lunedì 4 novembre 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 25. Gli oracoli di Diana

Nella settimana successiva la gravidanza di Diana si complicò a tal punto da costringerla a letto.
Il medico disse che ogni spostamento avrebbe potuto causare un aborto, con rischio grave anche per la madre.
<<E se ci sono i bombardamenti cosa faccio, resto qui ad aspettare le bombe?>> protestò Diana.
Il dottore, incerto su cosa rispondere, guardò il marito della signora.
Ettore espresse a chiare parole il dilemma che lo tormentava:
<<Potrebbe essere un maschio, capite? La mia ultima occasione di avere un erede>>
Il medico allora non ebbe più dubbi:
<<Se la signora corre al rifugio, certamente perderà il bambino e rischierà di morire. Se invece rimarrà qui, esistono possibilità di sopravvivenza per entrambi>>
Diana rise amaramente:
<<Siete davvero di grande conforto, dottore>> era ironia sprecata, ma ormai era l'unico mezzo per esprimere il suo disappunto <<Mi avete portato almeno delle medicine che mi aiutino a stare meglio?>>
<<Quelle che mi avete richiesto potrebbero mettere a repentaglio la salute del nascituro. Ormai siete all'ottavo mese. Si tratta soltanto di sopportare un altro po'. E, naturalmente, il parto dovrà avvenire in casa. Vi garantisco che avrete tutta l'assistenza necessaria, a partire da me e dalle levatrici più esperte>>
Diana era troppo debole per protestare, per cui nessuno colse l'antifrasi implicita nella sua risposta:
<<Ah, adesso sì che mi sento tranquilla>>
Ettore accompagnò il medico alla porta, mentre nella stanza rimase soltanto Isabella, la sorella più giovane di Diana.
<<Ti aiuterò io. Farò tutto quello che posso>>
<<Il tuo cuore è generoso, Isabella, ma è troppo rischioso che tu rimanga qui. Ho visto come ti guarda il tenente Mueller, e non credo che la protezione di Ettore sia sufficiente, a questo punto>>
Isabella si rabbuiò:
<<Ti garantisco che Mueller è sempre stato molto gentile con me>>
Diana rimase perplessa:
<<I finti buoni sono quelli che mi fanno più paura, dopo i fanatici della bontà.
A volte penso che non ci sia nulla di più spaventoso, a questo mondo, di un uomo integerrimo>>
Sua sorella era confusa:
<<Io non ti capisco. Fai sempre dei discorsi strani, paradossali... non si capisce mai se stai scherzando o se pensi sul serio quello che dici. Ti esprimi in maniera oracolare, come se solo tu avessi compreso il vero senso della vita. E questo non fa che accrescere il tuo dolore, perché il tuo modo di fare tiene gli altri a distanza>>
Diana sospirò:
<<Quel dolore è soltanto mio, e nessun altro potrebbe farsene carico, nemmeno se io lo permettessi . E' come un sesto senso che mi permette di percepire un altro mondo, ovunque, intorno a me. A volte mi sembra che questa sensibilità eccessiva sia come una sorta di chiaroveggenza, una specie di "sindrome di Cassandra", l'oracolo a cui nessuno credeva. 
E infatti è una lama a doppio taglio.
 Ci sono cose che nessuno vuole sentirsi dire, per questo essere un oracolo sincero significa essere soli>>
Isabella allora la sfidò:
<<E allora, se sei davvero un oracolo, dimmi quale sarà il mio futuro>>
Diana sospirò:
<<Sempre in movimento è il futuro. E le premonizioni sono come sogni difficili da ricordare. L'oracolo è colui che "ricorda il futuro". Ma attenzione, la chiaroveggenza che deriva dall'ipersensibilità non è un potere paranormale, pertanto le mie previsioni si basano semplicemente su ciò che ho intuito; tanti piccoli tasselli che ho cercato di rimettere insieme.
Ma se proprio vuoi conoscere il mio parere, te lo dirò in tutta franchezza: tu stai scherzando col fuoco: possibile che non ti renda conto che tra poco qui non esisterà più alcuna legge, alcuna regola del vivere civile? Io apprezzo la tua volontà di aiutarmi, ma ti esorto a trasferirti il prima possibile in città, a casa di Ginevra. Lì sarai certamente più al sicuro che qui>>
Isabella parve spazientita:
<<Tu non pensi ad altro che alla sicurezza, alla calma, all'ordine... ma io sono diversa da te. 
Ho sempre sognato di vivere le avventure che leggevo nei romanzi, di sfidare il pericolo a fianco di uomini coraggiosi. E ti dirò di più: io prima della guerra mi annoiavo a morte, mentre adesso finalmente mi sento viva, provo delle emozioni intense...>>
Diana la interruppe:
<<Avventure? Romanzi? Uomini coraggiosi? Credi che io non abbia capito cosa sta succedendo da un anno a questa parte? Pensi che gli occhi mi siano rimasti soltanto per piangere? 
Stai facendo un cattivo uso della bellezza che ti è stata data in sorte , ma ti avverto: non ne verrà fuori niente di buono. Io posso anche far finta di niente, ma la governante non vede l'ora di far scoppiare uno scandalo per rovinare una volta per tutte il buon nome degli Orsini>>
Isabella le rivolse uno sguardo infuocato:
<<Il buon nome degli Orsini! Sei diventata peggio di nostra madre! Non te ne importa niente di me, ti interessa solo evitare gli scandali. E c'è dell'altro: tu sei invidiosa di me, perché io sono ancora giovane e bella e posso farmi una vita come desidero io, con chi desidero io, e magari essere felice.
Tu invece vuoi imporre agli altri il lutto che hai imposto a te stessa quando ti hanno costretto a sposare Ettore, un uomo che tu non hai mai capito, che non mai saputo valorizzare>>
Diana sbiancò:
<<Non dire altro. Non occorre. Ma ti sbagli sul mio conto: io non provo invidia per te, ma solo preoccupazione. Tu non capisci il rischio che stai correndo. Ti stai fidando di persone che poi ti feriranno. Tu vuoi una vita intensa, e io posso anche capirlo, ma è mio dovere avvertirti che vivere intensamente può essere pericoloso, ora più che mai. Ricorda le mie parole: chi vive molto campa poco e viceversa>>
Isabella si diresse verso la porta e prima di uscire si voltò:
<<Io ho già fatto la mia scelta. E' meglio aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita>>
Diana rimase sola nella stanza fredda e buia in cui si trovava ormai confinata.
Una senso di profonda angoscia le toglieva il respiro.
Nel dormiveglia e nella penombra pomeridiana, così come nelle amare veglie notturne, tutta la sua vita sembrava contrarsi, e le pareti della sua stanza le stringevano addosso, come una gabbia per intrappolare qualcosa di selvaggio. Lei, che era stata così bella un tempo, prima che i lunghi anni fossero calati ad ovest, oltre l'orizzonte, nell'ombra.
Aveva solo quarantun anni, ma le sembrava di essere vissuta almeno il doppio.
Se solo ne avesse avuto le forze e il coraggio, avrebbe fatto in modo di porre fine a quello strazio e di risparmiare a se stessa e alla creatura che aveva in grembo tutta la crudeltà della vita e di un mondo privo di senso.
Ma sia la forza che il coraggio le mancavano, le erano sempre mancati.
Odiava la vita, eppure aveva il terrore del suicidio.
Ricordò i passi finali del Fedone, studiato ai tempi del liceo.
Socrate, condannato a morte, non aveva esitato a bere la cicuta, un veleno lento e molto doloroso.
Aveva sopportato con dignità quell'ultima sofferenza, descrivendone gli effetti come se stessero accadendo a qualcun altro.
Il freddo della morte incominciava dalle estremità, dai piedi, per poi risalire.
"Io non ho bevuto la cicuta" pensò Diana "eppure il freddo mi sale fino al cuore".