sabato 7 aprile 2018

Vite quasi parallele. Capitolo 111. Come le nevi di un anno fa

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Mentre la primavera della sua vita era sfumata lentamente in un'estate secca e arida, Riccardo Monterovere si apprestava a tornare al luogo d'origine della sua stirpe paterna, il borgo di Monterovere Boica, dove suo zio Lorenzo lo attendeva.
Mentre il treno che lo portava da Bologna a Modena sferragliava rumoroso sulla pianura emiliana, l'ultimo dei Monterovere non poteva fare a meno di riflettere sulla sua non proprio esaltante condizione.
Era di umore nostalgico, come c'era da aspettarsi da un uomo che aveva avuto e perduto tutto ciò che si poteva avere e perdere nella vita.
Ma aveva imparato a tenere certi pensieri per sé.
Persino i suoi lamenti erano visti come una forma di megalomania egocentrica.
E poi, per giunta, essere infelici, ai tempi del governo Monti, era considerato, come minimo, un atto antipatriottico.
E dunque doveva continuare a recitare la parte di Lord Richard, autoproclamato Duca di Mascarel, Conte di Cervia, Marchese di Forlì, nonché erede quantomeno spirituale del Feudo Orsini di Casemurate, come se niente fosse cambiato
Invece era cambiato tutto e lui era così stanco...
Non sono più quello che credono io sia, e del resto, chi lo è?
Era sempre stato abile a recitare, eppure negli ultimi tempi gli costava molta più fatica.
Era quella maledetta nostalgia: sentiva la mancanza persino dei suoi nemici!
Passiamo talmente tanto tempo della nostra vita a combattere un nemico che alla fine, quando è sconfitto, incominciamo ad averne nostalgia, e a rimpiangere i tempi in cui lui, a modo suo, dava un senso alle nostre battaglie, e quindi alla nostra stessa esistenza
E naturalmente gli mancava Ilaria, per quanto il suo tradimento, unito a un certo femminismo esagerato che stava prendendo piede in quegli anni, lo avesse reso vagamente misogino.
Alle donne piace l'uomo rispettoso, sensibile, attento ai diritti femminili, alle conquiste del femminismo, mansueto. E poi ne trovano un altro col quale andare a letto.
Chissà, forse era questa una delle ragioni per cui gli antichi Franchi avevano inventato la Legge Salica.
Mulieres ne succedant in terram salicam.
Ma quella legge aveva impedito a sua nonna Diana di trasmettere il cognome degli Orsini, e di conseguenza anche il titolo comitale di Casemurate, ai nipoti, figli delle sue figlie.
Casemurate era così lontana, ormai... così avvolta dalle nebbie, come l'isola di Avalon...
Era stata il paradiso della sua infanzia, e il "bambino della campagna" era ancora lì, al centro della sua personalità, e ne costituiva la parte più vitale.
Forse Ilaria aveva ragione: forse è vero che non sono mai cresciuto.
Ma questo valeva per molti altri della sua generazione.
Riccardo aveva almeno l'onestà di ammetterlo a se stesso.
Lui e gran parte dei suoi coetanei cresciuti nella società edonista e consumista postsessantottina avevano posticipato, e talvolta persino rifiutato, il peso dell'ingresso nell'età adulta: un taglio netto dalle regole della società tradizionale, che indirizzava i giovani nell'investire le loro energie migliori nel lavoro e nella creazione di una famiglia.
Ma la demografia parlava chiaro: le cose erano cambiate.
A quanto pare non c'era poi una gran voglia di sgobbare per lavori degradanti, stressanti o malpagati, o per tuffarsi nel buio in matrimoni che duravano pochi anni, e tantomeno farsi carico di marmocchi piangenti.
Certo, il contesto era cambiato, c'era la crisi economica, c'era la disoccupazione, c'era la precarietà, ma tutto questo era solo una parte del discorso.
Il fatto è che quella vita di lavoratori schiavi/coniugi frustrati/genitori esasperati, non era poi così attraente, anzi, pareva una vita già finita prima di iniziare: non si voleva la responsabilità, l'impegno, la fatica, gli obblighi, le pappe, i pannolini. 
La cosa più tragica, in tutto questo, era il fatto che la generazione dei quarantenni guardava con commiserazione il mondo tradizionale dei loro genitori, così privo di eros, e tuttavia viveva grazie alle risorse economiche ereditate dalla generazione precedente.
E' stato un progresso o una decadenza?
Anche questa domanda lo riportava al mondo della sua infanzia.
Riccardo era nato proprio quando il movimento hippy era al suo apice e i suoi principi si stavano diffondendo in tutta la società occidentale. che fino a quel momento si era fondata sull'etica del dovere, del lavoro e della fatica per realizzare qualcosa di valore.
Poi tutto era diventato apparentemente facile.
Ora cerchiamo di evitare la fatica e l'impegno. Tutta la tecnologia è volta ed evitare qualsiasi sforzo, il robot sostituisce l'operaio, la consegna a domicilio evita di uscire e fare acquisti. Nell'economia la finanza speculativa sostituisce gli investimenti produttivi. Nella cultura internet, i videogiochi e le chiacchiere evitano la fatica di leggere libri. Nel campo dei rapporti di lavoro il diritto sostituisce il dovere, nelle relazioni amorose il sesso facile evita l'impegno appassionato dell'innamoramento e la fatica di crescere una famiglia. L'ideale è diventato una società dove ci si diverte e non ci si impegna. Questa mentalità edonista sta addormentando la società europea e rallenta, inesorabilmente, il suo sviluppo.
Questi pensieri incominciavano a operare nella personalità di Riccardo una trasformazione che lo distaccava sempre di più dai miti del progressismo e lo avvicinava ad una forma di tradizionalismo quasi mitologico, come quello di Esiodo che rimpiangeva, secoli prima della nascita di Cristo, l'età dell'oro.
Era un mito, certo, ma tutte le civiltà presentavano uno schema simile, quello della "caduta" da un'età dell'oro e di una decadenza verso l'età del ferro e della disgregazione.
E questo valeva non solo per le civiltà, ma anche per gli individui.
In fondo, a chi non è capitato di riandare con la mente ai momenti felici del suo passato e dire: "Ah, quelli sì che erano tempi!", per poi rabbuiarsi nella consapevolezza che certe cose non tornano più.
E' l'eterno interrogativo dell'"ubi sunt".
Poteva ricordarne infinite citazioni.
Ubi est gloria nunc Babiloniae? Ubi est Romulus, ubi est Remus? Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.
Oppure Dante:
«La casa Traversara e li Anastagi /(e l'una gente e l'altra è diretata), /le donne e' cavalier, li affanni e li agi /che ne 'nvogliava amore e cortesia /là dove i cuor son fatti sì malvagi».



O Jorge Manrigue:
Che ne fu del re don Juan? / E degli Infanti di Aragona?Che n'è stato? / Cosa è stato di tanta nobiltà? / Le giostre ed i tornei, / i cimieri e l'armature? / Nient'altro fu che vento? /
Che cosa sono stati, / se non erbe di campo?






O il Beuwulf, a cui si era ispirato Tolkien:
Dov'e andato il cavallo? Dove il cavaliere? Dove colui che elargiva tesori? Dove i sedili del banchetto? Dov'è la baldoria della sala grande? Come se n'è andò quel tempo! Come se mai non fosse stato...
O l'amara considerazione del giudice inglese Ranulph Crewe sui grandi casati distrutti dalla Guerra delle Due Rose:
 C'è una fine per i nomi e per le dignità e qualunque cosa sia di questa terra. E dunque perché non dei De Vere? Dove sono i Neville, dove i Warwick, dove i Mortimer? E ditemi, il più grande, dov'è il Plantageneto
 E soprattutto il  verso conclusivo della Ballade des dames du temps jadis di Francois Villon, che dopo una lunga serie di domanda su "dove sono" i grandi personaggi del passato, risponde a se stesso con un'altra domanda, anch'essa destinata a rimanere insoluta:
Mais où sont les neiges d'antan?
Dove sono le nevi di un tempo?
Questa lirica piacque molto a Dante Gabriel Rossetti, che così tradusse:
Where are the snows of yesteryear?
Dove sono le nevi di un anno  fa?
Amava questa poesia, così come molte liriche del passato.
Nutriva diffidenza per i poeti contemporanei, perché chi scrive versi liberi può essere considerato poeta solo se è in grado di dare una valida giustificazione del perché è andato a capo riga in quel determinato punto e non in un altro. In un certo senso, deve conquistarsi il diritto di andare a capo riga.
Anche quel discorso contribuiva all'accusa di "conservatorismo" che gli era stata mossa da alcuni amici, in particolare dai discepoli di suo zio Lorenzo, i "Monteroveriani" della Confraternita degli Eburnei.
Lo stesso Lorenzo, irritato da certe sue boutades contro i radical-chic e il loro progressismo dogmatico e fanatico, che finiva per buttar via l'acqua sporca col bambino dentro, lo aveva severamente ammonito:
<<Spero che tu non stia diventando un reazionario, Riccardo, come la famiglia di tua madre, gli Orsini, che hanno passato la vita ad andare avanti guardando indietro. 
Ma chi si volta indietro fa la fine di Orfeo o della moglie di Lot, tramutata in una statua di sale, bloccata per l'eternità ad adorare le ceneri di una città distrutta>>

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Lui aveva scosso il capo:
<<Ti sbagli! Non sono affatto un reazionario, almeno non nel senso di bigotto o bacchettone o integralista o fanatico di una qualche forma di Restaurazione. Sono favorevole a cambiare ciò che non funziona e ad accogliere le novità che migliorano realmente la qualità della vita. 
Nessuno è mai del tutto progressista o del tutto conservatore>>
Lorenzo valutò quelle parole, soppesandole nel suo cuore:
<<E questo è più vero nel tuo caso, perché sei nato dall'unione di due stirpi che appartenevano a opposti schieramenti: gli Orsini fanno parte della Nobiltà Nera, da sempre conservatrice, e i Monterovere della Nobiltà Bianca, di orientamento più progressista. 
Il matrimonio dei tuoi genitori doveva contribuire a ricomporre l'antica frattura>>
Riccardo fu percorso da un brivido gelido:
<<Ma di cosa stai parlando? I miei si sono sposati per amore e contro il parere delle loro famiglie! E comunque appartengono a rami collaterali da lungo tempo decaduti e privati di signoria e comando. Non crederai certo a quelle assurde teorie del complotto sul predominio mondiale dell'Aristocrazia Nera e sul presunto primato degli Orsini al suo interno?>>

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Lorenzo aveva abbassato la voce:
<< Ci sono molte cose che non sai. Nemmeno tua nonna Diana era al corrente di ciò che fu deciso a Roma, dai rami principali della sua famiglia.
Ma io conosco il Grande Disegno e l'Antica Via degli Arcani Supremi.
 Tutto ti sarà chiaro quando verrai al Castello di Monterovere. Poi sarai tu a dover scegliere da che parte stare>>
Riccardo si era ribellato:
<<Non so di che parli e non voglio assolutamente vincolarmi con nessuna fazione o peggio ancora con società segrete o antiche congregazioni! Come ti ho detto non sono né progressista, né conservatore!>>
Lorenzo aveva continuato a fissarlo, con aria meditabonda:
<<Forse, eppure tu ce l'hai nel sangue, tutto questo... e sento che in te esiste una qualche forma di nostalgia dell'Ancien Regime, e non solo perché ti saresti trovato dalla parte giusta.
Tu sei uno storico, tra le altre cose, e ti sarai di certo accorto, osservando le generazioni del passato, che non se ne riesce a trovare una che non abbia temuto l'avvenire e rimpianto "il bel tempo andato", "la Belle Epoque", "il buon tempo antico", "il Secolo d'Oro", "il Paradiso Perduto">>
Riccardo annuì:
<<In effetti è così. Ma credo che questo accada perché abbiamo la tendenza a mitizzare ciò che è perduto, persino quando non è mai esistito: la perduta Atlantide, la perduta Camelot, dove pioveva soltanto di notte.
Il passato in sé e per sé è prosaico, imbarazzante, atroce e a volte persino mostruoso.
Abbiamo bisogno di leggende per indorare la pillola e così la nostra memoria selettiva, quando si pone di fronte al passato, tende a dimenticare la miseria, i massacri, le epidemie, le ingiustizie, lo sfruttamento, le prepotenze e persino le più infime sgradevolezze. 
Se i miei antenati erano nobili, io sono la "rea progenie dagli oppressor discesa", per dirla con Manzoni, e in tal caso credo sia meglio rinunciare ad ogni rivendicazione>>
Lorenzo sorrise:
<<Nemmeno se ti sarà data la possibilità di rimediare a tutto questo? Il passato non ritorna mai uguale. Non chiederti dove sono le nevi di un anno fa. Tu non hai colpa per i soprusi compiuti dai tuoi antenati, e nemmeno io. La nostra unica colpa sarebbe quella di vivere di rimpianti, perché rimpiangendo disperatamente un passato che crediamo essere stato felice, molti di noi uomini, esseri paradossali, andiamo sempre avanti guardando indietro, come se vedessimo, nel nostro incessante progresso, una perenne decadenza>>