiare strategia ed ebbero inizio, segretamente e "col favore delle tenebre", i primi tentativi di arrivare quantomeno ad un un armistizio.
In fondo c'erano margini di trattativa e, messo da parte l'orgoglio, si sarebbe persino potuti arrivare ad un vantaggioso compromesso.
Si tennero dunque degli incontri riservati tra gli "onesti sensali" in rappresentanza delle due famiglie,
Ciò che si dissero era segretissimo, e proprio per questo, nel giro di pochi giorni, tutti lo vennero a sapere.
A Casemurate e dintorni non si parlava d'altro. In ogni punto di ritrovo, le comari formavano assembramenti e bisbigliavano tra loro. La fonte principale, come sempre, era la governante di Villa Orsini, Ida Braghiri, regina del pettegolezzo.
Il luogo era quasi sempre il negozio di alimentari della "donna baffuta", la famosa Lucia Biasoni.
<<Allora, ci sono novità da Villa Orsini?>> chiese, lisciandosi i mustacchi rossicci.
<<Ieri sono venuti tutti i vari parenti che contano: il Senatore Baroni, il giudice De Gubernatis, il commissario Tartaglia e persino la Signorina De Toschi! Da Faenza invece, in rappresentanza, è arrivato l'assessore Edoardo Monterovere, lo zio di Francesco, con alcuni dirigenti del Consorzio di Bonifica e il Sottosegretario ai Lavori Pubblici in persona.
Hanno confabulato per un bel po' di tempo, nello studio di Ettore Ricci.
Era presente anche mio marito Michele>>
Le comari rimasero a bocca aperta, con gli occhi fissi, come grasse oche in attesa del pasto.
<<E allora, cosa si sono detti?>> chiese la Biasoni
<<Sembra che si siano messi d'accordo su un "indennizzo speciale superiore" per le terre di proprietà dei Ricci-Orsini e dei loro soci>>
La Biasoni continuava a tormentarsi i baffi:
<<E cosa vorrebbe dire "indennizzo speciale superiore"?>>
La Braghiri, con le mani sui fianchi, dichiarò:
<<Vuol dire che Ettore incasserà molti più soldi degli altri proprietari. Una montagna di soldi!>>
La Biasoni si strappò un baffo per la rabbia:
<<Insomma, piove sul bagnato!>>
Ida Braghiri annuì:
<<Proprio così! Piove sul bagnato, anzi, strapiove sul bagnato... o per meglio dire, piovono soldi, e soldo chiama soldo... e questo vale anche per il fatto che alla fine, con questo accordo, le famiglie hanno dato il consenso al matrimonio di Silvia con Francesco Monterovere. 
I due piccioncini si amano, per il momento, ma i loro parenti hanno sempre guardato le cose in  altro modo. Adesso vedono i vantaggi. Un'alleanza commerciale!
I Monterovere diventeranno soci dei Ricci-Orsini, degli Spreti e dei Zanetti. 
Un'unica grande famiglia, che vorrebbe controllare un territorio che va da Faenza fino al mare, perché poi vi racconterò anche la storia dei terreni che Ettore ha comprato a Cervia e di quelli che Enrichetta Monterovere ha comprato a Casal Borsetti dopo aver terminato il canale a destra del Reno. Sì, piove proprio sul bagnato, ma la fortuna non può durare in eterno... verrà il giorno in cui Ettore Ricci pagherà per tutti i suoi traffici... mi dispiace solo che il mio Michele si sia legato a gente del genere, ma noi abbiamo le mani pulite, non abbiamo mai preso un centesimo in più rispetto a quello del nostro onesto stipendio >>
Naturalmente era una balla colossale, perché Michele e Ida Braghiri erano i più avidi nella spartizione del bottino, ma la gente credeva a loro, perché si fingevano alfieri del popolo e tribuni della plebe.
Questa serie di notizie gettò il pubblico delle comari nella costernazione.
Avevano sperato di sentire il resoconto di una lite furibonda, magari anche di un'ennesima disgrazia famigliare, e invece si trovavano davanti ad un successo diplomatico che univa l'utile col dilettevole.
La Lucia Biasoni si strappò altri ciuffi dai baffoni da tricheco:
<<Io dico che non potrà durare. E' una nave che sta diventando troppo grande, e sta viaggiando troppo veloce. Presto o tardi finirà contro qualche scoglio e farà naufragio, perché nella vita, prima o poi, si fa sempre naufragio>>

venerdì 10 aprile 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 59. La Guerra delle Due Rose


La guerra tra i Lancaster e gli York per conquistare la Corona d'Inghilterra è forse una delle fasi più romanzesche della storia britannica e come spesso succede nelle guerre civili, alla fine si concluse con una specie di sterminio reciproco, da cui trasse giovamento una fazione "terza", capeggiata dalla Enrico VII Tudor, un gallese vagamente imparentato con i Lancaster, che dopo aver sconfitto Riccardo III di York, ne sposò la nipote, Elisabetta, da cui ebbe come figlio il terribile Enrico VIII.
La Rosa Tudor, che Shakespeare lodò come "il più nobile dei fiori", fu la "terza rosa", quella che non era stata prevista: bianca al centro, come quella degli York e rossa all'esterno, come quella dei Lancaster, a significare la sempiterna riappacificazione, negli eredi dei Tudor, delle due fazioni rivali.
Ora, si pava licet componere magnis, le cose andarono più o meno così, nel mezzo secolo di faida familiare che oppose i Monterovere ai Ricci-Orsini e che terminò con il vantaggio di una terza fazione, che per molto tempo si tenne nell'ombra, per poi colpire al momento opportuno.
Ma toniamo agli inizi, ossia all'anno di grazia 1972, quando ebbero inizio gli eventi mirabili e terribili di cui spero di poter essere, sine ira ac studio, narratore trasparente e cronista fedele.
Com'era da prevedersi, la ferrea avversione di Anita Monterovere nei confronti di Silvia Ricci-Orsini, e l'iraconda opposizione di Ettore Ricci a Francesco Monterovere, non fecero altro favorire la nascita di una relazione tra Silvia e Francesco, fornendo loro un elemento di complicità che altrimenti non ci sarebbe mai stato.
Fu tale complicità a esaltare ciò che avevano in comune, che purtroppo era molto meno di ciò che li distingueva, ma questo sarebbe emerso dopo, quando era troppo tardi.
In fondo anche Silvia, nonostante una certa dose di pragmatismo che le derivava dal padre, era intrisa delle romanticherie della sua epoca: i film con Audrey Hepburn, le canzoni di Mina e di Battisti, la moda Hippie, il ribellismo giovanilistico che proveniva da oltralpe, oltre Manica e oltre Oceano, e tutti quegli elementi annessi e connessi che avevano reso la sua verde età una sorta di Eden spensierato, lontanissimo dalla concretezza e dall'opaca trafila delle cose della quotidianità che l'attendeva, silenziosa e paziente come un predatore, dietro al giro di boa dei trent'anni e del matrimonio.
Le sue sorelle non erano state nemmeno sfiorate da quell'ondata neoromantica: per loro il mondo iniziava e finiva nella Contea, con qualche propaggine "tra i monti e il mare", tra l'Appennino e la Riviera. Guardavano Silvia e non capivano, ma non disapprovavano nemmeno: semplicemente la osservavano come qualcosa di esotico, influenzato certamente dalla vita di città e da quella universitaria, ma anche dai sogni ad occhi aperti della loro madre, la leggendaria Diana Orsini, diciottesima Contessa di Casemurate, che con inimitabile classe era passata indenne da uno scandalo all'altro senza mai perdere la devota ammirazione generale.
E questo perché Diana si era sempre battuta per garantire ai lavoratori del Feudo Orsini le migliori condizioni in termini di salario, orario di lavoro, ferie, sicurezza, contributi, laddove invece suo marito era assai recalcitrante a spendere anche un centesimo in più. Ma alla fine lei riusciva sempre a convincerlo, ponendolo di fronte all'evidenza secondo cui un lavoratore che si sente rispettato e valorizzato sarà sempre più motivato a svolgere nel modo migliore la propria attività.
Ma Diana era una "progressista" senza saperlo, senza rendersene conto, ed Ettore la prendeva in giro, chiamandola la Contessa Rossa, accostandola ad altre nobildonne della sinistra al caviale, come Luisa Alvarez de Toledo, Duchessa di Medina-Sidonia o Maria Teresa di Borbone-Parma, detta "la Principessa Rossa".
Forse era anche per questo dissidio tra i genitori che Silvia non aveva mai preso partito di fronte alle questioni politiche e tanto meno quelle riguardanti gli affari di famiglia.
Francesco le offriva un'orizzonte più ampio e consapevole, e cioè quello tipico dell'intellettuale impegnato, ma non organico, del filosofo che passa dalla visione d'insieme della conoscenza scientifica a quella specifica dell'ideale politico. Anche questo faceva molto "Anni Settanta"
Silvia ascoltava affascinata tutti quei discorsi e non sapeva che in seguito avrebbe finito per detestarli e considerarli alla stregua di pericolose utopie, tornando quindi con l'età ad avvicinarsi alle destrorse posizioni paterne.
Ma questo avvenne molto dopo, quando lo scialo di triti fatti, vano più che crudele, delle necessità quotidiane e materiali, finì col distruggere ogni alone di romanticismo, come accadde, seppur in termini più drammatici, a Madame Bovary.
Nel 1972 la nostra Silvia era ancora una "poetessa" che si commuoveva contemplando i chiari di luna e perdendosi nelle dissertazioni di Francesco sulle stelle e sulla vastità dell'Universo.
In quelle serate le pareva incredibilmente profondo lo sguardo del suo corteggiatore, che sembrava sondare tutti i misteri del cosmo, smascherandone le contraddizioni e sopportandone il peso, come un eroe wagneriano.
Per tutte queste ragioni, ed altre ancora, ella consentì a Francesco di trasportarla in un mondo che aveva per lei il fascino di un continente inesplorato, dove c'era posto per la canzone di Marinella di De Andrè, idolo di  Francesco per quanto riguardava la musica leggera, e la Quinta di Beethoven o le sonate di Chopin, che lo stesso Francesco eseguiva al pianoforte con la maestria imparata ai tempi del collegio.
Non poteva nemmeno lontanamente immaginare, la nostra Silvia, che soltanto tre anni dopo, mentre era incinta del suo primo e unico figlio, avrebbe imparato ad odiare la musica classica che piaceva tanto al novello marito, il quale teneva a tutto volume lo stereo con disco di vinile dell'Aida di Verdi, specie per l'immortale scena del trionfo di Radames, che invece nel '72, all'Arena di Verona, le era parsa così esaltante da farle venire i brividi.
Tutto ciò per ribadire che le stesse atmosfere che li avevano uniti in un romantico abbraccio ai tempi in cui la loro storia era un atto di insurrezione contro il mos maiorum paterno, divennero poi, nel giro di non troppo tempo, quelle crepe su cui i padri o altri parenti contrariati dalla loro unione, avrebbero fatto leva per far sì che la Guerra delle Due Rose riprendesse più forte di prima, avendo come campo di battaglia lo stesso focolare domestico, e come trofeo la conquista della fiducia dell'erede, blandito da entrambe le stirpi, per quanto capacissimo, fin da bambino, di distinguere il grano dal loglio.

sabato 4 aprile 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 58. La costruzione di un amore

Burj Khalifa punta al cielo | Danfoss

La costruzione di un amore, secondo una famosa canzone che Ivano Fossati scrisse per Mia Martini, è "come un grattacielo di cento piani". 
Per Francesco Monterovere e Silvia Ricci-Orsini si trattò di qualcosa di più simile al Burj Khalifa, che di piani ne ha 163, più due sotterranei, e mai si seppe se un tale sforzo da parte dei nostri due protagonisti valse la pena di essere compiuto, perché il risultato produsse meno successi di quanti ne ebbe l'emirato di Dubai.
Questo dubbio non riguarda tanto la loro unione, che pur nella sua lunghissima e burrascosa durata, si potrebbe considerate comunque un traguardo notevole, quanto piuttosto le preoccupazioni e le sofferenze che derivarono prima dall'opposizione ferrea delle loro due famiglie d'origine, e poi dall'invidia di tutti gli altri, che trovò facile bersaglio nella loro prole.
Già si è detto delle reazioni della famiglia Monterovere alle confidenze di Francesco, che avvennero molto prima che Silvia si rendesse conto che il giovane Monterovere la stava corteggiando, pur nel suo modo timido e impacciato.
Nulla si è invece anticipato su come il clan Ricci-Orsini recepì le prime confidenze di Silvia, che dopo il viaggio a Parigi aveva incominciato a nutrire una certa curiosità sulla famiglia Monterovere.
Il ritorno di Silvia era stato preceduto da un fattorino, che recapitava un regalo a sua madre, ossia un prezioso tavolino da salotto in stile Art Nuveau acquistato nella Ville Lumière.
Purtroppo, quando il tavolino approdò al suo luogo naturale, ossia il Salotto Liberty di Villa Orsini, era presente anche Ettore Ricci, il cui commento fu assai sprezzante:
<<Chissà quanto è costato! E guarda lì che gambette... non sta in piedi... non arriverà a Natale>>
Diana era stupefatta:
<<Ma si può sapere cosa ti prende? Oggi sei ancora più grezzo e meschino del solito!>>
Ettore non aspettava altro:
<<C'è che nostra figlia, oltre a buttar via i miei soldi e a darsi alla pazza gioia a Parigi, si è anche messa a fraternizzare col nemico>>
Diana alzò gli occhi al cielo:
<<L'unico nemico che abbiamo è quello spione traditore di Massimo Braghiri, che non era nemmeno invitato alla gita di Parigi, e scommetto che è stato lui a metterti in testa queste idiozie!>>
Ettore si concesse un lieve sorriso:
<<Non lui direttamente. Ha mandato avanti la figlia di tua sorella>>
Diana era ancora più sdegnata:
<<Quella velenosa vipera di Elisabetta! Silvia ha detto che a scuola tutti sanno che è la spia del preside. Sarebbe capace di tutto pur di infangare nostra figlia>>
<<Tua figlia! Perché da me non ha preso niente, a parte i soldi!>>
<<Sei disgustoso, Ettore!>>
<<E se ti dicessi che Silvia ha davvero preso in simpatia un certo Francesco Monterovere, figlio di quelli che vogliono far passare un canale nel bel mezzo delle nostre terre?>>
Diana aveva sentito qualcosa al riguardo, ma si trattava di un progetto ancora del tutto teorico.
In compenso, però, la vecchia Contessa Vedova Emilia, risvegliatasi dal suo torpore etilico, bofonchiò:
<<I Monterovere! E' un cognome famoso. C'era un illustre generale, Raimondo Monterovere, Conte di Querciagrossa, che combatté per gli Asburgo contro gli Ottomani!>>
Ettore Ricci rise:
<<No, non credo proprio che siano parenti di questo tale. I Monterovere che dico io sono di Faenza e sono dei comunisti assatanati! E' grazie alle amicizie politiche che hanno avuto l'appalto per la Romagna centrale>>
Ma quel giorno Ettore, incredibilmente, si trovò contro persino sua madre, l'anziana maestra Clara:
<<Comunque la Contessa Emilia ha ragione. Ho letto un libro molto interessante sui Monterovere di Querciagrossa, e non è da escludersi che un ramo della famiglia possa essere...>>
Ettore esplose:
<<Ma allora vi siete messe tutte d'accordo per farmi venire un colpo? Volete tutte sbarazzarvi di me? Anche tu, mamma, ti metti a dare credito a queste stupidaggini!
Be', vi dico una cosa: non permetterò mai a questo Monterovere di prendersi mia figlia e soprattutto la mia terra!>>
Diana scattò in piedi e fronteggiò il marito:
<<La terra sarà anche tua, ma Silvia è mia figlia e non ti permetterò di rovinarle la vita così come hai fatto con me! E non lo permetterò nemmeno a quella serpe di Elisabetta o a quel viscido verme di Massimo! Siete tutti avvertiti: questa volta non accetterò alcun compromesso!>>
Ettore fulminò la moglie con lo sguardo:
<<Lo vedremo!>> sbottò, e se ne andò sbattendo la porta.
Due giorni dopo Silvia, ignara della tempesta che si era scatenata in sua assenza, tornò a casa.
Dagli sguardi costernati delle due nonne, Emilia e Clara, capì subito che c'era qualcosa che non andava. Si recò di sopra da sua madre, che era barricata in camera a causa di una sospetta emicrania.
Diana la ricevette con la faccia delle grandi occasioni:
<<Dobbiamo parlare>> le disse con voce nel contempo afflitta e solenne.
<<Scommetto che il babbo ha fatto una scenata per il tavolino>>
<<Sì, ma il problema è un altro. Elisabetta ha fatto la spia, come al solito, e ha messo in testa a tuo padre che alla gita a Parigi avrebbe partecipato anche un certo Monterovere che secondo lei ti starebbe ronzando attorno...>>
Silvia scosse il capo:
<<Quella vipera di Elisabetta!>>
Diana annuì vigorosamente:
<<Proprio così, quella maledetta vipera! Sarebbe capace di tutto pur di compiacere il suo Massimo. 
Si pettina e si veste come Jackie Kennedy, ma l'abito non fa il monaco.

Warhol Andy | Jackie Kennedy | MutualArt

Ah, ma stavolta l'ha pagata cara: ho telefonato a mia sorella e le ho detto che sua figlia deve tenere a freno quella lingua biforcuta! Ginevra si è scusata e ha promesso che non si ripeterà, ma io temo il peggio, perché dietro tutta questa storia, ovviamente, c'è Massimo, che ha il dente avvelenato perché non è stato invitato alla famosa gita di Parigi>>
Silvia si sentì improvvisamente stanca:
<<Ogni volta che torno a Casemurate mi sembra che qui il tempo si sia fermato, come se fossimo ad Avalon, o nel regno di Faerie, avulsi dalla realtà, dal contesto. 
Qui siamo tutti come eterni bambini che continuano a farsi i dispetti, mentre fuori il mondo cambia a tutta velocità. Riusciremo mai a comportarci in maniera adulta?>>

Galadriel and Arwen | Tolkien, Elfi, Signore degli anelli


Diana sospirò:
<<Sono quarant'anni che me lo chiedo, ovviamente senza risposta, ma stavolta prometto che ti proteggerò dalle trame di Ettore e da quelle di Massimo ed Elisabetta, dovesse essere l'ultima cosa che faccio nella vita. Quando vorrai confidarti con me, io sarò comunque dalla tua parte>>
Silvia era confusa:
<<Ma non c'è niente da confidare. Francesco Monterovere non mi ha mica deflorata! Abbiamo solo parlato... non saprei dire nemmeno se mi piace o no>>
<<Ne sei sicura?>>
<<Sono sicura soltanto di una cosa: più il babbo si opporrà a lui, più lui mi starà simpatico, questo è certo. Mi sto rendendo conto che io e Francesco abbiamo in comune il fatto di essere cresciuti in due famiglie anomale, con padri tirannici, madri sofferenti e un corteo di parassiti intorno, pronti a tradirci appena voltiamo le spalle>>
Quella conversazione segnò una svolta nella mente e nel cuore di Silvia, perché parlando di Francesco aveva oggettivato, davanti a sé, quello che prima era rimasto sospeso nel subconscio, e cioè che in fondo c'era qualcosa che li legava nel profondo, e che era stato sussurrato nelle conversazioni sottovoce nei bistrot di Parigi: una realtà familiare, alle spalle, che li faceva sentire diversi dagli altri.
Certo, "ognuno porta con sé i suoi fantasmi", per dirla con Virgilio, ma quelli di Silvia e Francesco in fondo erano simili, e la similitudine nelle sofferenze è un cemento che unisce molto di più di quella nei piaceri.
Su che dolorose fondamenta aveva avuto inizio la costruzione del loro amore!
Soltanto molto tempo dopo si sarebbero resi conto del rischio a cui andavano incontro: la somma di due sofferenze che altro poteva essere se non una doppia sofferenza?
Forse Diana lo aveva già intuito, perché disse a sua figlia, quel giorno:
<<Se la sua famiglia è invadente come la nostra, allora rischi di cadere dalla padella nella brace. E' meglio non scherzare col fuoco>>
Pur comprendendo il punto di vista di sua madre, Silvia si trovò a rispondere con una frase che sorprese lei stessa prima di chiunque altro:
<<Se non scherzi mai col fuoco, finirai per morire di freddo>>

mercoledì 1 aprile 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 57. L'anatema di Anita Monterovere



Tra i tanti problemi di Francesco Monterovere c'era anche quello dell'invadenza di sua zia Anita, e questo perché Anita Monterovere, non avendo una vita propria, si era insinuata in quella dei suoi nipoti in maniera astuta e implacabile.
Nel caso di Francesco, poi, era stato molto facile.
La madre di lui, Giulia Lanni, soffriva di gravi problemi cardiaci, ed era costretta a vivere a letto, bombardata di farmaci che le abbattevano la pressione sanguigna e la sedavano pesantemente.
Anita quindi era divenuta una sorta di "madre surrogata" per Francesco, aiutata anche dalla sua cultura e dal suo indubbio carisma.
Viveva nel grande appartamento dei genitori, insieme alla vecchia madre Eleonora Bonaccorsi, nonna di Francesco, e ad alcuni cugini di quest'ultimo, rimasti orfani a causa della tubercolosi o della guerra.
Era una dimora signorile, che donna Eleonora e sua figlia Anita avevano acquistato grazie ai proventi che derivavano loro dall'essere socie dell'Azienda Escavatrice e Idraulica Fratelli Monterovere, la quale aveva distribuito le quote anche per oscuri motivi di risparmio fiscale.
E quello era un motivo decisamente concreto per cui il padre di Francesco, l'inflessibile Romano Monterovere, aveva imposto d'autorità ai figli di recarsi ogni maledetta domenica a rendere omaggio alla nonna Eleonora e alla zia Anita, nonché ai cuginetti.
Il salotto della "signorina Monterovere" era molto grande e riccamente arredato, con uno stile tardo vittoriano che dava l'impressione di trovarsi all'interno di un castello neogotico inglese.
Essendo inoltre Anita una donna colta, l'unica dei nove fratelli Monterovere ad aver frequentato il Ginnasio e successivamente l'Istituto Magistrale, esercitando onorevolmente la professione per quarant'annici teneva che il proprio salotto diventasse un centro di ritrovo per l'intellighenzia faentina, anche sfruttando le numerose amicizie di suo fratello Edoardo, la cui carriera politica era ormai consolidata.
Se c'era dunque una donna teoricamente in grado di poter apprezzare la futura suocera di suo nipote Francesco avrebbe dovuto essere proprio Anita Monterovere, e invece, come purtroppo accade di frequente, quelli che in teoria dovrebbero essere i nostri principali sostenitori, diventano al contrario, e per ragioni difficilmente comprensibili, i nostri più acerrimi nemici.
Quando infatti Francesco, vincendo la sua naturale ritrosia a parlare di questioni personali, soprattutto quelle che riguardavano i suoi sentimenti, si confidò con la zia Anita, quest'ultima reagì mostrando una freddezza mai vista prima.
E dire che all'epoca non c'era ancora nulla di concreto tra Francesco e Silvia!
Ma la zia mostrò uno sdegno che non avrebbe sfoderato nemmeno se il nipote le avesse dichiarato di aver commesso un omicidio.
Francesco ne fu sconvolto, ma attribuì tale reazione ai meri pregiudizi di suo padre nei confronti di Ettore Ricci, e questo fu il suo secondo errore, perché l'oggetto del risentimento di Anita era un altro.
La signorina Monterovere, infatti, aveva maturato, in segreto, un rancore del tutto irrazionale nei confronti della famosa Diana Orsini, diciottesima Contessa di Casemurate, la cui fama era giunta molto oltre i confini della Contea, arrivando fino a Faenza e dunque fino al salotto della zia Anita, la quale, ascoltando i miti che circolavano riguardo a quella donna leggendaria, si era subito schierata contro di lei, quasi ne avesse ricevuto un torto personale.
I meno informati avrebbero potuto liquidare la questione come una tipica rivalità tra primedonne, ma questa spiegazione sarebbe stata riduttiva e parziale, perché in fondo il rancore di Anita nacque ben prima di conoscere Diana di persona, e il suo anatema verso la figlia di quest'ultima fu del tutto immotivato e assurdamente esagerato, tanto da sfociare in una vera e propria faida, una sorta di Guerra delle Due Rose.
In questo caso, le radici di questo conflitto vanno ricercate molto in profondità, nella psicologia delle due donne che per i successivi quarant'anni si sfidarono in un duello senza esclusione di colpi.
Contrariamente a quel che si crede, le faide familiari non riguardano l'odio e nemmeno gli interessi materiali o le competizioni che possono, in origine, averle causate.
Le faide riguardano il dolore e hanno la loro vera origine nel dolore.
E' il dolore che le alimenta e le tiene in vita anche quando se n'è perso ogni plausibile significato.
Nel caso della faida che a partire dagli Anni Settanta si sviluppò tra Anita Monterovere e la suocera di suo nipote Francesco, Diana Orsini, c'erano da parte della prima le frustrazioni tipiche di una vecchia zitella inacidita e da parte della seconda la totale sfiducia nell'istituzione matrimoniale da parte di una nobildonna decaduta costretta a sposare, in giovane età, un contadino arricchito per evitare la rovina economica della propria dinastia.
Per capire come mai questi due dolori, vissuti da due donne intelligenti, seppur di carattere orgoglioso e permaloso, siano sfociati in un'ostilità così profonda da ripercuotersi su tutte e due le loro famiglie (il clan Monterovere e il clan Ricci-Orsini), è necessario partire da origini remote, che affondano le radici in profondità (perché come scrisse Tolkien: "le radici profonde non gelano").
Incominciamo dunque dalle origini.
Anita Monterovere e Diana Orsini erano coetanee, entrambe nate nel 1913, alla fine della Belle Epoque, di cui sembravano essere l'ultima sopravvivenza esistente sulla faccia della Terra, in particolare quelle rare volte in cui si sarebbero trovate ad essere "compagne di merende" nei loro rispettivi salotti: quello neogotico della prima e quello liberty della seconda.
Ma le similitudini non finivano qui.
Sia Anita che Diana erano venute al mondo in famiglie che, pur essendo state un tempo ricche e importanti, attraversavano una fase di profonda crisi finanziaria, e dunque, nonostante avessero ricevuto un'educazione di prima classe (studi ginnasiali, diploma magistrale, lezioni di pianoforte, canto, francese, equitazione e danza classica) erano ben consapevoli che soltanto un matrimonio con un uomo ricco avrebbe potuto salvarle dagli usurai.
Come ben sappiamo, Diana fu costretta dai genitori a sposare Ettore Ricci, il figlio dell'usuraio Giorgio Ricci detto "Zuarz",
Sappiamo inoltre (per quanto sia ora opportuno ritornare sull'argomento) che Anita Monterovere non si sposò mai, pur essendo più bella di Marlene Dietrich (a cui assomigliava in modo sorprendente), a causa del suo carattere acido e irascibile, che metteva in fuga anche i pretendenti più determinati.
Lei stessa ne parlava con disprezzo, chiamandoli "i miei sette fidanzati di gomma", alludendo anche alle loro scadenti prestazioni sessuali.

Still modern after all these years … Marlene Dietrich's ageless ...

Pur ostentando disprezzo verso i suoi ex, Anita invidiava profondamente tutte le donne sposate, in particolare quelle che avevano sposato un uomo ricco, mentre Diana invidiava tutte le donne nubili, perché non erano state costrette a sposare un uomo che non amavano, come era invece successo a lei.
La questione economica era un'altro motivo di rancore.
Anita Monterovere, che in gioventù avrebbe tanto desiderato farsi mantenere dalla famiglia o da un marito o un amante, dovette invece lavorare come maestra elementare nella lontana città di Fiume (che all'epoca era ancora italiana) per sopravvivere negli anni in cui la sua famiglia stava cercando di risollevarsi dalla crisi creando l'Azienda Escavatrice e Idraulica di cui si è detto sopra.
Diana Orsini invece, che avrebbe desiderato più di ogni altra cosa di diventare insegnante, fu costretta dal marito a occuparsi delle questioni domestiche, subendo peraltro le insolenze della governante Ida Braghiri, la donna più perfida e astuta della sua generazione, che poteva contare sulla cieca fiducia della famiglia Ricci.
Ma arriviamo a questioni più vicine agli argomenti e agli eventi che furono alla base della faida.
Anita invidiava tutte le donne che avevano figli e pertanto, quando (miracolosamente scampata alle foibe titine) tornò da Fiume a Faenza nel '44, fece di tutto per insinuarsi nella vita familiare dei suoi fratelli e, approfittando del carattere fragile o della salute cagionevole delle sue tisiche e cardiopatiche cognate, riuscì a fare da madre ai suoi nipoti, in particolare a quelli maschi, tra cui il nostro Francesco, futuro genero di Diana Orsini.
L'appartamento di Anita Monterovere a Faenza divenne quasi l'abitazione principale dei figli dei suoi fratelli, così come il suo salotto si trasformò, come lungamente auspicato, in un ritrovo intellettuale.
Ma Anita sapeva che avere dei nipoti, per quanto assoggettati, non era la stessa cosa che avere dei figli.
Lo sapeva bene anche Diana, che invece aveva vissuto le sue tre gravidanze come un'ulteriore sciagura capitatale durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e dell'occupazione tedesca, seguita poi dalle vendette partigiane, e in più si era sentita rimproverare dal marito perché aveva partorito solo figlie femmine.
E dal momento che Diana non era il tipo da sopportare in silenzio le critiche, rispose ai rimproveri del marito con un vero e proprio "sciopero sessuale", impedendo ad Ettore di toccarla fino a quando una fortunatamente prematura menopausa svincolò entrambi i coniugi dal dovere matrimoniale della riproduzione.
Per Anita tutto questo era scandaloso e disdicevole, ma in fondo era sempre l'invidia a muovere il suo apparente disprezzo verso Diana.
Ma la colpa principale di quest'ultima era aver generato una figlia che, senza nemmeno rendersene conto, stava strappando ad Anita il suo nipote preferito, Francesco, per il quale aveva già, nelle sue fantasie, scelto la moglie ideale, ossia una certa Ivana, maestra elementare che era stata sua allieva e poi giovane collega.
Era semplicemente inconcepibile, per Anita, che Francesco potesse aver messo gli occhi su un'altra donna non scelta da lei, e men che meno proprio sulla figlia di Diana Orsini.
Per questa ragione, quando Francesco, ingenuamente, confidò alla zia di essersi innamorato di Silvia Ricci-Orsini, la signorina Monterovere considerò questo fatto come un gravissimo affronto personale e un imperdonabile atto di lesa maestà.
E come un pontefice del Medioevo, Anita, dopo una lunga e severissima requisitoria, degradò il nipote a "pecora nera della famiglia" e scagliò contro Silvia e sua madre Diana il proprio inappellabile anatema, a cui tenne fede con implacabile determinazione, dedicando il resto della sua purtroppo lunga vita a rovinare la vita stessa delle altre due donne, che all'epoca non avevano mai  neppure sentito parlare di lei.