domenica 21 luglio 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 6. Come nasce una dinastia


Il conte Achille Orsini di Casmurate era un grande intenditore di araldica e di storia delle dinastie o in generale delle più importanti famiglie aristocratiche.
Pur appartenendo a un ramo minore e decaduto della grande stirpe degli Orsini, continuava a cullarsi nel sogno di ridare vigore alla sua famiglia attraverso l'innesto di nuova linfa (e nuovo denaro), da parte di un'altra famiglia in ascesa.
Egli era convinto che per fare una dinastia ci volesse il concorso più famiglie, alleate tra loro per mezzo di vincoli saldi, primo tra tutti quello del matrimonio.
Erano matrimoni combinati, il che non escludeva che i coniugi potessero imparare a volersi bene, come era accaduto a lui stesso e a sua moglie Emilia, o addirittura, sebbene fosse un evento più raro e a volte persino pericoloso, innamorarsi l'uno dell'altra, come Filippo I e Giovanna di Castiglia.
 In caso contrario, rimanevano comunque legati da forti interessi comuni, sia riguardo ai figli che riguardo al patrimonio. A pensarci bene, tra matrimonio e patrimonio, c'è solo la lettera iniziale di differenza.
<<Il romanticismo>> come diceva Wallis Simpson <<è tutta un'altra questione>>, e infatti nella letteratura cortese e cavalleresca gli amanti non sono mai sposati tra loro e spesso commettono adulterio, pagandone tragicamente le conseguenze.
Soltanto a partire da Jane Austen e dalle sorelle Bronte si incominciò a mettere in discussione il matrimonio combinato e a condannarlo come usanza barbara.
Diana Orsini aveva letto quei romanzi, prendendoli in prestito dalla biblioteca del Liceo, perché di certo non li avrebbe trovati in quella di suo padre.
Quando il conte Achille se n'era accorto, le aveva inflitto una lunga e severa ramanzina:
<<Questi sciocchi romanzi adolescenziali ci vorrebbero far credere che oggi ci si sposi per amore, ma a costo di apparire cinico, ritengo che tali amori esistano soltanto nei romanzi.
La realtà è ancora e sarà sempre la stessa, basti pensare all'orda di bellimbusti cacciatori di dote che ingannano le ragazzine ingenue come te. Ed è inutile che assumi quell'aria da donna vissuta: tu non sai niente del mondo. Non sai che la maggior parte delle donne è ossessionata dall'idea di sposare un uomo benestante, per poter condurre una vita decorosa. Ed è sbagliato che tu le consideri alle stregua di sgualdrine, dal momento che molte di loro diventano ottime madri di famiglia e danno lustro sia al casato di provenienza che a quello a cui appartengono per matrimonio.
E questo è tanto più vero per le donne aristocratiche, specie quelle che hanno salvato la loro stirpe dalla rovina e l'hanno elevata al rango di una dinastia. Potrei citare infiniti esempi di alleanza tra una famiglia nobile e una ricca che hanno dato vita a un clan potente.
A volte erano entrambe famiglie nobili, ma appartenevano a schieramenti politici diversi, pensiamo per esempio alla dinastia Giulio-Claudia: i Cesari erano patrizi divenuti "populares", un termine che al giorno d'oggi potrebbe essere tradotto con "populista", mentre i Claudii erano "optimates", cioè rappresentanti dell'elite senatoriale e dell'oligarchia latifondista.
La loro alleanza, tramite il matrimonio di Augusto e Livia, consolidò la nascita dell'istituzione imperiale. Ma poi fu commesso un errore: i matrimoni tra consanguinei, che portarono alla pazzia o alla demenza gli ultimi esponenti di quella "gens", estintasi nel sangue e nel disonore.
Simile fu l'ascesa e il declino degli Asburgo, dinastia austriaca, come ci ricorda il motto: "Bella gerant alii, tu felix Austria nube" (Che gli altri combattano le guerre: tu, felice Austria, sposati!).
La dinastia si affermò come potenza imperiale e mondiale tramite alcuni matrimoni passati alla storia: quello tra Massimiliano, all'epoca arciduca d'Austria, e Maria di Borgogna, la ricchissima erede delle Fiandre, e dopo l'ascesa di Massimiliano al trono imperiale e la prematura morte di Maria, le nozze tra il loro erede Filippo e l'infanta Giovanna di Castiglia e Aragona. La precoce morte del primo e la conseguente grave crisi depressiva della seconda, non impedì loro, nei brevi anni del loro intenso matrimonio, di concepire sei figli, due maschi e tre femmine, che regnarono su tutta l'Europa e il mondo intero: basti pensare al primogenito, Carlo V, nel cui impero il sole non tramontava, e Ferdinando I, suo successore al trono imperiale, che annesse, tramite le nozze con Anna di Boemia e di Ungheria, le due corone che, insieme a quella austriaca, crearono il nerbo del colosso asburgico.
Tutto questo per dire che, se anche l'idea del matrimonio combinato ti indigna, figlia mia, devi comunque ammettere che ha dei precedenti troppo illustri per poter essere ignorata da una fanciulla aristocratica in età da marito e in questo io sono pienamente d'accordo con la tua futura suocera, la gentile e colta maestra Clara Ricci, che gode della stima di tutti gli abitanti della nostra Contea>>
<<Tutti tranne una>> concludeva testardamente la contessina Diana, riferendosi ovviamente a se stessa <<Dietro a quell'aspetto bonario c'è tutta la freddezza calcolatrice di un vecchio avvocato>>
Poteva anche essere vero, ma questo, agli occhi del conte Achille, non cambiava le cose di una virgola.
Se c'era una persona adatta a condurre a buon fine l'alleanza matrimoniale tra i Ricci e gli Orsini, quella era la maestra Clara.
La trattativa era delicata e richiedeva la massima diplomazia e attenzione ai dettagli.
Per questo il vecchio Giorgio Ricci, astuto come una volpe, preferì che fosse sua moglie a condurre le danze.
A lui era sufficiente tener ben stretti i cordoni della borsa.
Vale la pena soffermarsi un momento sul modo in cui il vecchio Ricci era riuscito a portare la sua famiglia all'agiatezza.
Ultimo di un imprecisato numero di fratelli, "Zuarz" era cresciuto quasi come un animale selvatico.
Già il suo aspetto fisico era piuttosto belluino.
Basso, tarchiato, irsuto come un cinghiale, aveva occhi infuocati e penetranti, capelli ispidi come setole, una perenne barba di tre giorni, da carcerato, e un'aria cupa e vagamente minacciosa.
Fuggito di casa all'età di tredici anni, aveva lavorato come "garzone" in varie tenute di campagna, senza dare confidenza a nessuno.
A differenza degli altri della sua età, non spendeva tutto il suo magro salario in osterie e bordelli: i suoi appetiti erano ben altri.
L'essere nato per ultimo, l'essere basso e brutto, così come l'essersi sentito sempre da ragazzo, in famiglia e in paese, l'ultima ruota del carro, o, come diceva coloritamente suo padre Primo, in dialetto romagnolo, "l'utma scureza ad Biribesc , avevano procurato in lui una reazione ben precisa, e cioè quella di ribaltare il suo destino diventando il primo, sempre, ovunque, in ogni modo, anche a costo di dover barare e aggirare la legge pur di ottenere tutto quello, e non era poco, che egli desiderava dalla vita.
Bisognava correre qualche rischio, imparare a bluffare, specie nelle trattative di compravendita, dove riusciva sempre a ottenere il prezzo che voleva, anche a costo di negoziare in eterno.
Era come un grosso gatto sornione che giocava col topo prendendolo per sfinimento.
Poteva stare giorni interi a contrattare il prezzo della vendita di un pollo.
I padroni se ne accorgevano e gli affidavano sempre più spesso l'incarico di comprare e vendere sementi, bestiame, raccolti, prodotti caseari e artigianali, non faceva differenza: lui riusciva sempre a ottenere un prezzo conveniente.
In cambio di queste mediazioni, Giorgio Ricci si faceva pagare una percentuale.
Alla fine riuscì a raggranellare un certo gruzzolo che gli permise di comprare una piccola casa colonica con un pezzo di terra attorno, che gli serviva come pretesto per fingere di fronte al mondo intero di essere soltanto un piccolo coltivatore diretto.
In realtà la sua professione era quella di sensale, o come diremmo oggi, di mediatore.
Non appena ebbe raggranellato un altro gruzzolo, inizio a praticare la vera attività a cui aveva sempre aspirato, e cioè quella di prestatore di denaro.
Come tutti coloro che entrano in questo genere di affari, anche Giorgio Ricci cercò subito di
ingraziarsi le autorità locali, mostrandosi sempre generoso e collaborativo.
Si mostrò incredibilmente magnanimo anche nei confronti dei familiari che prima lo avevano snobbato e che invece si videro concedere un trattamento di favore e persino validi consigli su come far fruttare il denaro.
Non si rendevano conto che lui li stava preparando a diventare i suoi prestanome nelle questioni meno limpide.
A quel punto si concesse il trasferimento in un'abitazione più rispettabile, ma ancora mancava un elemento per sancire il suo successo.
Per lui, che aveva fatto a malapena la terza elementare, l'ascesa sociale si ebbe anche nello sposare una donna istruita e di famiglia borghese.
Dopo attente valutazioni, trovò la persona che faceva per lui.
Clara Vallicelli era all'epoca una giovane maestra elementare e poteva persino vantare un'amicizia con la signorina Mariuccia De Toschi, figlia di Violetta Orsini, una cugina del conte Achille, e di un alto ufficiale di Pistoia.
Si erano conosciute al collegio del Sacro Cuore.
La signorina De Toschi aveva poi continuato a studiare all'università, lettere classiche, a Bologna, ma era rimasta in rapporti estremamente amichevoli con Clara, un elemento che ebbe conseguenze decisive su molte decisioni future del clan Ricci-Orsini.
Siccome la famiglia Vallicelli vedeva in Giorgio Ricci un astro nascente, e considerava la maestrina Clara come una vergine a rischio di zitellaggio, aveva accettato senza esitazioni la proposta di matrimonio di "Zuarz".
Alla fine si trattò di un matrimonio fortunato, nel senso che Giorgio Ricci ottenne quello che aveva sempre voluto, e cioè, anche grazie all'interessamento della signorina De Toschi in persona, di essere ammesso alla corte degli Orsini, e la maestra Clara ottenne finanziamenti per pubblicare numerosi saggi storici, tra cui le già citate "Cronache casemuratensi", che la resero una vera e propria autorità sulle vicende della Romagna centrale nel Medioevo.
Rimaneva un ultimo, decisivo passo da compiere, per poter guardare negli occhi il Conte Achille da pari a pari.
"Zuarz" divenne il finanziatore di tutte le stravaganti iniziative del nobile Orsini  in costosissime e disastrose attività di editoria dilettantistica, sperimentazioni architettoniche e di giardinaggio, operazioni di Borsa, attività ricreative e alti pozzi senza fondo.
Nel giro di pochi anni, la famiglia Ricci era riuscita a conquistare, per ipoteca, il feudo Orsini dal suo interno, fino ad arrivare a nominare come fattore e amministratore agricolo un proprio uomo, Michele Braghiri, e persino a imporre sua moglie Ida come nuova governante della Villa.
A quel punto il contadino arricchito e il nobiluomo decaduto si resero conto che una fusione delle loro famiglie avrebbe potuto non solo risolvere molti problemi, ma dar vita ad un interessante esperimento di riconquista e di espansione della Contea di Casemurate.