venerdì 6 gennaio 2017

Mappe della massima espansione del Regno d'Italia e del suo impero coloniale





Il colonialismo italiano ebbe inizio nel 1882 con il possedimento di Assab in Eritrea e alla massima espansione i possedimenti coloniali italiani comprendevano quattro territori dell'Africa (la Libia, la Somalia, l'Etiopia e l'Eritrea), il Dodecaneso, l'Albania e la piccola concessione cinese nella città di Tientsin.
Il 9 maggio 1936, mediante la dichiarazione della sovranità piena e intera del Regno d'Italia sull'Etiopia e l'assunzione da parte del re d'Italia del titolo di imperatore d'Etiopia fu proclamato un impero coloniale,[1] destinato a cadere a seguito dei rovesci subiti dall'Italia nel corso della seconda guerra mondiale.
Nel dopoguerra solamente la Somalia rimase sotto amministrazione fiduciaria fino al 1960.

Storia


Il territorio di Assab, acquisito nel 1882

Colonie italiane nel 1914

L'Impero italiano nel 1939

L'Impero italiano tra il 1940 e il 1943, durante i quali occupò parte dell'Egitto, la Tunisia, i Balcani, la Grecia, la Corsica, alcuni territori francesi, la Somalia britannica e le zone di confine di Sudan e Kenya
Subito dopo l'Unità il Regno d'Italia iniziò ad ambire a possedimenti coloniali.
Il colonialismo italiano ebbe inizio con la presa di possesso dei porti di Assab e Massaua sulla costa africana del mar Rosso negli ultimi decenni del XIX secolo ed ebbe termine con la sconfitta dell'Asse nella seconda guerra mondiale che comportò la perdita di tutte le colonie italiane (eccetto la Somalia italiana, che rimase in amministrazione fiduciaria ONU: tuttavia, rimanendo la Somalia de facto protettorato italiano fino al 1960, alcuni prendono tale data come termine del colonialismo italiano).
Le colonie italiane furono in Africa: l'Eritrea, la Somalia italiana, la Libia (strappata all'Impero ottomano nel 1912) e l'Etiopia italiana (conquistata ed annessa nel 1936); in Europa il Dodecaneso e l'Albania (occupata dalle truppe italiane nel 1939).
I territori sotto il comando degli italiani nel continente africano raggiunsero la massima estensione nell'estate del 1940, quando fu occupata anche la Somalia britannica (3-19 agosto), aree intorno a cittadine sudanesi (come Cassala) e keniane (Moyale) ed alcune località egiziane vicino al confine con la Libia (settembre): l'impero all'inizio del 1941 raggiungeva oltre 4.1 milioni di km².
A differenza delle altre potenze europee, l'Italia non stabilì mai nessun possedimento coloniale negli altri continenti oltre l'Africa e l'Europa, se si esclude la piccola concessione italiana di Tientsin in Cina (e l'occupazione dell'Anatolia sudoccidentale).
L'Italia puntava a stabilire il proprio dominio sulla vicina Tunisia, Paese sulla sponda opposta mediterranea, in cui si era stabilita da qualche anno una nutrita comunità di connazionali. Tuttavia, la Francia se ne impadronì nel 1881, provocando una indispettita reazione del governo Depretis e una svolta nella politica estera italiana. Fu proprio per l'azione improvvisa della Francia che l'Italia intraprese i contatti diplomatici con la Germania e l'Austria-Ungheria che portarono alla firma del trattato della Triplice Alleanza nel 1882, determinando così l'interruzione del processo di riunificazione nazionale con il Trentino e la Venezia Giulia ancora in mano all'impero austriaco.
Frizioni con la Francia si ebbero, nel medesimo periodo, anche in Algeria, dove a Bona era attiva una comunità italiana di pescatori di corallo.

Mire in Asia e concessione a Sabah (Borneo)

Nei due decenni dopo l'Unità, l'Italia guardava con un certo appetito ai pochi territori asiatici ancora liberi da altre potenze coloniali, in particolare la Thailandia, l'Alta Birmania, il sultanato di Aceh, le isole Andamane e Nicobare. Nel 1880 il Barone Von Overbeck, console dell'Impero Austro-Ungarico ad Hong Kong, visto il rifiuto del proprio governo di Vienna di un aiuto nella sua concessione del Borneo settentrionale, l'attuale stato di Sabah della Malesia, chiese al governo Italiano se fosse stato interessato ad acquisire la concessione e creare la prima colonia italiana nell'Asia insulare (Borneo), ma il progetto naufragò per il rifiuto di Roma di intervenire, lasciando così mano libera alla Gran Bretagna, che occupò successivamente la concessione, inglobandola nella Malesia Britannica. La motivazione iniziale di Von Oberbeck riguardava la possibilità di creare una colonia penale del governo italiano nell'area di Sabah:
« ... analoghi passi e proprio in quei mari (della Malesia) - oltre che in Argentina - avrebbe fatto, pochi anni dopo, il governo italiano, desideroso di confinare lontano dalla madrepatria i detenuti più pericolosi, specialmente dopo la repressione del Brigantaggio meridionale (1860-64); tentativi che, peraltro, non ebbero esito positivo.[2] »
Del resto alla fine del 1869 l'esploratore Emilio Cerruti fu mandato nella Nuova Guinea per allacciare rapporti con le popolazioni locali, ottenendo buoni risultati per la creazione di un'eventuale colonia commerciale e/o colonia penale, ma il timore di inimicarsi l'Inghilterra e l'Olanda fece fallire tutto[3]. Cerruti infatti era tornato nel 1870 a Firenze con bozze di trattati firmati dai sultani delle isole di AruKai e Balscicu nella Nuova Guinea, dove veniva accettata da loro la sovranità italiana (il Cerruti aveva finanche preso possesso di alcuni settori della costa settentrionale ed occidentale nella Nuova Guinea in nome dell'Italia).[4]
Nel 1883 il governo italiano chiese a quello inglese per via diplomatica se avrebbe accettato che la Nuova Guinea potesse divenire una colonia italiana: al rifiuto britannico l'Italia abbandonò ogni tentativo di colonizzazione nel Pacifico asiatico.[5]

Il primo tentativo nel Corno d'Africa

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: guerra d'Eritrea.
In Africa fin dal 1861 con Cavour vi fu un tentativo poco conosciuto - stroncato prontamente da inglesi e francesi - di creare una piccola colonia, inizialmente commerciale, sulla costa della Nigeria e nell'isola portoghese del Príncipe[6].
Tuttavia i primi tentativi di acquisire veri e propri possedimenti coloniali, risalgono ai tempi della Sinistra di Agostino Depretis e di Francesco Crispi, anche se alcuni governi precedenti avevano appoggiato, sebbene non in maniera esplicita, alcune iniziative private, come l'acquisizione della baia di Assab da parte della Compagnia di Navigazione Rubattino.
Nel corso degli anni ottanta del secolo XIX vi furono almeno tre tentativi ufficiali del governo italiano per l'acquisizione di un porto nel mar Rosso il quale potesse fungere da base verso un futuro impero coloniale in Asia o in Africa.

Eritrea e Somalia

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Somalia Italiana e Africa Orientale Italiana.
Oltre all'acquisto di Assab dalle mani della compagnia Rubattino (nel 1882), lo Stato italiano cercò di acquistare ed occupare il porto di Zeila, a quel tempo controllato dagli egiziani, ma senza esito. Quando gli egiziani dovettero ritirarsi dal Corno d'Africa nel corso del 1884, i diplomatici italiani fecero un accordo con la Gran Bretagna per l'occupazione del porto di Massaua che assieme ad Assab formò i cosiddetti possedimenti italiani nel mar Rosso (dal 1890 denominati Colonia eritrea).

Possedimenti italiani nel 1896 nel Corno d'Africa, includendo il rigettato protettorato abissino e l'area sudanese di Cassala
Per i governi crispini, la città di Massaua diventò il punto di partenza per un progetto che doveva sfociare nel controllo dell'intero Corno d'Africa. Agli inizi degli anni ottanta questa zona era abitata da popolazioni etiopiche, dancale, somale e oromo autonome o sottoposte formalmente a diversi dominatori: gli egiziani (lungo le coste del mar Rosso), sultani (HararObbia e Zanzibar i più importanti), emiri o capi tribali. Diverso il caso dell'Etiopia, allora retta dal Negus Neghesti ("Re dei Re") Giovanni IV, ma con la presenza di un secondo Negus (re) nei territori del sud: Menelik.
Attraverso gli studiosi e i commercianti italiani che frequentavano la zona già dagli anni sessanta, l'Italia cercò di dividere i due Negus al fine di penetrare, dapprima politicamente e in seguito militarmente, all'interno dell'altopiano etiopico. Tra i progetti vi furono l'occupazione della città santa di Harar, l'acquisto di Zeila dai britannici e l'affitto del porto di Chisimaio posto alla foce del Giuba in Somalia. Tutti e tre i progetti non si conclusero positivamente, in particolare la presa della città di Harar da parte delle forze etiopiche di Menelik impedì l'esecuzione di un'operazione simile da parte delle forze italiane. È senz'altro da ricordare, anche per l'eco suscitata in patria, la disfatta nella battaglia di Dogali del 1887, durante un tentativo di espansione italiana.
Nel 1889 l'Italia ottenne, tramite un accordo da parte del console italiano di Aden con i rispettivi sultani, i protettorati sul sultanato di Obbia e su quello della Migiurtinia. Nel 1892 il sultano di Zanzibar concesse in affitto i porti del Benadir (fra cui Mogadiscio e Brava) alla società commerciale "Filonardi". Il Benadir, sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal Regno d'Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del Giuba e dell'Omo e per l'assunzione di un protettorato sulla città di Lugh.
Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: guerra di Abissinia.
A seguito della sconfitta e della morte dell'imperatore Giovanni in una guerra contro i dervisci sudanesi, l'esercito italiano di stanza a Massaua occupò una parte dell'altopiano etiopico, compresa la città di Asmara, sulla base di precedenti ambigui accordi fatti con Menelik il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere Negus Neghesti. Con il trattato che seguì, Menelik accettò la presenza degli italiani sull'altopiano e riconobbe di utilizzare l'Italia come canale di comunicazione di preferenza con i paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento venne interpretato dagli italiani (e tradotto dalla lingua amarica di conseguenza) come l'accettazione di un protettorato e per cinque anni sarà fonte di discordie fra i due paesi.
Queste differenti interpretazioni del trattato posero le basi per lo scoppio di un conflitto e la successiva avanzata italiana in Abissinia (ora Etiopia); ma la pronta reazione delle truppe abissine costrinse inizialmente alla resa. Dopo questa prima sconfitta l'Italia subì, il 1º marzo 1896, la definitiva e pesante disfatta di Adua, nella quale caddero sul campo circa 7.000 uomini. Il 26 ottobre 1896 fu conclusa la pace di Addis Abeba, con la quale l'Italia rinunciava alle sue mire espansionistiche in Abissinia. La disfatta provocò forti reazioni in tutta Italia, dove vi fu chi propose un immediato rilancio del progetto coloniale e chi, come una parte del partito socialista, propose di abbandonare immediatamente queste imprese.

Sudan

La sconfitta dei mahdisti ad Agordat (Eritrea), da parte delle truppe italiane ed ascare, spinse il generale Oreste Baratieri ad ordinare un'incursione oltre il confine con il Sudan. Il 16 luglio 1894, Baratieri condusse personalmente una colonna di 2.600 tra ascari ed italiani verso la città sudanese di Cassalaconquistandola dopo un breve combattimento; a Cassala venne lasciato un presidio al comando del maggiore Domenico Turitto, mentre Baratieri con il grosso delle truppe rientrò in Eritrea. Nelle intenzioni degli italiani, Cassala doveva fare da trampolino di lancio per una campagna contro lo stato mahdista da tenersi in collaborazione con i britannici, ma questi ultimi rifiutarono l'aiuto italiano, temendo che esso celasse mire espansionistiche in Sudan.
La guarnigione italiana di Cassala venne ritirata nel dicembre del 1897, quando la città venne restituita agli anglo-egiziani; la rivolta madhista sarà infine schiacciata dagli anglo-egiziani con la vittoria nella battaglia di Omdurman il 2 settembre 1898.

La Cina e la concessione di Tientsin

Durante la Rivolta dei Boxer in Cina (1899-1901), l'Italia intervenne nel paese asiatico con un corpo di spedizione, al fianco delle altre Grandi Potenze; alla fine del conflitto, il governo cinese concesse all'Italia una piccola zona nella città di Tientsin, il porto di Pechino.

La conquista della Libia

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: guerra italo-turca e Africa Settentrionale Italiana.

Giovanni Battista Ameglio, governatore della Cirenaica dal 1913 al 1918.
Nel 1911-12 il Governo Giolitti, dopo una serie di accordi con la Gran Bretagna e la Francia, che ribadivano le rispettive sfere d'influenza nell'Africa settentrionale, dichiarò guerra all'Impero ottomano. Per costringere la Turchia alla resa, gli Italiani spostarono le operazioni militari nel mar Egeo e occuparono Rodi e le isole del Dodecaneso. La Turchia dovette cedere con la pace di Losanna nel 1912 e l'Italia occupò la Tripolitania e la Cirenaica, dando vita alla formazione della colonia della Libia italiana, il cui possesso venne consolidato nel corso degli anni venti e trenta.[7]
Successivamente un trattato del 1935 tra l'Italia e la Francia, rispettivamente potenze coloniali in Libia e in Ciad, assegnò la Striscia di Aozou alla Libia italiana: si trattava del cosiddetto Trattato Mussolini-Lavalperaltro mai ratificato ufficialmente.[senza fonte]
La guerra italo-turca fu combattuta dal Regno d'Italia contro l'Impero ottomano tra il 29 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912, per conquistare le regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica. Le ambizioni coloniali spinsero l'Italia ad impadronirsi delle due province ottomane che nel 1934, assieme al Fezzan, avrebbero costituito la Libia dapprima come colonia italiana ed in seguito come Stato indipendente. Durante il conflitto fu occupato anche il Dodecaneso nel Mar Egeo; quest'ultimo sarebbe dovuto essere restituito ai turchi alla fine della guerra, ma rimase sotto amministrazione provvisoria da parte dell'Italia fino a quando, con la firma del trattato di Losanna nel 1912, la Turchia rinunciò a ogni rivendicazione, e riconobbe ufficialmente la sovranità italiana sui territori perduti nel conflitto.
Nel corso della guerra, l'impero ottomano si trovò notevolmente svantaggiato, poiché poté rifornire il suo piccolo contingente in Libia solo attraverso il Mediterraneo. La flotta turca non fu in grado di competere con la Regia Marina e gli Ottomani non riuscirono ad inviare rinforzi alle province nordafricane. Pure se minore, questo evento bellico fu un importante precursore della prima guerra mondiale, perché contribuì al risveglio del nazionalismo nei Balcani. Osservando la facilità con cui gli italiani avevano sconfitto i disorganizzati turchi ottomani, i membri della Lega Balcanica attaccarono l'Impero prima del termine del conflitto con l'Italia.
La guerra registrò numerosi progressi tecnologici nell'arte militare tra cui, in particolare, l'impiego dell'aeroplano (furono schierati in totale 9 apparecchi) sia come mezzo offensivo che come strumento di ricognizione. Il 23 ottobre 1911 il pilota capitano Carlo Maria Piazza sorvolò le linee turche in missione di ricognizione, e il 1º novembre dello stesso anno l'aviatore Giulio Gavotti lanciò a mano la prima bomba aerea (si disse grande come un'arancia,) sulle truppe turche di stanza in Libia. Altrettanto significativo fu l'impiego della radio con l'allestimento del primo servizio regolare di radiotelegrafia campale militare su larga scala, organizzato dall'arma del genio sotto la guida del comandante della compagnia R.T. Luigi Sacco e con la collaborazione dello stesso Guglielmo Marconi. Infine, il conflitto libico registrò il primo utilizzo nella storia di automobili in una guerra: le truppe italiane furono dotate di autovetture Fiat e motociclette SIAMT.

Gli anni venti (Anatolia) e trenta (Abissinia)

Una delle richieste italiane durante la stesura del trattato di Versailles del 1919, dopo la fine della prima guerra mondiale, fu quella di ricevere la Somalia francese e il Somaliland Britannico in cambio della rinuncia alla ripartizione delle ex colonie tedesche tra le forze dell'Intesa. Fu l'ultimo tentativo dello stato liberale di perseguire la politica di penetrazione nel Corno d'Africa. Dopo il trattato, però, l'Italia ottenne solo l'Oltregiuba dalla Gran Bretagna, da annettere alla Somalia Italiana ed una ridefinizione dei confini della Libia, che venne così ampliata.
Nel 1919 e nei primi anni venti si ebbe l'occupazione italiana di Adalia in Anatolia, che finì dopo soli tre anni con un nulla di fatto una volta che Kemal Atatürk riconobbe la sovranità italiana nel Dodecaneso. Infatti il 9 marzo 1919, il governo italiano fece sbarcare truppe italiane ad Adalia e successivamente furono occupate anche le località vicine: Makri Budrun, Kuch-Adassi, Alanya, Konya, Ismidt e Eskişehir. Nell'autunno 1922 le truppe italiane lasciarono l'Anatolia.
Il colonialismo italiano venne rilanciato quindi dal regime fascista soprattutto durante gli anni trenta e portò alla conquista dell'Etiopia nel 1935/36.

Altre mire del governo italiano


Ambizioni dell'Italia fascista in Europa nel 1936 (in verde scuro l'Italia metropolitana e i territori dipendenti, in verde chiaro gli Stati clienti, in turchese scuro i territori rivendicati da annettere, in turchese chiaro i Paesi da trasformare in stati clienti; l'Albania è tratteggiata con linee verde chiaro e turchese scuro in quanto era uno Stato cliente che l'Italia voleva incorporare come un territorio dipendente)[8]
Il secondo tentativo di creare un vasto impero coloniale si poneva come obiettivo il controllo di una zona di territorio che andasse dal mar Mediterraneo al Golfo di Guinea. Allo stesso tempo si considerò la possibilità di ottenere l'Angola dal Portogallo.
  • Ciad
Il progetto non venne mai esplicitato pubblicamente, ma fu strategicamente chiaro durante le trattative per il Trattato di Versailles (1919) e causò frizioni diplomatiche con la Francia. Per realizzare questo progetto, avendo già formale possesso della Libia, il corpo diplomatico italiano chiese di avere la colonia tedesca del Camerun (o quella del Togo[9]) e cercò di ottenere, come compenso per la partecipazione alla guerra mondiale, il passaggio del Ciad dalla Francia all'Italia.
Il progetto fallì quando il Camerun venne assegnato alla Francia e l'Italia ottenne solamente l'Oltregiuba dal Regno Unito. Per compensare la perdita britannica dell'Oltregiuba fu concesso 1/5 del Camerun ex tedesco che sarebbe poi stato unito alla Nigeria britannica, l'Italia ottenne inoltre una ridefinizione dei confini tra Libia e Ciad.
  • Angola
Anche l'Angola portoghese fu ambita nelle trattative per il trattato di Versailles.[10]
Una richiesta alternativa del programma delle rivendicazioni coloniali italiane riguardava la colonia portoghese dell'Angola (anche per il Congo belga fu fatta richiesta analoga).[11]
Infatti il governo italiano a Parigi dichiarava che il Portogallo aveva un impero sproporzionato rispetto alle sue piccole dimensioni, al contrario dell'Italia che si trovava in una situazione opposta. Furono avanzate due proposte:
  • il riconoscimento all'Italia da parte del Portogallo di concessioni agricole in Angola per emigranti italiani;
  • nel caso che il Portogallo venisse privato di alcune sue colonie, la Gran Bretagna e la Francia avrebbero riconosciuto all'Italia il diritto sull'Angola.
Contemporaneamente il governo italiano promosse la costituzione da parte delle 11 banche italiane più importanti di una "Società Coloniale per l'Africa Occidentale" per la gestione delle concessioni agricole in Angola. Comunque questo progetto trovò una ferma opposizione da parte delle autorità portoghesi.[12]
Alla proposta italiana poi definita "assurda" risposero con fermezza Regno Unito e Francia in difesa portoghese ribadendo che le colonie portoghesi erano frutto di una conquista coloniale secolare da parte dei lusitani e che non c'era alcuna ragione concreta a che il Portogallo che pure aveva (molto limitatamente) partecipato alla I guerra mondiale cedesse la colonia all'Italia, dato che anch'esso figurava tra i vincitori del conflitto. L'Italia a giudizio franco-britannico aveva ottenuto già abbastanza con la conquista del Trentino-Alto Adige e dell'Istria nonché le rettifiche territoriali sempre a vantaggio italiano nell'Oltregiuba.
  • Georgia
Nel 1919 il Re d'Italia Vittorio Emanuele III, invocando uno dei diritti italiani stabiliti in favore delle potenze vincitrici del 1° conflitto mondiale, all'articolo n. 9 del celeberrimo "Patto di Londra" dell'aprile 1915, chiese ed ottenne l'assenso di un'altra potenza vincitrice, l'Impero Britannico, attraverso i buoni uffici di Lloyd George, per l'invio in Georgia, terra in fermento indipendentista sia verso l'Impero russo e sia verso la Turchia, di un contingente italiano di ben 85.000 uomini agli ordini del generale Giuseppe Pennella.[13]
Pennella avrebbe dovuto difendere l'indipendenza della Georgia e sostenere la neonata Federazione delle Repubbliche Transcaucasiche (Georgia, Armenia e Azerbaigian) per controbattere una possibile ingerenza dell'imperialismo russo dei Soviet. In altri termini, si può dire che la proposta di Lloyd George ricalcava gli esordi dell'espansione coloniale italiana nel Mar Rosso, nel penultimo decennio dell'Ottocento, che erano stati, in fondo, un episodio collaterale delle difficoltà britanniche nel Sudan all'epoca del ritiro delle guarnigioni egiziane dall'Eritrea e, poi, della grande insurrezione mahdista.[14]
Del resto il governo Orlando, poco prima di cadere, decise con un apposito decreto, la spedizione italiana in Georgia e ne stabilì perfino i termini e le date. Ma il successivo governo Nitti decise di soprassedere per non compromettere le nuove relazioni tra l'Italia e la neocostituita Unione Sovietica. Successivamente Mussolini, nel 1941, cercò di creare una Georgia "Protettorato italiano" sfruttando anche i legami tra le due nazioni, originati da Pennella nel 1919[15].
  • Yemen
In questa fase la colonia eritrea, sotto l'amministrazione del Governatore Jacopo Gasparini cercò di ottenere nel 1926 un protettorato sullo Yemen e creare una base per un impero coloniale sulla penisola araba.[16]
Mussolini non volle però inimicarsi la Gran Bretagna e fermò il progetto. Infatti tergiversò e si lasciò sfuggire il possibile controllo di un'interessante area petrolifera. Del resto in quegli anni Mussolini era in continuo contatto epistolare con Winston Churchill (allora suo amico), che lo convinse a non appoggiare il governatore Gasparini.[17]
  • Area centroeuropea e Balcani
Il regime fascista non si limitò a rivendicare il territorio, per secoli veneziano, della Dalmazia, già obiettivo dei padri del Risorgimento nel contesto del processo di unificazione nazionale, ma coltivò disegni imperiali per Albania, gran parte della SloveniaCroaziaBosnia ed ErzegovinaMacedonia e Grecia, fondati sui precedenti dell'antica dominazione romana di queste regioni.[18] Il regime cercò inoltre di stabilire un rapporto di protezione patrono-cliente con l'Austria, l'Ungheria, la Romania e la Bulgaria trascurando il fatto che i rapporti fra Ungheria e Romania erano tesi e che la Romania era sotto protezione francese dapprima e poi, a partire dal 1941, controllata dalla Germania nazista per le sue materie prime.[18]

Ambizioni dell'Italia fascista in Europa nel 1936 (in verde scuro l'Italia metropolitana e i territori dipendenti, in verde chiaro gli Stati clienti, in turchese scuro i territori rivendicati da annettere, in turchese chiaro i Paesi da trasformare in stati clienti; l'Albania è tratteggiata con linee verde chiaro e turchese scuro in quanto era uno Stato cliente che l'Italia voleva incorporare come un territorio dipendente)[8]

La conquista dell'Etiopia e la nascita dell'impero

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Guerra d'Etiopia.

L'impero coloniale italiano dal 1936 al 1941
Il fascismo cercò inizialmente di presentarsi in maniera propositiva nei confronti dell'Etiopia cercando di attuare un trattato di amicizia con l'amministrazione del reggente Haile Selassie. Tale accordo si concretizzò nel 1928.

Insegna del viceré dell'Africa Orientale Italiana

Insegna dei governatori di colonia
A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli anni ventiMussolini manifestò l'intenzione di dare un Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto libero da ingerenze straniere era l'Abissinia, nonostante fosse membro della Società delle Nazioni. Il progetto d'invasione iniziò all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di amicizia e si concluse con l'ingresso dell'esercito italiano ad Addis Abeba il 5 maggio 1936. Quattro giorni dopo venne proclamata la nascita dell'Impero italiano e l'incoronazione di Vittorio Emanuele III come Imperatore d'Etiopia (con il titolo di Qesar, anziché quello di "Negus Neghesti").
A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia negli anni venti e trenta[19], durante il dominio coloniale italiano in Africa furono usate armi vietate, quali gas asfissianti e iprite.[20][21] La successiva pacificazione attuata dal fascismo nelle colonie africane, talora brutale, fu totale in Libia, Eritrea e Somalia (mentre in Abissinia, dopo meno di cinque anni, nel 1940 oltre il 75% del territorio era completamente controllato dagli Italiani) e risultò in un notevole sviluppo economico dell'area[22], accompagnato da una consistente emigrazione di coloni italiani.[23]
Con la conquista di gran parte dell'Etiopia si procedette ad una ristrutturazione delle colonie del Corno d'AfricaSomaliaEritrea ed Abissinia vennero riunite nel vicereame dell'Africa Orientale Italiana (AOI). Il progetto coloniale terminò con l'occupazione britannica dei territori soggetti al dominio italiano nel 1941.

Ambizioni del regime fascista

Nel settembre 1923 il neo-primo ministro Mussolini fece occupare per circa un mese l'isola di Corfù, con mire annessionistiche (Crisi di Corfù). Nel corso della seconda guerra mondiale, Corfù fu rioccupata dall'Esercito Italiano nell'aprile 1941. Tale occupazione durò fino al settembre 1943: durante questo periodo, sempre insieme alle Isole Ionie, venne amministrata come entità separata rispetto alla Grecia con l'intento di prepararne l'annessione al Regno d'Italia.
Mussolini richiese anche, come risarcimento del suo intervento nella guerra civile spagnola, l'isola di Minorca nelle Baleari allo scopo di farvi una base aeronavale italiana, ma la ferrea opposizione di Francisco Franco annullò ogni pretesa italiana. Secondo storici come Camillo Berneri, Mussolini ambiva non solo le Baleari, ma anche il Marocco spagnolo (specialmente l'area di Ceuta, che confinava con il Territorio Internazionale di Tangeri nel quale l'Italia era co-garante dal 1928)[24]

Mappa della Grande Italia secondo il progetto del 1940: in rosso i territori dell'Europa e dell'Africa da includere nell'Italia metropolitana, in giallo le aree da includere nell'Impero coloniale italiano
Dopo l'occupazione, tra il 1939 e il 1941, di alcune zone della Dalmazia, del Montenegro, dell'Albania, del Kosovo e della Somaliland inglese, da parte delle truppe italiane, l'obiettivo di Mussolini fu quello di estendere la presenza italiana anche a MaltaTunisiaSomalia francese e Corsica.
Dopo la caduta della Francia, l'illusione di una vittoria sulla Gran Bretagna spinse Mussolini e il Ministro degli Esteri Ciano ad iniziare una serie di colloqui con gli ambiti civili di AlgeriaEgitto e Sudan. I colloqui vennero ben presto ostacolati dall'alleato tedesco e terminarono con la controffensiva britannica in Cirenaica.
Ai primi di novembre 1942, a seguito degli sbarchi alleati in Marocco e Algeria, l'Italia con l'operazione Anton occupò la Corsica e una fascia di territorio Francese larga all'incirca 200 km a ovest del confine.[25] Con quest'operazione (e le successive occupazione della Tunisia e del Principato di Monaco) il territorio occupato dall'Italia nel Mediterraneo raggiunse la sua massima estensione, ma si trattò di un successo apparente, in quanto negli stessi giorni la seconda battaglia di El Alamein e il successivo crollo del fronte libico portarono alla perdita dell'Africa settentrionale e al successivo crollo dell'Italia.
Sul finire del 1941 Italia e Germania intavolarono una trattativa per occupare militarmente e politicamente la Svizzera, progetto poi mai andato in opera.
Prevedeva la spartizione in 2 parti: alla Germania la parte settentrionale di lingua tedesca e francese, all'Italia il Canton Ticino, il Vallese e i Grigioni oltre a Ginevra aggregata alla Savoia italiana.[26]

Fine dell'impero

L'Impero italiano tramontò definitivamente nel corso del 1943, dopo l'espulsione del regio esercito ad opera delle forze britanniche e del Commonwealth, prima dall'Africa orientale (Campagna Alleata in Africa Orientale), nel novembre del 1941, e successivamente dal Nord Africa (Campagna del Nord Africa), nella primavera del 1943.
Le truppe italiane in Albania, nel Dodecaneso e nelle altre isole greche, non senza episodi cruenti come la Strage di Cefalonia, vennero ritirate a partire dal settembre 1943 dopo la caduta di Mussolini e la successiva resa dell'Italia.
Formalmente l'Italia venne privata di tutti i propri possedimenti coloniali con il trattato di Parigi del 1947. Nel 1950 le Nazioni Unite riconobbero all'Italia l'amministrazione fiduciaria della Somalia Italiana fino al 1960.

Colonie italiane


L'Impero italiano nel 1940

Eritrea (1882-1947)

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: colonia eritrea e governatorato dell'Eritrea.
L'area del mar Rosso fu una delle zone che suscitò il maggior interesse dei governi della Sinistra italiana.
Primo nucleo della futura colonia Eritrea fu l'area commerciale stabilita dalla società Rubattino nel 1869 presso la baia di Assab. Abbandonata per una decina d'anni, fu poi acquistata dallo stato italiano nel 1882, venendo a costituire il più antico fra i possedimenti coloniali italiani in Africa e nel resto del mondo. Nel 1885 anche il porto di Massaua cadde sotto il dominio italiano.
Con il trattato di Uccialli i possedimenti italiani vennero estesi nell'entroterra fino alle sponde del fiume Mareb. Di conseguenza il 1º gennaio 1890 fu istituzionalizzato il possesso di quei territori con la creazione di una colonia retta da un governatore (il primo ad occupare tale carica fu il generale Baldassarre Orero), e avente capoluogo la città di Asmara (climaticamente più confortevole per gli italiani rispetto a Massaua).
La massima espansione dei suoi confini fu raggiunta agli inizi del 1896, quando il Governatore della colonia, Oreste Baratieri dovette tramutare in realtà il progetto di occupazione dell'entroterra etiopico. Nel 1894 aveva fatto occupare la città sudanese di Cassala, allora possedimento derviscio, mentre nel 1895 durante la campagna d'Africa Orientale, occupò ampie zone del Tigrè, comprendenti la città di Axum. A seguito della sconfitta nella battaglia di Adua, i confini della colonia ritornarono ad essere quelli stabiliti dal Trattato e tali rimasero fino alla Guerra d'Etiopia.
Primo governatore non militare fu Ferdinando Martini a quel tempo convinto sostenitore della necessità per lo stato italiano di possedere colonie. A costui toccò il compito di ristabilire contatti pacifici con l'Etiopia, di migliorare i rapporti fra italiani e popolazioni indigene e di creare un corpo di funzionari che portasse avanti l'amministrazione della colonia. Fu grazie alla sua politica che la colonia ebbe degli Ordinamenti Organici e dei codici coloniali.
Uno degli ufficiali più attivi presso il Commissariato di Adua in Eritrea fu il friulano Giovanni Ellero.
Durante il fascismo, la colonia fu oggetto di un ambizioso progetto di modernizzazione, voluto dal Governatore Jacopo Gasparini, che cercò di tramutarla in un importante centro per la commercializzazione dei prodotti e materie prime. Asmara, la capitale dell'Eritrea italiana popolata nel 1939 da 53.000 Italo-eritrei su un totale di 98.000 abitanti, fu luogo di un notevole sviluppo urbanistico/architettonico.
La colonia Eritrea venne inglobata nell'Africa Orientale Italiana nel 1936, diventando uno dei sei governi in cui era diviso il vicereame, i confini della colonia vennero riportati a quelli del 1895 con l'annessione del territorio del Tigrè.
Nella primavera del 1941 la colonia venne occupata, insieme al resto dell'Africa Orientale Italiana, dalle truppe britanniche

Somalia italiana (1890-1960)

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Somalia italiana.
La prima colonia italiana fu stabilita nel sud della Somalia tra il 1889 e il 1890, inizialmente come protettorato. Nel giugno 1925 la sfera di influenza italiana venne estesa fino ai territori dell'Oltregiuba e le isole Giuba, fino ad allora parte del Kenya inglese e cedute come ricompensa per l'entrata in guerra a fianco degli Alleati durante la prima guerra mondiale.
Negli anni venti e trenta si ebbe l'insediamento di numerosi coloni italiani a Mogadiscio e nelle aree agricole come Villabruzzi, con notevole sviluppo della colonia.
Dopo l'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale (10 giugno 1940), nell'agosto 1940 le truppe italiane occuparono la Somalia britannica (Somaliland), che fu amministrativamente incorporata nella Somalia italiana[senza fonte]. Nei primi mesi del 1941 le truppe inglesi occuparono tutta la Somalia italiana e riconquistarono anche il Somaliland.
Dopo l'invasione da parte delle truppe alleate nella seconda guerra mondiale la Somalia Italiana fu consegnata all'Italia in amministrazione fiduciaria decennale nel 1950.

Libia (1911-1943)

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Libia italiana.

Crescita del territorio della Libia italiana

Truppe italiane sparano contro i turchi a Tripoli (1911)
Dopo una breve guerra contro l'Impero ottomano nel 1911, l'Italia acquisì il controllo della Tripolitania e della Cirenaica, ottenendo il riconoscimento internazionale a seguito degli accordi del trattato di Losanna. Le mire italiane sulla Libia vennero appoggiate dalla Francia, che vedeva di buon occhio l'occupazione di quel territorio in funzione anti-britannica. Con il fascismo, alla Libia venne attribuito l'appellativo di quarta sponda negli anni trenta, dopo che negli anni venti vi fu la pacificazione della colonia ad opera di Rodolfo Graziani.
Nel 1934, Tripolitania e Cirenaica vennero riunite per formare la colonia di Libia, nome utilizzato 1.500 anni prima da Diocleziano per indicare quei territori. Il governatore Italo Balbo avviò un piano di colonizzazione che portò decine di migliaia di italiani in Libia, con un conseguente enorme sviluppo socio-economico della Libia.
L'Italia perse il controllo sulla Libia quando le forze italo-tedesche si ritirarono in Tunisia nel 1943. Dopo la fine della guerra, la Libia venne provvisoriamente amministrata dalla Gran Bretagna e dalla Francia nel Fezzan fino al conseguimento definitivo dell'indipendenza nel 1951.

Abissinia (1936-1941)

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Africa Orientale Italiana.
L'Abissinia (l'odierna Etiopia) fu conquistata dalle truppe italiane, comandate dal maresciallo Pietro Badoglio dopo la guerra del 1935-1936. La vittoria fu annunciata da Benito Mussolini il 9 maggio 1936, il Re d'Italia Vittorio Emanuele III assunse il titolo di Imperatore d'Etiopia; Mussolini quello di Fondatore dell'Impero, e a Badoglio fu concesso il titolo di Duca di Addis Abeba.Il 21 maggio 1936 il maresciallo Badoglio ritornò in Italia e cedette il comando supremo al maresciallo Rodolfo Graziani.
Con l'annessione dell'Etiopia, i possedimenti italiani in Africa Orientale (Etiopia, Somalia ed Eritrea) furono unificati sotto il nome di Africa Orientale Italiana A.O.I., e posti sotto il governo di un Viceré che inizialmente fu il maresciallo Graziani sostituito nel dicembre 1937 da Amedeo Duca d'Aosta.
L'Etiopia, insieme all'Eritrea, fu molto interessata dalla emigrazione italiana e dalla costruzione di nuove strade, grandi infrastrutture (ponti, ecc.) e anche dalla sistemazione delle città, specie della capitale Addis Abeba secondo un piano regolatore prestabilito (nuovi quartieri, una nuova ferrovia). La breve presenza italiana, di soli 5 anni, e le difficoltà di pacificazione della zona, non permise la sistemazione totale della città, che sarebbe dovuta essere il fiore all'occhiello del colonialismo italiano; la resistenza etiopica degli arbegnuoc ("patrioti") fu infatti attiva e pericolosa durante tutti gli anni del dominio italiano. inoltre, quale membro della Lega delle Nazioni, l'Italia ricevette la condanna internazionale per l'occupazione dell'Etiopia, che era uno stato membro.
Nei primi mesi del 1941 le truppe inglesi sconfissero gli italiani ed occuparono l'Etiopia, anche se alcuni focolai di resistenza italiana si mantennero attivi a Gondar fino all'autunno del 1941. Inoltre si ebbe anche una guerriglia italiana durata fino al 1943. Gli inglesi reinsediarono il deposto NegusHaile Selassie, esattamente cinque anni dopo la sua cacciata.

Albania (1939-1943)

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: occupazione italiana dell'Albania (1939-1943)Albania e Cossovo.

Bandiera dell'Albania sotto il governo fascista di Shefqet Vërlaci

Bandiera distintivo di Luogotenente Generale in Albania
L'Albania era sotto la sfera di influenza italiana dagli anni venti, e l'isola di Saseno davanti Valona era parte integrante del Regno d'Italia dai tempi della pace di Parigi (1919).
Dopo alterne vicende, l'Albania venne occupata militarmente da truppe italiane nel 1939. Alla base di questa decisione, vi fu il tentativo di Mussolini di controbilanciare l'alleanza con la sempre più potente Germania nazista di Hitler, dopo l'occupazione dell'Austria e della Cecoslovacchia. L'invasione dell'Albania, iniziata il 7 aprile 1939 fu completata in cinque giorni. Il re Zog si rifugiò a Londra.
Vittorio Emanuele III ottenne la corona albanese, e venne insediato un governo fascista guidato da Shefqet Vërlaci. Le forze dell'esercito albanese vennero incorporate in quello italiano.
Nel 1941 vennero uniti all'Albania i territori dove predominava l'etnia albanese: il Kosovo, alcune piccole aree del Montenegro ed una parte della Macedonia (territori già iugoslavi).
La resistenza albanese contro l'occupazione italiana iniziò nell'estate 1942 e si fece più violenta e organizzata nel 1943: nell'estate del 1943 le montagne interne erano difatti sotto il controllo diretto della resistenza albanese guidata da Enver Hoxha. Nel settembre 1943, dopo la caduta di Mussolini, il controllo sull'Albania venne assunto dalla Germania nazista.

Il Dodecaneso (1912-1943)

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: isole italiane dell'Egeo.
Tra l'aprile e l'agosto del 1912, durante la fase conclusiva della guerra in Libia contro l'impero ottomano, l'Italia decise di occupare dodici isole dell'Egeo sottoposte al dominio turco: il cosiddetto Dodecaneso. A seguito del trattato di Losanna, l'Italia poté mantenere l'occupazione militare delle dodici isole fino a quando l'esercito turco non avesse abbandonato completamente l'area libica. Questo processo avvenne lentamente, anche perché alcuni ufficiali ottomani decisero di collaborare con la resistenza libica, per cui l'occupazione dell'area nel mar Egeo venne mantenuta nei fatti fino al 24 maggio 1915, giorno in cui l'Italia, entrata nella prima guerra mondiale assieme le forze dell'Intesa, riprese le ostilità contro l'Impero Ottomano.
Durante la guerra e l'occupazione italiana di Adalia l'isola di Rodi fu sede di un'importante base navale per le forze marine britanniche e francesi.
Dopo la vittoria nella prima guerra mondiale, il Regno d'Italia intendeva consolidare formalmente la propria presenza nell'area dell'Egeo e lungo le coste turche. Tramite un accordo con il governo greco all'interno del trattato di Sèvres del 1919, si stabilì che Rodi diventasse italiana anche dal punto di vista formale, mentre le altre undici isole sarebbero passate alla Grecia, come la totalità delle altre isole del mar Egeo. In cambio, l'Italia avrebbe ottenuto dallo stato greco il controllo della parte sud-ovest dell'Anatolia (occupazione italiana di Adalia), che si estendeva da Konya fino ad Alanya e che comprendeva il bacino carbonifero di Adalia. La sconfitta dei greci nella guerra contro la Repubblica di Turchia nel 1922 rese impossibile l'accordo e l'Italia mantenne l'occupazione di fatto delle isole fino a quando, con il trattato di Losanna del 1923, l'amministrazione dell'arcipelago non le fu riconosciuto internazionalmente.
Negli anni venti e trenta l'amministrazione fascista da un lato portò degli ammodernamenti, come la costruzione di ospedali e acquedotti, ma si distinse anche per il tentativo di italianizzare con diversi provvedimenti le dodici isole, i cui abitanti erano a maggioranza di lingua greca, con la presenza di minoranze, turca ed ebraica.
Nel settembre 1943 dopo l'armistizio di Cassibile, i soldati del Terzo Reich occuparono le isole. L'8 maggio del 1945 le forze britanniche presero possesso dell'isola di Rodi e tramutarono il Dodecaneso in un protettorato. Con il trattato di Parigi, gli accordi fra Grecia e Italia stabilirono il possesso formale delle isole da parte dello stato greco, che assunse pieno controllo amministrativo solamente nel 1948.

L'Anatolia (1919-1922)

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: occupazione italiana di Adalia.

Mappa della zona di influenza italiana in Turchia (1919-1922) a seguito del trattato di Sèvres del 1920
Per quasi quattro anni dopo la fine della Grande Guerra, l'Italia cercò di creare una colonia in Anatolia dove occupò militarmente la fascia costiera tra Smirne ed Adalia.
Infatti a partire dal 1912, dopo l'occupazione del Dodecaneso, l'Italia fece degli studi per una penetrazione sulla costa anatolica più prossima all'arcipelago. La città di Adalia rappresentava il centro di tale interesse, non escludendo anche la pianura del fiume Meandro e la città portuale di Smirne, considerata la porta commerciale dell'intera Turchia asiatica.
L'entrata in guerra al fianco dell'Intesa rappresentò per il governo di Roma un'occasione propizia per imporre le sue mire sull'Anatolia, tuttavia reciproci sospetti e incomprensioni tra gli italiani e gli scomodi alleati anglo-francesi portarono a un nulla di fatto, che si aggravò nel 1919 con la conferenza di Versailles. Infatti, conclusasi la guerra, la Grecia, che aveva gli stessi interessi italiani sulla zona dell'Egeo, oltre a pretendere la cessione del Dodecaneso da Roma, era favorita dalle simpatie di Londra e Parigi per ereditare dall'Impero ottomano tutte quelle zone della costa anatolica abitate oltre che dai turchi da una popolazione greca.
L'Italia, non potendo ottenere nulla in sede diplomatica, agì di conseguenza, inviando nella primavera del 1919 una spedizione militare di circa 12.000 uomini con base Rodi e destinata ad occupare i principali centri e porti tra Adalia e Smirne. Quest'ultima città tuttavia nel frattempo fu concessa dal tavolo della pace ad Atene e quindi non fu mai occupata dalle truppe italiane.
Il comando italiano, su indicazioni del governo, mantenne per circa tre anni i suoi presidi, sperando che la situazione internazionale si sbloccasse in favore di Roma, arretrando però gradualmente le posizioni in relazione agli sviluppi diplomatici e all'inaspettata avanzata di Mustafa Kemal.
Le pesanti sconfitte inflitte dai kemalisti agli ellenici e la comprensione dell'escalation di violenza e di poca redditività politico-economica di tutta l'operazione, portò l'Italia a decidere il completo abbandono di un grande sogno nel Mediterraneo orientale. Nell'autunno del 1922 gli ultimi reparti lasciarono la terra ferma, per rientrare a Rodi, concludendo qualsiasi ambizione politica e militare sul territorio ex ottomano.[27].

Tientsin (Cina) (1901-1947)

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: concessione italiana di Tientsin.

Il monumento commemorativo della prima guerra mondiale a Piazza Regina Elena, nella concessione italiana di Tientsin
Nel 1901, come a molte altre potenze straniere, fu garantito all'Italia una concessione commerciale nell'area della città di Tientsin (l'odierna Tianjin) in Cina. La concessione italiana, di 46 ettari, fu una delle minori concessioni concesse dall'impero cinese alle potenze europee. Dopo la fine della prima guerra mondiale la concessione austriaca nella stessa città fu inglobata in quella italiana. I termini di tale concessione vennero ridiscussi, e infine la stessa concessione venne di fatto sospesa, a seguito di un accordo tra la Repubblica Sociale Italiana e il governo filo-giapponese della Repubblica di Nanchino (che inglobò la concessione) nel 1944. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, la guarnigione italiana a Tientsin combatté contro i giapponesi, ma dovette poi arrendersi e pagare con la prigionia in Corea. La concessione di Tientsin, così come i quartieri commerciali italiani a ShanghaiHankow e Pechino, furono nuovamente annessi dalla Cina con il trattato di pace del 1947.[28]

Massima estensione

Nel 1939 alla vigilia della seconda guerra mondiale i territori controllati dall'Italia erano così suddivisi:
TerritoriNomeArea (km²)Note
1Italia metropolitana309.100
2Libia italiana1.873.800Compresa la striscia di Aozou
3Africa Orientale Italiana1.749.600Comprese le isole Hanish
4Albania28.750
5Isole italiane dell'Egeo2.690
6Concessione italiana di Tientsin0,5
Totale3.963.940,5
La massima estensione dei territori occupati dall'Italia avvenne all'inizio della seconda guerra mondiale, nel 1940, con la breve occupazione della Somalia Britannica (137.600 km²), di Cassala, di Moyale, di Mentone e di altri territori (principalmente in Egitto e in Grecia), quando si superarono i 4.100.000 km² occupati.

Progetto fascista di ampliamento dell'impero


La visione mussoliniana della "Grande Italia"

Il progetto mussoliniano di un ingrandito Impero italiano – dopo l'eventuale vittoria dell'Asse – includeva l'Egitto, il Sudan, Gibuti e il Kenya orientale: questo impero ingrandito (limiti in verde) doveva essere la continuazione in Africa della Grande Italia
Nel corso della seconda guerra mondiale Mussolini ed altri suoi gerarchi progettarono un ingrandimento dell'Impero italiano, qualora si fosse fatta una conferenza di pace dopo la vittoria dell'Asse[29].
Questo progetto era basato sul congiungimento delle due sezioni dell'Impero italiano nel 1939 (la Libia e l'Africa Orientale Italiana) tramite la conquista dell'Egitto e del Sudan.[30] Si sarebbero poi aggiunte la Somalia inglese (occupata temporaneamente nell'estate del 1940), Gibuti e la parte orientale del Kenya britannico.[31]
Il progetto prevedeva una notevole colonizzazione di italiani (oltre un milione da trasferire principalmente in Etiopia ed Eritrea e circa mezzo milione in Libia)[32] e il controllo del canale di Suez[33]
Nel novembre 1942 fu occupata la Tunisia, che fu aggiunta amministrativamente alla "Quarta Sponda" della Grande Italia, fino alla sua perdita nel maggio 1943.[34]

La fine dell'impero

Tutto svanì con la sconfitta dell'Italia nella seconda guerra mondiale, che pose fine al sogno mussoliniano di fare dell'Italia una "potenza mondiale".[35]
Fu così che l'Italia si vide costretta a cedere alla Jugoslavia Fiume, il territorio di Zara, le isole di Lagosta e Pelagosa, gran parte dell'Istria e del Carso triestino e goriziano, l'alta valle dell'Isonzo, ad attuare piccole rettifiche sulla frontiera con la Francia ed infine il trattato di pace tra alleati e Italia determinerà la perdita di tutte le colonie fasciste, mentre per quelle prefasciste le decisioni spettarono all'ONU, che scelse di restituire il Dodecaneso alla Grecia, di affidare la Libia ad un'amministrazione anglo-francese e di cedere l'Eritrea alla Gran Bretagna[36]. All'Italia concesse solo di esercitare un protettorato sulla Somalia, al quale si annesse anche il Somaliland britannico, che terminò nel 1960 con la nascita della Repubblica indipendente di Somalia.

Le canzoni del colonialismo italiano


Mappa dell'impero in Piazza delle Erbe (Padova)
Le guerre coloniali avevano bisogno dell'appoggio della popolazione. A tale scopo vennero lanciate diverse canzoni propagandistiche, che quasi sempre trasformavano la guerra di conquista in guerra di liberazione.
  • Tripoli bel suol d'amore
  • Africanella
  • Carovane del Tigrai
  • Sul lago Tana
  • Ti saluto, vado in Abissinia
  • Faccetta nera
  • Adua
  • Canzone d'Africa
  • Ritorna il legionario
  • In Africa si va
  • L'Abissino vincerai
  • C'era una volta il Negus
  • Povero Selassiè
  • Africanina
  • Africa nostra
  • Amba Alagi
  • Avanti Italia
  • Cantate dei legionari
  • Canto dei volontari
  • Etiopia
  • Marcia delle Legioni
  • O morettina

Simboli e stemmi del colonialismo

Note

  1. ^ (r.d.l. n. 754, 9 maggio 1936 - Normattiva, r.d.l. 9 maggio 1936, n 754
  2. ^ Riferimento al tentativo di creare colonie penali italiane nel Borneo
  3. ^ Franchini, Vittorio. Storia economica coloniale: lezioni di storia economica p.526
  4. ^ L'esploratore Cerruti in Nuova Guinea
  5. ^ Ultimo tentativo italiano in Nuova Guinea nel 1883
  6. ^ La mancata colonia di Lagos in Nigeria
  7. ^ Conquista della Libia interna
  8. ^ Bideleux and Jeffries, p. 467
  9. ^ Ministero Affari Esteri: Documenti Diplomatici italiani p.746
  10. ^ Ambizioni italiane sull'Angola (p.10-11)
  11. ^ Ministero Affari Esteri: Documenti Diplomatici italiani p.739
  12. ^ Ministero Affari Esteri: Documenti Diplomatici italiani p.759,847,854
  13. ^ Gli italiani nel Caucaso
  14. ^ Ministero Affari Esteri: Documenti Diplomatici italiani (Introduzione, p.3,232,754,755,800)
  15. ^ Mussolini e la Georgia
  16. ^ Ministero Affari Esteri: Documenti Diplomatici italiani p.733,778
  17. ^ Nicola D'Aroma. Vite parallele: Churchill e Mussolini. Roma, 1962 p.47
  18. ^ a b Robert Bideleux, Ian Jeffries. A history of eastern Europe: crisis and change. London, England, UK; New York, New York, USA: Routledge, 1998. Pp. 467.
  19. ^ Antonicelli, Franco. Trent'anni di storia italiana 1915 - 1945 p. 67
  20. ^ Angelo Del Boca. Italiani, brava gente?, Editore Neri Pozza, 2005.
  21. ^ Angelo Del Boca. A un passo dalla forca. Atrocità e infamie dell'occupazione italiana della Libia nelle memorie del patriota Mohamed Fekini, Baldini Castoldi Dalai, 2007
  22. ^ Chapin Metz, Hellen. Libya: A Country Study. Washington: GPO for the Library of Congress, 1987
  23. ^ Emigrazione italiana nelle colonie africane
  24. ^ Le ambizioni mussoliniane in Spagna
  25. ^ Davide Rodogno. Fascism's European Empire. Cambridge University Press, 2006. ISBN 0-521-84515-7
  26. ^ [fonte televisione della Svizzera italiana]
  27. ^ Giovanni CeciniIl Corpo di Spedizione italiano in Anatolia (1919-1922), Ufficio Storico Stato Maggiore dell'Esercito, Roma 2010.
  28. ^ Mappa
  29. ^ Maravigna, General Pietro. Come abbiamo perduto la guerra in Africa. Le nostre prime colonie in Africa. Il conflitto mondiale e le operazioni in Africa Orientale e in Libia. Testimonianze e ricordi. p. 127
  30. ^ Rovighi, Alberto. Le Operazioni in Africa Orientale pag. 83
  31. ^ Antonicelli, Franco (1961). Trent'anni di storia italiana 1915 - 1945 pag. 107
  32. ^ 'Systematic "demographic colonization" was encouraged by Mussolini's government. A project initiated by Libya's governor, Italo Balbo, brought the first 20,000 settlers--the ventimilli--to Libya in a single convoy in October 1938....Plans envisioned an Italian colony of 500,000 settlers by the 1960s' (Una sistematica "colonizzazione demografica" fu incoraggiata dal governo di Mussolini. Un progetto iniziato dal governatore della Libia, Italo Balbo, portò i primi 20.000 coloni, detti Ventimilli, in Libia nell'ottobre 1938.....Progetti visionavano una colonia italiana di 500.000 coloni negli anni sessanta) da Chapin Metz, Hellen. Libya: A Country Study. Washington: GPO for the Library of Congress, 1987
  33. ^ Maravigna, General Pietro. Come abbiamo perduto la guerra in Africa. Le nostre prime colonie in Africa. Il conflitto mondiale e le operazioni in Africa Orientale e in Libia. Testimonianze e ricordi.pag. 183
  34. ^ Maravigna, General Pietro (1949). Come abbiamo perduto la guerra in Africa. Le nostre prime colonie in Africa. Il conflitto mondiale e le operazioni in Africa Orientale e in Libia. Testimonianze e ricordi. pag. 214
  35. ^ Ion Smeaton Munro, Trough Fascism to World Power: A History of the Revolution in Italy (1971), pag. 96.
  36. ^ Giuseppe MammarellaStoria d'Europa dal 1945 a oggi, ed. Laterza, Roma-Bari, 2006, pag. 8.

Bibliografia


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  • Nicola Labanca (ed.), Simone Bernini, Annalisa Pasero e Antonietta Trataglia. Un nodo. Immagini e documenti sulla repressione coloniale italiana in Libia. Roma, Lacaita 2002
  • Arnaldo Mauri, Il mercato del credito in Etiopia, Giuffrè, Milano 1967.
  • Arnaldo Mauri, Le credit dans la colonie italienne d'Erythrée, 1882-1935, "Revue Internationale d'Histoire de la Banque", n. 20-21, 1980, pp. 170–198..
  • Silvana Palma, L'Italia coloniale. Roma, Editori Riuniti, 1999.
  • Nicoletta Poidimani,"Difendere la “razza”. Identità razziale e politiche sessuali nel progetto imperiale di Mussolini", 2009, Sensibili alle foglieISBN 978-88-89883-27-3.
  • Nicoletta Poidimani,"Faccetta nera. I crimini sessuali del colonialismo fascista nel Corno d'Africa"Crimini di guerra. Il mito del bravo italiano tra repressione del ribellismo e guerra ai civili nei territori occupati. Guerini e associati, 2006, ISBN 88-8335-768-X
  • Antonio Schiavulli (a cura di), La guerra lirica. Il dibattito dei letterati italiani sull'impresa di Libia (1911-1912), Ravenna, Giorgio Pozzi Editore, 2009.
  • Barbara Sorgoni, Parole e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interraziali nella colonia Eritrea (1890-1941), Napoli, Liquori, 1998.
  • Gabriele Zaffiri, L'Impero che Mussolini sognava per l'Italia, The Boopen editore, Pozzuoli (Napoli), ottobre 2008.
  • Gabriele Zaffiri, Piano geopolitico di Mussolini sulla Georgia; 24 luglio 2012 ([1]).
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  • Raffaele Panico, Rinascita - 'storia', 1911 Guerra di Libia: L'esercito italiano visto da un cronista francese. Il riferimento di Jean Carrère, giornalista amico dell'Italia, e il suo arrivo a Napoli acclamato dalla folla - (Brillante penna Carrère anticipa un senso dannunziano della vita, insieme all'attivismo dei futuristi italiani), 11/12 giugno 2011.
  • Raffaele Panico, Rinascita - 'storia', L'Italia, gli italiani e la Libia, 12 febbraio 2012.
  • Raffaele Panico, Rinascita - 'storia', La guerra psicologica e quella umanitaria (Italia 1911 in Libia e la dottrina del generale Douhet sulla forza aerea), 3 giugno 2012.
  • Raffaele Panico, Rinascita - 'analisi', Libia. La vocazione all'incivilimento dei popoli del Mare Nostrum, 22 gennaio 2013.
  • Raffaele Panico, Rinascita - 'storia', Libia. Un po' di chiarezza sul colonialismo italiano, 11 febbraio 2013.
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  • Uoldelul Chelati Dirar, Gianni Dore, Carte coloniali. I documenti italiani del Fondo Ellero, Torino, L'Harmattan Italia Editrice, 2000.
  • Alessandro Bausi, Gianni Dore, Irma Taddia, Materiale antropologico e storico sul "Rim" in Etiopia ed Eritrea, Torino, L'Harmattan Italia Editrice, 2001.
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  • Gianni Dore, Quaderni storici, Bologna, Il Mulino, 2002.
  • Gianni Dore, Scritture di colonia. Lettere di Pia Maria Pezzoli dall'Africa orientale a Bologna (1936-1943), Bologna, Pàtron Editore, 2004.
  • Gianni Dore, Joanna Mantel Niecko, Irma Taddia, I quaderni del Walqayt: Documenti per la storia sociale dell'Etiopia, Torino, L'Harmattan Italia Editrice, 2005.
  • Valeria Isacchini, L'onda gridava forte. Il caso della Nova Scotia e di altro fuoco amico su civili italiani, Milano, Mursia Editore, 2008.
  • Massimo Boddi, Letteratura dell'impero e romanzi coloniali (1922-1935), Minturno, Caramanica Editore, 2012.

Voci correlate

Le nazioni culturali del Nord America

The 9 “Cultural nations” of North America (Joel Garreau) (Source) #map #quote #quotation #aphorism #quoteallthethings:

giovedì 5 gennaio 2017

Mappa della suddivisione etnica di Siria, Iraq, Turchia e Iran

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Gli aramei moderni, noti come aramaici, siriaci o siri, praticano prevalentemente la religione cristiana e parlano una versione dell'aramaico nota come siriaco. Per adottare i termini genealogici dell'antichità, si potrebbe considerarli come i discendenti di Aram, che era figlio di Sem, o, forse, di Nahor, fratello di Abramo, tramite suo figlio Kemuel, il padre di Aram.
Gli Aramaici sono considerati i veri discendenti degli antichi "siriani". Tuttavia, poiché ormai per "siriani" si intendono i moderni abitanti di lingua araba della Siria (costituenti la maggioranza della popolazione), si preferisce utilizzare il termine "siriaci" o "siri" per designare gli aramei odierni parlanti l'aramaico ("siriaco") e professanti la religione cristiana (i quali ormai in Siria costituiscono una minoranza rappresentante il 10% della popolazione totale). Nell'aramaico-siriaco il termine "siriaco" si traduce con Suryoye/Suryaye/Suroye/Suraye.

Rogue One. La Guida Visuale 8. Droidi.



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Rogue One. Guida Visuale 7. Le armi.

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Rogue One. Guida Visuale 6. I Veicoli



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Rogue One. La Guida Visuale 5. La Death Star o Morte Nera

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La Morte Nera[2] (nella versione originale Death Star) è un'arma di distruzione di massa che compare nella saga cinematografica di fantascienza Guerre stellari.

Nel film Guerre stellari (1977) la Morte Nera è una gigantesca stazione da battaglia spaziale realizzata dall'Impero Galattico allo scopo di rafforzare il suo regime di terrore. La Morte Nera ha le dimensioni di una piccola luna e l'arma principale di cui dispone è un enorme cannone Superlaser in grado di distruggere un pianeta delle dimensioni della Terra in pochi secondi.
La Morte Nera ha l'aspetto di una enorme sfera di colore grigio scuro, con una sorta di cratere nell'emisfero nord, all'interno del quale è ospitata l'arma laser principale. Quest'ultima, come è mostrato in Rogue One (2016), è alimentata dall'energia dei cristalli Kyber, gli stessi cristalli che si trovano all'interno delle spade laser di Jedi e Sith. La superficie è protetta da una fitta maglia di turbolaser e radiofari traenti; queste difese da sole sono in grado di sviluppare un volume di fuoco pari a più della metà dell'intera flotta imperiale.
Poiché la rete di cannoni laser è progettata per colpire navi di medie e grandi dimensioni, la stazione ospita centinaia di squadriglie TIE e numerose altre navi militari e da trasporto.
Il nome italiano si attiene alla memoria storica dell'epidemia pestilenziale del XIII secolo che decimò la popolazione europea, soprannominata appunto Morte nera.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Morte Nera I[modifica | modifica wikitesto]

Nella serie di film di Guerre stellari appaiono complessivamente due stazioni Morte Nera, informalmente chiamate Morte Nera I e Morte Nera II. Le apparizioni della Morte Nera saranno trattate ordinando gli Episodi secondo il tempo del racconto e non secondo la data di distribuzione dei film.
la progettazione della Morte Nera I inizia segretamente durante il complotto per la scalata al potere dell'Imperatore. La Morte Nera I appare per la prima volta nel 22 BBY, in forma di modello olografico, in Episodio II - L'attacco dei cloni, nella base segreta dei Separatisti su Geonosis. I piani sono custoditi dall'Arciduca geonosiano Poggle il Minore, membro dell'Unione Separatista e sovrano dei Geonosiani, responsabili dell'ideazione del progetto prototipale della Morte Nera. Durante l'attaco dei cloni a Geonosis, i piani della stazione da battaglia sono consegnati da Poggle il Minore al Conte Dooku, in procinto di abbandonare il pianeta alla volta di Coruscant per consegnarli a Darth Sidious.
In Episodio III - La vendetta dei Sith (ossia nel 19 BBY) è presente un nuovo riferimento alla Morte Nera: il neoeletto Imperatore Palpatine osserva un ologramma dell'arma. Alla fine del film si assiste invece alla prima apparizione della Morte Nera, in costruzione ma con lo scheletro ben definito, sotto lo sguardo di PalpatineDart Fener e un giovane Wilhuff Tarkin, che contemplano la realizzazione della stazione a bordo di uno Star Destroyer imperiale.
Nell'anno della Battaglia di Yavin, 19 anni dopo il rovesciamento della Repubblica, la prima Morte Nera viene completata e diviene operativa. La Morte Nera, l'Impero ormai saldamente al potere, la corsa per preservare i piani della stessa stazione e la battaglia per la sua distruzione sono elementi centrali della trama di Guerre stellari. Su ordine del Grand Moff Tarkin viene per la prima impiegato tutto il suo potenziale bellico per distruggere, a titolo dimostrativo, il pacifico mondo di Alderaan, pianeta natale della principessa Leila Organa. Grazie alle informazioni sottratte dall'archivio militare su Scariff imperiale dalla squadra ribelle Rogue 1, l'Alleanza organizza un piano d'attacco in grado di sfruttare una falla nel sistema della stazione spaziale, distrutta da Luke Skywalker a bordo del proprio X-Wing.

Morte Nera II

La costruzione della Morte Nera II, più potente della prima, avviene tre anni dopo, nell'orbita attorno la luna boscosa di Endor. Appare in Guerre stellari - Il ritorno dello Jedi (4 ABY). Architettata come trappola per sbaragliare definitivamente l'Alleanza Ribelle in presenza dell'Imperatore, degli sviluppi imprevisti capovolgono le sorti a favore degli stessi Ribelli. Il tiranno soccombe con la distruzione della stazione, più vulnerabile della prima essendo ancora in costruzione.

Morte Nera
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La Morte Nera in Guerre stellari
UniversoGuerre stellari
Profilo
TipoArma di distruzione totale
FazioneImpero Galattico
CostruttoreOrson Krennic
Dati tecnici
ArmamentoSuperlaser (capace di distruggere un pianeta), 15.000 torri turbolaser, 2.500 cannoni laser, 2.500 cannoni ionici, 700 raggi traenti
Difese* Scafo: lega di acciaio quadanio
PrestazioniVelocità: 8 km/s nello spazio reale
Equipaggio265.675 persone, di cui 52.276 artiglieri, 42.782 tecnici navali e 180.216 tra piloti e personale di supporto.[1]
Passeggeriin numero variabile; è in grado di ospitare la Corte Imperiale in caso di necessità
Caricocirca 7.200 caccia TIE e 2.300 Hangar
Lunghezza160 chilometri (diametro)

Base Starkiller

La Base Starkiller aveva la stessa funzione delle "Morti Nere", però era grossa più del doppio, essendo stata anticamente un pianeta (ghiacciato). Riusciva a distruggere più pianeti contemporaneamente. È stata fatta costruire da Kylo Ren come base per il Primo Ordine. Viene distrutta alla fine di Star Wars: Il risveglio della Forza.

Note

  1. ^ Death Star (Expanded Universe), in Star Wars DatabankLucasfilmURL consultato il 9 agosto 2007.
  2. ^ Una prima traduzione italiana, riportata nelle riviste prima dell'uscita del film, nel 1977, e nella prima edizione del romanzo, la chiama Il Pianeta della Morte.