domenica 9 settembre 2018

Il Sahel e le mire neoimperialistiche della Francia di Macron

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Il Sahel (dall'arabo Sahil, "bordo del deserto") è una fascia di territorio dell'Africa sub-sahariana che si estende tra il deserto del Sahara a nord e la savana del Sudan a sud, e tra l'oceano Atlantico a ovest e il Mar Rosso a est. Essa costituisce una zona di transizione tra l'ecozona paleartica e quella afrotropicale, ovvero un'area di passaggio climatico dall'area arida (steppica) del Sahara a quella fertile della savana arborata sudanese (asse nord-sud).
Il Sahel copre i seguenti stati (da ovest a est): GambiaSenegal, la parte sud della Mauritania, il centro del MaliBurkina Faso, la parte sud dell'Algeria e del Niger, la parte nord della Nigeria e del Camerun, la parte centrale del Ciad, il sud del Sudan, il nord del Sud Sudan e l'Eritrea.

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Carestie

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Siccità del Sahel.
Nel 1972, il Sahel fu colpito da uno dei gravi e ricorrenti eventi di carestie e siccità, che fece registrare numerose morti per fame.
La carestia, dovuta a diversi raccolti negativi consecutivi, e la crisi profonda dell'agricoltura, provocarono, oltre alla distruzione quasi integrale del patrimonio zootecnico, ingenti migrazioni verso sud della popolazione saheliana che innescarono processi di inurbamento eccessivo nelle zone d'arrivo. Nel 1973 fu costituito un Comitato permanente interstatale per la lotta alla siccità nel Sahel (CILSS) che riuniva diversi degli stati africani e della regione (SenegalMauritaniaMaliBurkina FasoNigerCiadCapo VerdeGambia e Guinea-Bissau). Tutt'oggi la crisi alimentare è ancora presente e decine di migliaia di casi di malnutrizione si registrano in tutta la regione (Niger in particolare).[1]
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Insurrezione islamica nel Maghreb e colpo di Stato in Mali del 2012.
A partire dal 2007 la regione, già interessata dalla presenza di cellule qaediste dal 2001, ha vissuto un incremento dell'emergenza terroristica di matrice islamista (salafita) radicale soprattutto nell'area nord-occidentale (Mauretania, Mali, Niger, Algeria meridionale), con la secessione de facto del nord del Mali.[2] La presenza dei gruppi di Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aquim), del gruppo Ansar Dine guidato da Iyad ag Ghali, sostenuti dai ribelli tuareg che hanno dichiarato l'indipendenza dell'Azauad (tra cui il Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad), insediati principalmente nel nord del Mali, è radicata in tutta la parte centrale e occidentale del Sahel. Le forze terroristiche si sono rese responsabili negli ultimi anni[non chiaro] del rapimento e dell'uccisione di turisti stranieri, diplomatici e soldati algerini e maliani, di un attentato all'ambasciata israeliana di Nouakchott, capitale mauretana, nel 2008 e di un altro a quella francese nella stessa città nel 2009.[3][4][5] Nel 2010, in luglio, le forze armate del Mali, con l'appoggio di truppe francesi, avviarono una operazione militare contro le forze dei ribelli, replicata poi nel giugno 2011.[5]
Il 12 ottobre 2012, con l'aggravamento della crisi nell'area e a seguito della richiesta di aiuto inviata dal neonato governo di unità nazionale guidato da Modibo Diarra, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 2071 che dispone un intervento armato a guida della Unione africana con l'apporto delle forze Nato e dei paesi occidentali.[6] L'11 gennaio 2013 il presidente francese François Hollande, a seguito di una nuova richiesta del governo maliano guidato da Dioncounda Traoré di intervento urgente, predispose un nuovo invio di truppe francesi.[7]

Crisi alimentare, siccità, terrorismo, guerre, migrazioni e il ruolo della Francia

Da sempre, vivere in questo ambiente semi-desertico è difficile per l'uomo. Negli ultimi anni[non chiaro], a causa dei mutamenti climatici e del forte aumento nei prezzi dei beni agricoli è esplosa una vera e propria crisi umanitaria nella regione.
In tutta l'area vivono circa 15 milioni di abitanti del Sahel coinvolti da questa emergenza, e oltre un milione di bambini nei prossimi 6 mesi saranno a rischio elevato di malnutrizione grave.
Nel marzo 2012 l'UNICEF ha lanciato un appello per aiutare la popolazione e far parlare dell'emergenza[30].
Secondo un comunicato di Medici Senza Frontiere, riportato dai principali media[31], nello stesso anno 2012 un milione di bambini affetti da malnutrizione severa avrebbero avuto bisogno di cure: il numero più alto nella storia degli aiuti umanitari[32].
Le forze francesi sono presenti in Sahel con migliaia di uomini, ma anche con aerei, droni e mezzi pesanti. E le loro basi, oltre a quelle delle principali città dei Paesi della regione, sono anche composte di campi nel deserto, le plateformes désert relais, che aiutano le forze speciali a operare in piena autonomia rispetto alle truppe di terra.
Un impegno profondo che dura da decenni. Perché la Francia, dal Sahel, non se n’è mai andata realmente. Negli anni Ottanta del secolo scorso, ci fu la prima missione delle forze di Parigi: l’Opération Épervier. Una missione lunghissima. Le truppe francesi arrivarono nell’area come forza dissuasiva per dividere l’esercito libico da quello del Ciad. Poi, negli anni, il loro scopo è stato quello di contrastare l’insorgenza dell’islamismo.
Quando la Épervier stava per concludersi, la Difesa francese optò per un’altra missione: l’Opération Serval. Questa volta, le truppe furono inviate in Mali. Una missione in cui la Francia aveva investito molto, considerando il dispiegamento di uomini, aerei e anche mezzi navali: ma la missione è conclusa un anno dopo con risultati tutto sommato miseri.
Proprio per ovviare al magro bottino dell’operazione Serval, Parigi, nel 2014, ha optato per un approccio diverso. E fu così che nacque l’operazione Barkhane, arrivata oggi al suo terzo anno di attività e in cui furono inglobati anche gli uomini e gli obiettivi della Serval.
L’Opération Barkhane si differenzia dalle altre operazioni per l’estensione del territorio in cui agisce: il Sahel. Non è più un’operazione in un singolo Paese, ma in tutti gli Stati che compongono il cosiddetto G-5 Sahel e cioè: Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger e Mauritania. È pertanto una missione diversa, orientata su un contrasto a un fenomeno regionale e che fa comprendere come per la Francia l’idea non è più quella di operare in un singolo contesto nazionale ma in tutta l’area di suo interesse strategico. L’obiettivo non è più il singolo pericolo nel singolo Stato, ma assumere il controllo di tutta l’Africa occidentale legata a Parigi.
Il Sahel, per la Francia, è essenziale Lì c’è tutto: interessi economici, politici, strategici e di sicurezza. E per questo la Francia non intende lasciare la regione. Perdere il controllo di quei territori sia contro i nemici interni – in particolare le frange ribelli di alcuni Paesi e i gruppi islamisti – sia rispetto ai partner” occidentali, si tratterebbe di una sconfitta strategica per la Francia. Non è un problema di leadership, è un problema quasi esistenziale per Parigi.
Basti pensare a un dato, che riguarda le materie prime, per capire gli interessi francesi nell’area: il 30% dell’uranio che le centrali nucleari francesi utilizzano per fornire energia al Paese, proviene dal Niger. Se la società francese Areva produce energia elettrica in Francia, è grazie alle miniere africane. E lì, i gruppi ribelli hanno intensificato i loro sforzi perché sanno che significa colpire il cuore degli interessi dei transalpini.
Se a questo si aggiunge il problema del terrorismo islamico che la Francia ha poi direttamente sul suo territorio, ma soprattutto la volontà di non perdere i tradizionali rapporti post-coloniali con quei Paesi, si capisce perché la Francia non solo vuole avere il pieno controllo delle operazioni militari nell’area, ma vuole anche decidere quali partner occidentali far collaborare nella regione. E noi italiani, non siamo di loro gradimento.
Macron non vuole l’Italia in Sahel
L’Italia non piace a Emmanuel Macron. E adesso, con il governo composto da Lega e Movimento Cinque Stelle, la situazione non è certo migliorata. È dai tempi del governo Gentiloni che l’Italia ha messo piede in Niger con poche decine di uomini. Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha già chiarito che il governo italiano intende dare seguito ai propositi della missione per evitare che questi uomini rimangano pochi e confinati in un’area di una base americana.
La missione Misin, guidata dal generale di brigata Antonio Maggi, dovrebbe avere più uomini, una sede operativa autonoma, e maggiore capacità operativa. Ma finora, tutto (o quasi) sembra remare contro i nostri militari. Ed il “merito” è di Macron.
A confermare lo zampino di Parigi nella mancata operatività della nostra missione italiana in Niger, arrivano le indiscrezioni di alcuni funzionari francesi a Il Foglio. Come spiega il quotidiano, “la Francia non condivide gli obiettivi italiani, e dunque starebbe rendendo più difficile del previsto l’azione di Roma tramite i suoi contatti con alcune figure chiave del governo nigerino”. Insomma, c’è una vera e propria sfida fra Italia e Francia.
Sempre secondo Il Foglio, “Jean-Yves Le Drian, ministro degli Esteri francese e molto influente nella strategia africana di Macron, non gradirebbe l’intervento autonomo italiano nel nord del paese, che interferirebbe con gli equilibri in Libia, Stato con cui il Niger confina nella parte settentrionale”.
Lo Stato maggiore francese ha più volte dichiarato che è ben contento che i partner occidentali partecipino in Niger. Ma non è certo un caso che Macron abbia preferito siglare un accordo con la Gran Bretagna per l’arrivo di un centinaio di uomini e elicotteri piuttosto che appoggiare il nostro intervento, nonostante (in teoria) siamo entrambi Stati dell’Unione europea. E questo perché l’Italia sta cercando di scalfire l’influenza francese in Niger: obiettivo che non hanno gli altri partner occidentali.
Del resto le elezioni non sono lontane. Il Niger andrà al voto nel 2021 e il presidente Mahamadou Issoufou non potrà ricandidarsi. La sfida è, almeno fino adesso, tra Hassoumi Massaoudou, ministro delle Finanze, e Mohamed Bazoum, ministro dell’Interno, che è molto vicino a Jean-Yves Le Drian. L’Italia sta iniziando ad aumentare il suo supporto al governo nigerino attraverso gli aiuti umanitari. E non è un strategia secondaria in un Paese devastato dalle epidemie. E questi aiuti sono stati apprezzati dal presidente e dal suo entourage. E questa corrispondenza fra Roma e Niamey dà molto fastidio al presidente Macron.

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Geografia


Foto satellitare dell'Africa. Il Sahel è la fascia (celeste) di transizione tra le zone desertiche e le zone coperte da vegetazione
Il territorio del Sahel consiste, prevalentemente, in deserto e si estende dall'Oceano Atlantico fino al Corno d'Africa, passando dagli Stati dell'Africa Centro Settentrionale quali:
Il Sahel, nel corso della storia, è stata la terra in cui si sono sviluppati alcuni dei più avanzati e potenti regni del continente africano, indicati spesso come Regni saheliani
Il Sahel è un'area ad alto tasso di desertificazione. Le popolazioni che abitano il Sahel si trovano a fronteggiare le emergenze alimentari connesse all'approvvigionamento idrico della zona, molto carente a causa della perenne siccità. La principale causa dell'elevato rischio di desertificazione è la costante mancanza d'acqua, per cui la terra, completamente secca, erosa e mossa dal vento, si trasforma in sabbia, ma anche l'opera dell'uomo con le sue coltivazioni intensive ha contribuito al fenomeno.
È possibile, da un punto di vista tecnico, frenare l'avanzata del deserto: ciò, in parte, è stato realizzato creando una zona verde. Interventi di questo genere, tuttavia, richiedono mezzi, e quindi disponibilità economiche, che allo stato attuale non sono neanche in minima parte in possesso degli Stati del Sahel. In alcuni casi agricoltori locali, come Yacouba Sawadogo, sono riusciti a proporre interventi di agricoltura tradizionale che hanno permesso di ripristinare arbusti e alcune coltivazioni di graminacee in aree limitate.

Clima, suoli e risorse idriche

Il clima è tropicale secco (arido e semi-arido) con precipitazioni annuali da 200 a 600 mm, concentrate tra giugno e settembre-ottobre, con picco in agosto e da 20 a 60 giorni di pioggia all'anno. Occorrono forti variazioni stagionali e inter-annuali della pluviometria e gravi siccità ricorrenti. I mesi più caldi sono aprile e maggio, quando si registrano massime medie oltre i 40 °C. Le minime si hanno in dicembre e gennaio, con valori raramente inferiori ai 10 °C. L'umidità dell'aria varia da meno di 40% durante la stagione secca a 70% in stagione delle piogge[8].
I suoli sono prevalentemente sabbiosi, giallo-rossastri e leggermente acidi (5<ph<6) e con bassa ritenzione idrica. Nelle depressioni si possono riscontrare suoli neri argillosi (vertisuoli). I suoli sono poveri in fosforo, azoto e sostanza organica.[9] Secondo l'Organizzazione per l'agricoltura e l'alimentazione (FAO), il 90 per cento dei pascoli e oltre l'80 per cento dei terreni agricoli sarebbe degradato a causa del disboscamento, del sovrappascolo e dell'espansione e l'intensificazione delle attività agricole[10].
Non esistono fiumi endogeni. Alcuni fiumi esogeni hanno un ruolo importante per l'agricoltura e l'allevamento: il Senegal in MaliMauritania e Senegal; Niger in Mali, Niger, Burkina Faso e Nigeria; il sistema Logone-Chari in Ciad ed il Nilo ed i suoi affluenti in Sudan. L'acqua di falda profonda è scarsa ed i pozzi hanno portate limitate, con poche eccezioni[11].

Vegetazione, uso del suolo e sistemi di produzione

La savana nel Sahel si compone generalmente di due elementi principali: uno strato erbaceo dominato da piante annuali, soprattutto graminacee, ed uno strato arbustivo o arboreo alto fino a dieci metri, con densità variabile da 100 a 400 piante per ettaro. La flora, la vegetazione e i pascoli non presentano forti variazioni geografiche andando verso occidente, nonostante le grandi distanze. Ciò si deve alla grande omogeneità del clima, della geomorfologia, dei suoli, e del loro uso. Per contro, il gradiente positivo nord-sud del clima e della vegetazione è fortemente marcato (indicativamente, le precipitazioni aumentano di circa 1 mm per km da nord a sud). Si distinguono nel Sahel il sistema pastorale e quello agropastorale, sedentario o semi-sedentario, che combinano agricoltura e allevamento[12][13]. Per il Sahel si adotta spesso la suddivisione seguente, rispondente a criteri fitogeografici, ecologici ed agropastorali:[14][15]
  • la zona sahariano-saheliana, con pluviometria annuale compresa tra 100 e 200 mm;
  • la zona saheliana tipica, con pluviometria annuale compresa tra 200 e 400 mm;
  • la zona sahelo-sudanese, con pluviometria annuale compresa tra 400 e 600 mm.
Nella zona sahariano-saheliana, la stagione piovosa dura non più di un mese e mezzo. In questa zona non si praticano attività agricole se non in forma oasistica (cerealiortaggi e fruttiferi). Essa permette da 30 a 40 giorni di pascolo annuale per ettaro con un carico animale di una UBT (Unità Bestiame Tropicale, corrispondente ad un bovino di 250 kg[16]) per 10-12 ettari. Vi praticano il pastoralismo nomade e transumante vari gruppi etnici: i Mauri in Mauritania, Senegal and Mali; i Tuareg in Mali, Burkina Faso e Niger; i Fulani in Senegal, Mali, Niger, Burkina Faso, Ciad, Nigeria; i Teda in Ciad; gli Zaghawa, i Baggara, ed i Kabbabish in Sudan. Il sistema pastorale, dominante in questa zona con mandrie relativamente importanti di bovini e piccoli ruminanti, si basa esclusivamente sullo sfruttamento estensivo delle risorse naturali, senza impiego di fattori esterni, salvo in annate con deficit foraggeri importanti. In questo sistema è essenziale la mobilità degli allevatori e delle mandrie alla ricerca di acqua e pascoli durante la lunga stagione secca ed in caso di siccità prolungate.
La zona saheliana tipica è caratterizzata da una savana ricca di acacie spinose. Il manto erboso è prevalentemente costituito da essenze annuali, utilizzate come pascolo dagli stessi gruppi etnici che insistono sulla zona più a nord. Lo strato arboreo ed arbustivo costituisce una risorsa pabulare importante, in particolare durante la stagione secca essa quando rappresenta la sola fonte di proteine e di carotene. Complessivamente, questa zona permette il pascolo per 80 - 100 giorni all'anno per ettaro, corrispondente ad un carico di una UBT per cinque ettari. Con risultati produttivi mediocri e irregolari, vi si coltivano cereali (miglio e sorgo), in particolare nelle zone di deflusso. Il sistema agropastorale, sedentario o semi-sedentario, sviluppato in questa zona, si basa sullo sfruttamento estensivo delle risorse pabulari con mandrie di più ridotta consistenza che beneficiano però di integrazioni alimentari aziendali (residui colturali, foraggi) e/o extra-aziendali; A causa della crescente pressione antropica, queste coltivazioni si vanno espandendo, ovviamente a spese dei pascoli.
Nella zona saheliano-sudanese, la stagione piovosa dura tre o quattro mesi. Qui la savana è dominata da piante legnose della famiglia delle Combretacee e da erbacee annuali, associazione che consente 150 giorni di pascolo all'anno con un carico animale possibile di 3,5 ettari per UBT. È questa un'area di conflitto tra le etnie pastorali e quelle sedentarizzate di agricoltori (gli Ouolof e i Sérèr in Senegal, i Malinke, i Bambara ed i Songhai in Mali; i Songhai, gli Jerma e gli Houassa in Niger, gli Haoussa in Nigeria; i Kanouri in Ciad e in Sudan). Le colture principali sono il miglio, il sorgo e il dolico. In questa zona prevale il sistema agropastorale sedentario. Nelle zone urbane o semi-urbane, ma anche nelle vicinanze di villaggi si praticano il sistema intensivo o semi-intensivo di ingrasso o di produzione lattiera, con stabulazione permanente o temporanea durante alcuni mesi, e l'orticoltura familiare.

Economia

Agricoltura

I sistemi di coltivazione messi a punto dall'agricoltura tradizionale nel corso dei secoli si basavano sulla disponibilità quasi illimitata di terreno coltivabile ed un uso estensivo delle risorse. Un'agricoltura itinerante esercitata da popolazioni disperse su ampi spazi che faceva conto sulla rigenerazione naturale della fertilità del suolo o tutt'al più ricorso al maggese ed alla fertilizzazione degli animali al pascolo. D'altro canto, le rotazioni, suscettibili di incrementare la fertilità dei suoli e dunque delle rese, sono impossibili da realizzare laddove le condizioni ambientali non permettono che una scelta molto limitata di colture[17].
Nel Sahel, i sistemi agro-pastorali sono poco produttivi a causa delle scarse precipitazioni e della povertà dei suoli, gravemente degradati dalla pressione antropica[18] e l'agricoltura rimane asciutta, di sussistenza ed estensiva, dipendente dall'incostanza del clima e poco rispettosa dell'ambiente[19]. Inoltre, questa regione è soggetta ad invasioni periodiche da parte delle locuste, che causano importanti danni alle colture ed al manto vegetale.[20] La produzione agricola è strutturalmente deficitaria nelle zone sahariane, eccedentaria in quelle sudano-saheliane e aleatoria nella zona saheliana tipica.[21].
Colture pluviali come miglio, sorgo e dolico rappresentano gli alimenti base della popolazione mentre l'arachide ed il cotone sono le principali colture commerciali. L'agricoltura dipende quasi completamente dalla pioggia durante tre o quattro mesi l'anno, eccetto lungo i principali fiumi, laghi e i corsi d'acqua stagionali, dove si possono produrre ortaggi e riso in irriguo[22]. Con acqua di falda, si coltivano frumento, frutta e ortaggi nelle oasi delle zone saharo-saheliane. Il sistema di deflusso si pratica nelle depressioni umide e lungo i fiumi, dove le piante utilizzano l'acqua immagazzinata nel suolo e della fertilizzazione limosa[23].
Le colture pluviali (miglio e sorgo tra i cereali, dolico e arachide tra le leguminose, e sesamo tra le oleaginose) si seminano generalmente al verificarsi delle prime piogge utili su terreno non sempre arato ed erpicato e quasi mai fertilizzato, e beneficiano talvolta di una o due sarchiature. Il cotone, che si coltiva in seccagno e talvolta in irriguo, è fertilizzato in quanto coltura commerciale. Il riso si coltiva in irriguo, per sommersione, si semina o si trapianta in epoche diverse secondo le zone e si coltiva utilizzando tecniche moderne (semente selezionata, preparazione del terreno, fertilizzazione, controllo delle infestanti). Sono irrigati anche gli ortaggi (quelli tradizionali sono cipollamelanzanapomodoropeperonegombo). I fruttiferi comprendono mangopapaiaguava. I prodotti esportati comprendono cotone, alcuni ortaggi e manghi[24].

Allevamento

Nel Sahel, l'allevamento è tradizionalmente estensivo, ma, con la crescita demografica e l'aumento del consumo individuale, evolve lentamente[25]. La maggior parte del bestiame è allevato con sistemi nomadi o transumanti con le mandrie che passano la stagione secca al sud e si spostano verso i pascoli settentrionali durante la stagione delle piogge[26].
Le mandrie sono composte di bovini, capriniovini e dromedari. Il bovino tipico è lo zebù, rappresentato da tre specie: Saheliano, Gobra e M'Bororo. Il peso varia da 250 nelle vacche a 400 kg nei tori. Il montone del Sahel e quello del Massina (da lana) sono le specie più rappresentate. Le razze caprine comprendono la capra del Sahel e la Rossiccia di Maradi, la Zaghawa e la Toposa. Esistono numerose specie di dromedari che prendono il nome dalle aree di origine (del Tibesti, del Manga, dell'Adrar, del Gandiol, ecc.)[27].
Oltre alle perdite per deficiente alimentazione foraggera ed idrica, rimangono alte quelle per motivi sanitari, specialmente per gli animali più giovani (malattie infettive, parassiti, carenze nutrizionali). Laddove i fattori ambientali, alimentari e sanitari sono più sfavorevoli, la mortalità può sfiorare tassi di mortalità del 20%[28]. A livello regionale, nonostante il parco bestiame sia in continuo aumento, la produzione zootecnica non soddisfa la crescente domanda e si prevede che questo deficit aumenti[29].

Note
  1. ^ Anteprima “Fronte del Sahara” - rivista italiana di geopolitica - Limes
  2. ^ Anteprima “Fronte del Sahara” - rivista italiana di geopolitica - Limes
  3. ^ Informazione Corretta
  4. ^ Mauritania: Attentato Suicida Contro Ambasciata Francese - Adnkronos Esteri
  5. ^ a b Il Sahel fuori controllo - rivista italiana di geopolitica - Limes
  6. ^ Adopting Resolution 2071 (2012), Security Council Demands That Armed Groups Cease Human Rights Abuses, Humanitarian Violations in Northern Mali
  7. ^ http://www.corriere.it/esteri/13_gennaio_11/Mali-Holland-esercito-francese-inizia-intervento_586afff4-5c17-11e2-b348-07f13d8a1ca0.shtml
  8. ^ H.N. Le Houerou, The Rangelands of the Sahel, H.N. Journal of Range Management S (l), January 1980, Allen Press (Lawrence, KS, USA) and Society for Range Management (Littleton, CO, USA), p. 41. https://journals.uair.arizona.edu/index.php/jrm/article/viewFile/7010/6620
  9. ^ H.N. Le Houerou, Opera citata, p. 41.
  10. ^ Land and environmental degradation and desertification in Africa, S.C. Nana-Sinkam, FAO February 1995. http://www.fao.org/docrep/x5318e/x5318e02.htm
  11. ^ H.N. Le Houerou, Opera citata, p. 41
  12. ^ L'élevage au Sahel et en Afrique de l'Ouest, 26ème réunion annuelle du Réseau de Prévention des Crises Alimentaires (RPCA), Accra (Ghana), 14-16 décembre 2010, p.1. http://www.cilss.bf/IMG/pdf/elevage_en_AOcs5.pdf[collegamento interrotto]
  13. ^ A. Ickowicz, V. Ancey, C. Corniaux, G. Duteurtre, R. Poccard-Chappuis, I. Touré, E. Vall and A. Wane, Crop–livestock production systems in the Sahel – increasing resilience for adaptation to climate change and preserving food security, da Proceedings of a Joint FAO/OECD Workshop Building Resilience for Adaptation to Climate Change in the Agriculture Sector, Rome 23–24 April 2012, p. 262 e segg. http://www.fao.org/docrep/017/i3084e/i3084e.pdf
  14. ^ H.N. Le Houerou, Opera citata, pp. 42, 43, 44
  15. ^ A. Ickowicz, V. Ancey, C. Corniaux, G. Duteurtre, R. Poccard-Chappuis, I. Touré, E. Vall and A. Wane, Opera citata, p. 268.
  16. ^ La Boîte à Outils Elevage-Environnement, FAO. http://www.fao.org/ag/againfo/programmes/fr/lead/toolbox/Mixed1/TLU.htmBibliot
  17. ^ Detalmo Pirzio Biroli, Opera citata, da p. 495 a p. 498.
  18. ^ Transforming Agriculture in the Sahel Through Tree-Crop-Livestock Systems, A Concept Note Draft for discussion – 22 April 2005, International Crops Research Institute for the Semi-Arid Tropics, p. 1. http://www.icrisat.org/who-we-are/investors-partners/donor-flyers/126_Tree-Crop-Livestock_Systems_scr.pdf
  19. ^ L'agriculture au Sahel Evolution sur les 20 dernières années, Afrique Verte, Montreuil, France, p. 4. http://www.afriqueverte.org/r2_public/media/fck/File/Documentation/DocsAV/agriculture-sahel-fiche.pdf
  20. ^ La zone écologique fragile des pays du Sahel, Atlas de l'Intégration Régionale en Afrique de l'Ouest, CEDEAO-CSAO/OCDE - avril 2006, p. 5. http://www.oecd.org/fr/csao/publications/38410487.pdf
  21. ^ L'agriculture au Sahel Evolution sur les 20 dernières années, p. 1
  22. ^ Serigne Tacko Kandji, Louis Verchot, Jens Mackensen, Climate Change and Variability in the Sahel Region: Impacts and Adaptation Strategies in the Agricultural Sector, UNEP & ICRAF 2006, p. 2. http://www.unep.org/Themes/Freshwater/Documents/pdf/ClimateChangeSahelCombine.pdf
  23. ^ L'agriculture au Sahel Evolution sur les 20 dernières années, p. 2.
  24. ^ Detalmo Pirzio Biroli, Opera citata, da p. 474 a p. 495.
  25. ^ L'agriculture au Sahel Evolution sur les 20 dernières années, p. 3.
  26. ^ H.N. Le Houerou, Opera citata, p. 42.
  27. ^ Detalmo Pirzio Biroli, Opera citata, da p. 398 a p. 402.
  28. ^ A. Ickowicz, V. Ancey, C. Corniaux, G. Duteurtre, R. Poccard-Chappuis, I. Touré, E. Vall and A. Wane, Opera citata, p. 278.
  29. ^ A. Ickowicz, V. Ancey, C. Corniaux, G. Duteurtre, R. Poccard-Chappuis, I. Touré, E. Vall and A. Wane, Opera citata, p. 265.
  30. ^ Appello dell'UNICEF
  31. ^ Sahel, un milione di bambini malnutriti - Corriere.it
  32. ^ Comunicato di Medici Senza Frontiere

Bibliografia

  • Edmond Bernus, "Points cardinaux: Les critères de désignation chez les nomades touaregs et maures", Bulletin des Etudes africaines de l'Inalco vol. 1, nº2, 1981, pp. 101–106 (testo in pdf)
  • Lieutenant Brosset, "La rose des vents chez les nomades sahariens", Le Saharien 89 (juin 1984), pp. 11–20.
  • Eugène Fromentin, Sahara et Sahel. Une année dans le Sahel, Paris, E. Plon, 1887.

Voci correlate[