Nella Crimea contesa da Mosca e Kiev è in corso anche la partita musulmana, capace di coinvolgere più giocatori e di riaccendere l'antica rivalità fra Russia e Turchia.
«Per noi è di estrema importanza difendere la presenza dei nostri fratelli di sangue in Crimea», ha dichiarato il 6 marzo il ministro degli Esteri anatolico Ahmet Davutoğlu, «i tatari sono gli abitanti originari della penisola, i padroni di quelle terre. In Ucraina hanno vissuto come cittadini uguali agli altri, in pace, e la Turchia farà fronte comune per i loro diritti».
Che i tatari, musulmani turcofoni originari della Crimea, abbiano vissuto in pace e come uguali durante la presidenza Yanukovich e quelle precedenti è una tesi discutibile. È invece indiscutibile il fatto che la maggior parte di loro non faccia i salti di gioia alla prospettiva di un’annessione alla Madre Russia.
«Il referendum non è legale, nessuno in Crimea dovrebbe andare a votare il 16 marzo, chiedo a tutti di boicottare le urne», ha tuonato Refat Chubarov, presidente del Mejlis, l’organo di rappresentanza ufficiale dei tatari di Crimea. Più aspro Mustafa Dzhemilev, ex presidente dell'organo e ora deputato a Kiev.
«Se dovremo usare la violenza per contrastare gli invasori, lo faremo. Le unità dei tatari di Crimea sono in fase di mobilitazione e pronte per la guerra». Sfumature diverse di un odio comune, che rispecchiano le paure di un’intera comunità.
Musulmani nel Mar Nero
I tatari sono un popolo di origini e lingua turca, arrivato in Crimea nel XV secolo insieme a Gengis Khan e rimasto fino a quando Stalin ne ordinò la deportazione in Asia Centrale (1944). Dal 1967 è iniziato il controesodo ma è solo con la caduta dell’Urss che il flusso dei rimpatriati è diventato significativo.
Oggi, secondo varie stime, i tatari costituiscono tra il 12 e il 16% della popolazione della Crimea (sono circa 300 mila), ma non si sono inseriti benissimo: i 3/4 di loro vivono nelle aree rurali, spesso in abitazioni semi abusive prive di allacciamenti a gas e acqua. Hanno istituito un Mejlis per rappresentarli ma finora sono riusciti
a ottenere solo 15 scuole (su 576 presenti nella regione) e nella maggior parte dei casi costruiscono moschee con finanziamenti stranieri.
Nelle città si vedono poco e tengono un basso profilo. Per sopravvivere in uno Stato che non brillava per la tutela dei diritti individuali o collettivi, hanno alternato le rivendicazioni ai compromessi attraversando momenti difficili nel 2010 - con il ritorno alla presidenza di Yanukovych - ma riuscendo comunque a difendersi dalle offensive dei più sciovinisti tra i russi di Crimea attraverso il dialogo con Kiev.
A febbraio 2012 la situazione si è aggravata di nuovo, con una dura contestazione nei confronti dei rappresentanti del Mejlis, criticati da buona parte della comunità tatara per la loro inefficienza e passività. A cavalcare il malcontento una strana alleanza costituitasi in seno alla presidenza ucraina in un
organo definito Consiglio del popolo tataro di Crimea. A farne parte organizzazioni musulmane radicali, ong varie (anche finanziate dall’Onu) e il Milly Firka, unico gruppo tataro filo-russo: nella sostanza un fronte filo-governativo pronto a raccogliere gli alleati più discutibili pur di mettere in crisi l’establishment tataro, tradizionalmente sostenuto dal governo turco. Lo stesso Anatoly Mogilev, presidente del consiglio della Crimea nominato da Yanukovich, era già conosciuto per i suoi sentimenti anti-tatari, la sua inclinazione a sfruttare i reparti speciali berkut per attaccare manifestanti pacifici e un articolo del 2008 in cui faceva apprezzamenti sulle deportazioni staliniane.
Cosacchi e Forze speciali russe potrebbero riuscire a compattare la comunità,mentre le autorità del Mejlis si candidano a guidare il fronte anti-Cremlino ricorrendo al sostegno dei loro storici alleati: i turchi. Il deputato tataro Mustafa Dzhemilev, infatti, ha rassicurato la sua gente che Ankara interverrà se la crisi dovesse peggiorare.
Per ora le iniziative turche sembrano ridursi a proclami di solidarietà e tiepidi tentativi di trovare una soluzione diplomatica. Come quello del presidente del parlamento turco Cemil Cicek: «La Crimea è nel nostro cuore e parte del nostro spirito. I nostri fratelli hanno sofferto più di chiunque altro e noi siamo con loro». O come la solidarietà espressa dal ministro degli Esteri Davutoglu: «Il futuro dei nostri parenti, i tatari di Crimea, è la priorità per noi. La pace è essenziale per la Turchia e faremo tutto ciò che è necessario per questo scopo». Infine, il premier Erdoğan: «Ho parlato al telefono con Putin assicurandomi che protegga i diritti dei tatari. Finora non abbiamo lasciato soli i nostri fratelli e non lo faremo nel futuro».
La contrapposizione frontale con i russi non piace a nessuno. Nemmeno al presidente del Mejlis Chubarov, che chiede di boicottare il referendum ma suggerisce anche di formare una commissione «composta da membri di tutti i partiti» per studiare la situazione della Crimea e trovare una soluzione pacifica. Qualcuno ha insinuato che il leader tataro abbia già incontrato i rappresentanti del nuovo parlamento filo-russo della Crimea (lui smentisce); sicuramente li hanno incontrati gli esponenti del Millyi Firka, il movimento tataro sostenuto da Mosca, che si è dichiarato favorevole al nuovo status quo.
Musulmani di tutte le Russie
Chubarov smentisce anche di aver incontrato il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, ma non può negare che l’ex guerrigliero ora alleato di Putin abbia offerto il suo aiuto umanitario alla Crimea. Kadyrov sostiene che attingerà al fondo caritatevole intitolato al padre per sostenere gli «amici tatari», ma che questi ultimi «devono mantenere la calma e non farsi trascinare in mosse anti-Mosca». Il presidente sostiene di voler assistere anche la popolazione «russa, cosacca e cecena» di Crimea: «dobbiamo difendere la nostra gente. E a questo scopo possiamo diventare operatori umanitari, peacekeeper, soldati».
Per calmare le acque tra musulmani e Mosca è arrivato anche Rustam Minnikhanov, presidente della repubblica russa del Tatarstan, volato in Crimea proprio mentre veniva annunciato il referendum per l’annessione. Minnikhanov è arrivato a Simferopoli per firmare un accordo di cooperazione con il nuovo premier de facto della Crimea Sergey Aksyonov, gelando le aspettative dei cugini tatari e limitandosi a blandirli con promesse di scambi culturali in nome di «religione, lingua e cultura condivise». Siamo uguali, insomma, ma se volete una mano dovete stare dalla parte giusta.
Sarà compito del nuovo capo dei servizi di sicurezza della Crimea, Petr Zima, far capire loro quale sarà la parte giusta. Questi ha già promesso guerra agli islamici con simpatie radicali. Il suo obiettivo, dice, non sono i tatari del Mejlis, ma i fondamentalisti di Hizb ut Tahrir, «un’organizzazione terrorista» che va colpita con forza.
Il premier Aksenov ha immediatamente allargato lo spettro dei nemici: «Useremo la forza contro coloro che non vorranno collaborare con le autorità». La risposta di Hizb ut Tahrir, che nella penisola fa in realtà ben pochi proseliti e che finora non ha mai inneggiato alla violenza, non si è fatta attendere. Il suo leader Fazil Amazayev
ha dichiarato all’Independent che a ogni attacco corrisponderà un contrattacco e ha ricordato che Zima, ex capo della sicurezza a Sebastopoli, è noto per la sua propensione a ordinare raid "facili" contro i presunti estremisti. «Noi e l’establishment tataro», dice Amazayev, «abbiamo avuto parecchie controversie nel passato, ma adesso siamo uniti da un nemico comune. Sappiamo come sopravvivere, lo abbiamo fatto in Siria, Egitto, Libia e Tunisia».
Più soli resteranno i tatari, più forte i venti del fondamentalismo spazzeranno il Mar Nero.