L’Ucraina è indipendente dal 1991, dopo aver fatto parte dell’URSS dalla Pace di Riga del 1921, che assegnò Galizia e Volinia alla Polonia di Pilsudski e lasciò il resto come Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina. La Crimea, una fondamentale penisola sul Mar Nero, è parte del territorio ucraino dal 1954, quando Nikita Krushev la donò all’Ucraina nonostante la sua prevalenza etnica russa, dando, de facto, alla Russia, l’autorità di lasciare la propria flotta nel porto di Sebastopoli, fondamentale dal punto di vista strategico. Non a caso, già nella Guerra di Crimea del 1853-1856, conclusasi con la Conferenza di Parigi che sancì la neutralizzazione degli stretti di Bosforo e Dardanelli e la perdita della Russia della regione della Bessarabia, la Crimea assumeva un ruolo fondamentale nello scacchiere geopolitico e militare russo.
Attraverso le mappe fornite dal New York Times è possibile chiarire ulteriormente come queste vicende storiche si sono tradotte in una eterogenia pronunciata delle etnie che convivono nel paese.
Con il colore arancione sono evidenziate le regioni di prevalenza ucraina, che stanno appoggiando la rivolta nel paese, con il blu quelle con prevalenza etnica russa, come appunto la Crimea ed altre regioni del sud est che, invece, appoggiano le fazioni al potere e l’influenza russa sul paese. Tale influenza è per lo più generata dalla fitta rete di gasdotti che, partendo da Russia e Bielorussia, attraversano il paese fornendo gas non solo a Kiev ma a molti paesi dell’Unione Europea, come mostra la mappa successiva.
Cosa sta accadendo?
Il governo ucraino è presieduto da Serhiy Arbuzov dal 2010 e sostiene il Presidente ViktorYanukovych, esponente della matrice filo-russa del paese. Al partito al governo si oppongono tre partiti principali: Alleanza Democratica Ucraina per la Riforma (40 seggi) guidata dall’ex campione del mondo di pugilato Vitali Klitschko, Unione Pan-Ucraina “Libertà” (37 seggi) di matrice nazionalista e manifestamente anti-russo e Unione Pan-Ucraina “Patria” (101 seggi) della celebre Yulia Timoshenko, filo-euopesita. Questi hanno appoggiato le rivolte nel paese che, invece, sono state osteggiate da gruppi militari filo-governativi, che si dice finanziati direttamente da Mosca. Il movimento anti-governativo nasce dal malessere dell’opinione pubblica in merito al sistema clientelare messo in piedi dal governo che, in questo modo, ha capillarizzato il suo controllo sul territorio avvalendosi di una politica estrema e radicale di Spoil System nella gestione di appalti e nomine nel settore amministrativo. Attualmente il paese, dunque, si trova spaccato tra filo-russi, che intendono mantenere il controllo del paese o sono comunque spaventati dall’eventualità di emarginazione dal settore pubblico, e dei filo-europeisti che intendono staccarsi dal controllo russo, fondamentale dal punto di vista energetico e in considerazione della popolazione mista del paese, dove anche la minoranza dei Tartari contrasta Mosca, memore delle deportazioni staliniane. In questo contesto fondamentale è la Crimea che, come visto, è prevalentemente abitata da russi ed è attualmente sede di uno dei maggiori distaccamenti dellaflotta russa con circa 60 navi d’istanza a Sabastopoli, con un permesso attualmente prorogato dal 2017 al 2042. Dopo l’avallo del Senato alla proposta di Putin di occupare la regione, sono stati inviati da Mosca circa 6000 soldati che, secondo fonti indipendenti non altrettanto attendibili, potrebbero aver raggiunto, invece, già il numero di oltre 25.000 unità. Il Consiglio di Sicurezzadelle Nazioni Unite si è riunito sabato, senza giungere ad alcuna conclusione decisiva in merito alla delicata questione. Come sottolineato dal Ministro degli Esteri inglese, dal portavoce della diplomazia dell’Unione Europea e dal Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, l’azione consiste in una chiara violazione della sovranità territoriale ucraina, se non in un atto di aggressione ai sensi dell’art.2 par.4 della Carta dell’ONU. La Crimea ha autoproclamato un incremento del suo regime di autonomia e le Camere di Mosca stanno valutando la previsione di un trattato di annessione (assolutamente nulla dal punto di vista del diritto internazionale). L’Ucraina detiene un debito di oltre 1.55 miliardi $ con la sola Gazprom e la questione è da sempre uno dei punti chiave delle frizioni russo-ucraine. Nel 2006, infatti, proprio a causa di un ritardo nei pagamenti delle forniture di gas, Mosca decise di “chiudere i rubinetti” verso Kiev, con devastanti effetti per le forniture di molti paesi europei, tra cui l’Italia, che hanno dipendenza fondamentale dallo stream ucraino.
Putin, dunque, sembra sfruttare i disordini per favorire la riapertura di una questione mai rimarginatasi sul territorio ucraino come quella della secessione della Crimea, al fine di mantenere salda la sua morsa sull’Europa che ha proprio nella pedina ucraina uno dei punti fondamentali dello scacchiere, a causa delle questioni energetiche appena accennate. D’altro canto, l’Europa, a braccetto con gli USA, difende la posizione dell’etnia ucraina, chiaramente attratta dalle forme di tutela dei diritti umani e dalle libertà economiche offerte dall’eventuale adesione all’UE. Sarà guerra? Probabilmente no ( o meglio ci auguriamo non sia effettivamente auspicabile), ma in ogni caso, la questione mette in luce l’antico problema russo della costante ricerca di uno sbocco sui “mari caldi” per fini commerciali, l’attuale insufficienza europea dal punto di vista energetico e la rivalità mai cessata tra l’occidentalismo delle libertà civili e del liberismo e il suo riflesso speculare dell’ex Unione Sovietica.
l’Ucraina è una pedina di un gioco più grande: per i russi è una irrinunciabile componente della sua identità e del progetto di Unione Euroasiatica. Per gli Usa è stata probabilmente
una buona occasione per mettere in imbarazzo sia Putin (reduce da un 2013 pieno di successi diplomatici, a partire dalla Siria, e che sia apprestava a celebrare il suo trionfo alle Olimpiadi di Sochi), sia l’Unione Europea. Come già in passato gli Usa avevano caldeggiato l’adesione della Turchia alla UE, con l’obiettivo di espanderla e di diluirla, così oggi potrebbero vedere nell’Ucraina - povera, controversa, concorrenziale in agricoltura, ma enorme e troppo grossa da infrastrutturare - il candidato ideale per indebolire definitivamente il progetto europeo.
Del resto, la crisi ucraina ha già dimostrato la debolezza e l’inconsistenza della cosiddetta politica estera comune europea. L’intera faccenda dell’accordo di associazione è stata appaltata agli Stati membri che per le ragioni dette sopra avevano maggiori legami con l’Ucraina (Polonia, Svezia e Lituania), mentre l’accordo tra Yanukovich e l’opposizione è stato mediato dai ministri degli esteri di Germania, Francia e Polonia, scavalcando la poco apprezzata baronessa Ashton, nominalmente ministro degli Esteri dell’Unione Europea, che comunque a Kiev ha avuto finalmente un minuto di gloria (“la nuova Caterina la Grande” è stata definita dai quotidiani locali, con notevole esagerazione).
L'Italia - che è il secondo partner commerciale dell'Ucraina, il primo importatore nell'Europa Occidentale, che ha legami storici con il paese (in Crimea sono le grandi fortezze veneziane e genovesi, e un'
antica comunità italiana), che ospita una comunità ucraina di 300 mila persone - come al solito era assente dalla scena.
L’Europa, a voler essere benevoli, ha dimostrato una forte confusione quanto agli obiettivi da raggiungere, scarsa conoscenza del terreno e della storia (per esempio identificando in Julja Timoshenko un leader credibile e unificante), contraddittorietà nelle sue molteplici espressioni, tanto che il vicesegretario di Stato Usa Viktoria Nuland è stata intercettata dai russi mentre commentava “fuck the Eu!”.
Sostanzialmente la Ue ha la grave colpa di aver destabilizzato il paese senza avere una exit strategy e senza aver calcolato la particolare suscettibilità russa. In un mondo ancora dominato dall’hard power, gli europei hanno confidato troppo nel linguaggio del soft power, fatto di democrazia e rule of law, ma senza offrire mai la prospettiva della full membership. L’Unione Europea, del resto, già con 28 Stati membri è ingestibile, e il referendum svizzero ha segnalato una enlargement fatigue derivante da una politica di frontiere troppo aperte - un sentimento che probabilmente sarebbe condiviso anche dagli altri cittadini europei, se solo fossero lasciati liberi di esprimersi.
Solo la Russia finora si era offerta di pagare il debito pubblico ucraino - che è stato appena declassato da Standards and Poor’s a CCC, ben al di sotto di quello greco, ed è quindi pericolosamente sull’orlo del default. Questo nonostante il pil del paese cresca all’invidiabile tasso del 2% annuo.
Insomma, l’Ucraina è in mezzo ad attori che non sanno esattamente cosa farne, e che non vogliono pagarne il conto.
Gli eventi di questi giorni si susseguono concitati, ed è difficile dire che cosa succederà. Anche se Yanukovich (che mentre scrivo ha abbandonato la capitale) si dimettesse, non si può ignorare che egli rappresenta una parte importante del paese che non ha minimamente partecipato agli scontri. Yanukovich non è un dittatore, ma un presidente eletto, anche se con parecchi brogli. Finito lui, la sua constituency e gli oligarchi troveranno qualcun altro.
Personalmente non credo allo scenario estremo, quello di una completa scissione del paese. Meno improbabile è il distacco di alcune parti, come la Repubblica autonoma di Crimea, che è in Ucraina solo perché regalata da Chruščëv, che è unita al resto dell’Ucraina da uno stretto istmo (e potrebbe invece essere facilmente unita alla Russia da un
ponte sopra lo stretto di Kerch) e che ha un’importanza fondamentale per la Russia, ospitando la grande base della flotta meridionale a Sebastopoli. Uno scenario molto simile a quello delle vicine repubbliche caucasiche dell’Abhazia (molto vicina alla sede olimpica di Sochi) e dell’Ossezia, resesi indipendenti dalla Georgia, sotto protettorato militare russo.
L’Ucraina intanto rischia di diventare preda delle potenze emergenti. Il paese è sostanzialmente un'enorme pianura agricola, percorsa da fiumi grandissimi, con un terzo del miglior terreno fertile del mondo, del tutto sottoutilizzato (non ho mai visto moderni macchinari agricoli). Già 100 mila ettari sono diventati l’anno scorso
proprietà di una corporation cinese e dovrebbero diventare nei prossimi anni 3 milioni: si tratta del 5% del territorio dell’intero paese. Non a caso Yanukovich dopo la Russia ha visitato anche la Cina.
La Cina (ed altri paesi che hanno abbondanza di valuta e poco terreno coltivabile e acqua, come i paesi arabi) è interessata a investire in acquisizioni territoriali, anche per esportarvi manodopera in eccedenza. È il fenomeno del cosiddetto “
land grabbing”, che finora ha riguardato l’Africa. Agli occhi dell’attuale oligarchia ucraina, il pregio della politica estera cinese è di non mettere mai in discussione i regimi politici con cui commercia. Un atteggiamento ben più conciliante rispetto alle pesanti
conditionalities che pone l’Unione Europea.
Insomma, mentre Russia e Occidente ripetono vecchi scenari figli della guerra fredda, il terzo incomodo fa buoni affari e mette un piede alle porte dell’Europa.
(24/02/2014)