mercoledì 16 aprile 2014

Virginia D. Capitolo 27. All'ombra della fanciulla in fiore.


Col passare del tempo, incominciò a verificarsi, tra me e Virginia, una specie di trasferimento di energie vitali. Lei fioriva ogni giorno di più, mentre io, al contrario, avevo incominciato, anche se solo lievemente ed in maniera non chiaramente definibile, ad appassire.




Il primo banco di prova furono gli esami, lei ebbe tutti 30 e lode, io ebbi voti buoni, a volte anche ottimi, ma meno brillanti. 
Questa comunque era la cosa tutto sommato meno importante.
La mia energia diminuiva, mi sentivo stanco, pigro, svogliato, e non riuscivo a capire perché. 
Mi feci visitare dal mio medico di base che non riscontrò alcun problema fisico evidente e mi consigliò di fare dei controlli da degli specialisti per sicurezza.
Nemmeno gli specialisti riscontrarono problemi fisici, dicevano che sicuramente questa mia stanchezza era dovuta allo stress, ma io non avevo ragioni di stressato.
Avevo sempre meno voglia di fare esercizio fisico e spesso mi succedeva di appisolarmi  mentre cercavo di studiare.
Al contrario di me, Virginia era piena di energie, riusciva a fare mille cose ogni giorno. Era sempre dinamica ed in forma smagliate. La sua bellezza cresceva sempre di più.



Io mi sentivo come un'ombra, la sua ombra.
Lei era sempre gentile con me, ma il suo atteggiamento nei mie confronti sembrava a volte più quello di una madre verso il figlio.
Il mio stesso desiderio sessuale era lievemente diminuito, mentre quello di Virginia era sempre più spiccato e voleva che io la appagassi anche più volte al giorno, una corsa piacevole, certo, ma ogni volta, dopo aver fatto l'amore con lei, il mio quadro clinico peggiorava e nessuno sapeva darmi una diagnosi. Era un mistero.
Insomma, non mi mancava niente, i miei amici mi invidiavano, eppure una specie di malinconia incominciò a insinuarsi nella mia mente.
Virginia faceva tutto il possibile per aiutarmi, voleva che la accompagnassi dappertutto, nella speranza che, distraendomi e rilassandomi, il mio malessere passasse.





E invece no, non passava, anzi, con l'arrivare della primavera, la mia apatia e la mia malinconia crebbero a tal punto che il mio medico ipotizzò che potesse trattarsi di una forma di depressione minore, niente di grave, probabilmente uno scompenso chimico dovuto al cambio di stagione, che se ne sarebbe andato via da sé.
Più la primavera avanzava e più io sprofondavo, e pareva che le energie che mi abbandonavano si stessero trasferendo a Virginia, la cui salute e la cui bellezza aumentavano di giorno in giorno e fiorivano letteralmente, anche nei suoi vestiti.







Non sapevo cosa fare, riuscivo a malapena ad andare alle lezioni e a studiare. Quando poi passarono anche le vacanze pasquali, la mia stanchezza, la mia svogliatezza e la mia malinconia si trasformarono in una vera e propria depressione. A quel punto mi fu ordinata una visita psichiatrica.
Virginia era sinceramente preoccupata per me e mi accudiva come la più amorevole e splendida delle infermiere, dicendomi che lei mi avrebbe amato sempre, che sarebbe stata sempre con me, in qualsiasi caso. Insistette su questo punto, ricordandomi che nessuno, in alcun modo, avrebbe mai potuto separarci.



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Emmi Rossum - Virginia D.

P.s. Il titolo del capitolo allude volutamente al secondo volume della "Recherche" di Proust, "All'ombra delle fanciulle in fiore".

martedì 15 aprile 2014

Noah (film): un'occasione sprecata.



Gli elementi per fare un buon film c'erano tutti, ma il modo in cui sono stati utilizzati non è solo deludente, ma a tratti diventa ridicolo. 
Il regista David Aronofsky ha tentato, non riuscendoci, di copiare il lavoro di Peter Jackson e fare un film che fosse a metà strada tra la Bibbia e Il signore degli anelli. Tolkien, che era cattolico, se ne era ben guardato dal mescolare il fantasy con la storia sacra, non tanto per motivi religiosi, quanto perché sono due generi troppo diversi. Non si possono mettere Hobbit o Ent nella Bibbia, e questo non per motivi religiosi, ma proprio perché sarebbe ridicolo.
Dal primo fotogramma si capisce subito che si sta cercando di copiare, senza riuscirci, lo ribadisco, il lavoro geniale di Peter Jackson sul romanzo di J.R.R. Tolkien.
Il tracollo poi c'è nel momento in cui i misteriosi Vigilanti, di cui la Bibbia fa solo un cenno, sono presentati come una caricatura degli Ent e dei giganti di pietra de La storia infinita.
Segue un primo tempo lento, in cui si spera ancora che il film riesca a decollare.
Nel momento in cui arriva finalmente il diluvio, c'è un miglioramento della qualità che potrebbe persino salvare le sorti dell'intero film, che tocca, nel momento in cui Noè (Russel Crowe) racconta la storia della Creazione, riportando le esatte parole bibliche, e le immagini mostrano l'evoluzione dell'universo, della galassia, del sistema solare, della Terra e della vita sulla Terra, cercando di conciliare la visione religiosa con quella scientifica.



Non era di per sé malvagia l'idea di utilizzare un conflitto all'interno della famiglia,  per giustificare la non altrimenti esplicabile vicenda che vede, nella Bibbia, un Noè vecchio, ubriaco e nudo, cacciare e maledire il figlio Cam per la sola colpa di averlo visto in quelle condizioni.
Il problema è che questa idea è stata realizzata male, non per colpa degli attori, i quali fanno la loro parte fin troppo bene, ma per la confusione mentale del regista, che trasforma Noè in un misto tra il folle padre assassino di Shining e una specie di Bud Spencer imbufalito.
E' un peccato perché, proprio nei momenti dove ci sarebbe stato bisogno di sobrietà, il regista rovina tutto cercando di strafare, col risultato di far sorridere, per non dire ridere sul serio, in punti che potevano essere invece epici, tragici o commoventi. 
Si finisce involontariamente nella parodia, con errori macroscopici, come per esempio il fatto di non valorizzare adeguatamente le potenzialità del cast.
Il grande Anthony Hopkins, che nel film è un improbabile Matusalemme, nonno di Noè, sarebbe potuto riuscire a dare un senso a quel personaggio, se il regista lo avesse lasciato lavorare, invece di costringerlo a fare la parte di un vecchio rimbambito, a metà strada tra una parodia del mago Merlino e un inevitabile riferimento a Yoda di Guerre Stellari (che ha 900 anni come Matusalemme). Ci mancava solo che si mettesse a parlare del lato oscuro della forza e avrebbe superato in comicità Balle Spaziali di Mel Brooks.



Un altro esempio è aver costretto il giovane attore che interpreta il personaggio di Cam in una specie di paresi facciale (che ricorda involontariamente l'esordio di Christian Slater ne "Il nome della rosa", ma sempre con esito parodistico) e in un comportamento banalizzato.
L'idea giusta della ribellione di Cam contro il padre per non aver salvato la ragazza che lui amava, viene ridicolizzata facendo poi comportare il personaggio come, mi si passi il termine, un comune "morto di figa".
Per restare in tema, la debordante passionalità di Emma Watson poteva funzionare se la sceneggiatura fosse stata scritta meglio, con dialoghi meno scontati e scelte che evitassero i luoghi comuni da soap opera.
Il massimo del ridicolo viene toccato nella scena dove Emma Watson fa una specie di test di gravidanza che somiglia in modo imbarazzante a quelli di una Brooke Logan Forrester di Beautiful.
Peccato, perché la trama nel finale era buona. Il concetto che si voleva esprimere era valido: Dio lascia a Noè la scelta se far sopravvivere o meno la sua discendenza, anticipando e migliorando l'episodio, biblicamente successivo, del sacrificio di Isacco. La scelta di lasciar sopravvivere i bambini avviene perché in loro la malvagità umana è ancora arginabile.
C'era quasi la possibilità di arrivare sfiorare lo spirito con cui Dostoievskij fa dire a Ivan Karamazov che tutto l'universo non vale la sofferenza di un bambino.
E invece veniva in mente Shining e Jack Nicholson con l'accetta, in preda alla pazzia, che cerca di fare a pezzi la moglie e il figlio.
Sarebbe bastato poco per evitare questi svarioni.
Persino io sarei riuscito a scrivere meglio la sceneggiatura.
Qualcuno dica al buon Aronovfsky che la prossima volta, prima di passare alla realizzazione, passi da me: gliela correggo anche gratis la sceneggiatura. 
Non sarebbe necessaria molta fatica.




Virginia D. Capitolo 26. Cose preziose.



Dopo alcune settimane di convivenza, incominciai ad avere più chiaro qual era il sistema di valori di Virginia, il suo indice delle priorità.
Come ho già detto, aveva interrotto i rapporti con la famiglia D. , in cui era cresciuta. Non diceva mai "la mia famiglia", ma sempre "la famiglia in cui sono cresciuta", come se l'avessero adottata, anche se lei escludeva questa ipotesi.
La famiglia D. l'aveva tenuta sotto stretta osservazione fino a che lei non era diventata maggiorenne. Da quel momento aveva incominciato a godere di una semi-libertà, ma non avendo denaro, e dovendo fare una vita da pendolare per frequentare l'università, era rimasta sotto la cappa oppressiva dei D. fino a quando non era venuta a vivere da me.

emmy rossum flores

Si era portata dietro alcune valigie piene di vestiti, di scarpe, di borse e altri accessori che aveva comprato con il denaro che aveva guadagnato in alcuni lavori estivi, dopo l'esame di maturità.
Non conosceva nessun altro tranne me, nella città dei mille portici. Dipendeva da me e dalla mia famiglia in tutto.
Era riuscita a conquistare la fiducia dei miei genitori, il che era molto strano, perché i miei erano, all'epoca, persone molto apprensive, e non avrebbero mai immaginato una convivenza tra me e una compagna di università che avevo conosciuto da poco più di un mese.
Quando li incontrò la prima volta, nella mia città natale, io all'inizio ero molto timoroso e invece lei fu perfetta.
Si rivolse a loro con una dolcezza e un affetto così spontanei che pareva quasi che vedesse nei miei una sorta di famiglia adottiva. Sembrava che li conoscesse da sempre. Suscitò subito in loro altrettanta cordialità e affetto, cosa che mi fece contento, ma che molto meravigliato.
E così, la mia famiglia, era divenuta, la seconda "cosa preziosa" nel suo indice, dopo di me.
La terza priorità era certamente quella che io chiamerei una sorta di religione della bellezza.

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Questa forma di estetismo era nata attraverso la sua venerazione per la civiltà classica greco-romana ed il concetto tipicamente classico di "bontà della bellezza".
Non era una passione superficiale o frivola.
Virginia amava l'arte, la letteratura e il cinema. Leggeva molto.
Ma la sua esigenza di completezza non la confinava nella torre d'avorio autoreferenziale degli intellettuali puri.
Era consapevole di avere avuto il privilegio di essere nata con un corpo molto bello, ma era altrettanto consapevole che la bellezza si poteva mantenere e valorizzare solo al prezzo di notevoli sacrifici.
Per questo seguiva una dieta molto spartana, camminava molto e a passo spedito, e a casa faceva esercizi ginnici e mi insegnava le mosse delle arti marziali.


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Aveva una notevolissima abilità nel make-up e nella manicure e pedicure. Inoltre era molto abile anche nel curare i suoi lunghi e splendidi capelli, senza bisogno di dover ricorrere troppo spesso al parrucchiere. E riguardo al vestiario e agli accessori era capace di trovare ottime cose a prezzo stracciato. Era un genio dello shopping. 
Quando uscivamo insieme la sera, lei era assolutamente perfetta e irresistibile.
Gli uomini la guardavano ma lei non li guardava nemmeno ed io ero rassicurato anche dal fatto che lei, conoscendo le tecniche di autodifesa, sapeva badare a se stessa, se qualcuno si fosse mostrato molesto.
Eravamo una bella coppia, ma a volte qualcuno si azzardava a chiedere se fossimo fratello e sorella, perché ci assomigliavamo. Era una cosa che mi turbava ogni giorno di più.
Lei invece la prendeva sul ridere.

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In genere uscivamo il venerdì sera e il sabato sera, prima per un aperitivo, poi a cena, poi al cinema e infine tornavamo a casa molto eccitati e desiderosi l'uno dell'altra, anche se la magia perfetta della nostra prima volta non riuscì mai ad essere superata ed era destinata a rimanere un vertice assoluto e irripetibile.

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In tutti gli altri giorni, invece, dedicavamo le nostre energie al dovere.
Le lezioni, lo studio, i lavori domestici, le commissioni quotidiane. 
Devo dire che lei aveva una capacità organizzativa e amministrativa straordinaria.
Aveva preso le redini della situazione e vista l'efficienza e l'efficacia con cui sapeva gestire il tutto, io finii per delegarle ogni potere decisionale.
Lo stesso errore che aveva commesso mio padre e che lo aveva sostanzialmente esautorato di ogni effettiva autorità nell'amministrazione di tutta la vita familiare.
Persino i miei genitori avevano incominciato a chiederle consigli. Era incredibile. Due mesi prima non la conoscevamo nemmeno, e in così poco tempo era divenuta l'astro nascente, il nuovo sole della mia famiglia, la cui luce oscurava quella di tutti gli altri, a partire da me.
Non era una cosa normale, ma apparentemente sembrava una fortuna.
Erano tutti così affascinati e conquistati da lei che nessuno osava dire che non era affatto prudente affidare tanta autorità ad una persona del cui passato non si conosceva quasi nulla.




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Emmy Rossum - Virginia D.

P.s. Il titolo del capitolo è una citazione dello splendido romanzo "Cose preziose" di Stephen King

Il gatto quotidiano.

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Virginia D. Capitolo 25. Studentessa modello.



Io ero bravo nello studio, ma Virginia era molto più brava di me.
Aveva una capacità di attenzione e di concentrazione, durante le lezioni, in università, che le permetteva di memorizzare immediatamente tutti i concetti, per cui, nel momento del ripasso, riusciva a procedere veloce.
La invidiavo, lo ammetto. Mentre lei andava avanti spedita, io arrancavo.
Al liceo ero stato il più bravo della classe e avevo dato per scontata la mia abilità nello studio, ma Virginia mi dimostro che ero solo un dilettante, e fu così che per la prima volta in vita mia, capii le ragioni di chi aveva difficoltà negli studi.
Non riuscivo ad organizzarmi bene, ero distratto, certe questioni mi annoiavano, altre mi parevano incomprensibili, altre ancora non riuscivo a tenerle a mente.
In particolare la mia debacle, il mio Vietnam, fu il latino, la materia dove invece Virginia eccelleva in maniera spudorata.



<<Ma come fai, Virginia? A volte mi sembra che sia il latino la tua lingua madre. La capisci troppo bene! Io non ci sto dietro. E non è solo per la grammatica, ma anche in letteratura, dove pensavo che nessuno potesse battermi, adesso mi trovo impantanato nella questione della metrica. Non mi va in testa>>
Lei non appariva meravigliata:
<<Sono cresciuta in un famiglia dove il latino era tenuto in grande considerazione>>
Era rarissimo che lei parlasse della sua famiglia, per cui presi la palla al balzo:
<<Come mai?>>
<<Credo per motivi... come dire... religiosi>>
<<Ma la messa in latino è stata abolita prima che i tuoi nascessero!>>
Virginia sospirò:
<<Non stavo parlando della messa. La loro religiosità si potrebbe definire, anche se impropriamente, "eretica">>
Quella sì che era una sorpresa.
Eppure facevo fatica a collegare quella ragazza così perfetta con una famiglia di origine così strana.



<<Eretica in che se senso?>>
<<Non è facile da spiegare, Luca, e non so se ti piacerebbe>>
<<Ho promesso che, qualsiasi cosa tu possa dirmi, il mio amore per te non cambierà. Anzi, se sarai sincera, ti amerò ancora di più>>
Lei rimase pensierosa per un po', poi mi disse, abbassando la voce e con un certo timore:
<<Tu sai cosa sono le religioni misteriche?>>
Una fitta di paura mi chiuse lo stomaco:
<<Erano le religioni riservate ai solo iniziati ai sacri misteri. Ma esistevano solo nell'antichità, mi ricordo per esempio i misteri dionisiaci o bacchici, oppure i misteri del culto di Iside, i misteri orfici e anche quelli di Mitra, il Sol Invictus. Si tratta di culti che si sono estinti migliaia di anni fa>>
Lei mi guardò con aria solenne:
<<Non si sono estinti. Si sono solo nascosti. Il Silentium è il loro giuramento più vincolante. Ora capisci perché non ne voglio parlare?>>
Ero sconvolto. Improvvisamente capii che tutte le paure e tutti i sospetti che avevo avuto fin dall'inizio non erano poi così campati in aria come io credevo.
<<Anche tu hai giurato di rispettare il Silentium?>>
Lei scosse il capo:
<<No, io non sono stata iniziata. Non ho voluto. Voglio una vita normale e la voglio con te, con la tua famiglia, che diventerà la nostra famiglia. Io mi sento più simile a voi>>



<<Con me avrai la vita che desideri. Spero che loro non si opporranno>>
Confesso che incominciavo ad avere paura.
Virginia mi sembrò improvvisamente solo una ragazza spaventata. E tra le cose che la spaventavano c'era anche la sua stessa, apparente, perfezione.
Si rivolse a me con dolcezza:
<<Lo so, con te non mi mancherà niente. Loro non si opporranno, se rispetterò alcune condizioni, tra le quali c'è il divieto di parlare di alcuni argomenti, come per esempio il mio cognome>>




Tutti i miei sospetti si stavano rivelando più che fondati. Sentivo di essermi cacciato in un mare di guai. Si trattava di pericoli terribili. Ecco perché Virginia era così diversa dalle altre ragazze: perfetta da un lato, ma riservatissima dall'altro. 
La famiglia D. in cui era cresciuta le aveva trasmesso molte cose preziose, ma ad un prezzo troppo alto, molto più alto di quanto potessi nnche solo lontanamente immaginare. 



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Emmy Rossum - Virginia D.

lunedì 14 aprile 2014

Virginia D. Capitolo 24. Relazioni pericolose e mezze verità.



Avevo cercato di tenere nascosto a mia madre il fatto che Virginia si fosse trasferita da me. Ad essere sinceri, avevo semplicemente detto che "mi stavo vedendo con una tipa", senza aggiungere altro. Dopotutto i miei abitavano in un'altra città, a settanta chilometri di distanza.
Ma si sa, le madri hanno le antenne e possono captare, come dei radar, anche i minimi segnali di anomalia.
Quando mi resi conto che mia madre stava sospettando qualcosa, dissi a Virginia che non potevo mantenere il segreto ancora a lungo.
Lei annuì e con una certa sicurezza, che forse indicava una premeditazione, prese in mano una foto di mia madre da giovane e la studiò attentamente.
<<Non preoccuparti, Luca. Penso che io e tua madre potremmo andare d'accordo>>
Io ero perplesso:
<<Come fai a dirlo? Non la conosci. Hai visto solo qualche sua foto. Il fatto che da giovane ti assomigliasse molto fisicamente non significa nulla>>
Virginia sorrise con aria furba:
<<Tu non te ne accorgi, ma parli di lei molto più di quanto credi. Ed io sono molto attenta sia ai dettagli che al quadro d'insieme. E' inevitabile che lei, guardandomi, rivedrà se stessa com'era trent'anni fa>>



Non ne ero molto convinto, ma c'erano alcune cose che potevano influire positivamente, oltre alla somiglianza fisica. Per esempio anche mia madre era stata un'ottima studentessa, specie in latino e greco. Su quel punto si sarebbero intese di sicuro. 
Però la questione della convivenza non sarebbe stata facile da digerire, perché avevamo a malapena vent'anni ed era troppo presto.
Mi venne un'idea:
<<Potrei, a tempo debito, fare un accenno a un tuo dato personale che forse potrebbe rivelarsi decisivo>>
Virginia capì al volo cosa intendevo dire:
<<Tu autorizzo a farlo, come prova indiscutibile del fatto che sono una brava ragazza>>
Ma era poi così indiscutibile come prova, il fatto di essere rimasta vergine fino a diciannove anni?
Per una ragazza così attraente, forse sì, ma la cosa avrebbe sollevato altre domande, alle quali ancora nemmeno io avevo ricevuto una risposta.
<<Potrebbe farti alcune domande a cui non hai voluto rispondere nemmeno a me>>
Virginia mi fissò, con aria meditativa:
<<Da quel che ho capito è una persona educata. Conosce sicuramente le buone maniere. No, stai tranquillo, Luca. Le basterà guardarmi negli occhi per fidarsi di me. Come tu hai detto, giustamente, io e lei abbiamo gli stessi occhi. Le stesse sopracciglia. Lo stesso sorriso. E' impressionante come questi tratti si siano trasmessi di generazione in generazione: prima tua nonna, poi tua madre, poi te. In un certo senso, io potrei sembrare tua sorella. E tua madre potrebbe vedermi come una figlia>>



Aveva pronunciato quel discorso tenendo fissi gli occhi su di me, ed io ne ero come ipnotizzato.
Non sapevo cosa dire, il che era grave, per uno come me, che parla decisamente troppo.
L'unica frase che mi venne in mente non aveva molto senso, ma fu esattamente quello che dissi:
<<Tu sei alta quasi come me. Mia madre è più bassa. L'altezza l'ho ereditata da mio padre>>
Virginia sorrise dolcemente, come se io avessi detto qualcosa di romantico.
Rimase pensosa, poi disse soltanto:
<<Anch'io>>





Decisi di approfittare di quell'occasione per porle di nuovo una domanda che mi stava a cuore:
<<Perché non mi parli mai dei tuoi genitori, Virginia?>>
Lei sollevò le spalle:
<<Perché ti interessa tanto questo argomento?>>
<<Io ti amo, Virginia. Mi interessa tutto di te. Voglio conoscerti meglio, essere parte della tua vita. Condividere i tuoi ricordi. Tu stessa mi hai detto che siamo anime gemelle. Io capirei subito le tue ragioni, senza bisogno di girarci troppo attorno>>
Lei parve rattristata:
<<E' proprio per questo che preferisco essere più graduale nel raccontarti la mia storia. Capiresti le mie ragioni, certo, ma adesso le troveresti insufficienti. Non è ancora il momento. Anche io ti amo, e confermo quello che ho detto: siamo anime gemelle ed ora che ti ho trovato, non voglio perderti. Sai che ti dico la verità. Fidati! Avrai tutto il tempo per conoscermi meglio, giorno per giorno e quando il nostro legame si sarà consolidato, tutto ti sarà chiaro>>
Diceva la verità, certo.
Ma era soltanto una mezza verità, e le mezze verità, a volte, sono più pericolose delle menzogne.




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Emmy Rossum - Virginia D.

Virginia D. Capitolo 23. La divina indifferenza e la legge dell'attrazione.



Fin dai primi giorni della nostra convivenza, ebbi modo di notare che l'atteggiamento di base di Virginia, nella quotidianità, era impostato su una certa nonchalance, una presa di distanza vagamente annoiata, quasi blasé, che la rendeva simile a un gatto quando non c'è nulla che gli sembri degno di attenzione.
Questo atteggiamento la rendeva forse meno simpatica, ma decisamente più attraente.
E questo non solo per il fatto che tendiamo a desiderare di più ciò che ci sembra di non poter avere, ma anche perché l'indifferenza viene percepita come un attributo di superiorità.



Questo accade perché chi appare indifferente mostra di non dare importanza al contesto. E' come se dicesse: "Tutti voi non contate niente per me. Non avete alcun valore".
E' la massima forma di disprezzo, perché se qualcuno si prende la briga di esprimere il suo disprezzo a parole con gesti, mostra comunque di ritenere degno di attenzione l'oggetto del suo disprezzo.
Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la divina indifferenza.
Montale l'aveva detto meglio di tutti.
Divina, certo, perché l'indifferenza è l'attributo della divinità classica nei confronti dei comuni mortali, che ai suoi occhi non contano nulla.



Il senso di superiorità, comunicato tramite l'indifferenza, genera attrazione perché noi tendiamo a pensare che chi appare superiore sia una persona sicura di sé, e la sicurezza di sé è qualcosa di estremamente attraente.



Se poi all'indifferenza si aggiunge, qualora proprio non sia possibile in alcun modo far finta di niente, una leggerissima aria di noia e di lieve fastidio, il senso di superiorità e l'impressione di sicurezza di sé, e quindi di autostima, sono moltiplicate.





Nel caso specifico di Virginia, si trattava di una abitudine che le era divenuta spontanea, ma che, come appresi in seguito, aveva richiesto un lunghissimo e notevole esercizio.
Per molte persone, tra cui non esito a mettere anche me stesso, non si tratta nemmeno di una scelta consapevole, quanto piuttosto di un meccanismo di difesa dell'Io con esito paradossale, in quanto un atteggiamento finalizzato a tenere a distanza gli altri per non soffrire o per non perdere tempo o non mettersi in discussione, genera il suo opposto, cioè attrae nella nostra orbita proprio coloro che teniamo a distanza.
Per altre persone, invece, può essere una strategia deliberata, del tipo "chi disprezza, compra", ma in ogni caso il risultato è lo stesso e rientra in una sorta di legge di attrazione universale.
Non sapevo se Virginia ne fosse o meno cosciente, in quel periodo. Eravamo troppo giovani entrambi, in un'età veramente difficile, in un contesto sociale e storico altrettanto difficile.
L'unica cosa che mi chiedevo realmente era se io fossi soltanto, per lei, una specie di trampolino di lancio per una scalata sociale. La vedevo bene come gran dama che passa il tempo a fare shopping con due minuscoli cagnolini al guinzaglio.



In realtà la situazione era estremamente più complessa e gli obiettivi di Virginia erano molto diversi da quelli di una mera arrampicatrice sociale.
Del resto, avrebbe potuto scegliere trampolini di lancio molto migliori di me, se la scalata sociale fosse stata il suo obiettivo.
No, la sua strategia era un'altra, con altre finalità, ma me ne resi conto solo quando era troppo tardi.



Virginia D. Capitolo 22. Il mutare della marea.

EMMY ROSSUM 4

Dopo sole tre settimane di frequentazione, Virginia decise che eravamo pronti per la convivenza e si presentò con un mare di valige occupando i tre quarti del mio alloggio.
Io ero inconsapevolmente felice, come tutti gli innamorati che idealizzano la persona amata.
Non avevo la più pallida idea di cosa mi aspettava.
Certo ero rimasto meravigliato, perché, lei aveva preso la sua decisione senza avvertirmi, dando per scontato che io l'avrei accettata senza battere ciglio, cosa che in effetti avvenne.


EMMY ROSSUM 3

Non avvertii, in quel momento, il mutare della marea.
Avrei dovuto rendermi conto che Virginia si stava comportando da padrona in casa mia, come, più in generale, nella mia vita.
Mi sembrava, invece, un onore il fatto di convivere, a soli 19 anni, con una ragazza così bella, intelligente, elegante e brillante.

EMMY ROSSUM 1

Immaginavo che tutti i giorni e le notti che avremmo passato assieme sarebbero state fantastiche come la prima volta. Credevo che quello fosse solo il principio di una felicità destinata a crescere. Non mi accorsi, invece, che l'apice era stato già raggiunto: era quella la felicità, era quello il momento, era quello. 
Una volta raggiunta la vetta, non si può far altro che scendere.
Felicità raggiunta, si cammina per te, su fil di lana... scriveva Montale.

EMMY ROSSUM 5

Da quel momento in poi tutto divenne più complicato. Tutti gli indizi che fino ad allora mi erano parsi soltanto delle paure infondate, incominciarono a rivelarsi qualcosa che non avrei mai potuto nemmeno immaginare.



Starring

Emmi Rossum - Virginia D.