mercoledì 7 agosto 2024

Tutti i limiti della seconda stagione di "House of the Dragons"

 



Questo commento non contiene spoiler, quindi può essere letto anche da chi deve ancora vedere la seconda stagione della serie di successo "House of the Dragon", incentrata sulla guerra civile tra i sostenitori di Aegon II Targaryen e quelli della sua sorellastra Rhaenyra. 
Pur essendo una serie tv di alta qualità, la seconda stagione non regge il confronto con la prima.
Il motivo potrebbe essere sintetizzato con una formula che poi chiarirò: "Troppo Shakespeare e poco Martin".
Già in "Game of Thrones" si è potuta notare una cosa evidente: finché la serie tv è stata fedele ai romanzi di George Martin, ha ottenuto eccellenti risultati, mentre quando se ne è discostata ha registrato molte critiche e cocenti delusioni.
I romanzi di Martin hanno la particolarità di raccontare eventi drammatici pur mantenendo uno spiccato senso dell'umorismo e una straordinaria capacità nel tratteggiare il carattere dei personaggi, senza preoccuparsi troppo di attribuire alle loro azioni un "nobile scopo".
In "Fuoco e Sangue", il romanzo che narra le vicende della dinastia Targaryen dalla conquista dei Sette Regni fino all'ascesa al trono di Aegon III, noi ritroviamo, seppur in uno stile diverso, la grande ironia di George Martin, il suo deliberato cinismo e la sua rappresentazione cruda di una realtà fatta anche di violenza e di sessualità senza veli.
Per quanto esistano nei suoi romanzi personaggi onesti o generosi o quantomeno rispettosi, Martin non si è mai sentito in dovere di nobilitare sempre le azioni dei protagonisti, pur mantenendo una eccellente capacità di introspezione nei loro confronti, e mostrare una loro evoluzione tramite il cambiamento dei punti di vista da cui la vicenda viene narrata.
Con questo non voglio dire che in Martin manchi un codice morale, anzi, è ben presente, ma non scade mai nel moralismo piagnone che tende a rendere i "cattivi" un po' meno cattivi.
Già in "Game of Thrones" alcune figure di spicco erano state molto ammorbidite: Cersei Lannister, la "cattiva" per eccellenza, è una figura molto più crudele nei libri che nella serie tv, dove Lena Headey è riuscita a dare una certa malinconica umanità al personaggio, pur mantenendone gli aspetti essenziali.
Purtroppo non si può dire la stessa cosa di Alicent Hightower, che in "House of the Dragon" perde quasi tutta l'astuzia e la pura sete di potere e vendetta del corrispondente personaggio in "Fuoco e Sangue", a detrimento della narrazione, a cui manca un "villain" femminile degno di questo nome.
Nella prima stagione Alicent è ancora abbastanza "nella parte" della "cattiva" disposta a tutto pur di prevalere contro la sua eterna rivale Rhaenyra, ex amica d'infanzia.
Nella seconda stagione Alicent si discosta completamente dal personaggio descritto in "Fuoco e Sangue": potrei sintetizzare il tutto, senza alcuno spoiler, dicendo che Alicent "si rammollisce", laddove invece nel romanzo, col passare del tempo, diventa più spregiudicata, vendicativa e senza alcun rimorso, potendo quindi reggere (pur senza vincerlo, perché è impossibile) il confronto con Cersei Lannister che resta un personaggio ineguagliabile, nella sua perfidia.
Aggiungo poi che l'attrice scelta per il personaggio di Alicent è troppo giovane per essere una credibile "regina madre": sembra più giovane di sua figlia Helena, non parliamo poi di Aemond.
Nel romanzo c'era poi un personaggio davvero divertente, sulla falsariga di un altro personaggio ineguagliabile, come Tyrion Lannister: in "Fuoco e Sangue" c'è Fungo, il simpaticissimo buffone di corte di Rhaenyra, a garantire quel tocco di comicità che scarseggia in "House of the Dragon", specialmente nella seconda stagione, dove l'ironia ha ben poco spazio.
Insomma, l'eliminazione di alcuni personaggi del romanzo e l'enorme distorsione del carattere di molti altri è uno dei limiti che si è sentito molto, in particolare nella seconda stagione, che eccede in seriosità e scivola troppo spesso negli scrupoli moralistici.
Questa seriosità, questa macerazione interiore quasi amletica e troppo shakespeariana ha un suo correlativo oggettivo nell'eccesso di scene notturne o di inquadrature buie: non so se questo è risultato problematico per altri, ma per quel che mi riguarda mi ha creato serie difficoltà: lo schermo era quasi del tutto nero ed era molto faticoso cercare di vedere cosa c'era in mezzo a quel buio.
Anche qui sembrava di vedere una versione moderna dell'Amleto o del Macbeth, quando invece ciò che si voleva vedere era una trasposizione efficace del romanzo di Martin. Insomma se uno vuole vedere Shakespeare va a vedere l'originale, ma se uno vuole vedere Martin, allora bisogna dargli Martin, che è garanzia di quel giusto dosaggio tra tragedia e commedia, tra epicità e farsa, tra momenti drammatici e momenti comici, tra introspezione e azione che in questa stagione è mancato.
Ecco, soffermiamoci sul tema dell'azione.
Premetto che non sono assolutamente un fanatico dei film d'azione, però nel genere fantasy un giusto dosaggio di azione, di battaglie, di epicità deve esserci.
Nella prima stagione di "House of the Dragon" non era necessaria l'azione perché ne faceva molto bene le veci il complotto e una violenza da congiura di palazzo, nella consapevolezza che la guerra sarebbe scoppiata alla morte di re Viserys I e sarebbe stata narrata nella seconda stagione.
E qui si entra nel maggiore tasto dolente.
Tutta l'azione è stata rimandata alla terza stagione.
Rispetto a "Fuoco e Sangue" la trama ha subito un dilazionamento immotivato, sostituito da dialoghi fin troppo filosofeggianti, da scene improbabili e non necessarie, e da un clima di perenne attesa che succeda qualcosa o che ci siano conseguenze pesanti per quel poco che succede, senza che poi i nodi vengano al pettine.
La grande battaglia del Gullet, che sarebbe dovuta essere la naturale conclusione della seconda stagione viene inspiegabilmente rimandata alla terza abusando di quello che in gergo viene chiamato "effetto cliffhanger", cioè l'essere sospesi sul precipizio.
Non avrei mai pensato di dover rilevare questo tipo di mancanze come difetto, perché, ripeto, non sono un fanatico dei film d'azione e di violenza, però qui veramente si è menato il can per l'aia per otto puntate che sono parse per lo più un unico enorme prequel della terza stagione.
Avendo io letto "Fuoco e Sangue", posso garantire che il materiale narrativo era enorme e quindi non c'era alcun bisogno di allungare il brodo.
Resto quindi nel dubbio sul perché si sia fatta questa scelta, oltre tutto appesantendo la trama con l'eccesso di scene notturne dove non vedendosi quasi nulla si è costretti a concentrarsi su dialoghi che, pur non essendo banali, non sono nello spirito del mondo creato da George Martin.
Eppure Martin appare tra gli sceneggiatori, ma senza metterci nulla del suo leggendario talento, della sua impareggiabile e cinica ironia.
Anche la figura della regina Rhaenyra, pur interpretata in maniera eccellente da Emma D'Arcy, è stata un po' troppo edulcorata, rispetto non solo al romanzo, ma anche alla prima stagione, dove il suo carattere ribelle e guerriero spiccava in maniera chiara, laddove nella seconda il personaggio è un po' sacrificato a causa della trama lenta, che la confina all Roccia del Drago, nelle scene più oscure (anche nel senso letterale del termine, cioè non si vede quasi niente). Acquista rilievo in alcune puntate, anche se non voglio rivelare nulla, se non che c'entrano molto i draghi, come è naturale che sia.
La seconda stagione risente molto della mancanza di alcuni personaggi che, o sono deceduti nella prima, o sono allontanati dalla narrazione per troppo tempo.
Il tutto finisce quindi per reggersi su alcune figure carismatiche tra le quali svetta da un lato Daemon Targaryen, zio e secondo marito di Rhaenyra, per quanto le sue visioni notturne presso Harrenhal pecchino di quell'eccessivo gusto shakespeariano che finisce per appesantire il tutto, allo stesso modo del buio. Dall'altro lato svetta Aemond Targaryen, che assomiglia molto a suo zio, e non a caso ne rappresenta il vero rivale, con la sindrome del fratello minore sveglio e battagliero messo da parte da un primogenito che non è adatto al Trono. Certo Aegon II, fratello maggiore di Aemond, è molto più di indegno di Viserys I, suo padre e fratello maggiore di Daemon.
Personaggio amatissimo è Rhaenys Targaryen, "la Regina che Non Fu", e non aggiungo altro per rimanere fedele alla promessa di non introdurre spoiler di alcun genere.
Altro personaggio molto ben rappresentato è Larys Strong detto Piededuro, per quanto sia molto più cupo del suo equivalente Varys in "Game of Thrones". 
Manca un equivalente di Ditocorto e questo è un guaio, ma imputabile a Martin.
Molto diversi dal romanzo (in peggio) sono i fratelli Alyn e Addam Waters, e non mi riferisco alla questione dell'aspetto fisico, per quanto decisamente poco valyriano, ma alla seriosità rancorosa di Alyn che sinceramente è logorante per lo spettatore, e si allontana in maniera non necessaria dal carattere più simpatico del fratello Addam.
Del tutto assente nel romanzo è una serie di scene inutili a cui deve suo malgrado prestarsi Tyland Lannister, Maestro della Flotta, che fino ad ora sembra l'unico Lannister completamente animato da buone intenzioni all'interno della sua stirpe.
E infine c'è una questione che ha fatto molto discutere i fan delle opere di Martin e anche quelli di "Game of Thrones" o anche solo chi ha letto "Fuoco e Sangue" e cioè l'introduzione forzata della profezia detta "il sogno di Aegon", utilizzata per dare un nobile scopo a Rhaenyra, una giustificazione morale ad Alicent, e infine una rivelazione illuminante a Daemon.
Ora, è vero che il tema della profezia è presente anche in "Game of Thrones" e in generale nelle "Cronache del Ghiaccio e del Fuoco", ma lì è supportata da figure carismatiche come Melisandre e introduce un evento che è ormai prossimo, ma non è qualcosa di vincolante, di totalmente predeterminato, tanto che sia il lettore che lo spettatore compiono l'errore di vedere il principe promesso in Jon, quando invece è Daenerys.
Qui invece, specialmente nella seconda stagione, la profezia assume un ruolo di predestinazione troppo vincolante, tale da far apparire futili le azioni dei personaggi. 
Per fare un confronto anche con altre serie di romanzi da cui sono stati tratti film e serie tv, anche in "Dune" c'è la profezia, la "prescienza" degli Atreides, ma sia a Paul che a suo figlio Leto II hanno la possibilità di scegliere tra i numerosi futuri che potrebbero derivare dalle loro azioni, quello che loro ritengono più giusto.
Tutte queste cose Martin le sa benissimo, tanto che fa dire a uno dei suoi personaggi più misteriosi, l'arcimaestro Marwin, che la profezia è come una prostituta che, dopo aver praticato una fellatio, evira con un morso il malcapitato cliente. Fuor di metafora: la profezia è sempre ambigua, proprio per lasciare un margine di libero arbitrio ai personaggi.
Queste osservazioni sui limiti della seconda stagione di "House of the Dragon" non vogliono però negarne i meriti: i paesaggi, le atmosfere, le lotte tra i draghi, le morti di alcuni personaggi importanti o la menomazione di altri, hanno tutti un loro rilievo e una resa drammatica notevole, come così come ci sono alcune introspezioni più raffinate di altre, e dunque il giudizio resta comunque nel complesso positivo
E' una stagione da guardare, da gustare, con alcune puntate molto riuscite e con altre che vanno viste come se fossero la costruzione minuziosa dell'impalcatura su cui si reggeranno le grandi battaglie di cui sarà sicuramente piena la terza stagione.