giovedì 27 agosto 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 82. Il Rito e l'Evocazione

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Erano le tre di notte, l'Ora del Lupo. La Veggente Elvira sapeva che il rito che stava per compiere avrebbe richiesto la sua stessa vita.
Non l'aveva detto al committente.
"Massimo è uno sciocco. Eppure la regola è molto chiara: una vita per un'altra vita."
La vita di una persona cara offerta in sacrificio per maledire la vita di una persona odiata.
"Credeva che bastasse offrire suo padre per maledire due persone. Ma i demoni conoscono la contabilità meglio degli uomini. Non a caso si dice che il denaro è lo sterco del diavolo".
Ci voleva un altro sacrificio, ed Elvira aveva saputo fin dall'inizio che questa volta toccava a lei.
"Lo faccio per te, Isabella! La tua anima ha vagato inquieta per troppo tempo in queste lande. 
Ma ora non più. Io sono vissuta fin troppo a lungo. Altre missioni mi chiamano, che potrò svolgere solo come spirito errante, mentre tu finalmente potrai ascendere"

L'Ultima Thule: Gothian. Capitolo 30. Masrek e Sephir Eclionner ...

Pronunciò la formula della vestizione, poi chiamò le sue sorelle e accolite: Iole, Irma ed Ermide, anch'esse istruite nelle Arti Oscure e iniziate agli Arcani Supremi.
<<Celebrerete il rito con me. Avete preparato le erbe per il calice e le suffumigazioni? In questo rito è necessaria la datura stramonium>>
Le accolite annuivano. Chi non conosceva i poteri dello stramonio, l'Erba del Diavolo?
<<Per la mia bevanda, occorre una dose mortale. Il demone deve riconoscere la serietà del mio sacrificio. E quando la vita mi abbandonerà, brucerete il mio corpo, e getterete le ceneri nel fiume. Nessuno vi chiederà niente, perché questa è terra di nessuno, e persino i Conti di Casemurate l'hanno sempre saputo, e non si sono mai immischiati nelle faccende del nostro ordine.
Oh, ne ho conosciuti tanti, di questi Conti. Vi sembrerà impossibile, ma ci fu un tempo, molto molto remoto, in cui io ero giovane, e bellissima. Fui l'amante di Ippolito Orsini, un pro-pro zio dell'attuale Contessa. Fu Ippolito a far costruire questa casa, assegnandomene la proprietà, compresi i terreni. Io l'avevo stregato con un filtro d'amore: gli ordinai di costruire sotterranei profondi, fino a che trovammo l'acqua, verde, che trasuda dai letti del Bevano e della Torricchia. Ed è proprio nella parte più profonda e buia dei sotterranei che è propizio celebrare il rito>>

L'Ultima Thule: 01/28/16

Scesero le scale e i vari livelli delle cantine, dov'erano conservate le erbe e le pozioni.
Arrivarono al penultimo piano sotterranei, quello che precedeva la verde palude.
<<Negli ultimi settant'anni sono stata la Signora dei Fiumi e delle Paludi, e la Somma Veggente di queste terre dimenticate da Dio.
Ippolito Orsini mi disse che nella sua Contea i santi non prosperavano: forse aveva ragione.
Dopo la mia morte, sarai tu, Iole, a succedermi, poiché sei la secondogenita e conosci l'Ars Magna quasi meglio di me.
E' fondamentale che voi continuiate a fingere di essere semi-analfabete: nessuno deve sospettare l'esistenza della nostra biblioteca di testi antichi, che probabilmente vale più dell'intero Feudo Orsini e di tutta la Contea di Casemurate!>>
Le sorelle annuirono.
<<Noi ci tramandiamo da generazioni una collezione di volumi rarissimi: il Grande Grimorio del 1522 (detto La Grande Chiave di Salomone) , il Legemeton, l'Ars Goetia e l'Ars Paulina (che compongono la Piccola Chiave di Salomone o Clavicula Salomonis), il Compendium maleficarum di Francesco Maria Guaccio, pubblicato a Milano nel 1608, la Pseudomonarchia Daemonum di Johann Weyer, ma soprattutto il De Horrido Delomelanicon (detto Le Nove Porte del Regno delle Ombre) di Aristide Torchia, nell'edizione veneziana del 1666, scritto a quattro mani con Lucifero, il che costò la vita a Torchia, in uno degli ultimi roghi dell'Inquisizione.

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Per non parlare dell'ultima copia esistente del Necronomicon, "Il Libro della Legge dei Morti".
Ma voi conoscete già questi testi, poiché siete siate Iniziate agli Arcani Supremi.
Nessuno deve sospettare la vera ragione per cui siamo qui.
Solo ora mi rendo conto che anche questo rito fa parte di un disegno più grande.
Sotto l'epidermide della Storia, pulsano le vene dei Sacri Misteri . Soltanto un individuo profondamente arrogante, limitato e abietto come Massimo Braghiri può illudersi di controllare simili forze dopo averle evocate. Ma questo sarà compito vostro. Il mio tempo ormai è finito>>
Tutto era pronto.
Furono pronunciate alcune formule latine, mentre dagli incensieri il fumo dello stramonio si diffondeva nell'aria, già greve per i miasmi della palude sotterranea.
Elvira prese il gesso ed iniziò a segnare su una lastra di ardesia, nel pavimento, il Sacro Cerchio e il Pentacolo Rovesciato, con la punta rivolta verso il basso.
Un brivido di paura la percorse, perché quello era il Simbolo Nero, malvagio e demoniaco, che ricordava, nella sua forma stilizzata, il Capro con le Corna, l'abietta icona di Satana.
Ma Elvira aveva scelto di evocare Eclion l'Oscuro Vendicatore, che nella gerarchia degli Inferi apparteneva alla Seconda Schiera, quella dei Principi. Il suo nome segreto era Arioch e il suo simbolo era la scimitarra.
Disegnò il simbolo di quell'arma a fianco del primo pentacolo.
Prese poi il coltello rituale e si incise la mano sinistra, dalla quale lasciò gocciolare il proprio sangue, come offerta sacrificale.
<<Salute a te, o Principe: ti offro carne incorrotta, con la mano sinistra te la porgo>>
Era l'inizio canonico di tutte le evocazioni dei demoni della Seconda Schiera, secondo la Via della Mano Sinistra.
<<Signore delle Vendettete, a te sacrifico me stessa e il corpo e l'anima dannata di Michele Braghiri, tre volte assassino.
Umilmente imploro la tua presenza affinché la tua scimitarra colpisca le vite di Ettore Ricci e Guglielmo De Gubernatis, nel modo che riterrai opportuno.
Per questo con la Chiave del Re io apro il Varco Oscuro al tuo passaggio.
Benedetti siano il Vendicatore e la sua Sciabola, possa la loro Furia purificare il mondo!>>

L'Ultima Thule: L'Imperatore-Profeta di Gothian. Capitolo 59 ...

Una nebbia fitta salì dalla terra putrida.
In quell'angolo di mondo si stava aprendo un varco tra due dimensioni.
Elvira e le sue accolite pronunciarono una lunga formula intrisa di male: la lingua era latina, ma il contenuto era a tal punto oscuro che è cosa giusta e saggia non riferirne nemmeno una sillaba.
Infine, si era giunti al momento solenne:
<<Signore delle Vendette, Riparatore dei Torti, Difensore degli Innocenti, ascolta la mia supplica! Poiché questo mondo è stato creato per essere ingiusto e crudele, spesso nei confronti degli innocenti, io dico che nessuna vita ultraterrena può giustificare il tormento di un innocente. E se anche non ci fossero innocenti, nessuno può comunque giustificare, in questa vita, le atrocità commesse contro gli inermi. E dunque io dico: nessuna assoluzione!>>
Le accolite le fecero eco:
<<Nessuna assoluzione!>>
Ed Elvira riprese:
<<Mai perdonare, mai dimenticare! E se anche la colpa non fosse di nessun mortale, allora noi osiamo dire al Dio degli Eserciti: noi non ti perdoniamo!>>
E le accolite ripeterono:
<<Noi non ti perdoniamo!>>
Ed infine, l'ultima invocazione:
<<Per questo noi evochiamo Eclion l'Oscuro, Principe della Seconda Schiera degli Demoni Inferi, Signore delle Vendette, affinché compia giustizia, in questo mondo, perché soltanto da dove è venuta la malattia, potrà poi venire la guarigione. 
Così io dico e imploro, nella notte di luna nuova, nel mese di agosto dell'anno del Demiurgo 1983>>
Le accolite risposero:
<<Così sia>>
Poi porsero alla Somma Sacerdotessa la Coppa del Sacrificio, dove la pozione ricavata dai semi e dalle foglie di stramonio era stata versata in grande quantità.
La Veggente elevò la Coppa e bevve.
La bevanda era densa e il suo sapore estremamente amaro.
Pochi istanti dopo, Elvira si distese nella terra umida, sopra ai pentacoli, e perse conoscenza agli occhi del mondo.
Ma gli occhi della sua vista interiore le dissero che il rito aveva avuto successo: Eclion le apparve nella mente, in forma umana, con gli occhi color indaco e i capelli di un nero con riflessi blu.

L'Ultima Thule: Gothian. Capitolo 22. Lady Marigold svela gli ...

La sua voce era un'eco lontana.
"Finalmente qualcuno disposto a sacrificare se stesso, e per così poco, poi..."
Queste erano le parole di Eclion, nella mente della maga agonizzante.
"Ma penso che il tuo vero scopo fosse riaprire il Varco Oscuro una volta per tutte, per darmi tempo di portare a compimento un Grande Disegno. In fondo abbiamo molti nemici in comune. 
La tua anima, a me devota, potrà seguirmi agevolmente: basterà seguire la linea di sangue.
La Veggente provò un senso di trionfo e il suo ultimo pensiero fu: "Ho vinto".
Non appena Elvira spirò, sua sorella Iole raccolse i paramenti e il diadema e si incoronò "nuova Somma Sacerdotessa delle Paludi", e le sorelle minori le resero omaggio.


William Shakespeare | Fleurs du poem

venerdì 21 agosto 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 81. Menzogna e sortilegio

L'Ultima Thule: Gothian, Capitolo 1, Ellis Eclionner: Bellezza ...


Le più grandi bugie sono quelle che raccontiamo a noi stessi, senza nemmeno accorgercene, pur di non prendere atto di tutto ciò che ci causerebbe un dolore insopportabile.
Sono i cosiddetti "meccanismo di difesa dell'Io", menzogne che alleviano i sintomi, ma che non guariscono la malattia, e anzi concorrono alla costruzione di un "Falso Sé", che come un usurpatore finisce per sottomettere e schiacciare ciò che veramente siamo.
I nostri stessi ricordi sono una menzogna: le neuroscienze e la psicologia ci insegnano che la vita che ricordiamo non è mai quella che abbiamo realmente vissuto. E dunque anche l'opinione che ci siamo costruiti su noi stessi e sul mondo risente di queste falsità, di cui spesso noi non siamo consapevoli.
Nel caso di Massimo Braghiri, il livello di menzogna che l'Io raccontava a se stesso era necessariamente spropositato, poiché fin troppe volte aveva fallito nel raggiungere i propri ambiziosissimi obiettivi.
E proprio a causa dell'entità di questa menzogna, il "Falso Sé" che egli si era costruito attorno come meccanismo di difesa esigeva, ogni giorno di più, delle prove concrete che tutte le sue fanfaronate, comprese le minacce, fossero davvero realizzabili.
Dopo il Ferragosto del 1983, mentre sulle spiagge si cantava ancora "Vamos a la playa" dei Righeira, Massimo lasciò la famiglia al mare e si recò ufficialmente in visita ai genitori, a Casemurate.
Michele e Ida Braghiri erano di fatto "comproprietari" di Villa Orsini, nel senso che avevano un loro appartamento di lusso al secondo piano in comodato d'uso perpetuo, come ennesimo riconoscimento della loro insostituibilità nei ruoli di amministratore del Feudo e di governante della Villa.




Dopo aver pranzato con i genitori, Massimo raccontò al padre del netto rifiuto da parte del giudice De Gubernatis di collaborare al loro piano per incriminare Ettore Ricci.
Michele parve quasi sollevato:
<<Ma forse è meglio così, Massimo. In fondo io sono felice della vita che faccio e non serbo più rancore a nessuno. E considerando quello che ho fatto, posso dire che mi è andata bene>>
Massimo non credeva alle proprie orecchie:
<<Ma come? Per tutta la vita non hai fatto altro che pregustare il giorno in cui avresti distrutto Ettore e ti saresti impadronito del suo impero, e adesso molli tutto così, a un passo dal trionfo?>>
Michele annuì:
<<Sì, e ho le mie buone ragioni: se il giudice De Gubernatis fosse stato dalla nostra parte, allora, potevo contare sul fatto che mi avrebbe coperto le spalle, ma siccome il tuo caro suocero non intende aiutarci, se io denuncio gli illeciti finanziari di Ettore, ci finisco dentro fino al collo. Lui darà la colpa a me, in quanto sono l'amministratore delegato, e io, senza un magistrato compiacente, rischio di finire sotto accusa.
Insomma, come si suol dire, il gioco non vale la candela, è meglio che ti metti il cuore in pace, figlio mio>>
Ma Massimo non ne aveva nessuna intenzione.
Uscì nel giardino per sbollire la rabbia e poi si diresse verso il sentiero che portava all'argine del torrente Bevano.
Fu in quel momento che si fece strada dentro di lui un'idea.
Poteva sembrare una sciocchezza, per un uomo di scienza come lui, ma in fondo cosa costava provare?
Essendo cresciuto a Villa Orsini, gli era sempre stato facile arrivare all'antica casa, presso la confluenza tra il Bevano e il grande fosso Torricchia, dove abitava la centenaria erborista Elvira, che aveva fama di strega.
Fu proprio lì che si diresse.
Era un luogo al di fuori del tempo, una specie di universo parallelo.
Per accedervi bisognava attraversare un piccolo bosco, poi un orto botanico e infine un cortile con al centro un pozzo molto profondo.
La casa era in pietra grezza, ricoperta di muschio e di edera.
Un enorme numero di gatti la presidiava, e in particolare ce n'erano due di proporzioni enormi, che sostavano, come sfingi, sui due pilastri del cancello.
C'erano da sempre, e davano l'idea di essere immortali.
Uno aveva pelo lungo e leonino, l'altro era grasso, tigrato e sornione.
Quando Massimo varcò il cancello, i due felini emisero una serie di segnali che mobilitarono tutti gli altri gatti come un esercito.
La vecchia, messa sull'avviso, comparve poco dopo, con una veste grigia e il capo coperto da un fazzoletto nero, legato sotto la mandibola.

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Di profilo le si vedeva solo la punta del naso.
La pelle del viso era come cuoio, gli occhi nerissimi, vigili e incredibilmente privi di cataratte.
<<Massimo... ti stavo aspettando>>
Lui rimase di sasso:
<<Ma se io ho deciso solo poco fa di venirti a trovare?>>
L'Elvira scrollò le spalle:
<<Sarei una veggente di poco conto se non percepissi nemmeno questo! Ti ho sognato, stanotte. Mi chiedevi di eseguire un tipo di sortilegio che io mi rifiutavo di prendere in considerazione>>
Massimo non si fidava completamente di lei, ma era a tal punto disperato che ormai il ricorso alle Arti Oscure era l'ultima mossa possibile:
<<So che in linea di principio ti rifiuti di esercitare la Magia Nera, ma qui si tratta di un caso speciale>>
Lei rise, mostrando una bocca semi sdentata:
<<A sentire quelli come te, si tratta sempre di un caso speciale">>

<<Non esistono "quelli come me". Ci sono io, e basta>> sbottò Massimo.

<<Per fortuna>> rispose lei prontamente e poi ribadì <<Comunque, io non pratico più le Arti Oscure da molto tempo. Evocare le energie negative significa risvegliare i demoni, e ciò comporta conseguenze nefaste per tutti. 
Il male che fai o che desideri torna sempre indietro, prima o poi, e colpisce forte, all'improvviso e quando meno te lo aspetti>>
Massimo non ci credeva, ma riteneva che le maledizioni di una fattucchiera esperta potessero funzionare. Bisognava però convincerla a collaborare:
<<E se fosse per un atto di giustizia? Tu avevi un affetto quasi materno per Isabella Orsini, la sorella più giovane della Contessa, non è così?>>
L'espressione del volto della vecchia cambiò completamente.
Isabella si era rivolta a lei per tanti piccoli problemi che non aveva mai confidato ai familiari, troppo all'antica per capire.
L'Elvira l'aveva aiutata e si era affezionata a lei come se fosse una figlia.
<<La mia povera Isabella. Il suo spirito non ha ancora trovato pace. La sua anima anela giustizia, lo sento>>
Massimo era abile nel trovare i punti deboli delle persone e nel riuscire a sfruttarli a proprio vantaggio:
<<E immagino che tu sappia anche che il giudice De Gubernatis, che condusse le indagini preliminari, fece di tutto per insabbiare la verità, e non solo in quel caso, per evitare che il buon nome di Ettore Ricci fosse lambito da uno scandalo>>
La vecchia lo sapeva fin troppo bene, ma c'era un'altra verità, ben più grave, che andava dichiarata apertamente:
<<Lo so, ma Isabella avrà giustizia solo quando sarà morto anche il vero assassino, e cioè tuo padre!>>
Massimo non si scompose, perché in fondo era quella la direzione che il discorso doveva prendere, per poter arrivare a un accordo:
<<E allora io ti propongo uno scambio. Tu sostieni che ogni demone vuole un prezzo per ogni maleficio che gli si richiede, non è così? Una vita per un'altra vita>
L'Elvira lo fissò e parve crescere in statura, mentre pronunciava la Prima Legge delle Arti Oscure:
<<E' il principio basilare della Magia Nera, così come descritta dai grimori più importanti, come la Clavicula Salomonis. Per ogni maleficio protratto nel tempo, occorre evocare un demone, secondo le modalità specificate dall'Ars Goetia, e il demone evocato richiede un sacrificio da parte di chi lo commissiona. Più importanti sono le richieste e più cara al mandante sarà la persona sacrificata>>
E qui Massimo decise di calare il suo asso nella manica:
<<Io chiedo che siano maledetti Ettore Ricci e Guglielmo De Gubernatis e offro in cambio la vita di Michele Braghiri>>
La veggente sgranò gli occhi:
<<Questo non l'avevo previsto!>>
Lui sorrise, e fu una cosa orribile a vedersi:
<<L'ho deciso poco fa>>
L'Elvira lo scrutò attentamente, poi alla fine annuì:
<<Non devi amare molto tuo padre, se lo offri con tanta facilità come vittima sacrificale, ma poiché anche io chiedo giustizia per Isabella e Arturo, dal momento che Michele è il loro assassino e il giudice lo ha coperto, credo che per questo atto di giustizia potrei convincere un particolare demone, molto potente.
Ma ti avverto, Massimo: questa è l'ultima volta che farò una cosa simile. 
E in ogni caso non illuderti che il demone evocato ti dimenticherà. Una volta che si è fatto un patto con Eclion il Vendicatore, lui potrebbe, come dire, "prenderci gusto", e incominciare a giocare con le famiglie che sono state segnalate alla sua attenzione, sia quelle di coloro che sono stati maledetti, sia quelle di coloro che hanno sollecitato la maledizione>>

<<Io credo che questo demone Eclion mi troverà simpatico>>

<<Può darsi. Eclion si nutre di odio, e tu ne hai da vendere, ma attenzione... Eclion è imprevedibile, e nessuno può sapere a chi potranno andare realmente le sue simpatie.
Non dire che non ti avevo avvertito>>

<<Sono pronto ad affrontare questo rischio. Procediamo>>

<<Sia come vuoi tu. Al termine del rito, Ettore Ricci e Guglielmo De Gubernatis saranno maledetti col favore delle tenebre, fino a che dureranno i Troni dei Signori degli Elementi>>

giovedì 6 agosto 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 80. Agosto è un mese crudele

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Per Thomas Eliot "aprile è il più crudele dei mesi", affermazione paradossale, ma a modo suo giustificata, perché se è vero com'è vero che la vita è ingiusta e a volte crudele, allora il mese in cui la natura torna a vivere è destinato a portare con sé tutta quell'ingiustizia e quella crudeltà, nascondendole dietro i fiori e il rigoglio, come la catena alimentare e la legge del più forte si nascondono dietro l'apparente idillio di qualunque campagna, foresta o prateria, montagna o mare.
Naturalmente si tratta solo di una metafora: la vita sa essere ingiusta sempre, in tutti i mesi dell'anno, e riserva ad ogni singolo istante di ogni singolo giorno di ogni singola esistenza l'amara sorpresa di capire che tutto ciò a cui si era creduto e a cui si era dato importanza, era qualcosa di fragile e aleatorio, destinato prima o poi a fare i conti con l'enormità del male, perché il male è la regola e non l'eccezione.
Ma visto che siamo in vena di paradossi, pensiamo al fatto che per il giudice Guglielmo De Gubernatis il mese più crudele era agosto, quello in cui la maggior parte delle persone si gode le più o meno meritate ferie estive, dopo aver subito per mesi e mesi quelle due calamità bibliche che sono il lavoro e la scuola.
Ebbene, in agosto nessuno può far finta di non scorgere, se ci sono, le crepe nell'edificio della propria esistenza, e questo proprio perché tutti o quasi sono in vacanza, e chi ha costruito o saputo conservare un'esistenza quantomeno serena può finalmente godersi appieno questa condizione, mentre chi non è stato altrettanto capace o fortunato, può soltanto notare che, tolti i tranquillizzanti paraocchi delle abitudini, dell'opaca trafila delle cose che si accompagna ad un'attività imposta dall'alto, ciò che resta sono i segnali, più o meno evidenti, di tutto ciò che non funziona in noi e attorno a noi.
Nella specifica fattispecie del giudice De Gubernatis, le cose che non funzionavano erano sempre di più, di anno in anno, e non solo per le inevitabili conseguenze dell'invecchiamento (quello, di per sé, sarebbe stato tollerabile), ma anche e soprattutto per il rimpianto di aver dedicato troppo tempo a persone che non lo meritavano e per il rimorso di aver negato giustizia a persone che ne avevano diritto.
E tutto quello per ottenere cosa?
Niente che valesse la pena di tanti sacrifici e compromissioni.
Si ritrovava per l'ennesima volta a trascorrere il mese di agosto nel solito appartamento di Cesenatico, in compagnia di una moglie noiosissima, una figlia pettegola e acida, un genero divorato dall'ambizione, dall'invidia e dal desiderio di vendetta, e un nipote taciturno, freddo e incredibilmente snob.
La moglie Ginevra Orsini, sorella minore di Diana, diciottesima Contessa di Casemurate, e la figlia Elisabetta, professoressa di inglese, non facevano altro che spettegolare dalla mattina alla sera, anche quando erano dal parrucchiere o dalle amiche a giocare a canasta e scala quaranta.
Il genero, Massimo Braghiri, approfittava dei momenti di assenza di moglie e suocera per fare pressioni sul giudice.
<<Senti Guglielmo>> aveva esordito <<io so tutto riguardo all'insabbiamento delle indagini su Ettore Ricci, nei casi che hanno riguardato le morti di Isabella Orsini, Arturo Orsini e Federico Traversari>>
De Gubernatis sospirò:
<<Quindi saprai anche che il colpevole era tuo padre, Michele Braghiri>>
Massimo lo sapeva benissimo, ma non si era aspettato che suo suocero l'avesse capito:
<<Chi ti ha messo in testa quest'idea? E' stato Ettore?>>
Il giudice scosse il capo, con infinita stanchezza:
<<No, Ettore ha sempre creduto alla versione ufficiale delle indagini. Suicidio nel caso di Isabella, e tragico incidente negli altri due casi. In un primo momento io pensai che Ettore mentisse per difendere se stesso, ma le indagini che condussi segretamente mi portarono a capire che dietro a tutto c'era il piano diabolico di tuo padre. E avrei dovuto smascherarlo e rinviarlo a processo! Non l'ho fatto perché volevo evitare uno scandalo che avrebbe finito per danneggiare non solo la tua famiglia, ma anche quella di mia moglie, i Ricci-Orsini.
Ma fu il più grande errore della mia vita, e il rimorso per ciò che ho fatto mi tormenta giorno e notte>>
Il genero lo fissò con disprezzo:
<<Ora tu fai parte della mia famiglia! Tua figlia porta orgogliosamente il mio cognome! E così anche tuo nipote. E' a noi, adesso, che devi fedeltà!>>
De Gubernatis era nauseato dalla tracotanza di suo genero:
<<Non capisco dove vuoi arrivare? I reati di cui parliamo sono caduti in prescrizione da tempo. Tuo padre può stare tranquillo>>
Massimo fece un gesto di stizza:
<<Lo so benissimo! Il discorso è un altro: io so che tu hai coperto altri scandali che invece riguardavano sicuramente Ettore Ricci e la gestione del Feudo Orsini. Alcuni di questi reati non sono andati in prescrizione>>
Il cuore del giudice ebbe un sobbalzo.
Era chiaro che Michele Braghiri avesse conservato le prove per poi mostrarle al figlio.
Quei due odiavano Ettore, sua moglie e i loro discendenti: lo sapeva perché in fondo anche Ginevra ed Elisabetta avevano sviluppato, col tempo, un'invidia tale da rasentare l'odio, ed era stato quello il cemento del matrimonio di Elisabetta e Massimo.
<<Continuo a non capire il senso di questo discorso. Io sono ormai in pensione, non mi occupo più di queste cose>>
Massimo gli afferrò una spalla in malo modo:
<<Tu hai ancora molti amici al tribunale. Una tua denuncia mirata può rovinare Ettore Ricci e tutti i suoi eredi>>
De Gubernatis si accigliò:
<<Ettore è mio amico ed è sempre stato molto generoso sia con la mia famiglia che con la tua, per cui non capisco assolutamente questa tua acredine nei suoi confronti!>>
Il genero divenne verde di rabbia:
<<Ci ha trattato come servi! La sua non è mai stata generosità, ma elemosina gettata dall'alto, con disprezzo>>
Il giudice si liberò dalla stretta del genero e gli rispose con voce gelida:
<<Ettore mi ha sempre rispettato. E per quanto ne so ha avuto fin troppa fiducia in tuo padre. Se ha commesso un errore è stato quello di rispettarvi troppo! E se per caso gli rimproveri il fatto che né lui, né sua figlia ti hanno detto di sì quando ti sei proposto, io dico che hanno fatto bene! Avrei dovuto impedire a Elisabetta di sposare un individuo meschino come te!>>
Per Massimo quelle parole furono come uno schiaffo:
<<Da che pulpito viene la predica! Eppure dovresti sapere che non conviene mettersi contro la famiglia Braghiri>>
De Gubernatis fece spallucce:
<<Le tue minacce sono risibili, Massimo. Se intendi danneggiare la mia reputazione, sappi che poi a pagarne le conseguenze sarà mia figlia, tua moglie... per non parlare di tuo padre. Ti daresti soltanto la zappa sui piedi>>
Massimo scosse il capo:
<<Ho molti più assi nella manica di quanti tu possa pensare>>
Ma il giudice, da esperto giocatore di poker, non la bevve:
<<Stai bluffando, Massimo, e in maniera piuttosto patetica, direi>>
Massimo sorrise a denti stretti:
<<Tu mi sottovaluti, così come fanno anche Ettore, Diana, Silvia e il suo dannatissimo marito Francesco Monterovere, ma ve ne pentirete tutti molto presto.
Te lo ripeto: non conviene mettersi contro di me.
E questa è la verità pura e semplice>>
Il giudice sospirò, e i suoi occhi si persero nella contemplazione del mare, mentre con voce stanca e malinconica mormorò, rivolto più a se stesso che al suo interlocutore:
<<La verità è raramente pura e quasi mai semplice>>

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@stellarnights :)

lunedì 3 agosto 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 79. Amici nemici


How different are James Potter and Draco Malfoy? Both are bullies ...


L'amicizia tra Roberto Monterovere e Vittorio Braghiri era sopravvissuta a tutti i tentativi di sabotaggio da parte di Massimo, il padre di Vittorio.
Quando i due bambini avevano iniziato le elementari, Massimo Braghiri aveva iscritto Vittorio nella scuola più lontana possibile da quella frequentata da Roberto.
Non era servito a niente: i due amici volevano continuare a vedersi, il che peraltro era reso facile dall'essere vicini di casa, oltre che cugini di secondo grado per parte di madre.
Massimo aveva allora cambiato strategia, cercando di invitare a casa, a turno, tutti i compagni di classe di Vittorio, favorendo in ogni modo la nascita di nuove amicizie, il che sarebbe stato anche legittimo, se non fosse stato fatto principalmente per togliere di mezzo Roberto.

Vittorio però era già allora un tipo scostante, freddo, altezzoso, il cui ostinato mutismo era interrotto solo da commenti sarcastici e ironia tagliente, il che non favoriva certo la socializzazione.
A questo punto è legittimo chiedersi come mai Roberto tenesse tanto all'amicizia di un simile individuo.
In primo luogo va detto che la loro amicizia era nata quando erano ancora così piccoli da non aver sviluppato elementi caratteriali troppo marcati, e dunque il legame si era consolidato prima che intervenissero i cambiamenti che li avrebbero condotti, col tempo, in rotta di collisione.
Roberto andava oltre le apparenze e sapeva che dietro alla supponenza di Vittorio c'era una grandissima timidezza, a sua volta causata dall'idea di non essere all'altezza delle aspettative del suo ambiziosissimo padre e della sua "snobissima" madre.
Una volta che ci si era resi conti di quello, e si era riusciti a far sentire Vittorio a proprio agio, allora lui si scioglieva, abbassava la guardia e permetteva agli altri di conoscerlo meglio.
Roberto era l'unico con cui Vittorio si confidava, e questo gli aveva permesso di apprezzare le qualità dell'amico: intelligenza, desiderio di conoscenza e di avventura, buon gusto, senso dell'umorismo, abilità pratiche e sportive che cercava di trasmettere all'amico (specie nel golf, nel tennis e nel nuoto), passione per i giochi elettronici e per quelli di ruolo, amore per la natura e per gli animali.
Trascorrevano interi weekend insieme, spesso a Villa Orsini, dove vivevano le loro rispettive nonne, Diana Orsini Paulucci, Contessa di Casemurate e Ida Braghiri, senza contare il fatto che Diana, oltre che nonna di Roberto, era anche prozia materna di Vittorio.

In apparenza sembrava che fosse Vittorio il nipote dei padroni, il leader, quello tra i due che trascinava l'altro, ma ad un occhio più attento si sarebbe notato che era Roberto a suggerire il programma delle attività, in maniera discreta, questo sì, ma determinante.
In questa dinamica, a Vittorio bastava "apparire" il leader, mentre Roberto non si poneva quel tipo di problemi: a lui importava che alla fine la giornata fosse stata divertente per entrambi.
D'estate Roberto invitava Vittorio nella casa di Cervia che i suoi genitori avevano fatto costruire nel terreno comprato dal nonno Ettore, e Vittorio ricambiava insistendo che i suoi nonni materni, ossia il giudice De Gubernatis e la moglie Ginevra Orsini, invitassero Roberto nel loro appartamento di Cesenatico.
Avrebbero anche voluto andare in montagna insieme, ma su questo i genitori di Vittorio erano irremovibili: i Braghiri non sarebbero mai e poi mai andati in vacanza insieme agli odiati Monterovere.
Nonostante questo, la loro amicizia era così solida, in quegli anni, che un giorno, avendo trovato una pietra sferica nei pressi di un grande fosso che confluiva nel Bevano, Roberto notò che aveva una crepa nel mezzo: la ruppe sbattendola su un'altra pietra, ricavandone due parti perfettamente uguali e ne tenne una per sé e l'altra la diede a Vittorio, dicendo: <<Ci scriveremo sopra i nostri nomi e ognuno terrà quella col nome dell'altro, per ricordare che la nostra amicizia è più forte di tutto il resto. Se mai un giorno qualcosa dovesse dividerci, tu fammi vedere la tua metà della pietra, e tutto tornerà come prima>>
Quel giorno entrambi erano convinti che sarebbe davvero bastata una pietra a rimettere a posto le cose, perché a quell'età nessun danno appare mai del tutto irreparabile.
Forse la loro amicizia avrebbe anche potuto superare le normali crisi dell'adolescenza, se solo il padre di Vittorio non avesse continuato costantemente a remare contro.
Massimo Braghiri era un osservatore attento e temeva che, in quell'amicizia, suo figlio fosse solo "il braccio", mentre l'odiato Roberto Monterovere era, come al solito, la "mente".
Questa constatazione lo imbestialì a tal punto che una sera, riunita la famiglia, diede sfogo alla sua ira:
<<Siete tutti degli sciocchi! Nessuno di voi si è accorto che quella gatta morta di Roberto Monterovere vi sta manovrando tutti! Ma adesso è ora di finirla! D'ora in avanti tu, Vittorio, trascorrerai il tuo tempo libero facendo sport e dovrai primeggiare, vincere medaglie e quando il tuo medagliere sarà colmo di gloria, la sbatteremo in faccia a quei rammolliti dei Monterovere, padre e figlio! E allora finalmente tu potrai guardare ognuno di loro dall'alto in basso>>
Vittorio aveva una paura tremenda del padre, anche perché Massimo sapeva condire i rimproveri con adeguate punizioni corporali, per cui, pur dispiacendosi di dover improvvisamente voltare le spalle all'amico, non osò disobbedire al padre.
Massimo si rivolse poi al suo anziano genitore, Michele Braghiri, e lo prese da parte, per chiedergli se fosse pronto il piano per sferrare un attacco all'impero economico dei Ricci-Orsini.
Michele, ormai succube del figlio, annuì:
<<Il momento potrebbe essere propizio. Ettore è vulnerabile, adesso. I suoi fratelli erano implicati nel crack del Banco Ambrosiano, così come il loro cognato, il Senatore Baroni. La De Toschi è morta. Il Sottosegretario De Angelis non vuole compromettersi. Rimane soltanto il giudice De Gubernatis. E' tuo suocero, ma la sua lealtà va a Ettore.
Non sarà facile convincerlo a riaprire i vecchi fascicoli per modificarli nella maniera che abbiamo stabilito>>
Massimo sorrise:
<<Troverò il modo di convincerlo. E se proprio non volesse lasciarsi convincere... be', dovrò inventarmi qualcosa>>
Una luce balenò nei suoi occhi, la stessa luce che aveva brillato negli occhi di suo padre, molto tempo prima.
Il vecchio Michele la riconobbe e per la prima volta in vita sua ebbe paura.
Lui è peggio di me. Che il cielo mi perdoni per aver creato un simile mostro...