Ai primi di giugno, Roberto ricevette per posta un bizzarro invito, da parte di un certo notaio Benito Papisca, che invitava "la Signora Vostra a presentarsi alle ore 16.30 presso lo studio notarile associato Papisca & Parronchi per comunicazioni importanti".
Si illuse di aver ereditato qualcosa da qualche lontanissimo parente deceduto, ma non gli risultava che fosse morto nessuno.
Ne parlò coi suoi, i quali rimasero perplessi, e si offrirono di accompagnarlo, considerando anche il fatto che era ancora minorenne, ma Roberto, con la stupidità tipica degli adolescenti, volle assolutamente andarci da solo.
Raggiunse a piedi l'indirizzo, che era nel quartiere costruito ai tempi del fascismo, tra il centro storico e il viale della stazione.
Lo studio si trovava al secondo piano di una palazzina quadrata, piuttosto anonima, che fungeva anche da residenza del notaio.
Le 16.30, l'ora degli adulteri, come spiega Antonio Caprarica ne "Il romanzo dei Windsor", in cui descrive accuratamente le scappatelle dei discendenti della regina Vittoria.
Al citofono, gli rispose il notaio in persona, che gli aprì immediatamente la porta, aspettandolo nell'atrio delle scale, come se fosse l'usciere di un motel di infima categoria in corso di smantellamento.
Era tutto molto sospetto.
Il notaio era un uomo stempiato di una certa età, con tanto di baffi resi giallastri dalla nicotina, sguardo severo e aria solenne.
Aveva in mano un orologio da taschino, piuttosto malconcio, come anche il suo completo abito gessato, e la prima cosa che disse fu:
<<Lei è in leggero anticipo, ma la conduco direttamente nel salotto dove, se sarà d'accordo, avverrà l'incontro>>
Roberto si bloccò:
<<Quale incontro?>>
Il notaio si guardò intorno con diffidenza, poi, a bassa voce:
<<Le comunicazioni a cui faceva riferimento il mio biglietto riguardano il fatto che Sua Signoria il visconte Bartolomeo Visconti è disposto a concederle un po' del suo tempo, questo pomeriggio.
E' un grande onore e spero che lei ne sia consapevole e accetti tale invito>>
Il primo istinto di Roberto, in circostante normali, sarebbe stato quello di fuggire, ma cercò di controllarsi:
<<Mi scusi, ma questa procedura mi sembra piuttosto irrituale, tenendo anche contro del fatto che sono minorenne>>
Il vecchio lo fissò con sdegno:
<<Il Visconte ha richiesto la mia mediazione esclusivamente per questioni di riservatezza. Lei naturalmente non è obbligato a partecipare, e se vuole può invitare i suoi tutori legali, ma è mio dovere comunicarle che è nel suo interesse chiarire privatamente alcune questioni personali con Sua Signoria>>
Più che un notaio sembrava un maggiordomo in pensione con pulsioni omicide.
Roberto si chiese se corresse dei reali pericoli e alla fine "mise le mani avanti":
<<I miei familiari sanno che io sono qui, da lei. Se per qualche sfortunata evenienza dovesse succedermi qualcosa, sarà lei a doverne rispondere. Ma immagino che questo già lo sappia>>
Il notaio annuì, lisciandosi i baffi e facendo un cenno di invito:
<<Suvvia, non sia pavido, il Visconte vuole solo parlarle in privato. Tra poco sarà qui ed è meglio che lei entri e si accomodi nel salotto. La mia cameriera servirà il tè e le garantisco che non è avvelenato>>
Si concesse un sorriso, come se avesse detto una battuta estremamente originale.
Roberto, pur chiedendosi chi gliel'avesse mai fatto fare tutto quell'assurdo pellegrinaggio in casa di gente con cui avrebbe preferito non aver nulla da spartire, decise, alla fine, di correre il rischio.
Il vecchio gli fece strada nell'appartamento del primo piano, fino ad un tetro salotto, con mobili scuri, divani in pelle nera e, in un angolo, un busto marmoreo del Duce.
Il notaio si appoggiò alla finestra, estraendo un sigaro dalla tasca della giacca e un accendino d'oro dall'altra tasca. Incominciò ad armeggiare per accendere quel maleodorante toscano, del cui fumo l'aria del salotto era già impregnata, e invitò Roberto a sedersi in una poltrona di fianco ad un vecchio camino affumicato, che rendeva l'aria ancora più irrespirabile.
Mentre Roberto sprofondava nella poltrona, il vecchio tricheco dichiarò:
<<Il Visconte è un grand'uomo, molto generoso, un vero filantropo. Ed è anche umile, riservato, sobrio. Non ha alcun pregiudizio ed è sempre disposto a confrontarsi con i giovani, a sostenere i loro progetti, a consigliarli. Uomini così ne sono rimasti pochi, di questi tempi>>
Roberto si era fatto un'idea completamente diversa, quando aveva incontrato il Visconte a Bertinoro, per cui la sua espressione rimase dubbiosa.
Dopo qualche minuto di silenzio imbarazzante, in cui l'avvocato lucidò con grande attenzione e meticolosità il cranio del Duce, alla fine il campanello suonò e il visconte Visconti-Ordelaffi fece il suo ingresso, con un mezzo sorriso, mentre l'altra parte della bocca rimaneva seria.
Roberto si alzò per cortesia e gli tese la mano: il Visconte ricambiò la stretta con aria magnanima e poi si accomodò sulla poltrona degli ospiti di riguardo.
Il notaio borbottò qualcosa riguardo al tè e al caffè, e poi si dileguò.
Bartolomeo venne subito al nocciolo della questione:
<<Mia moglie e mia figlia non sanno niente di questo incontro ed è meglio che la cosa resti tra noi.
Io non voglio fare la parte del cattivo, per cui devo, almeno temporaneamente, accettare l'idea che tu sia molto amico di Aurora. Lei ha tanti corteggiatori molto migliori di te, sotto ogni punto di vista, ma in questo periodo, non so per quale ragione, ti si è affezionata. E uso questa parola, "affezionata", perché conosco bene mia figlia e so che non è innamorata, nemmeno infatuata... nutre solo dell'affetto, per te, come ci si può affezionare ad un cane... senza offesa per i cani, naturalmente>>
Quel discorso offensivo non suscitò, almeno all'inizio, una reazione di rabbia, in Roberto, ma soltanto una maggiore consapevolezza della propria vulnerabilità, riguardo al dubbio che Aurora non lo amasse davvero, o non fosse convinta dei propri sentimenti, per cui rimase in silenzio.
Bartolomeo continuò con la sua requisitoria:
<<Non è la prima volta che succede. Nei casi precedenti io ho lasciato semplicemente che si stancasse dei suoi favoriti di turno e questo accadeva nel giro di tre o quattro mesi.
Stavolta però ci sono alcun problemi: mia moglie Antonietta ti venera, e sta usando tutta la sua influenza per farti apparire, agli occhi di Aurora, come il "principe azzurro".
Antonietta è ancora rimasta ai tempi di Casemurate, e chi viene da lì è come se venisse da Marte... Ma che cos'avete da quelle parti? Cosa c'è che vi rende così strani?
Ci sono stato alcune volte e mi è sembrato di tornare indietro di secoli e secoli.
E voi andate perfino fieri della vostra arretratezza! Ci costruite sopra dei poemi, delle leggende, dei miti... io non capisco...>>
Roberto avrebbe potuto scrivere un romanzo, al riguardo, e forse un giorno l'avrebbe anche fatto, ma era difficile rispondere sinteticamente a quella domanda:
<<Si tratta di tradizioni millenarie, che hanno trovato però riscontri archeologici, linguistici, ambientali e persino genetici. Sono storie che risalgono a prima ancora che venissero i Romani a scavare il Bevano per drenare le paludi. Il Bevano deriva il suo nome proprio dal fatto che "beve" l'acqua di tutti i fossi da Bertinoro fino a Classe. Prima c'erano zone selvagge in mezzo a una palude, che i Romani chiamarono Vallis Candiana e che non riuscirono mai a bonificare del tutto.
Ciò che ne resta è oggi chiamato Valle Standiana, ed è un luogo dove si pratica il canottaggio.
La centuriazione romana si fermò a ovest del Bevano e a est del Savio, e quindi non è mai arrivata a Casemurate. Il borgo è nato nel Medioevo, intorno al castello della Casa Murata, fondato da Bernardo Orsini nel 1280 per presidiare l'incrocio tra la via Cervese e la via Decumana.
Ma in quel sito, nell'antichità, c'era un'isola verde circondata da stagni, con una foresta: lì si erano insediati i Galli Senoni, e ci sono rimasti anche dopo la conquista romana.
Era la loro terra: vivevano nei boschi, cacciando, e nelle paludi, pescando le anguille, e nei pascoli, allevando il bestiame. Lì trovarono rifugio anche i Galli Lingoni, dopo che i Romani li sconfissero.
E con i Galli c'erano i druidi e le sacerdotesse, come nella mitica Avalon, o Ynis Witrin in gallese, l'odierna Glastonbury Tor, nel Somerset, in Inghilterra >>
Il Visconte sorrideva sprezzantemente con una mezza bocca, ma l'altra mezza era imbronciata:
<<Ci manca solo che paragoni Villa Orsini a Camelot e te stesso ad Artù e avrai toccato il massimo del ridicolo. Queste chiacchiere potranno incantare mia moglie e mia figlia, ma non certo me!
Tu sei come "il Cavaliere Inesistente", che vi hanno fatto studiare l'anno scorso. Sì, io seguo da vicino l'istruzione di mia figlia. Non vorrei che quei professori comunisti le instillassero strane idee.
L'unica cosa reale, nel tuo mare di chiacchiere, è che hai tentato malamente di nascondere dietro nomi altisonanti la questione di quelle fattucchiere che si fanno chiamare "signore delle paludi", come se fosse un grande onore.
Mio suocero dice esistono ancora, nascoste da qualche parte all'interno del Feudo Orsini. Si racconta persino che siete venuti a patti con loro. Non dev'esserne derivato nulla di buono.
E pensare che gli Orsini erano stati inviati dal Papa per recuperare quei territori alla Chiesa!
Ma a quanto pare hanno fallito anche in questo>>
Punto sul vivo, Roberto replicò:
<<Non è vero! Niccolò III Orsini mandò due nipoti. Il primo, Bertoldo, il Conte di Romagna, fallì e tornò a Roma, dove diede origine ai rami meridionali della famiglia.
Ma l'altro nipote, Bernardo Orsini, meno noto, ma più abile, divenne il primo Conte di Casemurate, e fondò il Feudo che esiste tutt'ora. Bernardo fu fedele al Papa, ma fu anche un abile diplomatico. Non ci fu una caccia alle streghe, ma nemmeno patti! Vennero tenute sotto controllo, e confinate nell'ultima area non bonificata. Il resto è pura superstizione!
Il Feudo è un baluardo contro ogni influenza negativa.
E comunque, se proprio vuole fare dei paragoni, io mi sento più simile a Merlino che ad Artù o ai suoi cavalieri>>
Bartolomeo inspirò a pieni polmoni l'aria affumicata di quel tetro salotto:
<<E ti ci vorrebbe proprio una bella magia per risollevare le sorti del Feudo!
E anche se fosse, Diana Orsini ne controlla solo un terzo. I rimanenti due terzi, come ha verificato il notaio Papisca, sono controllati dai marchesi Spreti e dai visconti Zanetti.
La quota dei Monterovere è piccola, come anche quella nell'azienda omonima, escavatrice dei canali. Tu e i tuoi vi siete fatti spennare come polli: vi hanno liquidato con quattro soldi, che voi state sperperando col vostro tenore di vita da gran signori che credono ancora di esserlo. E quando finiranno i soldi, dove attingerete? Non certo dalle casse della mia azienda!
L'unico Monterovere che sta dalla tua parte è tuo zio Lorenzo, il barone universitario. Lui sì che è un vero mago! Fa parte di una setta, o qualcosa del genere. Dicono che abbia amici potenti>>
Roberto all'epoca non sapeva quasi niente al riguardo:
<<Non saprei. Non vedo Lorenzo da anni e non mi ha mai detto nulla riguardo a questa presunta setta. Lei me lo presenta come un "Barone Rampante", per rimanere in tema, ma si sbaglia: è un uomo coltissimo e un grande studioso e maestro, non interessato al carrierismo.
E comunque non le consento di fare i conti in tasca alla mia famiglia.
Lei sbaglia sia riguardo alla consistenza delle nostre quote, sia riguardo al nostro tenore di vita: noi siamo gente che lavora e che risparmia, due cose che i Visconti-Ordelaffi non hanno mai appreso>>
Il Visconte serrò i pugni delle mani, ma poi riuscì a dominare la propria ira, e sorseggiò la sua tazza di tè. Alla fine parlò con voce grave:
<<No, Roberto, la verità è che io sono come diviso in due.
Una metà di me ritiene che tu sia il classico pseudo-intellettuale buono a nulla, un saputello totalmente incapace nelle cose pratiche, proprio come i tuoi genitori, e dunque sei l'ultima persona che vorrei vedere al fianco di mia figlia, anche solo come amico.
Potresti avere un'influenza negativa su di lei e traviarla dalla retta via che io con tanta pazienza ho tracciato per lei fin da quando era bambina.
Aurora studierà economia all'università e un giorno mi succederà alla guida delle mie aziende>>
Roberto annuì:
<<Se è quello che Aurora desidera, non sarò certo io a dissuaderla. E' una scelta di Aurora, sua e soltanto sua>>
Il Visconte si accigliò:
<<Ecco, è proprio questo tipo di discorso che io non approvo. Aurora è la mia unica figlia ed è suo dovere prendere il mio posto in azienda, quando sarà il momento. Se la lasciassi libera di scegliere, potrebbe cedere al suo lato romantico e poetico, una cosa che ha preso da sua madre, naturalmente. Tu e Antonietta, insieme, potreste alimentare queste romanticherie.
Mi è stato detto che tu vai meglio nelle materie letterarie, il che spiega tutto>>
Aveva pronunciato "materie letterarie" con un disprezzo misto ad orrore, come se si trattasse di materiale pedo-pornografico.
Roberto però volle chiarire un punto:
<<Vado meglio nelle discipline umanistiche, ma non ho ancora deciso cosa studiare all'università. Potrei persino scegliere anch'io economia, o agraria, se volessi impegnarmi nel Feudo Orsini>>
Bartolomeo lo fissò a lungo, come se stesse per porgli una domanda di rilevanza metafisica, poi chiese:
<<Per che squadra tieni?>>
Roberto cadde dalle nuvole. In casa sua non si parlava mai di cose del genere.
<<In che senso?>>
<<Il calcio, ovviamente!>>
<<Non vedo cosa c'entri col nostro discorso. Comunque non tifo per nessuno, non mi interessa>>
Il Visconte si accigliò ulteriormente:
<<Male, molto male! Io credo che chi gioca in squadra impari meglio a relazionarsi con gli altri. Ho voluto che Aurora praticasse uno sport di squadra fin da piccola, e per una ragazza l'ideale è la ginnastica ritmica. E se la sta cavando abbastanza bene, anche se dovrebbe impegnarsi di più. Ma io capisco che a quest'età le distrazioni sono tante.
Aurora comunque sa fare un po' di tutto: fin da bambina ha preso lezioni di danza classica, moderna e contemporanea, equitazione, tennis, sci, golf, nuoto, barca a vela, pattinaggio e pallavolo. Conosce quattro lingue straniere, sa suonare il pianoforte e il flauto. Partecipa attivamente alle iniziative filantropiche del Rotaract, frequenta la British School, e soprattutto è stata educata all'autocontrollo, alla completa padronanza sui propri istinti.
Ha iniziato anche l'apprendistato in azienda e mi ha accompagnato in molti viaggi all'estero.
Questa è Aurora Visconti-Ordelaffi di Bertinoro.
Ma tu, invece, che cosa sei? Cosa sai fare, oltre che studiare e leggere? Quali sono le tue attitudini e le tue esperienze? Hai viaggiato all'estero? Parli fluentemente l'inglese?>>
Roberto non riuscì a evitare l'ironia:
<<Ma cos'è, un colloquio di lavoro?>>
Il gelo calò nella stanza.
Bartolomeo socchiuse gli occhi e rimase in silenzio per un po'. Poi si appoggiò allo schienale della poltrona e parve quasi rilassato.
<<Vedi Roberto, come ti ho detto prima, io mi sento tagliato in due, sul tuo conto.
Ti ho detto cosa pensa la prima metà.
L'altra metà, purtroppo, deve tener conto del parere di mia moglie e mia figlia e deve considerare comunque il fatto che sei il nipote prediletto di Diana Orsini e godi della protezione di Lorenzo Monterovere, anche se sei così sciocco da non rendertene conto.
Questa mia seconda metà potrebbe anche prendere in considerazione l'idea di concederti una chance e darti qualche consiglio intelligente su come giocare bene le tue carte in modo da fare di te un Conte, con tanto di feudo da dirigere, e anche un azionista di rilievo nelle aziende dei parenti di tuo padre, e infine diventeresti il delfino di Lorenzo Monterovere.
Solo se tutto questo si realizzasse, potrei accettare l'idea di un'alleanza matrimoniale tra le nostre famiglie, e persino cambiare idea sul tuo conto.
Ma non ci sperare troppo, perché credo fermamente che tu sia talmente incapace da fallire in tutto, persino se consigliato e sostenuto da me>>
Roberto non si offese, perché era tremendamente consapevole dei propri difetti e dei propri limiti, ma all'epoca era anche molto ambizioso, oltre che follemente innamorato.
<<Io le posso promettere che se Aurora dovesse innamorarsi di me quanto io sono innamorato di lei, allora seguirò tutti i consigli di Vostra Signoria>>
Vagamente compiaciuto dall'essere stato chiamato con la forma di cortesia, Bartolomeo non colse la sfumatura ironica nel timbro di voce di Roberto.
Sua Signoria il Visconte Dimezzato! E così abbiamo coperto tutta la trilogia degli antenati.
Ma c'era comunque poco da scherzare, perché la premessa della sua risposta era un periodo ipotetico: "se Aurora dovesse innamorarsi di me", il che non era affatto scontato, anzi, era più che mai in dubbio.
Roberto sapeva che nei mesi successivi a quell'incontro si sarebbe decisa la sua sorte: se realizzare il suo sogno d'amore, tenendo fede anche agli impegni presi con suo nonno, o se invece perdere tutto e scegliere la via dell'esilio.
Il Visconte Dimezzato si alzò e prese congedo dicendo:
<<Il mio primo consiglio è che tu valuti l'ipotesi di studiare economia e business administration alla Bocconi di Milano>>
Era la stessa idea del defunto Ettore, ma Roberto ebbe un altro pensiero:
<<Studierà lì anche Aurora?>>
Bartolomeo, diretto nell'atrio, si voltò per una risposta definitiva:
<<Be', c'è un test d'ammissione molto severo, ma se tuo zio Lorenzo mettesse una buona parola...>>
E se ne andò, lasciando Roberto a fissare il busto del Duce sotto gli occhi stupefatti del notaio Papisca, che finalmente era rientrato in possesso del suo salotto e si era acceso l'enorme sigaro.
Ma la mente del giovane Monterovere era già lontana da quel luogo.
Dovrò incominciare a indagare su questa storia dello zio Lorenzo e della fantomatica setta.
Non poteva essere la Massoneria: la famiglia se ne sarebbe accorta in un modo o nell'altro.
Come fa il Visconte a saperne più di me, riguardo a un mio parente stretto?
Uscì per strada con quell'interrogativo, inspirando l'odore dolciastro dei fiori ti tiglio, che a giugno sostituisce la fragranza delle rose.
La risposta, come sempre, soffia nel vento...