venerdì 6 settembre 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 16. La prima notte di nozze e la pendola sul muro

Non ci fu viaggio di nozze per Ettore Ricci e Diana Orsini.
Quest'insolita decisione fu motivata dicendo che era giusto che gli sposi si conoscessero meglio, prima di poter affrontare insieme un'esperienza impegnativa come un viaggio, al fine di trovare un loro equilibrio nella convivenza quotidiana.
Il vero motivo, però, era il precedente familiare della catastrofica luna di miele di Roderico Ricci, uno dei fratelli maggiori di Ettore, che era stato mollato dalla moglie proprio durante il fatale viaggio di nozze a Gabicce Mare, provocando uno scandalo (e una valanga di pettegolezzi e ilarità) di cui ancora non si erano spenti gli echi.
Nulla si sapeva della sorte della moglie fuggiasca di Roderico, se non che, interrogata dalla polizia per abbandono del tetto coniugale, si era difesa dicendo a gran voce che "un cane rabbioso" sarebbe apparso un moderato in confronto a suo marito.
A tutto questo si deve aggiungere il fatto che Ettore era troppo impaziente di installarsi una volta per tutte a Villa Orsini, e per poterlo fare senza troppi seccatori intorno, decise che il viaggio l'avrebbero fatto i familiari di sua moglie.
Fu così che il conte Achille, la contessa Emilia e i loro figli minori Arturo, Ginevra e Isabella, ebbero in dono un soggiorno di due settimane in un hotel di lusso a Montecatini Terme, più due casse di Dom Pérignon per la contessa, al fine di vincere le sue perplessità facendo leva sulla passione alcolica.
Tutta questa macchinazione fu solo un primissimo assaggio di ciò che quel matrimonio sarebbe stato, ossia, secondo l'espressione più eufemistica, una continua fonte di colpi di scena, e secondo quella più esagerata "uno scandalo dietro l'altro".
Ogni volta che il menage matrimoniale di Ettore e Diana mostrava una stravaganza o una deviazione dalle norme, gli uomini di mondo ridevano sotto i baffi, ma i moralisti e le signore timorate di Dio esprimevano il loro biasimo per quella che era, a detta loro, "un'indecenza".
La famiglia Orsini non se ne curava, seguendo la regola della Famiglia Reale Inglese: "never explain, never complain": mai dare spiegazioni e mai lamentarsi.
La famiglia Ricci, che invece, più italianamente, seguiva senza saperlo la regola napoletana del "chiagne e fotti", non si accorgeva nemmeno della propria eccentricità: l'unica cosa che contava, in quel momento, era assumere il pieno controllo del Feudo Orsini e dare vita ad un clan che unisse le risorse finanziarie dei Ricci con i beni immobili e il prestigio dei Conti di Casemurate.
E tuttavia, per assicurarsi che neanche il Papa potesse annullare quel matrimonio, era necessario che fosse consumato in presenza, seppur dietro la porta, di testimoni, seguendo i rituali barbari della "messa a letto".
Diana non manifestò obiezioni: si trovava in una condizione simile a quella di un condannato a morte a cui viene chiesto se preferisce il rogo o lo squartamento.
Chiese solo che come testimoni fossero scelte delle donne che già conosceva e di cui almeno una fosse fedelissima alla famiglia Orsini.
Alla fine la scelta ricadde, naturalmente, sulla Signorina De Toschi, come garante della famiglia Orsini e sulla governante Ida Braghiri come fedelissima della famiglia Ricci.
Per gli sposi erano state approntate addirittura tre camere da letto.
La prima era, ovviamente, quella nuziale, col grande talamo a baldacchino, con tende rosse, sete dorate e mobilio in stile Rococò, da fare invidia alla stanza da letto di Maria Antonietta a Versailles.
La seconda era la camera di Diana, che era stata ristrutturata come dono di nozze, e che l'avrebbe ospitata per la grande maggioranza del tempo, durante la sua lunga vita: la seta verde del letto, delle imbottiture degli sgabelli, delle decorazioni della carta da parati color giada, dominava su tutto, tanto che si parlò con grande rispetto della "stanza di seta cruda".
Le persiane erano sempre semichiuse a coppo, il giusto necessario per cambiare l'aria, ma non di più, dal momento che Diana soffriva di terribili emicranie che la costringevano a letto intere giornate.
La terza stanza, molto ampia e luminosa, era quella personale di Ettore, il quale, oltre a dormirci con sonno pesante accompagnato da russamenti simili al suono di un trattore, era solito depositarvi tutto ciò che "provvisoriamente" non sapeva dove mettere. E poiché non c'è nulla di più definitivo del provvisorio, gli oggetti depositati incominciarono a formare un ammasso disordinato di carabattole così malconce che persino la governante si rifiutava di metterci mano. Fu così che la camera di Ettore venne ribattezzata dai domestici, dai familiari e infine da tutti i conoscenti, col nome non del tutto edificante di "magazzino".
Su questo punto nacque poi la leggenda metropolitana secondo cui i conti Orsini di Casemurate erano così spietati da costringere il povero genero Ettore a dormire in un lercio magazzino.
Lo stesso Ettore, che detestava i suoceri, non volle mai smentire quella voce, limitandosi a stringere le spalle, come se per lui, uomo che veniva dalla gavetta, le comodità non fossero affatto necessarie, e che avrebbe dormito persino su un pagliericcio nella stalla, pur di non prendere i vizi decadenti dell'aristocrazia.
In realtà l'unica cosa decadente era la Villa stessa.
<<Questa casa è vecchia>> aveva commentato Ettore salendo per la prima volta le scale.
<<E' antica>> lo corresse lei <<E' stata costruita in età vittoriana>>
<<Sotto Vittorio Emanuele II?>>
<<No, ai tempi della regina Vittoria>>
<<Ah, quella vecchia grassona! Dicono che se la intendesse con uno stalliere. Non so come avrà fatto quel poveretto>>
Ma a quel punto gli venne l'ansia da prestazione, e sbottò:
<<Fosse per me, butterei giù tutto e costruirei una casa nuova. Ma visto che a voi piacciono le cose vecchie, cercheremo di fare delle ristrutturazioni. Mi costeranno un occhio della testa, ma alla fin fine lo faccio anche per voi, perché la mia famiglia siete voi poveracci! Eh sì, eh sì ...>>
Diana non replicò, perché non erano tanto le parole a darle fastidio, quanto il fatto che la famiglia Ricci non avesse mantenuto del tutto le promesse.
Era stato il vecchio Giorgio "Zuarz" Ricci a spiegare al figlio Ettore come intendeva gestire la questione :
<<Ho tolto le ipoteche dalla Villa, come avevo promesso al Conte, ma per quanto riguarda le ipoteche sul Feudo, lo farò un poco alla volta, perché gli Orsini debbono sempre ricordare chi è che tiene il coltello dalla parte del manico>>
Ettore aveva concordato e, forte di quel seppur metaforico coltello, si era lanciato in una serie di progetti architettonici che avrebbero fatto impallidire papa Urbano VIII.
<<Prima di tutto farò ristrutturare gli appartamenti per gli ospiti. Uno andrà a Michele Braghiri e alla sua famiglia, perché è una vergogna che vivano ancora nella Cameraccia. 
Un altro per mio fratello Roderico e uno per mia sorella Adriana>>
Forse furono quei propositi, riservati a persone che Diana detestava, a dare il colpo di grazia a quel che restava delle buone intenzioni di lei riguardo all'incombente prima notte di nozze.
Fu in quel momento, infatti, che nella sua mente germogliò l'idea di far pagare al marito quella serie di sgarbi e umiliazioni rendendogli pan per focaccia, ma in maniera più sottile, ossia con una sorta di resistenza passiva, rimanendo in silenzio, tenendogli il muso e arrivando persino a fingere di  ignorare la sua presenza, anche nei momenti più intimi.
Fatto sta che la camera nuziale, dopo una controversa prima notte di cui renderemo immediatamente conto, non fu quasi mai frequentata, se non lo stretto necessario per concepire figli, e i coniugi decisero, già dalla seconda notte, di dormire separati, facendo notare ai dubbiosi che quella era la norma nelle famiglie aristocratiche.
Ma a Casemurate circola ancor oggi un'altra versione dei fatti, una specie di leggenda, che si potrebbe definire quasi una barzelletta, se non fosse stata così tragicamente verosimile.
A mettere in giro la storia fu l'ingrato Michele Braghiri, dopo che sua moglie, la governante, ebbe raccontato nei minimi dettagli la sua versione dei fatti riguardo a tutti i rumori provenienti dalla camera degli sposi, in quella famosa prima notte di nozze.
Pare che, all'inizio, le cose procedessero abbastanza normalmente, come testimoniava il ritmico cigolare del letto e il respiro affannoso di Ettore. Certo, non c'era particolare passione, ma ognuno dei due sembrava fare la sua parte.
<<A un certo punto>> raccontò la signora Ida al marito <<mentre lui ci dava sotto da un bel po', ho sentito lei che ha detto: "Quella pendola sul muro è indietro di un'ora"
Deve averlo detto proprio nel momento in cui lui stava per... insomma, ci siamo capiti... perché c'è stato il grugnito di piacere, da verro, del signor Ettore e dopo un silenzio di tomba.
Quella frase della moglie lo ha umiliato proprio nel momento in cui lui finalmente...
Insomma, nessuno pretende che la moglie debba far finta, ma tirare fuori quella storia della pendola!>>
Michele Braghiri, che si vantava di essere un grande amatore, prese le parti di Diana:
<<Be', forse Ettore non è poi così vigoroso come dice di essere. 
E poi quella pendola è appesa proprio nella parete di fronte al letto. 
Ed è bella grossa, anche... >>
La signora Ida scosse il faccione paonazzo:
<<Ma Santo Cielo, era la prima notte! E lei era vergine!>>
<<Sei sicura?>>
<<Ma certo! Ho controllato i lenzuoli. Dovevo pur testimoniare che tutto era stato fatto in regola!>>
Michele annuì, ma poi fu colto da un dubbio:
<<Ma lei non ha fatto nemmeno un urletto quando lui l'ha...>>
<<Macché, niente di niente! Un cadavere stecchito sarebbe stato più vivace!>>
Il signor Braghiri annuì soddisfatto, poi, come se nella sua mente fosse balenata una premonizione, chiese:
<<E adesso la pendola è in orario?>>
La signora Ida sogghignò:
<<No. E' ferma. Si è fermata a quell'ora>>
Quest'ultimo particolare, che nessuno poté mai verificare, poiché solo la governante aveva accesso alla stanza, oltre agli sposi, fu considerato la prova decisiva e suscitò, passando di bocca in bocca, un misto di ilarità e di sgomento, come se in una simile camera nuziale, con tanto di pendola ferma in eterno nel momento della somma umiliazione del marito da parte della moglie, non potesse che essere generata una stirpe di folli.