martedì 21 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 49. Come Giulietta e Romeo

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La storia d'amore tra Francesco e Silvia fu contrastata dalle loro famiglie, per una ragione che sembra appartenere all'epoca di Shakespeare. 
Ma andiamo per gradi.
All'inizio, prima dell'amore e prima ancora dell'amicizia, per Silvia e Francesco ci fu l'appartenenza comune a un gruppo di amici-colleghi che amavano trascorrere insieme le serate e le vacanze.
Ci furono viaggi a Parigi, Londra, Praga, Vienna, Budapest,e in altre capitali europee.
Ci furono vacanze in Sardegna, alle Tremiti, alle Baleari, in Croazia a Dubrovnik e in Grecia.
Anni di spensieratezza e di divertimento, tra il 1970 e il 1973, durante i quali maturò prima una certa attrazione fisica, poi una vera e propria passione e infine un sentimento destinato a crescere per sempre.
Silvia fu certamente più fortunata di sua madre Diana, perché alla fine riuscì a sposare l'uomo che amava, ma non fu affatto facile.
Del resto gli amori contrastati sono sempre i più romanzeschi.
Ettore Ricci, prima ancora di apprendere dell'innamoramento di Silvia e Francesco, il figlio del suo grande nemico Romano Monterovere, era già in rotta di collisione con la figlia, di cui disapprovava i viaggi e lo stile di vita a suo giudizio troppo disinibito e dispendioso.
Un esempio di questa disapprovazione rimase negli annali.
L'episodio avvenne quando, di ritorno da Parigi, Silvia si era fatta spedire un tavolino Luigi XV da mettere nel Salotto Liberty, perché in fondo il Rococò e il Floreale vanno d'accordo.
Ettore guardò quel fragile tavolino con orrore, immaginando quanto fosse costato e profetizzò:
<<Non arriverà ad aprile>>
Lo disse in dialetto romagnolo, per enfatizzare il concetto: "un'arivarà ad abril"
Si sbagliava: esiste ancora oggi, ma in altro salotto, quello della residenza forlivese della famiglia Monterovere.
Ma il vero dramma si ebbe quando, nel 1973, Silvia e Francesco ufficializzarono il loro fidanzamento.
Francesco aveva scelto come "location" per la sua formale richiesta di matrimonio un luogo collinare davvero romantico, chiamato Oriolo dei Mille Fichi.
Un anello di zaffiro e diamanti sigillò la loro promessa (purtroppo tale anello fu rubato più di quarant'anni dopo, quando la residenza dei Monterovere a Forlì fu ripulita da una banda di immigrati, indirizzati lì dalla badante dell'ultracentenaria ex governante degli Orsini, la decrepita Ida Braghiri).
Quando l'ufficializzazione del fidanzamento fu comunicata alle famiglie, la reazione fu molto problematica.
Sia i Monterovere che i Ricci-Orsini, manco fossero i Montecchi e i Capuleti magicamente catapultati negli Anni Settanta del XX secolo, reagirono con freddezza, se non addirittura con palese ostilità.
Manco a dirlo, il più contrario di tutti a queste nozze fu Ettore Ricci.
Non è il caso di riportare la sfilza di bestemmie e imprecazioni varie contro tutti i santi del paradiso, e nemmeno gli appellativi non lusinghieri destinati alla figlia.
Il suo bersaglio divenne subito il futuro genero.
Il fatto che sua figlia sposasse un intellettuale squattrinato era una cosa inconcepibile.
<<Scommetto che è un comunista come tutti i Monterovere! Che poi fanno i comunisti, ma hanno i soldi a palate! Facile per loro fare i comunisti con i soldi degli altri!>>
Anche quest'ultima frase fu pronunciata efficacemente in dialetto: "fe' i comunestar cun i baioc ad chietar".
Biasimò se stesso per aver tollerato che la figlia studiasse in quel covo di comunisti che era l'Università di Bologna, e che poi lavorasse in quell'altro covo di comunisti che era la Pubblica Istruzione.
Si vantò di avere solo la quinta elementare, nonostante sua madre, la maestra Clara, lo avesse pregato di proseguire gli studi, <<perché ero intelligente, io, cosa credi!>>
Poi passò all'inevitabile confronto con le sorelle di Silvia.
Ettore infatti avrebbe preferito di gran lunga un matrimonio come quello della terzogenita Isabella, che seguendo le orme della sorella primogenita Margherita, maritata ad Ercole Spreti di Serachieda, aveva contratto nozze prestigiose con un altro nobile latifondista, Saverio Zanetti Protonotari Campi di Villa Erbosa,  il quale aveva accresciuto l'estensione del Feudo Ricci-Orsini, e cioè 
Saverio Zanetti era  proprietario di una delle vigne più preziose della zona, nella Tenuta dell'Erbosa, che comprendeva anche frutteti e orti a coltivazione intensiva.
Di fatto, la preziosissima Tenuta dell'Erbosa, dove Isabella e Saverio erano andati a vivere col figlioletto Alessio, fu annessa all'ormai sterminato Latifondo Ricci-Orsini-Spreti-Zanetti.
Quello sì che era stato un affare!
Il Feudo andava oltre i confini stessi della Contea di Casemurate, toccando la Caserma, Pievequinta, San Zaccaria, San Pietro in Campiano e altre simili metropoli.

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E poi naturalmente Ettore si scagliò contro Romano Monterovere, socio amministratore dell'Azienda che stava realizzando il progetto del Canale Emiliano Romagnolo, destinato a spezzare in due il Feudo Orsini-Ricci-Spreti-Zanetti, con requisizioni previo equo indennizzo.
Ettore Ricci aveva incontrato di persona Romano Monterovere prima di sapere che i loro figli si fossero innamorati.
L'incontro tra i due futuri consuoceri era terminato quasi in una rissa.
Per tutto il tempo non avevano fatto altro che disputare una sorta di braccio di ferro sulle loro reciproche amicizie politiche in alto loco.
Ettore Ricci aveva citato suo nipote il Senatore Leandri, democristiano, oltre che il solito cognato giudice Papisco, e il figlio di lui, Goffredo, direttore della Bancaccia, e naturalmente l'immancabile Signorina De Toschi, oramai in quota andreottiana.
Si trattava di pezzi grossi, senza dubbio, ma non sufficienti per spaventare la famiglia Monterovere.
Romano Monterovere aveva nominato in primis suo fratello Tommaso, dirigente comunista e assessore alle opere pubbliche della Regione Emilia-Romagna, e in secundis suo cognato Mario Lanni, avvocato socialista e assessore alle infrastrutture del comune di Ravenna.
Ma la più ostile di tutti fu la zia di Francesco.
Anita Monterovere, che aveva sperato che il nipote sposasse una sua giovane collega insegnante elementare, si sentì tradita e defraudata, soprattutto quando venne a sapere che la prescelta di Francesco era considerata un'ereditiera.
Evitò accuse dirette, ma si capiva lontano un miglio che si era messa in testa l'idea che suo nipote stesse tentando una scalata sociale.
I fratelli di Francesco e le sorelle di Silvia si mantennero inizialmente neutrali, per quanto tutti loro, facendo inconsciamente conto sull'idea che il primo rimanesse scapolo e la seconda nubile, incominciarono a rimpiangere tutta quella parte di eredità che avrebbe preso la via per Forlì.
Unici parenti favorevoli da parte di Francesco erano sua nonna Eleonora, la sorella di lei Athina e il marito di quest'ultima, il pro-pro-zio Carlo Bassi-Pallai, un vecchio quasi centenario che aveva commentato senza mezzi termini : 
<<Questa Silvia ha proprio un bel sedere a mandolino!>>
Da parte di lei la situazione era più complessa, ma c'erano comunque degli alleati di rilievo.
La madre Diana e la nonna Emilia avevano dato la loro approvazione e il loro sostegno.
In tutta questa faida tra il clan Monterovere e il clan Ricci-Orsini, Francesco e Silvia si ritrovarono ad essere, proprio in un periodo di grandi conquiste sociali e civili come gli Anni Settanta, a vivere una situazione simile a quella di Giulietta e Romeo.
Fortunatamente per loro, le cose andarono a finire meglio rispetto ai due personaggi shakespeariani.

lunedì 20 marzo 2017

E' morto a 101 anni il banchiere David Rockefeller: ecco l'albero genealogico della sua potentissima famiglia.

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David Rockefeller (New York12 giugno 1915 – Pocantico Hills20 marzo 2017) è stato un banchiere statunitense nonché uno dei fondatori del gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale. Era considerato il Leader del Nuovo Ordine Mondiale.

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David è stato il più giovane dei figli di John Davison Rockefeller Jr., l'ultimo ancora in vita, il patriarca della famiglia. La sua ricchezza è stata stimata da Forbes in circa 3 miliardi di dollari[1], e per questo è sempre stata presente nelle classifiche delle persone più ricche del mondo. Tra le attività non imprenditoriali ha figurato la presidenza del Museum of Modern Art di New York nel periodo 1962-1972 e poi nuovamente 1987-1993. Nel corso della sua lunga carriera dirigenziale ha ricoperto ruoli di rilievo in alcune delle più grandi aziende del mondo (di cui ha detenuto anche quote azionarie) come la Exxon Mobil (figlia della Standard Oil fondata dal nonno John Davison Rockefeller) o la General Electric.
Divenne poi molto famoso anche per le sue attività lobbistiche. Infatti è stato ritenuto uno dei membri fondatori del Gruppo Bilderberg ed è stato presidente dal 1970 al 1985 del Council on Foreign Relations (di cui è stato presidente onorario), inoltre per sua iniziativa è nata la Commissione Trilaterale.
È stato inoltre presidente e amministratore delegato della Chase Manhattan Bank, nel 2000 l'azienda si è fusa con la J.P. Morgan & Co. dando vita alla JPMorgan Chase, una delle più grandi banche del mondo che Rockefeller ha diretto personalmente; è stato il più grande azionista singolo della compagnia, avendone posseduto quasi il 2%.

Non-governmental leadership positions

Onorificenze

Onorificenze statunitensi

Medaglia Presidenziale della Libertà - nastrino per uniforme ordinariaMedaglia Presidenziale della Libertà
— 15 gennaio 1998
Legionario della Legion of Merit - nastrino per uniforme ordinariaLegionario della Legion of Merit
— 1945
Army Commendation Medal - nastrino per uniforme ordinariaArmy Commendation Medal

Onorificenze straniere

Commendatore dell'Ordine della Corona (Belgio) - nastrino per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine della Corona (Belgio)
Gran Croce dell'Ordine Nazionale della Croce del Sud (Brasile) - nastrino per uniforme ordinariaGran Croce dell'Ordine Nazionale della Croce del Sud (Brasile)
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia)
— 2000
Cavaliere di I Classe dell'Ordine del Sacro Tesoro (Giappone) - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere di I Classe dell'Ordine del Sacro Tesoro (Giappone)
— 1991
Grande Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana (Italia) - nastrino per uniforme ordinariaGrande Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana (Italia)
«Su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri»
— 13 gennaio 1972[2]
Cavaliere dell'Ordine Nazionale del Cedro (Libano) - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine Nazionale del Cedro (Libano)
Fascia dell'Ordine dell'Aquila Azteca (Messico) - nastrino per uniforme ordinariaFascia dell'Ordine dell'Aquila Azteca (Messico)
Cavaliere dell'Ordine di Manuel Amador Guerrero (Panamá) - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine di Manuel Amador Guerrero (Panamá)
Gran Croce dell'Ordine del Sole del Perù (Perù) - nastrino per uniforme ordinariaGran Croce dell'Ordine del Sole del Perù (Perù)
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dell'Elefante Bianco (Thailandia) - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere di Gran Croce dell'Ordine dell'Elefante Bianco (Thailandia)
Cavaliere dell'Ordine di Francisco de Miranda (Venezuela) - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine di Francisco de Miranda (Venezuela)

Vite quasi parallele. Capitolo 48. Benedetto sia il giorno, e il mese e l'anno e la stagione, e il tempo e l'ora e il punto...

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Sostiene una nota canzone primaverile che per innamorarsi basta un'ora
Non fu così per Francesco Monterovere e Silvia Ricci-Orsini. 
Non ci fu il cosiddetto "colpo di fulmine" in stile petrarchesco, con lui che viene trafitto dalla freccia di Amore non appena la vede, il venerdì santo del 1327, e benedice quel giorno e quel luogo in uno dei suoi più famosi sonetti.
Niente di tutto questo. Nella realtà le cose vanno diversamente, almeno nella grande maggioranza dei casi.
Francesco Monterovere e Silvia Ricci-Orsini si conobbero il primo ottobre del 1970, quando lui divenne il collega di matematica nella sezione dell'Itis di Forlì in cui lei insegnava da alcuni anni.
La fama di Francesco lo precedette.
La prof. Romualdi, che era stata sua compagna di studi, lo descrisse così a Silvia:
<<Mah, è un tipo strano. Dicono che venga dai monti. Ha dei modi bruschi, si mangia le parole. E poi ha messo in programma delle cose assurde: la logica, gli insiemi, le relazioni... sta dei mesi a parlare di quella roba. E poi è un fanatico di quelle cose strane di elettronica... non so cosa siano, li chiamano calcolatori... delle macchine assurde, totalmente inutili... sai, la classica americanata,.. Lui poi è una testa calda, un ribelle, uno che ci tiene a scandalizzare i borghesi... ah, povera Silvia, non so come farai a sopportarlo>> 
Quando iniziò l'anno scolastico, come si è detto, avvenne l'incontro destinato a unire due grandi famiglie e a generare un figlio la cui dedizione alla memoria degli antenati e al futuro dei discendenti fu inferiore soltanto alla sua voglia di raccontare storie e scrivere romanzi.
Così nascono a volte le grandi dinastie: per puro caso, e per un amore così imprevedibile che spesso inizia con una litigata.
Ma cerchiamo di ricostruire insieme quello che accadde nel giorno quasi petrarchesco in cui avvenne il loro primo incontro.
Silvia non era molto alta di statura, ma nascondeva astutamente questo fatto avvalendosi della moda degli Anni Settanta: i pantaloni svasati, a zampa o a palazzo, le permettevano di indossare tacchi vertiginosi senza dare scandalo.
Si avvalse per almeno una decina d'anni di questo trucco, tanto che suo figlio, nato nel 1975, ebbe una sorta di "imprinting" relativo alla moda di quegli anni e in particolare ai capi indossati da sua madre, e come in un perfetto Complesso di Edipo, sviluppò un amore quasi feticistico per quel tipo di abbigliamento, che rendeva ai suoi occhi più attraente e desiderabile una donna.
Fu così anche per il padre, naturalmente, e prioritariamente.
In quel fatidico giorno, Silvia vide avvicinarsi quel giovane molto alto, dai capelli folti e castani, gli occhi nocciola screziati di verde, l'aspetto imponente e serio, da far soggezione.
<<Immagino che tu sia la collega di lettere. Mi hanno detto che sei una letterata d'eccezione e una latinista insuperabile>>
<<Oh, che esagerazioni! Sono solo una che ha studiato molto>>
<<Ma per essere bravi in latino bisogna essere anche molto intelligenti. E' una materia logica>>
<<Be', grazie>>
<<Di niente, ma... ehm... ho sentito dire anche altre coseChe i tuoi genitori sono nobili, hanno un feudo addirittura, e conoscenze nell'alta società>>
Lei cercò di minimizzare, col suo solito undestatement:
<<Mah, a dire il vero mio padre è un normalissimo contadino arricchito e mia madre una nobile decaduta. Hanno delle terre, ma è più che altro un'azienda agricola. Abbiamo qualche parente che ha fatto carriera, ma io non ho mai voluto favori. Quello che ho fatto, l'ho fatto con le mie forze. Ma, per curiosità, chi è che ti ha detto queste cose?>>
Lui la squadrò con attenzione:
<<Hai presente i lavori per il Canale Emiliano-Romagnolo?>>
<<Sì, certo. Dovrà proprio passare per le terre di mio padre. Lui teme un esproprio da parte della regione. E' arrabbiatissimo per questa storia>>
Francesco sorrise:
<<Ecco, tu pensa che i lavori per il tratto della Romagna Centrale sono stati affidati all'Azienda Escavatrice e Idraulica Fratelli Monterovere, che è attualmente diretta da mio padre.
E' lui che ha preso informazioni sul Feudo Ricci-Orsini e temo proprio che tra i nostri genitori potrebbe scoppiare una guerra>>
Silvia rimase di sasso:
<<Ma pensa che scherzo del destino! Mi ritrovo come collega di sezione il figlio di un nemico di mio padre... Neanche in un romanzo si potrebbe immaginare una cosa del genere!>>
<<Mi pare che la storia dei Ricci-Orsini assomigli molto ad un romanzo. Mio padre mi ha raccontato delle storie veramente strane su certi episodi del passato>>
Silvia si rabbuiò:
<<Tutte sciocchezze! Sono solo chiacchiere. E spero bene che tu non dia alcun credito a queste chiacchiere. Noi siamo persone per bene. Non dimenticarlo!>>
Detto questo, Silvia tirò dritto per il corridoio, facendo ticchettare i suoi tacchi alti, mentre Francesco la fissava con un interesse nuovo, perché gli piacevano le donne battagliere, specie quelle che combattevano indossando i tacchi...

domenica 19 marzo 2017

Quadri

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Vasily Polenov, "Overgrown Pond", 1879.
Gustave Moreau, Giotto, c.1882
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Edward Burne-Jones, "The Beguiling of Merlin", 1872-1877

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Frank Cadogan Cowper - Vanity


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God Speed - Edmund Blair Leighton (1853-1922)

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Hieronymus Bosch, "Ascent of the Blessed", 1490.
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Edwin Deakin, "Dent du Midi (Castle of Chillon, Lake Geneva)", 1894.

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sabato 18 marzo 2017

Leaks e Spoiler sulla trama di tutti gli episodi della Settima Stagione di Game of Thrones

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EPISODIO 1

Gli estranei marciano al sud della Barriera, Bran raggiunge il Castello Nero e incontra Ed l’Addolorato, ora Lord Comandante.
Sansa e Jon discutono su cosa fare delle casate del Nord che non sono state loro fedeli combattendo insieme ai Bolton. Sansa Stark e Lyanna Mormont vogliono dare le loro terre a chi ha combattuto al loro fianco, Jon non vuole ritenere responsabili i figli degli Umber e dei Karkstar per le scelte fatte dai padri.Jon impone la propria decisione: d’ora in poi comanderà il Nord diversamente da quanto è sempre stato fatto.
Daenerys e le sue navi arrivano a Dragonstone, entra nella vecchia sala della guerra con ancora il tavolo e la mappa di Stannis, si gira verso Tyrion e dice: “Cominciamo?”

EPISODIO 2:

Jon riceve un corvo da Dany dove chiede a tutti i Lord del Nord di presenziare a Dragonstone per discutere.
Sansa resta al comando di Grande Inverno insieme a Spettro (a quanto pare il budget per i metalupi non c’è nemmeno quest’anno).
Dorne e Alto Giardino vengono saccheggiate dai Lannister, Jaime si confronta con Olenna e alla fine lei gli rivela la verità sulla morte di Joffrey: è stata lei insieme a Ditocorto ad orchestrare tutto il piano. Jaime le consente di bere del veleno e suicidarsi prima di essere catturata dall’esercito.
La flotta di Euron attacca quella di Yara e la distrugge, prendendola prigioniera. Theon riesce a scappare lanciandosi in mare, viene salvato da un altro Uomo di Ferro.
Anche Euron attacca Dorne, uccidendo due Serpi delle Sabbie e prendendo Ellaria in ostaggio.

EPISODIO 3:

Jon e Davos arrivano a Dragonstone e incontrano Tyrion sulla spiaggia e li porta al cospetto di Dany. Lei vuole che Jon si inginocchi al suo cospetto, lui si rifiuta e le racconta della minaccia dei White Walkers, alla quale Dany non crede. Davos prova a raccontare della resurrezione di Jon ma lui lo zittisce. Tyrion si schiera dalla parte di Jon, confortando Dany sul fatto che non è un pazzo. Dany rispetta Jon immediatamente, il sentimento non è ricambiato.
Jon incontra Theon e gli risparmia la vita solo per aver aiutato Sansa a fuggire.
Arya incontra Nymeria, il suo vecchio metalupo, tornando a Grande Inverno (ahhh, ecco che fine aveva fatto il budjet!).
Jorah e Sam si incontrano alla Cittadella e insieme trovano una cura per il Morbo Grigio.
Bran arriva a Grande Inverno e Meera decide di tornare a casa.

EPISODIO 4:

Arya arriva a Grande Inverno. Dany brucia qualche Lord di Westeros con i suoi draghi, compresi il padre e il fratello di Sam Tarly. Tyrion dissuade Dany dall’attaccare direttamente Approdo del Re temendo per la vita di troppi civili. L’armata Lannister si scontra contro i draghi di Dany, Jaime viene quasi ucciso ma salvato all’ultimo momento da Bronn.
Jon capisce che l’unico modo per unire tutti i lord contro i White walkers è catturarne uno vivo da mostrargli.

EPISODIO 5:

Sam lascia la cittadella con Gilly e il figlio, Jorah guarito si riunisce con Dany a Dragonstone.
Jon riceve un corvo da Grande Inverno che lo avvisa che Arya e Bran sono lì. Jaime e Bronn si incontrano segretamente con Davos e Tyrion, quest’ultimo prova a persuadere il fratello a convincere Cersei ad arrendersi prima della venuta dei draghi, ma viene ignorato.


EPISODIO 6:

Jon e gli altri uomini del Nord si uniscono alla Fratellanza senza vessilli, tra loro c’è anche il disperso Gendry, e insieme provano a catturare un Non Morto. Jon è a capo di un piccolo gruppo composto da Beric, Thoros, Tormund, Jorah e Gendry, ma vengono attaccati dall’esercito del Re della Notte, Thoros muore ucciso da un orso polare zombie (ma siamo su Lost o The Walking Dead? fatemi capire).
Vengono circondati intorno ad un lago ghiacciato, ma Dany li salva all’ultimo momento. Purtroppo il Re della Notte uccide Viserion, facendolo resuscitare come un drago di ghiaccio. Jon viene quasi ucciso nello scontro ma suo zio Benjen lo salva all’ultimo momento, sacrificandosi per lui.
Jon promette di rinunciare al suo titolo di Re del Nord se Dany lo aiuta a sconfiggere i White walkers.

EPISODIO 7:

Sansa decide che Ditocorto dovrà morire, Arya lo uccide. In precedenza lui aveva perfino tentato di metterle l’una contro l’altra usando una vecchia lettera scritta da Sansa mentre veniva costretta dai Lannister. Bran aiuta Sansa a vedere il piano di Ditocorto.
Cersei si risveglia in un letto pieno di sangue, probabilmente ha avuto un aborto di un altro bambino di Jaime.
Sam e Bran capisc ono chi sono i veri genitori di Jon, il suo vero nome è Aegon (i lettori inziano a piangere e ridere convulsamente fino allo svenimento) alla sua nascita è stato anche reso legittimo, quindi non è un bastardo.
Jon e Dany fanno sesso sulla barca che li riporta al Nord.
Alla fine dell’episodio la Barriera cade definitivamente, il Re della Notte la distrugge grazie a Viserion versione zombie.

Viene anche riportata una scena che non si sa ancora in che episodio collocare:

Jon mostra lo zombie a Dany e Cersei, la regina Lannister prova a farlo uccidere dalla Montagna, ma Jon spiega che è tutto inutile, l’unica arma che si possa usare è il Vetro di Drago. Cersei dice che manderà sicuramente delle truppe al Nord, ma poi confida a Jaime che non è vero: è più facile lasciare uccidere i suoi nemici dagli zombie anziché aiutarli. Jaime è disgustato e decide di andarsene al Nord.

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Vite quasi parallele. Capitolo 47. La Bancaccia

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L'Istituto di Credito di fiducia del Clan Orsini era soprannominato "la Bancaccia", per alcune sue abitudini non proprio consone ai criteri dell'efficienza amministrativa, tra cui l'assunzione di soli raccomandati, il prestito conferito a fondo perduto agli amici e ai potenti e l'abitudine di ricorrere, già a quei tempi, al salvataggio pubblico tramite provvidenziali interventi politici. Il Consiglio di Amministrazione era infatti nominato da alcune Fondazioni le quali a loro volta facevano capo ad alcuni partiti politici molto forti in Romagna.
Il direttore generale, Camillo Baccarani, era infatti un notabile democristiano, che poi divenne deputato.
Ma ancor più della politica, contavano le parentele con le famiglie di spicco.
Non a caso il Presidente del Consiglio di Amministrazione era Edoardo Leandri, il Senatore democristiano marito di Caterina Ricci, figlia di un fratello di Ettore Ricci, e dunque legata a doppio filo col clan Ricci-Orsini.
Per questa ragione il Senatore aveva garantito crediti sempre più consistenti alla Società in Accomandita Semplice "Ettore Ricci & Ercole Spreti" che gestiva il Feudo Orsini e il Latifondo Spreti,  che da soli comprendevano più della metà delle terre della Contea di Casemurate.
C'erano altri possidenti che incominciavano a farsi strada, tra cui un certo Cassio Baglioni, che era anche proprietario di un mulino, e un altro tizio che rispondeva al nome di Luciano Bastiani, proprietario di un enorme pollario. Ma all'epoca questi personaggio erano soltanto delle macchiette.
Il Senatore Leandri, sempre su richiesta dello zio Ettore Ricci, aveva fatto assumere come Capo Ufficio Legale della Bancaccia l'avvocato Goffredo Papisco, figlio maggiore del giudice Papisco e di Ginevra Orsini.
Goffredo Papisco, ormai quarantenne, era noto per le stravaganze del suo carattere.
La sua nomina, per quanto scandalosa, non aveva meravigliato nessuno.
L’Ufficio Legale, infatti, era soprannominato “Ufficio Raccomandati e figli di...”. 
In effetti, a ben vedere, tutti i componenti di tale ufficio, potevano vantare un pedegree di una certa importanza, almeno localmente.
Goffredo Papisco non era sposato: l’unico grande amore della sua vita erano i cavalli (e secondo le malelingue anche gli stallieri). Quando era morto il suo cavallo prediletto, chiamato modestamente “Carlo Magno”, lo aveva fatto imbalsamare e collocare presso una apposita dependance delle stalle di Villa Orsini.
In ufficio Goffredo Papisco si comportava in modo ambiguo: da un lato ostentava umiltà, si faceva dare del tu e chiamare per nome anche dai dipendenti, sembrava tollerante e malleabile, tanto che negli altri uffici si diceva di lui che era “un così buon uomo!”.
Dall’altro lato però il suo carattere mostrava inquietanti segni di lunaticità e nevrosi, e soprattutto repentini sbalzi d'umore.
Alcuni giorni, quando si svegliava euforico, arrivava in ufficio con ritardi imbarazzanti, leggeva tranquillamente il giornale tutta la mattina, si prendeva delle pause-caffè che duravano ore oppure rimaneva come inebetito con lo sguardo perso nel vuoto mentre nel reparto regnava la più assoluta anarchia.
Quando invece era di cattivo umore, cioè quasi sempre, diventava irascibile, dispotico, puntiglioso e provocatorio. Bastava il minimo errore o il più piccolo sgarro di un dipendente per causare drammatiche scenate, crisi isteriche, inquietanti minacce o funeste manie di perfezionismo.
Una tipica rappresaglia che in quei momenti si dilettava a esercitare sui malcapitati che quel giorno gli stavano particolarmente antipatici era quella di far riscrivere loro i documenti ufficiali più e più volte, cambiando le parole, ma non il senso del discorso.
Se per esempio uno scriveva: «Il cliente si è dimostrato inadempiente», il dott. Papisco gli faceva correggere: «Il cliente ha mostrato inadempienze», ma poteva benissimo accadere il viceversa con un altro dipendente, o magari con lo stesso una volta che avesse apportato la correzione.
I componenti dell’Ufficio Legale, però, si erano abituati a queste stravaganze e non ci facevano quasi più attenzione. Erano disposti a passar sopra a tutto, purché non li si costringesse a lavorare sul serio. Ciò sarebbe stato per loro assolutamente inaccettabile.
Per il Vicecapo Ufficio il lavoro in banca era una sorta di “sinecura”: il grosso dei suoi introiti derivava da consulenze esterne a cui dedicava tutto il tempo, comprese le ore di ufficio.
Fortunatamente c’era il giovane dottor Valentini, fanatico giurista, che si faceva carico anche del lavoro degli altri, sia per il gusto di eccellere nella sua materia, sia per una spontanea e talvolta perniciosa energia organizzativa.
Le due raccomandate di ferro erano le signore “Petruzzelli & Baldini”, ironicamente associate come una società commerciale non solo perché amiche e alleate di ferro, ma anche perché i rispettivi mariti, l’ingegner Petruzzelli e il commercialista Baldini, erano soci in affari.
Paola Petruzzelli e Francesca Baldini erano diplomate al liceo classico, non sapevano nulla di questioni di ufficio e tanto meno di questioni legali: a dire il vero non si sapeva neppure quali fossero i loro incarichi e le loro mansioni.
Fondamentalmente la Petruzzelli e la Baldini fungevano da Gazzetta Ufficiale del Pettegolezzo: nulla di ciò che accadeva presso l’alta società cittadina sfuggiva al capillare controllo della rete di amicizie delle due interessatissime signore.
I loro dialoghi perenni toccavano comunque anche altre “essenziali” questioni.
Paola Petruzzelli, bigotta e conservatrice, era specializzata in argomenti tradizionali come aste di beneficenza, iniziative parrocchiali, ricette di cucina, oroscopi, estrazioni del lotto, teleromanzi, parole crociate.
Francesca Baldini, più progressista, era invece l’ arbitra elegantiarum in fatto di ultime mode, acconciature, vestiario, viaggi, villeggiature.
Tra la scrivania della Petruzzelli, alla destra rispetto all’ingresso, e quello della Baldini, alla sinistra, c’era il tavolo di lavoro del ragionier Poponi, un ometto basso e grasso sulla cinquantina, trasandato, scarmigliato, distratto, volenteroso ma mediocre lavoratore. Scribacchiava continuamente scarabocchi incomprensibili su polverosi registri e fogliacci semiaccartocciati, tentava poi di ricopiare sulla macchina da scrivere i suoi appunti, sbagliando continuamente e borbottando tra sé.
Non parlava molto: di lui si sapeva che aveva una famiglia numerosa e problematica, con una moglie gelosissima, una suocera terribile, due cognate nubili a carico e cinque figlie una più brutta e antipatica dell’altra.
Altro personaggio che faceva parte per se stesso era il geometra Cipressi: uomo alto, magro, taciturno, riservatissimo, pareva sempre immerso in qualche fondamentale questione di lavoro, anche se nessuno avrebbe saputo dire esattamente quali pratiche stesse seguendo.
Neppure il Capo ufficio Goffredo Papisco riusciva a svelare il mistero che circondava il geometra Cipressi: quando gli chiedeva di cosa si stesse occupando, Cipressi era evasivo, cupo, terreo, quasi sdegnato. Se veniva messo alle strette, si chiudeva in un ostinato mutismo, interrotto solo da vaghe allusioni a un suo carissimo amico, ex attendente del generale De Toschi. Al che, ogni questione subito si stemperava in un nulla di fatto.

venerdì 17 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 46. Tra Faenza, Roma, Rovereto e la Calabria



Dopo la laurea in Matematica e Fisica, Francesco Monterovere fu esentato dal servizio militare in quanto "figlio di padre invalido". 
Suo padre Romano, infatti, essendo stato ferito a una gamba durante la Guerra d'Abissinia, era stato riconosciuto Grande Invalido Militare e percettore di una indennità, che all'epoca si sommava ai suoi compensi di direttore dell'Azienda Escavatrice e Idraulica Fratelli Monterovere.
In quegli anni l'Azienda aveva perduto il suo Profeta, e cioè l'ingegner Francesco Lanni, suocero di Romano e nonno paterno di Francesco Monterovere, che gli era molto affezionato.
Dei nonni di Francesco, rimaneva in vita soltanto la novantenne madre di Romano, la venerabile Eleonora Bonaccorsi, vedova di Enrico Monterovere.
Per un fortunato caso, Eleonora Bonaccorsi visse straordinariamente a lungo, tanto da poter conoscere il futuro figlio di suo nipote Francesco, Riccardo, il quale fu beneficiato dalla possibilità di essere il beniamino di ben due bisnonne: l'altra era la Contessa Madre Emilia Orsini. Ma di questo, naturalmente, si parlerà in seguito.
All'epoca l'Azienda Fratelli Monterovere si occupava del tratto finale del Canale di Bonifica in Destra di Reno, nel suo sbocco al mare presso il porto di Casal Borsetti.
A dirigere questo progetto in particolare fu la sorella di Francesco, l'imponente Enrichetta, una donna dal carattere molto focoso e determinato.
Il terzo fratello, Lorenzo, si laureò invece in Lettere Classiche e vinse una borsa di studio per il Dottorato di Ricerca in Letteratura cristiana antica.
Ma ancora una volta dobbiamo sforzarci di non precorrere i tempi.
Francesco, pur avendo potuto evitare il servizio militare, non poté evitare il Concorso, per poter avere un posto da insegnante.
Egli infatti non conosceva ancora la Signorina De Toschi e quindi non poteva avvalersi delle sue infallibili raccomandazioni.
All'epoca i concorsi per diventare insegnante di ruolo si tenevano a livello nazionale, a Roma, e questa era una garanzia di equità di trattamento. Erano ancora tempi in cui la serietà e la giustizia prevalevano su altre considerazioni che avevano ben poco a che fare con il merito e la qualità dell'insegnamento.
Francesco superò il concorso con un ottimo risultato, e su un migliaio di partecipanti provenienti da tutta Italia, arrivò tra i primi dieci, come poi avrebbe avuto modo di ricordare molte volte a certi colleghi che contestavano i suoi metodi didattici innovativi.
Ebbe dunque il posto, ma siccome la distribuzione delle cattedre avveniva su tutto il territorio italiano, a seconda delle esigenze reali, la cattedra che gli spettò fu quella in un liceo di Rovereto, in provincia di Trento.
Altri si sarebbero spaventati ad andare a vivere così lontano, ma per Francesco fu quasi una liberazione, perché finalmente poteva andare ad abitare per conto suo, avendo a disposizione uno stipendio da spendere come gli pareva e con chi gli pareva.
Tra i colleghi di Rovereto, conobbe personaggi molto singolari e divertenti, con cui fece amicizia e di cui rimase amico per tutta la vita: tra questi, il più spassoso era un certo Nullo (non si sa se fosse il nome o il cognome), un tipo pelato, dagli occhiali tondi, il papillon alla Gervaso e l'ossessione per la dentatura bianca e perfettamente disposta. Molti anni dopo, infatti, il figlio di Francesco, Riccardo, incontrando per la prima volta Nullo, fu onorato dal seguente complimento: "Ma questo ragazzo ha una dentatura perfetta!".
C'era poi anche un certo Peppino Brasati, ritenuto da tutti un genio della Fisica, anche se non spiccicava una mezza parola. Non mancavano due intellettuali marxisti e barbuti, Zanotti e Stefanelli, destinati a diventare accademici e pubblicisti.
Ma i due amici prediletti di Francesco rimanevano i fratelli faentini Rodolfo e Carlo Rossi. Il primo, dopo alcuni mesi di insegnamento, aveva avuto un grave esaurimento nervoso e si era ritirato a vita privata. Il secondo invece era diventato il compagno di viaggi e di vacanze improvvisate di Francesco. Memorabili furono i loro campeggi in Calabria, nei primi Anni Settanta.
Con una Cinquecento scassata, che Francesco aveva comprato a rate dopo il suo primo stipendio, si erano avventurati verso il Sud. Le loro avventure risultarono in seguito molto simili a quelle dell'indimenticabile duo Fantozzi e Filini.
Dopo tre anni di insegnamento a Rovereto e tre estati in Calabria, finalmente Francesco Monterovere, nel 1970, ottenne il trasferimento presso una scuola più vicina, e cioè l'Isituto Tecnico Industriale Statale di Forlì.

giovedì 16 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 45. L'allegra compagnia dei colleghi di Silvia Ricci-Orsini

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Silvia Ricci-Orsini rifiutò qualunque forma di raccomandazione da parte della Signorina De Toschi, del Senatore Leandri o del Giudice Papisco, cosa che sconcertò tutti i parenti fino al sesto grado.
Fu l'unica in tutta la sua famiglia a compiere quel gesto, e gliene va riconosciuto il merito.
E così, mentre il Sommo Poeta Trombatore declamava le sue prolusioni dalla cattedra del Liceo Classico, Silvia si accontentò di insegnare italiano, storia e geografia all'Istituto Tecnico Industriale Statale.
Tale scelta si rivelò felice, perché all'ITIS di Forlì conobbe, tra i suoi colleghi, gran parte dei futuri frequentatori del salotto a cui avrebbe dato vita in seguito, dopo il matrimonio.
Iniziamo dai colleghi di sezione, nel biennio.
Il collega di inglese, Professor Massimo Perfetti, era il fidanzato di Benedetta Papisco, cugina di Silvia, la quale insegnava inglese a sua volta in una scuola media. Avevano entrambi la ferma convinzione di essere "la coppia più bella del mondo e ci dispiace per gli altri..."
La collega di scienze naturali era la Professoressa Maria Pia Teodati De Bonschamp, una ninfomane ipocondriaca fissata con l'igiene intima e lo studio dei germi al microscopio.
Il collega di disegno era l'Architetto Eolo Amedeo Leandri, fratello del Senatore Edoardo Leandri (e quindi affine alla famiglia Ricci), noto per il suo carattere irascibile e per la tendenza a scagliare fuori dalla finestra i quaderni di qualche malcapitato studente.
La collega di fisica era la Professoressa Diva Vermiglioni, il cui segno particolare era un enorme neo sferico e violaceo che le copriva quasi tutto il naso: tale oltraggio da parte della natura veniva compensato nella mente della  Vermiglioni con una compulsiva tendenza al pettegolezzo velenoso.
Il collega di ginnastica era il Professor Gilberto Cortesi, detto il Tenente Colombo, per la sua abitudine a portare in ogni stagione e con ogni tempo e temperatura, un impermeabile stropicciato color vomito.
La collega di matematica era la Professoressa Edda Rachele Romualdi, figlia di un ex-gerarca fascista di Predappio Alta, ed ella stessa fervente sostenitrice del Movimento Sociale.
Non poteva mancare il collega di religione, il rubicondo Don Adamo, un prete dai forti istinti carnali, le cui barzellette oscene mettevano in imbarazzo l'intero istituto, per non parlare della Curia.
Passiamo ora al triennio.
Italiano e storia negli ultimi tre anni erano affidati alla Professoressa Letizia Ramolino, omonima della madre di Napoleone Bonaparte, ma, a differenza di quest'ultima, zitella impenitente dalla voce nasale e dal fisico somigliante a un armadio.
Fisica nel triennio era tenuta dalla Professoressa Renata Maria Crocifissa Binetti Delle Vedove, di cui si vociferava che portasse una jella tremenda e implacabile.
Ma il più importante di tutti, destinato a diventare il miglior amico di Silvia, era il Professor Pier Carlo Filippelli, geniale matematico, filosofo platonico e tolemaico, sostenitore del geocentrismo, fine conoscitore di cinema e arte, brillante umorista e narratore, ma soprattutto principale organizzatore delle iniziative mondane della città e delle gite all'estero.
La sua vèrve era in grado di conquistare tutti: basti dire che persino Ettore Ricci, padre di Silvia, lo vedeva di buon occhio, apprezzandone la tagliente ironia.
Per quanto Filippelli e la Romualdi fossero ufficiosamente fidanzati, non si sposarono mai, né mai convissero, forse per ragione delle opposte visioni politiche, che li portavano a liti furibonde, placate soltanto dalla devozione amorevole di lei e dal bisogno che lui aveva di una donna con la patente di guida che gli facesse da autista, essendo lui volutamente sprovvisto di automobile, ritenuta una spesa frivola e indegna di un vero sapiente.
Va altresì ricordato che tutti i suddetti docenti erano stati, a loro tempo, studenti pubblici o privati della Signorina De Toschi, in particolare Massimo Perfetti e Pier Carlo Filippelli, considerati i "pupilli" della Signorina, per quanto tra loro esistesse un odio viscerale.
In conclusione, bisogna nominare anche i principali membri del personale amministrativo, tecnico e dirigente, ognuno dei quali era destinato ad avere un ruolo importante, nel salotto di Silvia Ricci-Orsini e della sua famiglia.
Ricorderemo quindi: il bidello Obino (di cui era ignoto il cognome, ma di cui erano ben note le barzellette sconce), il tecnico di laboratorio Guido Prati (che portava sempre la stessa maglia unta e bisunta), la segretaria Alice Fobert Van Der Bach, una bionda di origine olandese, il vicepreside Priamo Conti, dirigente democristiano, il Preside Prof. Everardo Rocca Rossellino, presidente del Rotary Club, l'Ispettrice Professoressa Rosalba Baccarani, moglie di un importante direttore di banca e la Provveditrice agli Studi, la temutissima Cordelia Sergenti Borgonzoni.
Ma la vera svolta ci fu quando un collega, proveniente da Faenza, sostituì la Romualdi, che si era trasferita in un'altra sezione. Quel collega era Francesco Monterovere.

mercoledì 15 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 44. Com'era verde la mia valle

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Dopo la laurea, Silvia Ricci-Orsini era tornata a vivere presso la sua famiglia a Casemurate, ma non era stato un ritorno particolarmente piacevole: tutto le pareva più piccolo, angusto, diverso da come se lo ricordava.
Tanti anni di vita in città, specie quelli a Bologna, le avevano allargato gli orizzonti in maniera tale da farle apparire insignificanti tutte le trame che ruotavano intorno a Villa Orsini, al Feudo e alla Contea.
Suo padre, Ettore Ricci, l'aveva "accolta" da par suo:
<<Ecco la figliola prodiga che torna al proprio ovile, ma per lei non ammazzeremo il vitello grasso. Te la sei già goduta abbastanza!>>
<<Ti voglio bene anch'io, papà>>
Sua madre, Diana Orsini Balducci, Contessa di Casemurate, fu più diplomatica:
<<Per quanto io sia immensamente felice di averti di nuovo qui con me, non posso fare a meno di chiedermi come mai tu non abbia preferito rimanere a Bologna, o quantomeno Forlì. Ti avrei pagato l'affitto, almeno nell'attesa che ti chiamassero a insegnare. Ah, io alla tua età sarei voluta tanto fuggire via da questo posto di bigotti retrogradi...>> e scoccò un'occhiata feroce contro la governante.
<<Ti voglio bene anch'io, mamma>>
Poi si fece avanti la governante, Ida Braghiri:
<<Ma Silvia, come sei magra, come sei pallida, denutrita... sei sicura di star bene?>>
<<Ti voglio bene anch'io Ida. Ora vorrei andare a salutare mia nonna... sarà sempre nel Salotto Liberty, immagino?>>
<<Naturalmente! La Contessa Madre Emilia e il suo Salotto sono inseparabili>>
Silvia sorrise:
<<Diciamo che più che altro mia nonna Emilia è inseparabile dalla sua bottiglia di vino, ma a quanto mi è stato detto, pare che sia l'unica alcolista che tragga giovamento fisico dalla sua condizione>>
<<Senza dubbio. Ha una salute di ferro, almeno a livello fisico>>
Quando Silvia arrivò nel Salotto Liberty, ebbe come un deja vu.
Tutto era rimasto immobile, invariato, come se le disgrazie che erano capitate alla famiglia Orsini non avessero potuto intaccare in alcun modo la bellezza di quel luogo, che era il cuore della Villa, la quale a sua volta era il cuore del Feudo Orsini, che a sua volta era il cuore della Contea di Casemurate.
Fuori tutto era cambiato, ma lì ogni cosa, compresa l'anziana Contessa Madre Emilia, era identica a come se la ricordava:
<<Nonna, sono tornata>>
La Contessa Madre si mise il monocolo sull'occhio destro:
<<Silvia! Sei davvero tu! Quanto tempo è passato! Ma io non conto più gli anni, sono troppo vecchia... non voglio nemmeno festeggiare i compleanni. Alla mia età servono solo a ricordare quanto poco tempo ci è rimasto... Ma non parliamo dei miei anni, vieni qui, fatti abbracciare>>
Come spesso succede, le madri che sono state severe con i figli, diventano nonne affettuosissime e molto tolleranti con i nipoti.
<<Parlami di te. Negli ultimi tempi siamo stati così presi dalle vicende di tua cugina Anna e di quel disgraziato che l'ha messa incinta, che abbiamo trascurato la nostra brava ragazza. Avrai avuto, spero, qualche storia romantica?>>
<<Ho avuto dei corteggiatori, tanti, ma ho rifiutato le loro proposte, perché non ero innamorata>>
<<Ah, mi sembra di sentire tua madre quando aveva la tua stessa età>>
<<Io sono molto diversa da lei!>>
<<Sei diversa da ciò che lei è adesso, Silvia, ma quando era giovane anche tua madre era piena di sogni. Ha sofferto tanto. E io ho la mia buona parte di responsabilità, in questo, e due terzi del vino che bevo serve per mettere a tacere, almeno per qualche ora, i miei sensi di colpa>>
Era una confessione sincera, da parte dell'anziana matriarca.
Aveva avuto anche lei i suoi presagi.
Come Marco Antonio, prima dell'ultima battaglia, aveva udito allontanarsi i passi del cambio della guardia, allo stesso modo la vecchia Emilia Orsini, nata Paolucci de' Calboli, aveva udito gli dei propizi allontanarsi da lei e da tutta la sua stirpe.
Silvia cercò di sdrammatizzare:
<<Ognuno di noi ha fatto ciò che era necessario per tenere in piedi questa famiglia>>
La vecchia Emilia scosse il capo dai capelli candidi come la neve:
<<Ci siamo spinti troppo oltre, Silvia. Siamo stati troppo avidi. Ah, se potessi ritornare indietro! Quando misi piede per la prima volta in questa casa ero una ragazzina inesperta, ma rimasi impressionata dalla sua bellezza. Erano altri tempi.  Non c'erano le strade asfaltate, non c'erano le automobili... era tutto così verde e tranquillo, come in un sogno... 
A volte chiudo gli occhi sperando che sia ancora così.
Com'era verde la mia valle!
Ed ora cosa ne resta?
Ho avuto sei figli, e sono sopravvissuta a quattro di loro. E' una cosa che non dovrebbe mai accadere. 
Mi dicono di ricordare i tempi felici, ma non serve.
La felicità passata non è più felicità, il dolore passato è ancora dolore.
Perdona queste mie svenevolezze... sono una vecchia... e alcolizzata per giunta... questa è la realtà>>
Silvia le prese entrambe le mani, quelle mani ormai così fragili e piene di rughe:
<<Non dire così, nonna. 
Tu resisterai e combatterai ancora. 
C'è una poesia che dice: "Non andartene docile in quella buona notte. I vecchi dovrebbero infiammarsi e infuriarsi contro il finire del giorno; infuria, infuria, contro il morire della luce".
Vivrai ancora a lungo.
 Hai già visto nascere i tuoi primi pronipoti, io te ne darò degli altri, quando troverò l'uomo della mia vita. Rifonderò la famiglia, una famiglia dove l'amore venga al primo posto. 
Devo solo trovare l'uomo giusto. Chissà dov'è adesso... chissà chi è... ma sento che c'è, da qualche parte, ci deve essere... e nemmeno troppo lontano da qui>>