domenica 29 dicembre 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 40. Francesco Monterovere fugge dal collegio

Nel 1956, Francesco Monterovere aveva diciassette anni ed una sola granitica certezza: non intendeva rimanere un giorno di più nel rigido collegio dei Salesiani.
La decisione incriminata di evadere dalle recinzioni di quello che per lui era un lager fu presa in seguito ad un susseguirsi di eventi.
In quel periodo tutta la sua famiglia era impegnata a festeggiare l'ottantacinquesimo compleanno di sua nonna Eleonora Bonaccorsi, vedova Monterovere.
Era stata una grande festa di famiglia, a cui tutti i Monterovere, i Bonaccorsi e i Bassi-Pallai avevano partecipato, con abbondanti scorpacciate e libagioni.
Francesco aveva ottenuto il permesso di unirsi alla festa.
Quando era arrivato, prima degli altri invitati, sua zia Anita, a tradimento, gli aveva scattato una foto in cui il ragazzo appariva cupo, tenebroso e ribelle.
La serata era stata pesante. Francesco aveva rivisto tutti gli altri zii, ma soprattutto i suoi genitori Romano e Giulia, sua sorella Enrichetta, che lavorava già come segretaria dell'Azienda Fratelli Monterovere, e suo fratello Lorenzo, che frequentava il ginnasio.
E qui incominciò la maturazione dell'idea della fuga:
<<Se Lorenzo frequenta il Ginnasio da casa, allora anch'io voglio frequentare l'ultimo anno di Liceo Classico da uomo libero>> aveva detto ai genitori e gli zii, suscitando l'ilarità generale.
Nessuno lo aveva preso sul serio.
Alla sera aveva dormito dalla nonna e contava di andare con i genitori a parlare ai Salesiani della sua decisione.
Purtroppo, per una singolare applicazione della Legge di Murphy, il giorno dopo accadde un'imprevista tragedia: suo zio Ferdinando, che aveva mangiato e bevuto con particolare voracità, si sentì male e morì d'infarto a soli cinquantotto anni.
La festa si tramutò subito in lutto, e fu un lutto molto grave, anche perché Nando era il vero dirigente dell'Azienda Fratelli Monterovere, il vero uomo d'affari, e i suoi figli, che pure erano destinati a succedergli in quel ruolo, erano ancora troppo giovani.
Tocco dunque al fratello Romano, seppure non avesse la stoffa del leader, assumere temporaneamente la guida dell'Azienda, insieme al vecchio suocero, il visionario ingegner Lanni, il Profeta delle Acque che sognava di rendere navigabili i fiumi della Romagna.
L'altro fratello, Edoardo, garantì come sempre la "copertura politica" da parte del PCI, specie per garantire i finanziamenti al grande progetto del Canale Emiliano Romagnolo per l'irrigazione agricola.
Quando Romano spiegò al figlio Francesco che gli eventi di quei giorni richiedevano la sua presenza altrove e gli impedivano di recarsi dai salesiani, il ragazzo tornò in collegio, ma con l'intenzione di uscirvi il prima possibile e il momento della fuga fu deciso quando gli arrivò per posta la foto che sua zia Anita gli aveva scattato il giorno del compleanno della nonna.
Vedersi così conciato, quasi come un novizio che avesse fatto voto di povertà, lo fece inorridire.
Francesco mise subito in atto il piano.
Quella notte, quando i suoi compagni di stanza si furono addormentati, prese il suo zaino e si diresse verso una zona dove l'alto cancello acuminato era affiancato da un ciliegio. Si arrampicò sul ciliegio e si trascinò con le mani lungo un ramo che andava oltre il cancello. 
Il ramo si piegò sempre di più, anche se all'epoca Francesco, pur essendo già alto più di un metro e ottanta, era talmente magro e denutrito da pesare pochissimo.
Si lasciò andare e se la cavò con qualche graffio e una sbucciatura di cui rimase la una cicatrice a forma di croce: l'ultimo ricordo dei Salesiani.
Si diresse subito dallo zio Edoardo, il quale, essendo comunista, odiava i preti e avrebbe fatto qualunque cosa pur di togliere il nipote dalle loro grinfie.
L'unico prezzo da pagare fu ascoltare per la milionesima volta i racconti puramente inventati da Edoardo riguardo alle sue presunte (per lo più inventate) imprese eroiche durante la Resistenza.
I Salesiani, non appena si accorsero che Francesco era fuggito, si rivolsero alla sua protettrice, la marchesa Zucconi, Dama di San Vincenzo, la quale subito individuò il rischio del pericolo comunista:
<<Quel suo zio è peggio di Lenin!>> dichiarò <<Sarebbe capace di tutto!>>
La delegazione andò ad affrontare il Lenin di Faenza e lo trovò particolarmente bellicoso.
<<Mio nipote non si muove di qua. Garantisco io per lui, e sapete che la mia parola pesa molto, da queste parti>>
Francesco fu irremovibile nel rifiuto di non tornare.
<<Non gli faremo superare l'anno di scuola>> minacciò il prete-vicepreside.
Ma lo zio Tommaso aveva già trovato la soluzione:
<<Darà gli esami di ammissione alla terza Liceo da privatista. E se non sarà presentato bene, sarete voi a fare una brutta figura>>
Alla fine si arrivò ad un compromesso: Francesco sarebbe stato promosso con la media del 6, molto più bassa di quella reale, ma avrebbe potuto accedere all'ultimo anno del Liceo Classico pubblico se, come prevedeva la legge per chi proveniva da scuole confessionali, avesse superato l'esame di ammissione. 
Lo superò con la media dell'otto e finalmente, alle soglie dei 18 anni, poté tornare a gustare il sapore della libertà, di cui per troppi anni aveva perso anche il ricordo.