martedì 17 settembre 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 18. Il giudice De Gubernatis

A quasi un anno dal matrimonio di Ettore Ricci con la primogenita del Conte di Casemurate, il Salotto Liberty di Villa Orsini era tornato ai fasti di un tempo.
E nonostante tutti sapessero che Ettore era ormai il vero padrone del Feudo Orsini, i suoi nobili suoceri continuavano a recitare la parte dei castellani feudatari , in perfetto stile ancien régime.
Il sacrificio di Diana era servito a riportare i genitori e i fratelli al centro della cosiddetta e sedicente "buona società".
Era l'aprile del 1939, ma nella Contea di Casemurate sembrava che il tempo si fosse fermato e che ad agitare le acque in Europa, invece di Hitler, ci fosse ancora Napoleone.
La politica e tutte le vicende della "grande storia", erano come echi lontani di vicende che interessavano solo qualche sfaccendato che si attardasse nelle osterie o nelle sale dei barbieri, specialmente "da Lindo", che oltre a tagliare i capelli per pochi centesimi, offriva anche il caffè a tutti gli avventori.
Le tradizioni persistevano, la modernità stentava a penetrare in quel "discreto angolo di mondo", che conduceva una vita placida e sonnacchiosa, in un eterno presente di piccole quotidianità.
Persino la gente che si reputava colta, come la Contessa Emilia Orsini, sosteneva che la vita agreste casemuratense fosse "in un certo qual modo simile a quella delle campagne inglesi ai tempi di Jane Austin, durante il periodo Regency".
C'era una certa dose di autocompiacimento ed esagerazione, in quelle frasi, ma per quel che riguardava l'ossessione del far fare alle figlie un buon matrimonio, l'atmosfera che si respirava era piuttosto simile a quella di "Orgoglio e pregiudizio".
Diana poteva anche concordare, su quel punto, ma, al contrario della madre, non amava particolarmente i romanzi della Austin, e in particolare trovava ipocrita il loro lieto fine dove l'amore e la convenienza riuscivano a trionfare contemporaneamente. Era un'illusione e non a caso Jane Austin non trovò mai l'uomo dei suoi sogni.
Diana preferiva identificarsi in personaggi molto diversi, come Catherine Earnshaw di "Cime tempestose", Rossella O'Haraoppure lady Chatterley, protagonista dello scandaloso (per l'epoca) romanzo di D.H. Lawrence. In tutti questi personaggi c'era una costante: la volontà di evadere da un matrimonio senza amore e di inseguire avventure e amori impossibili.
Ma tutto questo, per Diana Orsini, poteva esistere soltanto nei libri e l'unica cosa che le rendeva sopportabile il matrimonio con Ettore era il fatto che non aveva avuto occasione di innamorarsi di qualcun altro.
Era rimasta incinta dopo soli due mesi, e la gravidanza, giunta quasi immediata, non aveva risvegliato in lei alcun istinto materno, anzi, c'era un pensiero fisso che la tormentava, ossia che mettere al mondo un figlio, pur conoscendo quanto fosse ingiusta e a volte crudele la vita, fosse un sopruso, e che, come diceva Edipo, "non nascere è il più grande dei doni".
Ma le sorelle di Diana la pensavano diversamente.
La secondogenita, Ginevra, assomigliava alla madre, da cui aveva preso i capelli rossi, gli occhi azzurri e la pelle lentigginosa. Era tranquilla e docile, e parlava con una voce flautata che la rendeva ancora più eterea.
Un giovane magistrato, Guglielmo De Gubernatis, la corteggiava con grande devozione. 
Uomo raffinato, colto, paziente e diplomatico, il giudice De Gubernatis, era divenuto, da alcuni mesi, un assiduo frequentatore di Villa Orsini e del Salotto Liberty.
Nato a Catanzaro nel 1906, si era diplomato al Liceo Classico con ottima valutazione, ed era stato esonerato dal servizio militare a causa di una rinite allergica.
Si era poi laureato in Giurisprudenza all’Università di Reggio Calabria, dove aveva conseguito il Dottorato di Ricerca, anche grazie all’iscrizione ai Guf , Giovani Universitari Fascisti.
A tal proposito va anticipato il fatto che anni dopo, a regime caduto, giustificò quell'adesione dichiarando di essere stato un infiltrato da parte del partito socialista, anche se non presentò mai alcuna prova a sostegno di tale affermazione.
La sua tesi di Dottorato sul “Diritto nella Roma di Augusto” fu molto apprezzata non solo negli ambienti accademici, ma anche presso le gerarchie fasciste.
Queste credenziali gli permisero di ottenere la cattedra di Ricercatore confermato di Diritto Romano all’Università di Bologna, nel 1933. Qui ebbe modo di conseguire l’Avvocatura, nel 1934.
Nello stesso anno entrò a far parte, grazie alla segnalazione di un barone universitario, del prestigioso studio legale Asinelli-Raffarani, che assisteva in quel periodo gli interessi della famiglia Orsini Balducci di Casemurate in una controversia contro la marchesa Cordelia Battoni Ghepardi, riguardo ai costi di ristrutturazione di un palazzo in Via Belle Arti che la nobildonna aveva acquistato dai Conti Orsini una ventina d’anni prima. 
Di fatto la marchesa si era rifiutata di pagare la maggior parte della somma convenuta, puntando tutto su un cavillo inserito ad arte nel rogito notarile.
La causa si era protratta per le lunghe, considerato che la marchesa Battoni Ghepardi aveva a sua volta fatto causa alla ditta appaltatrice del restauro, all’architetto che aveva presieduto i lavori, all’agente mediatore del contratto, al portiere, al giardiniere, e persino a una famiglia di inquilini che abitavano da generazioni in una specie di sottoscala del palazzo.
Poiché si trattava di una grossa gatta da pelare che in studio nessuno voleva, la causa fu affidata all'ultimo arrivato, Guglielmo De Gubernatis, che così divenne legale della famiglia Orsini.
In verità come avvocato non si distinse gran che, e infatti la causa fu clamorosamente persa, contribuendo in tal modo alla rovina economica degli Orsini.
E tuttavia il suo fascino di uomo colto e grande affabulatore, la sua figura azzimata, con tanto di baffetti e brillantina, gli valsero le simpatie della Contessa Emilia, che lo spronò a intraprendere la carriera di magistrato.
De Gubernatis, pur avendo molti titoli ed essendo ben introdotto nell'alta società e nel partito fascista, temeva di non riuscire in quel grande intento, a causa della mancanza di referenze ad altissimo livello.
La Contessa Emilia, ascoltate queste sue perplessità, aveva dichiarato con grande sicurezza, sollevando l'indice della mano destra:
 <<In questi casi non c'è che la Signorina>>
<<Chi?>> aveva chiesto l'avvocato.
<<Ma come chi? La Signorina De Toschi, figlia dell'eroico Generale Ardito De Toschi e della compianta Violetta Orsini, cugina di mio marito>>
<<E come potrebbe aiutarmi questa... ehm... Signorina?>>
La Contessa aveva sorriso con sussiego e compiaciuta benevolenza:
<<Gli ex-attendenti di suo padre hanno fatto carriera in tutti i meandri della Pubblica Amministrazione. Se c'è un concorso da superare, c'è sempre un attendente del Generale De Toschi pronto a metterci una buona parola. Mi creda, l'esito positivo è certo>>
De Gubernatis era ancora perplesso:
<<Ma come potrei riuscire ad ottenere un"buona parola" da parte della Signorina?>>
La Contessa Emilia sorrise:
<<Be'... io le procurerò un invito al Villino De Toschi. Il resto dipenderà da lei.
Vede, avvocato, la Signorina si sente molto sola... ha bisogno d'affetto, di calore umano, lei mi capisce... Il tutto naturalmente senza impegno, nel senso che ormai non è più in età da marito da molto tempo, e non c'è pericolo di conseguenze>>
De Gubernatis, che era uomo di mondo, aveva capito, ma gli rimaneva ancora un dubbio:
<<Se posso permettermi una domanda in confidenza...>>
<<La prego, chieda pure>>
<<Ehm, com'è... fisicamente, questa Signorina?>>
<<Dunque, ad essere sinceri è un po' in carne... e poi l'età, gli effetti della menopausa... però Santo Cielo, Parigi val bene una Messa!>>
E così l'avvocato De Gubernatis, dopo un primo incontro in cui l'insaziabile Signorina lo onorò di un certo interesse nei suoi confronti, trascorse poi alcune notti di fuoco presso il Villino De Toschi.
Fu sufficiente.
Nel 1938 il promettente avvocato vinse il concorso di ammissione alla magistratura e, sempre grazie a una buona parola di un ex-attendente del Generale De Toschi, ottenne persino il suo primo incarico nel Tribunale di Forlì, per poter stare vicino alla famiglia Orsini.
Nel 1938 partecipò al matrimonio di Diana Orsini con Ettore Ricci.
Il vecchio Giorgio Ricci se lo fece subito amico, con una serie di regali ed elargizioni che permisero al giudice di comprare una palazzina nel centro di Forlì.
Ettore Ricci a sua volta ritenne che fosse fondamentale avere un giudice dalla propria parte, e in questo si rivelò lungimirante.
Nel giugno 1939 si fidanzò ufficialmente con Ginevra Orsini, entrando a pieno titolo nella famiglia.