domenica 19 gennaio 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 46. Le finte amiche di Silvia Ricci-Orsini

Fin da bambina, Silvia aveva dimostrato di essere piena di buone intenzioni e capace di slanci di socievolezza (che sua madre Diana Orsini, Contessa di Casemurate e donna solitaria, faticava a comprendere) e di  autentica generosità (che lasciavano interdetto suo padre Ettore Ricci, padrone del Feudo Orsini, notoriamente afflitto, come gran parte delle persone ricche, da una taccagneria patologica), e pertanto non le erano mai mancate le amicizie.
Il punto di partenza era stata la presenza di un numero consistente di ragazze della sua stessa età, o di età simile, all'interno dello stesso clan dei Ricci-Orsini.
Al centro del clan vi era poi un nucleo inscindibile, composto da Silvia e dalle sorelle Margherita e Isabella: una sorta di "triade" o di "trinità" destinata a rimanere saldamente unita e compatta, a salvaguardia dell'unità familiare nella buona e nella cattiva sorte.
E molte cause della futura cattiva sorte provenivano da personaggi che in quegli anni vivevano ancora a Villa Orsini, dividendo con i proprietari "il pane e il sale".
Si trattava, come il lettore attento ricorderà, dei componenti della famiglia Braghiri.
La governante Ida Braghiri suo marito Michele, amministratore del Feudo, avevano, oltre all'ambizioso e vanitoso figlio maschio, Massimo, due figlie: Oriana, che aveva l'età di Margherita, mentre Olimpia aveva la stessa età di Silvia.
Poi incominciava la sfilza delle cugine.
Applicando il criterio del noblesse oblige, era data più importanza alle cugine "di sangue Orsini".
Le figlie di Ginevra Orsini e del giudice De Gubernatis erano quasi una sorta di guardia del corpo, per Silvia, nel senso che stavano costantemente al suo fianco, ovunque.
Le gemelle Anna ed Elisabetta De Gubernatis erano destinate a lasciare una traccia indelebile (per lo più negativa) nella vita di Silvia e della sua futura famiglia.
Erano state sue compagne di scuola alle elementari, alle medie, al Ginnasio, al Liceo e infine si erano iscritte entrambe a Lettere Classiche, insieme a lei, a Bologna.
Delle due, Anna era quella più intraprendente, tanto che appena iniziata l'università, si trovò il ragazzo, un giovane poeta che rispondeva al nome piuttosto singolare di Adriano Trombatore (in seguito quel cognome si rivelò degno dei presagi che suscitava).
Ma i maggiori pericoli, come si vedrà in seguito, erano destinati a provenire da Elisabetta, più fredda, calcolatrice e incline al pettegolezzo, e innamorata di Massimo Braghiri, che a Bologna studiava matematica e aveva ancora altri progetti.
Infatti Massimo, che era stato rifiutato da Margherita Ricci-Orsini, aveva ripiegato su Silvia, sperando di diventare cognato dei Conti di Casemurate e magari futuro dirigente delle loro proprietà.
Silvia, che era molto rispettosa della sensibilità altrui, cercò, pur essendo irritata dall'atteggiamento narcisistico e megalomane di Massimo, di non infliggere al suo smisurato ego una ferita simile a quella già provocata dal secco rifiuto della sorella maggiore.
Fu così che accettò di uscire insieme a Massimo, a patto che ci fosse con loro anche Elisabetta De Gubernatis, intenzionata, quest'ultima, ad assumere ben presto il ruolo di primadonna.
Ma l'elenco delle finte amiche invidiose di lei era molto lungo.
C'erano infatti le innumerevoli cugine dalla parte dei Ricci.
Ognuna di loro, per quanto figlia di un notabile, invidiava il fatto che Silvia fosse figlia della Contessa del Feudo dove tutte loro erano nate e cresciute, e appartenesse alla gloriosa e antichissima famiglia Orsini, imparentata con i duchi di Bracciano e di Gravina.
La zia Caterina, le cui ambizioni erano notevoli, moglie di Edoardo Leandri, senatore democristiano, anzi "Il Senatore" per antonomasia, all'interno del clan Ricci-Orsini, aveva avuto oltre a vari figli maschi, una figlia dal carattere burrascoso e tendente all'isteria, di nome Marianna, anche lei iscritta al gruppo di Lettere Classiche, e quindi al codazzo di cugine-studentesse che tallonavano Silvia ovunque andasse, bagni compresi.
Un'altra, zia Maria Teresa Ricci e suo marito, l'ormai commissario di polizia Onofrio "Compagnia Bella" Tartaglia, avevano avuto un figlio, oltre a un figlio dal nome inquietante di Arido, altre due figlie, Luciana e Giuditta.
Arido era enorme: un armadio ambulante, di poche parole e dai modi spicci.
Luciana e Giuditta erano già molto sovrappeso nei loro anni migliori e non brillavano per acume, ma la loro ambizione era comunque sfrenata.
Luciana, diplomata all'Istituto Tecnico Femminile per l'Economia Domestica, aveva già ottenuto una cattedra di educazione tecnica alle scuole medie e aveva sposato un certo Gaspare Maciullini, appartenente a una famiglia benestante di latifondisti, che aspiravano a diventare soci della famiglia Ricci e quindi del Feudo Orsini.
L'altra sorella, Giuditta, diplomatasi alle magistrali, era coetanea di Silvia e spesso usciva con lei e le altre cugine per andare a ballare, sotto l'attenta supervisione di Ida Braghiri, che si portava dietro le proprie orrende figlie, nella speranza di trovar loro qualche buon partito.
Durante un ballo destinato a rimanere nella leggenda familiare, Giuditta fu corteggiata e contesa dai due uomini della sua vita, il futuro marito Felice Mazza e l'ingegner Nullo Nullini, il cui nome era già tutto un programma.
La contesa avvenne a suon di balli, e la tecnica di Mazza, falegname dal fisico possente e dalla voce roca, che si avvinghiava al seno debordante di Giuditta, risultò vincente, rispetto alla presa molle e indecisa di Nullo.
Fu così che il falegname, contro ogni previsione, sconfisse l'ingegnere.
Nullo e Giuditta rimasero comunque amici per tutta la vita, e le loro telefonate, in cui si scambiavano pettegolezzi su tutti i loro conoscenti, duravano ore.
Ettore Ricci, che spesso si era trovato ad essere al centro dei pettegolezzi di Nello e Giuditta, un giorno ebbe a dire, con la sua lapidaria incisività:
<<Lui è la curiosità in persona e lei è falsa come l'ottone>>
Tra i fratelli di Ettore Ricci, Oreste e Roderico, continuava ad esistere una faida, dal famoso giorno in cui si erano presi a coltellate, così come c'era una contesa insanabile tra le altre due sorelle, la zitella Adriana, fascistissima, e la democristiana Carolina, vedova del ricchissimo conte Leopoldo Gagni di Montescudo, la cui unica figlia, Anna, era un donnone dai modi spicci, che faceva fuggire ogni possibile pretendente alla sua considerevole mano.
Esaurito l'elenco delle cugine, incominciava l'esercito delle "compagne di classe", dominato dall'elite delle "compagne di banco", anch'esse poi divenute compagne di università e future insegnanti e quindi colleghe di lavoro di Silvia.
Sarebbe troppo lungo e del tutto inutile farne l'elenco: parleremo in seguito di quelle false amiche che tra invidia ed ambizione roteavano come avvoltoi intorno a Silvia e alla sua famiglia, pronte a fare di esse la loro preda, al primo segnale di debolezza.
Ma dovettero aspettare a lungo, perché per molto tempo Silvia agì con estrema prudenza, e anche quando commise quello che in prospettiva era destinato a diventare il seme della sua rovina, dovettero passare decenni, prima che quel seme facesse germogliare fiori malati e frutti marci.
Per il momento basti dire che da questa prima panoramica è possibile farsi un'idea dell'intelaiatura di base di quello che sarebbe diventato il Salotto Buono più esclusivo di Forlì, fondato da Silvia Ricci-Orsini dopo aver sposato un uomo che all'epoca non conosceva, ma che è una nostra vecchia conoscenza: il ribelle studente e futuro geniale professore Francesco Monterovere.