sabato 26 ottobre 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 23. Così parlò Erich von Tomaten

Gli eventi si succedettero in fretta.
La prima riunione del governo Badoglio si era tenuta il 28 luglio, ed aveva deliberato lo scioglimento del partito fascista, la soppressione del Gran Consiglio e dei tribunali politici, e l'interdizione di costituire qualsiasi nuovo partito politico per tutta la durata della guerra; si preannunciavano, tuttavia, nuove elezioni generali a quattro mesi dalla cessazione del conflitto.
Le leggi razziali continuavano a rimanere in vigore. 
Lo stesso giorno, Badoglio inviava una lettera a Hitler, ribadendo che, per l'Italia, la guerra continuava nello stesso spirito dell'alleanza con la Germania.
Però nessuno ci credeva.
La famiglia Ricci-Orsini riceveva le notizie in anticipo, grazie ai contatti romani dei vari cognati: il giudice De Gubernatis. l'avvocato Baroni e l'ispettore Tartaglia.
Per questo Ettore Ricci, ogni volta che tornava da Forlì, dopo aver fatto quello che lui chiamava "il giro delle sette chiese", ovvero di tutti i parenti che aveva infiltrato nelle istituzioni, riuniva la famiglia Orsini (senza i Ricci, che erano ancora fascistissimi, e dunque non avrebbero apprezzato la sua posizione neutrale) per fare il resoconto della situazione.
Ai primi di agosto le soffiate dei vari cognati stavano delineando un quadro allarmante:
<<A Roma ormai considerano la guerra come perduta. Badoglio sta sondando il terreno per capire se ci sia la possibilità di cambiare cavallo il corsa. Pare di sì, ma gli Alleati vogliono una "resa senza condizioni" e comunque all'inizio controllerebbero solo l'estremo sud, il che significa che tutto il resto diventerà, almeno per qualche anno, un protettorato del Reich. 
I tedeschi ci considerano dei traditori e non avranno molti riguardi.
Dobbiamo prepararci al peggio>>
La contessa Emilia, con in mano una lunga sigaretta col bocchino, e nell'altra un bicchiere di cognac, cercò di darsi un contegno:
<<Che cosa ci consigliate di fare, dunque?>>
Per la prima volta Ettore sentì che la suocera lo aveva finalmente accettato come nuovo capofamiglia, relegando il povero Conte ad una reliquia vivente di un passato ormai dissolto.
<<I miei fratelli hanno buoni rapporti con gli ufficiali della Wehrmacht e questa, oltre che essere una protezione, è anche una fonte di informazioni. Secondo Oreste e Roderico, esiste un piano, detto Achse, che prevede un dispiegamento di forze tedesche in massa verso sud e un blitz per liberare Mussolini e fondare una repubblica fascista nel centro-nord contro il Regno amico degli americani. 
Ma la repubblica fascista, come tutte le forze dell'Asse, non potrà comunque durare a lungo: le forze degli Alleati sono superiori e risaliranno la penisola.
Fintanto che il fronte sarà a sud, potremo limitare i danni, ma quando, inevitabilmente, il fronte passerà da qui, allora dovremo far valere le amicizie cattoliche del cognato Baroni, che ci potrebbe trovare dei luoghi sicuri. Ho altri piani in mente, ma si tratta solo di idee vaghe, per cui preferisco non parlarne>>
Diana intuì che quei piani riguardassero i contatti con eventuali gruppi antifascisti e dunque si trattava di un argomento che era bene tenere segreto.
Ettore era sempre stato un maestro nel tenere il piede in due scarpe, ma col tempo aveva affinato la sua arte, così come il suo modo di agire e di parlare.
<<Allora non ci resta che aspettare e vedere se i tuoi fratelli hanno ragione>> concluse il Conte Achille.
I fatti diedero ragione ad Ettore: due giorni dopo Hitler inviò in Italia il feldmaresciallo Rommel, che prese il comando di un nuovo Gruppo d'armate e trasferì il suo quartier generale a Bologna il 14 agosto.
Nelle tre settimane successive entrarono in Italia settentrionale altre otto divisioni tedesche tra cui due divisioni corazzate, mentre una divisione di paracadutisti atterrò a Pratica di Mare, a sud di Roma.
<<Presto avremo compagnia>> annunciò Ettore <<E' probabile che un ufficiale della Wehrmacht e qualche suo collaboratore saranno nostri ospiti. Li ha invitati Roderico per ingraziarseli, ed era l'unico modo per evitare che ci sbattessero fuori e trasformassero Villa Orsini in una caserma. Per il momento questo rischio è evitato, ma come ho già detto, è soltanto una soluzione temporanea>>
Non parlò degli altri piani segreti che aveva in mente, ma gli Orsini sapevano che i suoi contatti con la Curia da una parte e con gruppi antifascisti dall'altra stavano proseguendo.
Nel frattempo le trattative fra i diplomatici italiani e i rappresentanti alleati prima a Lisbona e poi in Sicilia si protrassero con difficoltà: temendo una violenta reazione tedesca, il maresciallo Badoglio chiese un massiccio intervento anglo-americano contemporaneamente all'annuncio dell'armistizio, e si studiarono piani per impiegare una divisione di paracadutisti americana nell'area di Roma. Il 3 settembre, a Cassibile, in Sicilia, il generale Giuseppe Castellano firmò l'armistizio e Badoglio chiese alcuni giorni agli Alleati per preparare l'annuncio, mentre la Famiglia Reale "preparava le valigie".
La sera dell'8 settembre 1943, il generale Eisenhower diede comunicazione ufficiale della resa italiana e la radio italiana interruppe le trasmissioni per annunciare un discorso di Badoglio.
Ancora una volta, la famiglia Ricci-Orsini si trovò riunita nella sala della radio, in attesa dell'ennesima piroetta del Gran Maresciallo, che si espresse ancora una volta nel suo stile criptico.
«Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza»
Dunque la guerra continuava ancora, ma questa volta contro i Tedeschi.
Pur essendo preparati a questa comunicazione, i membri della famiglia Ricci-Orsini ne rimasero comunque profondamente turbati, e non solo per quella che in seguito sarebbe stata definita dagli storici come <<la morte della Patria>>, ma anche e soprattutto al pensiero di tutti i militari italiani che si trovavano in missioni congiunte con i tedeschi e che avrebbero dovuto scegliere se disobbedire al governo (rischiando in seguito la corte marziale) o disobbedire a Hitler, rischiando la morte immediata o l'internamento nei lager.
Del resto la risposta di Hitler fu pari soltanto alla sua collera: venne immediatamente attivato il piano Achse e le truppe della Wehrmacht presero il sopravvento in tutti i teatri bellici dove erano presenti unità italiane, sfruttando soprattutto la disorganizzazione e la confusione presenti tra le truppe e gli alti comandi del Regio Esercito che, privi di direttive precise e tempestive, in gran parte si disgregarono.
In Italia settentrionale il feldmaresciallo Rommel occupò le città più importanti e catturò la massa delle divisioni italiane che opposero scarsa resistenza; a Roma dopo alcuni duri combattimenti e confuse trattative il feldmaresciallo Kesselring prese possesso della città; nei Balcani i tedeschi occuparono tutto il territorio e schiacciarono brutalmente i tentativi di resistenza locali, con oltre 600 000 soldati italiani deportati in Germania.
Molti approfittarono di quel clima di anarchia per un regolamento di conti.
Badoglio, il Re e i loro collaboratori preferirono abbandonare subito Roma e, dopo aver raggiunto Pescara, si trasferirono a Brindisi dove ricostituirono una struttura di governo nel territorio sfuggito all'occupazione tedesca. 
Nel frattempo, il 12 settembre 1943, un reparto di paracadutisti tedeschi aveva liberato Mussolini dalla prigione nel Gran Sasso. 
Fortemente sollecitato da Hitler e pur provato e disilluso, il Duce accettò di prendere la direzione del nuovo stato fascista, la Repubblica Sociale Italiana, che venne costituita il 23 settembre nell'Italia centro-settentrionale per collaborare con l'occupante tedesco.
E poiché gli eventi decisi dalle alte sfere si riverberano e trovano attuazione o resistenza nel microcosmo della gente comune, tutto ciò che era accaduto in quei due mesi ebbe conseguenze ben precise nella Contea di Casemurate, dove il 24 settembre il tenente Helmut Mueller e alcuni suoi attendenti ottennero vitto e alloggio a Villa Orsini dietro invito di Roderico Ricci, nuovo segretario locale del partito fascista repubblicano, nonché fratello maggiore di Ettore.

Per quanto Mueller conoscesse qualche parola di italiano, la comunicazione fu affidata ad un interprete d'eccezione, il professor Erich Von Tomaten, dell'Università di Jena, arruolatosi volontario nelle SS, nonostante l'età avanzata e la salute incerta, per contribuire alla "germanizzazione dei subumani".
Nonostante il Professore si ritenesse un puro esempio di "razza ariana", il suo aspetto fisico non trasmetteva agli altri tutta la "purezza" del suo germanesimo interiore.
Era basso, calvo, tarchiato, di pelle olivastra e pelosa. La sua fronte ricordava quella di un uomo di Neanderthal, e anche il resto del viso, ad essere sinceri, non si discostava molto da quello di un ominide primitivo. Le sopracciglia cespugliose, il naso schiacciato, gli occhi infossati color fango, i baffi grigi vagamente ingialliti dal fumo dei sigari (unico vizio che si concedeva, oltre agli alcolici e alla frequentazione dei bordelli), lo facevano sembrare un mostruoso Nibelungo direttamente prelevato dalle sponde del Reno, mentre tentava di insidiare un'Ondina.
Indossava perennemente un logoro e rattoppato vestito a giacca marrone, che aveva visto tempi migliori. Del resto, non aveva bisogno di uniformi, medaglie o mostrine per ostentare il suo potere:
gli era sufficiente portare al dito l'SS-Ehrenring, l' "anello con la testa di morto", la massima onoreficenza che Heinrich Himmler in persona concedeva ai suoi più stimati collaboratori, quei pochi che avevano accesso al castello di Wewelsburg, dove i vertici delle SS venivano iniziati ai
misteri della società segreta Ahnenerbe, la sezione SS per gli studi dell' "eredità ancestrale" e dell'ariosofia.

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In virtù di questa appartenenza, Von Tomaten si considerava una sorta di missionario per la conversione delle aristocrazie indoeuropee alla causa dell'arianesimo, e fu per questo che prese immediatamente l'iniziativa di germanizzare il Conte Orsini.
Gli fece cenno di seguirlo nel Salotto Liberty, dopo aver cacciato in malo modo le donne.
<<Lei Graf Von Orsini dato troppo potere a femmine. Questo è segno di decadenza e causa di crollo di Italia, ja!>>
Il Conte, per quanto logorato da quella situazione e dalle infinite preoccupazioni per il futuro, non poté fare a meno di trovare comico quel personaggio assurdo che sembrava voler tenere una lezione universitaria nel suo salotto.
<<Eppure deve ammettere, Professore, che persino un uomo di cultura come il dottor Goebbels  tiene in gran considerazione i punti di vista di sua moglie>>
Von Tomaten si accigliò e digrignò i denti giallastri:
<<Ach, come lei osa paragonare Frau Goebbels con vostre massaie bigotte?>>
<<Temo di non aver capito, Professore>>
Von Tomaten divenne paonazzo e i suoi baffi si arruffarono:
<<Io tante volte sostenuto che in Germania il Cristianesimo non passa!>> e accompagnò tale affermazione con un sonoro pugno sul preziosissimo tavolinetto Luigi XV dove in tempi migliori venivano appoggiate le tazze da tè della contessa Emilia.
<<Davvero? Non mi pare che il nazionalsocialismo abbia mai affermato una simile tesi>>
Il Professore accennò un sorriso beffardo, accompagnato però da un ringhio simile a quello di un mastino:
<<Scheisse! Lei non capire nulla di Nationalsozialismus! Nostra università di Jena scoperto e spiegato che Cristo era ariano venuto a distruggere religione e regno giudaico. Tutto il resto è pura invenzione di vostri papisti che presto assaggeranno in Roma il rigore dell'ordine teutonico>>
Il Conte iniziava a divertirsi:
<<Lei dice che siamo papisti, ma qui in Romagna, dopo vari secoli di dominazione pontificia, siamo tutto tranne quello, mi creda>>
Von Tomaten masticò il sigaro, con aria scettica, poi sentenziò:
<<Forse perché qui tutti comunisti stalinisti, ja?>>
<<No, a dire il vero mio genero e i suoi fratelli sono fascisti ed io sono un liberale>>
Il Professore allora sogghignò, e fu qualcosa di orribile a vedersi:
<<Ah ah, ecco che io coglie lei in fallo, Graf von Orsini! Lei confessa essere liberale! Ma in Germania il liberalismo non passa! L'illuminismo non passa! La rivoluzione francese e russa non passa! Napoleone non passa! Stalin non passa! In Grande Germania niente passa!>>
E di nuovo percosse con violenza il tavolinetto Luigi XV, lasciando un segno che da quel giorno in avanti venne chiamato "Il Pugno del Professor Pomodoro".
Il Conte osò un'osservazione:
<<Su Stalin non sarei così sicuro...>>
Von Tomaten sputò il sigaro per terra:
<<Lei non capire nemmeno grande strategia bellica tedesca! Tutta azione adesso è solo astuto diversivo per poi colpire a sorpresa e distruggere orda asiatica con grande mossa tenaglia di nostra Panzer Division!>>
<<Ah, ecco... >>
Von Tomaten annuì compiaciuto, come al termine di una delle sue memorabili lezioni presso l'ateneo di Jena.
<<Sehr Gut! Io visto giusto nel scegliere lei, Grav von Orsini, come mio allievo. Forse in suo sangue scorre quello di antichissimo antenato indo-germanico. Persino antichi patrizi Latini essere indo-germanici, anche se rozzi pecorai. 
Se lei segue miei insegnamenti, può salvare famiglia e persino rafforzarla con grande innesto di puro sangue teutonico.
Sento che da questa collaborazione nasce grande progetto di nuovo Reichskommissariat Italien-Ostgothien, in memoria di grande re tedesco che voi chiamare Teodorico, ma in mia lingua è Dietrich von Verona zu Ravenna>>

E con questo se ne andò bruscamente senza salutare, con gli occhi sbarrati in direzione di un futuro che esisteva soltanto nella sua mente.
Ci sarebbe stato da ridere, se non si fosse stati nel mezzo di una tragedia.
Al conte Orsini non era piaciuto affatto l'accenno all'innesto di sangue tedesco nella sua famiglia, e questo non perché ce l'avesse in astratto con gli abitanti della Germania, bensì piuttosto perché temeva gli sguardi libidinosi che il tenente Mueller rivolgeva a sua figlia Isabella.


lunedì 14 ottobre 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 22. I Goti nella Contea

Nonostante gli sforzi per tenere suo marito il più possibile lontano dalla propria camera da letto privata, Diana Orsini rimase incinta per la terza volta nel luglio del 1943.
Non era il momento migliore per una gravidanza e tanto meno lo sarebbe stato, nove mesi dopo, per una nascita, ma Ettore Ricci voleva a tutti i costi un figlio maschio e non c'era modo per convincerlo a rimandare ulteriormente la "questione dell'erede".
Diana guardava i poveri resti del suo giardino e i campi solcati e anneriti dalle bombe.
Era un miracolo che ancora la malandata Villa Orsini si reggesse in piedi.
<<C'è qualche speranza per noi? Per la nostra famiglia, la nostra Contea di Casemurate, la nostra Italia?>> chiese Diana a suo padre.
Il Conte era invecchiato e come accartocciato su se stesso:
<<Non c'è mai stata molta speranza, solo quella di uno sciocco>>
Diana si guardò intorno e poi gli sussurrò all'orecchio:
<<Spero che i fratelli di Ettore non ti abbiano sentito, e nemmeno quella strega di Ida Braghiri. Andrebbero subito a denunciarti>>
Il conte Achille rise:
<<Denunciarmi a chi? Stamattina a Forlì non c'era anima viva. Pensa che il povero De Gubernatis vagava come un fantasma davanti al Palazzo di Giustizia e quando mi ha visto mi ha chiesto se non fosse il caso di fuggire da qualche parte, come hanno fatto i De Toschi>>
<<E tu cosa gli hai risposto?>>
<<Fuggire dove? Abbiamo solo nemici intorno, ormai. Gli Alleati sono già sbarcati in Sicilia, e i loro aerei controllano i nostri cieli. Ma i Tedeschi non resteranno a guardare. Domani si riunisce il Gran Consiglio... e allora sapremo di che morte dovremo morire>>
Il giorno successivo, il 25 luglio, trascorse in una situazione di attesa.
I bombardamenti si erano fermati, la radio mandava canzonette melense, la contessa Orsini aveva messo ad arieggiare i suoi abiti estivi in stile floreale, la governante giocava a carte con Adriana Ricci, la sorella di Ettore, il quale scherzava fin troppo confidenzialmente con la giovane e bellissima cognata Isabella Orsini.
La cosa stava diventando imbarazzante, ma in quel clima di anarchia sembrava che tutte le regole del vivere civile fossero sospese e che nulla sarebbe tornato più come prima.
E su questo non c'erano dubbi.
Verso sera si sparse la voce che il Duce fosse stato messo in minoranza durante la riunione del Gran Consiglio, (pareva che persino il conte Ciano avesse votato contro di lui) e si fosse recato a Villa Savoia per consultarsi con il Re.
All'ora di cena, finalmente, la radio interruppe le canzoni e annunciò che il Re aveva accettato le dimissioni di Mussolini e aveva scelto Badoglio come nuovo capo del governo. Si consigliava inoltre agli ascoltatori di attendere la tarda serata per ascoltare il comunicato del nuovo primo ministro.
Non si era fatto alcun cenno né alla sorte di Mussolini e del Partito Fascista, né alle conseguenze del cambio di governo sulle strategie militari e il conflitto in corso.
Nella sala da pranzo si sentivano volare le mosche.
Roderico Ricci e sua sorella Adriana si alzarono subito da tavola per andare a casa di "Zuarz", il vecchio patriarca della famiglia Ricci.
Il Conte non appariva particolarmente sorpreso, mentre la Contessa ordinò alla signora Braghiri di portarle un Nero d'Avola del 1861, che conservava per le grandi occasioni.
<<Se proprio volete corrodervi lo stomaco>> sbottò la governante col suo solito tono burbero.
<<Mi sa che è il vostro stomaco ad essere più acido, signora Ida>>
Diana guardava Ettore: aspettava la sua reazione, perché lui era imprevedibile.
E infatti, con aria gioviale, dichiarò: <<Allora stasera facciamo tutti le ore piccole per ascoltare Badoglio. Rimani anche tu con noi, Isabella?>>
<<Ma, io non ho capito : la guerra è finita o no?>>
Era quello che si chiedevano tutti.
<<Magari!>> dichiarò Ettore <<io ho l'impressione che il peggio debba ancora venire>>
<<Non ti fidi del maresciallo Badoglio?>> chiese Isabella ingenuamente
<<Badoglio conta meno del due di coppe... sono proprio curioso di sentire cosa s'inventerà stasera per tenere buoni sia gli Americani che i Tedeschi>> rispose Ettore.
Per una volta, suo suocero il Conte fu d'accordo:
<<Ci troviamo tra l'incudine e il martello. I Tedeschi stanno aumentando da mesi la loro presenza militare nel nostro territorio, ma al sud gli Americani avanzano. 
Forse Badoglio e il Re hanno già fatto la loro scelta, ma non ce la diranno prima di essersi messi al sicuro>>
Si trattava di una profezia fin troppo facile, e infatti, all'ora stabilita, la voce di Badoglio, alla radio, sillabò uno dei discorsi più ambigui della storia d'Italia, concludendo con parole che spensero ogni speranza di pace:
«La guerra continua e l'Italia resta fedele alla parola data... chiunque turbi l'ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito»
Quelle parole gelarono il sangue nelle vene dei presenti.
Che senso aveva cambiare governo se poi alla fine si continuava a fare quel che si faceva prima?
Nessuno, a Villa Orsini e in tutta la Contea di Casemurate, pareva intenzionato a "turbare l'ordine pubblico", anche se tutti si chiedevano chi fossero, nella pratica, i tutori di questo ordine.
<<Io domani vado in città a trovare Ginevra. Suo marito avrà ricevuto istruzioni da Roma>> disse il Conte.
Ettore approvò e poi, come se fosse stato colto da un'ispirazione geniale, avanzò una proposta:
<<Forse sarebbe prudente che anche Diana e le bambine venissero con voi. Sarebbero più protette, a casa De Gubernatis>>
Ma non disse nulla riguardo agli altri, specialmente Isabella, come se non volesse separarsi da lei.
Diana lasciò da parte ciò che non era stato detto esplicitamente, ma contestò comunque il suggerimento del marito:
<<Protette da cosa? I bombardamenti li fanno anche in città>>
<<Il pericolo maggiore, d'ora in avanti, verrà da terra>>
<<Sai forse qualcosa che noi non sappiamo?>>
<<Io so quel che mi ha fatto capire Edoardo Baroni, il marito di mia sorella Caterina. 
E' il legale della Curia, ha contatti importanti in Vaticano. Due giorni fa mi disse di stare in campana perché secondo lui il Re e Badoglio stavano tramando qualcosa. 
E aveva ragione! E a mio parere stanno ancora tramando...
Alla radio dicono che l'Italia mantiene la parola data, ma in segreto stanno trattando la resa con gli Americani. Il problema è che i Tedeschi non lo permetteranno mai: da mesi la Wehrmacht sta ammassando truppe al centro-sud per bloccare l'avanzata anglo-americana. 
Ci scommetto la testa che si stanno già preparando ad assumere direttamente il comando militare in Italia, comprese le nostre campagne>>
<<E allora nessun luogo sarà più sicuro! Perché dovremmo pensare che Villa Orsini sia in pericolo più delle case dei nostri parenti?>>
<<Perché questa residenza può ospitare una guarnigione militare. I Tedeschi da qui controllerebbero tutta la Romagna centrale, e non avrebbero alcun riguardo per i residenti>>
<<E i tuoi fratelli fascisti, contano ancora qualcosa?>>
<<Non lo so, alcuni dicono che Mussolini sia stato arrestato... staremo a vedere, ma in una situazione come questa è meglio rimanere neutrali>>
Diana annuì:
<<In ogni caso, io e le bambine resteremo qui, almeno fintanto che la situazione non sarà più chiara>>
Isabella aggiunse:
<<Io resterò qui comunque. Ginevra è diventata insopportabile e le sue figlie gemelle sono più pestifere di uno sciame di locuste>>
Il Conte sospirò:
<<I Tedeschi saranno peggio di uno sciame di locuste. Non è la prima volta che un popolo germanico conquista queste terre. Visigoti, Ostrogoti, Longobardi... i Goti in particolare fecero di queste zone il centro del loro regno, quando Teodorico tenne la sua corte a Ravenna.
 Questa Contea è stata una terra gotica, e forse i Tedeschi non l'hanno dimenticato.
Ho sentito dire che esiste un piano chiamato "Operazione Alarich", in memoria di Alarico dei Visigoti, che saccheggiò Roma nel 410.
Ma i Visigoti se ne andarono, mentre gli Ostrogoti restarono a Ravenna per quasi un secolo.
Diventeremo il Reichskommissariat Ostgothien o qualcosa di simile. E temo che ci considereranno una "razza inferiore", e se anche ci permetteranno di vivere, diventeremo loro schiavi>>
Isabella impallidì:
<<Se è vero quel che dici, come faremo a salvarci?>>
Il Conte guardò con commozione le figlie e le nipoti:
<<Non lo so. Faremo tutto il possibile, mobiliteremo tutte le nostre risorse e conoscenze. E non sono poche.
Ma non confidate troppo nella speranza. Ha abbandonato queste terre>>

venerdì 4 ottobre 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 21. Via col vento


Nell'aprile del 1941 nacque la seconda figlia di Ettore Ricci e Diana Orsini e fu registrata all'anagrafe come Silvia Ricci-Orsini, in virtù della regia concessione riguardo al doppio cognome dei figli di madre aristocratica.
Ma questo aveva poca importanza agli occhi di Ettore, la cui costernazione per il fatto che la neonata fosse una femmina si era presto tramutata in rabbia contro il mondo intero, come se tutto l'universo avesse cospirato per impedire la nascita del tanto atteso erede maschio, che nei suoi progetti a lunga scadenza avrebbe dovuto schiacciare ogni eventuale pretesa di primato nella Contea di Casemurate da parte del fratello di sua moglie, il giovane e viziato Arturo Orsini, figlio prediletto del conte Achille.
Quando Diana aveva chiesto al marito se avesse delle preferenze per il nome, lui aveva risposto:
<<E' una femmina! Chiamala come ti pare!>>
E in quel momento, poiché la visione del mondo di Diana era molto vicina al pessimismo leopardiano, le parve naturale chiamare sua figlia col nome di una delle figure femminili che avevano ispirato il poeta di Recanati.
L'unica consolazione, per Ettore, fu che anche uno dei suoi cognati più in vista, l'irreprensibile giudice De Gubernatis, aveva avuto dalla moglie Ginevra Orsini addirittura due figlie in una sola volta, due gemelle eterozigote, che erano state chiamate Anna ed Elisabetta.
Più fortuna, nell'ottica maschilista imperante a Casemurate in quegli anni, aveva avuto l'ambizioso Michele Braghiri, amministratore del Feudo Orsini, la cui moglie Ida, dopo aver sfornato una femmina, di nome Floriana, al primo parto, aveva dato alla luce il bramato erede maschio, il quale, naturalmente, era stato chiamato Massimo, poiché da lui ci si attendeva il meglio del meglio.
E come se non bastasse, la signora Ida, temutissima e autoritaria governante di Villa Orsini, era poi rimasta nuovamente incinta.
Diana, invece, aveva chiesto al marito almeno un anno di tregua, per potersi riprendere da quelle che oggi chiamiamo "depressioni post partum".
Per calmare Ettore, suo suocero, il conte Achille Orsini Balducci di Casemurate, gli aveva prospettato i vantaggi di avere delle figlie femmine, con le quali avrebbe potuto stringere alleanze matrimoniali con qualche rampollo delle famiglie che possedevano i feudi confinanti, ossia i marchesi Spreti di Serachieda e i conti Zanetti Protonotari Campi. Questo discorso placò temporaneamente le ire di Ettore, ma non piacque affatto ai coniugi Braghiri, che si erano proposti come obiettivo primario un legame matrimoniale tra il loro perfetto Massimo e una delle sorelle Ricci-Orsini.
Ma a parte le questioni familiari, c'erano preoccupazioni maggiori che tenevano occupata la mente di Ettore.
Le difficoltà dell'esercito italiano si erano rivelate persino maggiori di quello che aveva previsto il conte Achille, nel suo atteggiamento che la famiglia Ricci aveva bollato come "disfattista".
Ettore cercava di mantenere un atteggiamento moderatamente filo-governativo, ma dentro di sé aveva già intuito che le cose non stavano andando affatto secondo i piani del Duce.
Glielo suggeriva il suo istinto di sopravvivenza, che percepiva da molto lontano "l'odore del sangue".
Nel suo intimo sapeva che suo suocero aveva ragione e incominciava a rendersi conto che persino la Contea di Casemurate non era più da considerarsi un luogo sicuro.
I fratelli di Ettore ostentavano un fascismo intransigente e fideistico, per quanto, nella famosa triade del "credere, obbedire e combattere", si fermavano al secondo punto, avendo ottenuto, grazie alle conoscenze della Signorina De Toschi, l'esenzione dal servizio militare a causa dei "piedi piatti".
Ma non tutti i parenti di Ettore erano fascisti: c'era infatti un suo zio materno, tale Remigio Vallicelli, considerato la pecora nera della famiglia, che si faceva beffe della retorica patriottarda e militarista portata avanti dal regime.
L'umiliazione delle truppe italiane nella Campagna di Grecia, che aveva costretto la Germania a intervenire direttamente nei Balcani per evitare la disfatta, aveva infranto il mito dell'invincibilità dell'Italia fascista, ed era stato un brusco risveglio per chi, in buona fede, aveva creduto ai proclami e alle parate militari.
Lo stesso Hitler era incredulo e furioso a causa dell'evidente inadeguatezza dell'alleato a cui in un primo tempo aveva affidato le sorti dell'area mediterranea.
Il Duce, per evitare che il disfattismo prendesse piede in Italia, aveva incaricato i gerarchi di risollevare il morale delle masse con un'adeguata propaganda.
Fu così che, nella Contea di Casemurate, arrivò il gerarca Baroncini in persona, segretario federale del Partito nella provincia di Forlì, che tenne un'appassionata orazione, scritta a quattro mani col Generale De Toschi, sull'imminente rinascita dell'Impero Romano e sul valore dei "militi italici di contro all'oste avversa". 
Esortò quindi tutti quanti al coraggio, citando il dannunziano "Memento audere semper", <<perché è nel vivere pericolosamente che si attualizza il nostro spirito, come ci ricorda Gentile. E poiché, come ha scritto lo stesso Duce, il Fascismo doveva essere azione e fu azione, allora è evidente che l'onore del milite fascista consiste nella ricerca della pugna>> e qui ci fu qualche risolino subito smorzato dalle occhiatacce della milizia <<nello sprezzo del pericolo e nella dedizione totale ai gloriosi destini della Patria>>.
Al termine del discorso, Baroncini, commosso, attese l'applauso della folla, che fu però inferiore alle aspettative, non fosse altro che per il linguaggio arcaizzante dell'oratore e la sua tendenza mistico-filosofica al vaniloquio.
Fu in quegli istanti di imbarazzato silenzio che il vecchio zio Remigio alzò la mano con un aria sorniona e un sorriso sbilenco stampato sul volto e dichiarò, in perfetto dialetto romagnolo, una frase destinata ad essere ricordata per molti decenni a venire, e tramandata di generazione in generazione:
<<Evviva Baroncini, che cun un'arenga us fa magné una smana!!>>
L'idea che Baroncini, con una sola aringa, potesse far mangiare i casemuratensi per un'intera settimana, era quasi più credibile del coraggio dei militi della Contea, che tutto avrebbero desiderato tranne il "vivere pericolosamente".
Il gerarca, sbigottito e sdegnato, non perse tempo:
<<Chi è stato? Chi ha parlato! Al confine! Al confine!!!>>
Fu a quel punto che, nello stupore generale, Ettore Ricci trovò il coraggio di difendere lo zio e sussurrò alle orecchie del Federale:
<<Perdonate, Eccellenza, mio zio Remigio soffre di demenza senile, nessuno lo prende sul serio. Non è il caso di sprecare risorse mandandolo al confino>>
<<Per essere un demente, fa battute fin troppo spiritose>>
<<E' comunque il fratello della maestra Clara, amica personale di donna Rachele. Mia madre farà in modo che d'ora in avanti tenga la bocca chiusa>>
Baroncini sbuffò:
<<Sarà meglio, se no alla prossima parola fuori posto, finisce dritto dritto in manicomio, parola mia. E ringraziate il fatto che, al contrario di voi, signor Ricci, che pensate solo a far soldi,  i vostri genitori e i vostri fratelli sono tutti ferventi fascisti e patrioti esemplari>>
Esemplari a parole, pensò Ettore, ma si sono imboscati tutti, come del resto lo stesso Federale Baroncini, che vale meno dell'aringa citata dallo zio.
Quando le acque si furono calmate, lo zio Remigio andò a ringraziare il nipote:
<<Ettore, tu vali più di tutti i tuoi altri parenti messi insieme. Un giorno anche gli Orsini capiranno che sei un uomo buono e impareranno a rispettarti sul serio>>
Ettore, compiaciuto e in vena di confidenze, appoggiò una mano sulla spalla dello zio:
<<Un uomo buono io? Non lo so. Nel Bene non ci ho mai creduto, ma quando mi è possibile cerco di praticare la bontà>>
Ebbe l'occasione di dimostrarlo qualche mese dopo, quando i bombardamenti aerei degli alleati anglo-americani incominciarono a colpire in maniera massiccia e capillare prima le città, poi le campagne.
Ettore fece costruire un rifugio molto ampio, nei campi adiacenti a Villa Orsini, e ogni volta che suonava l'allarme, fece in modo di accogliere gran parte dei compaesani.
Nell'anno successivo, il 1942, il numero dei bombardamenti aumentò in intensità e violenza.
Mentre la reazione di Ettore era sempre pragmatica, quella di Diana era prevalentemente emotiva.
All'inizio le era sembrato che tutta quella situazione fosse irreale, come se fossero fuochi d'artificio
Spesso si ritrovava a correre con una figlia per mano e l'altra in braccio, mentre il cielo diventava rosso per le esplosioni delle bombe, e quando finalmente arrivava al rifugio, l'anomalia di quella situazione le faceva deragliare il pensiero verso le guerre di cui aveva letto e studiato, e le sembrava di essere dentro un romanzo, in particolare "Via col vento".
L'analogia derivava da alcuni punti in comune tra la vicenda di Rossella O'Hara e quella di Diana Orsini: l'appartenenza a una famiglia di latifondisti caduti in disgrazia, l'aver sposato un uomo ricco per salvare la propria famiglia dalla miseria e soprattutto lo scoppio di una guerra che era destinata a spazzare via il tipo di società nella quale entrambe erano cresciute, nel bene e nel male.
Ma la guerra che stava travolgendo il mondo di Diana Orsini era molto più devastante, nella sua potenzialità distruttiva, della Guerra Civile Americana.
I bombardamenti ne erano la prova evidente, indiscutibile.
Inoltre si stava facendo strada, nella famiglia Ricci-Orsini, l'idea che il peggio dovesse ancora venire.
Per quanto il governo cercasse di censurare le notizie scomode, alla fine comunque le voci circolavano. La "gloriosa sconfitta" di El-Alamein, ("mancò il valore, non la fortuna"), tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre del 1942, in concomitanza con l'impantanarsi dell'avanzata tedesca in Unione Sovietica, fece sorgere i primi dubbi anche tra i più ottimisti.
Il 1943 iniziò in un clima di grande sconforto. Non era più possibile nascondere le voci che provenivano dalla Russia, dove il contingente italiano stava soccombendo al Generale Inverno che già aveva sconfitto Napoleone più di un secolo prima.
Dopo la sconfitta nell'assedio di Stalingrado, in febbraio, la ritirata si era resa inevitabile.
Si confabulava sottovoce, nel buio dei rifugi antiaerei, sull'eventualità della sconfitta e sulle sue conseguenze per l'Italia.
Nessuno osava dirlo pubblicamente, ma la sensazione era quella di una catastrofe imminente.
A conferma di questo, avvenne un fatto a dir poco clamoroso: il generale De Toschi e sua figlia erano partiti di nascosto per destinazione ignota.
A quel punto fu chiaro a tutti che la nave stava affondando.