sabato 8 ottobre 2016

Albero genealogico della famiglia reale Saudita

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La dinastia Saudita (in araboآل سعود‎, Āl Saʿūd) istituita dal Sultano del Najd ʿAbd al-ʿAziz Āl Saʿūd - governa dal 1926 il Regno Arabo Saudita, nato dopo la vittoriosa annessione al Sultanato del Regno hascemita del Hijaz.


Definizione e poteri

Il re dell'Arabia Saudita è il capo di stato e il monarca del regno asiatico. È anche il capo della famiglia saudita. I monarchi che si sono succeduti dopo la morte del fondatore, sono tutti suoi figli, in ottemperanza alla legge araba mai scritta del "seniorato", che prevede che alla successione di un'istituzione sia chiamato il componente più anziano della famiglia.

Tabella genealogica della Dinastia Saudita
In Arabia Saudita il re è conosciuto con il titolo di Custode delle Due Sacre Moschee (in araboخادم الحرمين الشريفين‎, Khādim al-Ḥaramayn al-Sharīfayn), cioè del Masjid al-Haram (Sacra Moschea) della Mecca e del Masjid al-Nabawi (Moschea del Profeta) a Medina.
La successione al trono saudita è regolata dall'antica legge del "seniorato": un'assemblea familiare decide l'erede dalla generazione del predecessore o da quella immediatamente successiva, privilegiando non tanto il figlio d'un sovrano deceduto, quanto il più anziano appartenente alla famiglia. La linea di successione non è quindi mai decisa prima dell'ascesa al trono del principe ereditario.

Storia

La storia dell'odierna Arabia Saudita inizia pressappoco nel 1446-1447, quando il clan del Murdah si stabilì nella penisola arabica, prosegue con la fondazione prima dell'Emirato di Dirʿiyya (1744), poi con quello di Najd (1818), ed infine con la fondazione del Regno dell'Arabia Saudita (1932).

Origini e primi secoli

Il primo antenato della dinastia saudita di cui si ha notizia è Māniʿ ibn Rabīʿa al-Muraydī che si stabilì a Diriyya nel 1446–1447 con il suo clan, i Mrudah.[1] Anche se i Mrudah erano considerati discendenti dalla confederazione tribale dei Rabīʿa, non è chiaro se traccino la loro discendenza al ramo dei Banū Ḥanīfa o dei Banū ʿAnaza.[1] Māniʿ fu invitato da un parente di nome Ibn Dir, che governava una serie di villaggi e proprietà che costituiscono la moderna Riyad.[2][3][4] Il clan di Māniʿ risiedette in Arabia orientale, vicino ad al-Qaṭīf, anche se non è chiaro da quale data. Ibn Dir diede a Māniʿ due proprietà: al-Mulaybid e Ghusayba. Māniʿ e la sua famiglia si insediarono e chiamarono la regione “al-Diriyya”, dal nome del loro benefattore Ibn Dir.[5][6]
I Mrudah divennero sovrani di al-Diriyya, che prosperò tra i corsi d'acqua nella Wadi Hanifa e divenne un importante insediamento nel Najd. Con la crescita del clan iniziarono le lotte per il potere, ed uno dei due rami della famiglia partì per Dhruma, mentre un altro (gli “Āl Watban”) partì per la città di al-Zubayr nell'Iraq meridionale. La famiglia degli Āl Muqrin (dal nome di un certo shaykh Saʿūd ibn Muḥammad ibn Muqrin, che morì nel 1725)[7]divenne quindi sovrana tra i Mrudah di Diriyya.

Emirato di Dirʿiyya (o Primo Stato saudita)

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Emirato di Dirʿiyya.
Bandiera dell'Emirato di Dirʿiyya
Bandiera dell'Emirato di Dirʿiyya
Il Primo Stato saudita venne fondato nel 1744. Questo periodo fu segnato dalla conquista delle aree circostanti e dello zelo religioso. Alla sua massima estensione il Primo Stato saudita includeva la maggior parte dell'odierna Arabia Saudita, ed incursioni da parte di seguaci ed alleati dei sauditi toccarono lo Yemen, l'Oman, la Siria e l'Iraq. Si ritiene che studiosi islamici, in particolare Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb e i suoi discendenti, abbiano avuto un'importante influenza sul governo saudita di questo periodo. I sauditi e i loro alleati si riferivano a loro stessi come Muwaḥḥidūn o Ahl al-Tawḥīd (“i monoteisti”), mentre più tardi vennero chiamati wahhabiti (dal nome del fondatore), un gruppo di sunniti particolarmente zelanti.
Il potere della dinastia in questo periodo passò da padre in figlio senza incidenti. Al primo Imam, Muhammad ibn Sa'ud, succedette suo figlio maggiore ʿAbd al-ʿAzīz b. Muḥammad b. Saʿūd (Abdulaziz) nel 1765. Quest'ultimo, nel 1802, guidò diecimila soldati wahhabiti in un attacco alla città santa sciita di Kerbelāʾ, nell'odierno Iraq meridionale, nonché il luogo in cui al-Ḥusayn b. ʿAlī (Hussein ibn Ali), nipote di Maometto e terzo Imam sciita, fu ucciso.[8] Guidati da ʿAbd al-ʿAzīz, i soldati uccisero più di duemila persone, inclusi donne e bambini.[8] I soldati poi saccheggiarono la città, demolendo l'imponente cupola dorata sopra la tomba di al-Ḥusayn e caricando centinaia di dromedari con armi, gioielli, monete e altri beni di valore.[8]
L'attacco a Kerbelāʾ convinse ottomani ed egiziani che i sauditi erano una minaccia alla pace regionale.[9] ʿAbd al-ʿAzīz venne ucciso nel 1803, secondo alcuni da uno sciita che cercava vendetta per il sacco di Kerbelāʾ dell'anno prima. Ad ʿAbd al-ʿAzīz succedette suo figlio Saʿūd, sotto il quale lo stato saudita raggiunse la sua massima estensione. Quando Saʿūd morì nel 1814, suo figlio e successore ʿAbd Allāh doveva affrontare un'invasione ottomano-egiziana lanciata con lo scopo di recuperare il territorio ottomano perduto. Le truppe, soprattutto egiziane, riuscirono a sconfiggere ʿAbd Allāh, prendendo la capitale Dirʿiyya nel 1818. ʿAbd Allāh venne fatto prigioniero e poco dopo decapitato dagli Ottomani a Istanbul, che misero così fine all'Emirato di Dirʿiyya. Gli egiziani mandarono prigionieri a Istanbul e in Egitto molti membri del clan saudita, assieme ad altri appartenenti alla nobiltà locale e rasero al suolo la capitale Dirʿiyya.

Emirato del Najd (o Secondo Stato saudita)

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Emirato di Najd.
Bandiera dell'Emirato di Najd
Bandiera dell'Emirato di Najd
Nel 1818, alcuni anni dopo la caduta di Dirʿiyya, i sauditi riuscirono a ristabilire la loro autorità nel Najd, fondando quello che è conosciuto come l'Emirato del Najd, o Secondo Stato Saudita, con capitale Riyad.
Rispetto all'Emirato di Dirʿiyya, l'Emirato del Najd fu segnato da una minore espansione territoriale (non riconquistarono né Hegiaz né 'Asir, ad esempio) e minor zelo religioso, sebbene i governanti sauditi continuassero ad usare il titolo di Imam e ad avvalersi di studiosi salafiti. Il Secondo Stato venne anche segnato da gravi conflitti interni alla famiglia saudita, che portarono poi alla caduta della dinastia. La successione accadde sempre per assassinio o guerra civile; l'unica eccezione fu la successione da Fayṣal b. Turkī al figlio ʿAbd Allāh b. Fayṣal b. Turkī.
Il primo saudita a tentare di riprendere il potere dopo la caduta di Dirʿiyya fu Mishārī ibn Saʿūd, un fratello dell'ultimo sovrano di Dirʿiyya. Nel 1824, Turkī b. ʿAbd Allāh, un saudita che riuscì a evitare la cattura da parte degli egiziani, riuscì ad espellere le forze egiziane e i loro alleati locali da Riyad e dintorni. Turkī, un nipote del primo imam saudita Muhammad ibn Sa'ud, viene generalmente indicato come fondatore della seconda dinastia saudita ed è anche l'antenato dei re sauditi odierni. Fece di Riyad la sua capitale e si avvalse dei servizi di molti parenti che erano scappati dalla prigionia in Egitto, incluso suo figlio Fayṣal.
Turkī venne assassinato nel 1834 da Mishārī ibn ʿAbd al-Raḥmān, un lontano cugino. Mishārī venne presto assediato a Riyad e poi condannato a morte da Fayṣal, che diventò il più importante dei sovrani sauditi del secondo regno. Fayṣal, comunque, affrontò una seconda invasione del Najd da parte degli egiziani quattro anni dopo. La popolazione locale fu riluttante a resistere, e Fayṣal venne sconfitto e portato una seconda volta come prigioniero in Egitto nel 1838.
Gli egiziani insediarono Khālid ibn Saʿūd come sovrano a Riyad e lo sostennero con le loro truppe. Khālid era l'ultimo fratello ancora in vita dell'ultimo Imam del Primo Stato saudita, e passò molti anni alla corte egiziana. Nel 1840, comunque, conflitti esterni forzarono gli egiziani a ritirarsi completamente dalla penisola arabica, lasciando Khālid con poco supporto. Visto da molti locali solamente come un governatore egiziano, Khālid venne rovesciato poco dopo da ʿAbd Allāh ibn Thuniyyan, del ramo degli Āl Thuniyyan. Fayṣal, però, che venne liberato quell'anno, aiutato dal sovrano di Ha'il, riuscì a riconquistare Riyad e ad assumerne il controllo. Fayṣal poi designò suo figlio ʿAbd Allāh come principe ereditario, e divise i suoi domini fra i suoi tre figli, ʿAbd Allāh, Saʿūd e Muḥammad.
Alla morte di Fayṣal nel 1865, ʿAbd Allāh assunse il governo a Riyad, ma venne presto sfidato da suo fratello Saʿūd. Scoppiò quindi una guerra civile in cui si scambiarono più volte la sovranità di Riyad. Precedentemente un vassallo dei sauditi, appartenente alla famiglia Āl Rashīd, Muḥammad b. ʿAbd Allāh b. Rashīd di Hāʾil, colse l'opportunità di intervenire nel conflitto ed accrescere il proprio potere. Gradualmente, Ibn Rashīd estese la propria autorità su tutto il Najd, inclusa la capitale Riyad. Ibn Rashīd alla fine espulse l'ultimo leader saudita, ʿAbd al-Raḥmān b. Fayṣal, dal Najd dopo la battaglia di Mulayda del 1891.

Arabia Saudita

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Unificazione dell'Arabia Saudita e Arabia Saudita.
Dopo la sconfitta a Mulayda, ʿAbd al-Raḥmān ibn Fayṣal andò in esilio con la sua famiglia nel deserto dell'Arabia orientale tra i Beduini di al-Murra. Poco dopo trovò rifugio in Kuwait come ospite dell'emiro kuweitiano Mubarak Al Sabah. Nel 1902 il figlio di ʿAbd al-Raḥmān, ʿAbd al-ʿAzīz, si assunse il compito di ripristinare la sovranità saudita a Riyad. Sostenuto da una dozzina di seguaci e accompagnato da alcuni fratelli e parenti, ʿAbd al-ʿAzīz riuscì a prendere il forte Masmak ed uccidere il governatore lì nominato da Ibn Rashīd. ʿAbd al-ʿAzīz, a quanto si dice solamente con venti uomini, venne immediatamente proclamato sovrano di Riyad. Come nuovo leader della dinastia Saudita, ʿAbd al-ʿAzīz divenne da allora noto come “Ibn Saʿūd”.
Ibn Saʿūd passò i successivi trent'anni provando a ristabilire la sovranità della sua famiglia sulla Penisola araba, iniziando dal natio Najd. I suoi principali rivali erano il clan Āl Rashīd ad Hāʾil, lo sharif della Mecca in Hijaz, e iturchi ottomani ad al-Hasa. Inoltre, Ibn Saʿūd doveva anche lottare con quello che sarebbe poi diventato il ramo “Saʿūd al-Kabīr” della famiglia, ovvero i discendenti di Saʿūd ibn Fayṣal, zio di Ibn Saʿūd, ormai scomparso, i quali ritenevano di essere i legittimi eredi al trono. Per qualche tempo Ibn Saʿūd riconobbe la sovranità dei sultani ottomani, assumendo anche il titolo di Pascià, per allearsi poi con i britannici in contrapposizione agli stessi Ottomani, i quali erano sostenuti dagli Āl Rashīd. Con il trattato di Darin, firmato nel 1915, i territori di Ibn Saʿūd diventarono ufficialmente un protettorato britannico, e tali rimasero fino al 1927.
ʿAbd al-ʿAzīz conquistò il Najd nel 1922 e l'Ḥijāz nel 1925. Da sultano del Najd, diventò prima re del Ḥijāz e Najd e poi si autoproclamò re del Regno dell'Arabia Saudita (precedentemente ebbe vari titoli, cominciando con “Sultano del Najd” e finendo con “Re del Hijaz e Najd e delle loro dipendenze”) nel 1932. Il padre di Ibn Saʿūd, ʿAbd al-Raḥmān, mantenne il titolo onorario di Imam. Nel 1937 vicino a Dammam, periti statunitensi scoprirono quella che poi si sarebbe confermata essere la vasta riserva petrolifera dell'Arabia Saudita. Prima della scoperta del petrolio molti dei membri della famiglia erano poveri.[10]
Ibn Saʿūd ebbe dodici figli dalle sue molte mogli. Ebbe al massimo quattro mogli alla volta. Divorziò e si sposò molte volte, entrando così a far parte di molti clan e tribù del suo territorio, tra cui le tribù Banū Khālid, Ajmān,Shammar e Āl al-Shaykh (discendenti di Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb). Inoltre organizzò simili matrimoni per i suoi figli e parenti. Indicò il suo figlio più vecchio, Saʿūd, come possibile erede, a cui sarebbe dovuto succedergli il secondo più vecchio, Fayṣal. La famiglia saudita divenne nota come “famiglia reale” ed ogni membro, maschio e femmina, venne rispettivamente insignito del titolo di amīr (principe[11]) e amīra (principessa).
Ibn Saʿūd consolidò l'alleanza con gli Stati Uniti nel 1945 e morì nel 1953. È ancora celebrato ufficialmente come il “fondatore”, e solo i suoi diretti discendenti possono prendere il titolo di “sua altezza reale”. La data della riconquista di Riyad nel 1902 venne scelta per celebrare il centenario dell'Arabia Saudita, che secondo il calendario lunare islamico cadde nel 1999.
Alla morte di Ibn Saʿūd, suo figlio Saʿūd salì al trono senza incidenti, ma le sue spese sconsiderate portarono ad una lotta per il potere con il nuovo principe ereditario, Fayṣal. Nel 1964 la famiglia reale obbligò Saʿūd ad abdicare in favore di Fayṣal, aiutata da un responso giuridico del Gran mufti del paese. In questo periodo alcuni dei figli più giovani di ibn Saʿūd, guidati da Ṭalāl ibn ʿAbd al-ʿAzīz, abbandonarono la famiglia ed andarono in Egitto, chiamandosi “principi liberi”, chiedendo liberalizzazioni e riforme, ma vennero convinti da Fayṣal a ritornare. Vennero pienamente perdonati, ma anche esclusi da futuri ruoli di governo.
Fayṣal venne assassinato nel 1975 da un nipote, Fayṣal ibn Musāʿid, che venne immediatamente giustiziato. Un altro fratello, Khālid, salì allora al trono. Il principe che seguiva nella linea ereditaria in realtà era Muḥammad, ma questi rinunciò in favore del fratello.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama offre le sue condoglianze per la morte di re ʿAbd Allāh (Riyad, 27 gennaio 2015).
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama offre le sue condoglianze per la morte di re Abdullah, Riyad, 27 gennaio 2015
Khālid morì per un attacco di cuore nel 1982, e gli succedette Fahd, il più vecchio dei potenti “sette Sudayrī”, così chiamati perché figli di Ibn Saʿūd e Ḥaṣṣa al-Sudayrī. Nel 1986 Fahd eliminò il precedente titolo reale di “Sua Maestà” e lo sostituì con “Custode delle due sacre moschee”, in riferimento alle città sante di Mecca e Medina.
Un infarto nel 1995 lasciò Fahd fisicamente disabile ed il principe ereditario, ʿAbd Allāh, gradualmente assunse molte delle responsabilità del re fino alla sua morte nell'agosto del 2005. ʿAbd Allāh fu proclamato re nel giorno della morte di Fahd e subito nominò suo fratello più giovane, Sulṭān bin ʿAbd al-ʿAzīz, che era ministro della difesa e secondo vice Primo ministro, come nuovo successore. Il 27 marzo 2009 ʿAbd Allāh nominò il principe Nāyef ministro degli Interni e secondo vice primo ministro e principe ereditario il 27 ottobre.[12] Sulṭān morì nell'ottobre 2001 mentre Nāyef morì a Ginevra, in Svizzera, il 15 giugno 2012. Il 23 gennaio 2015 ʿAbd Allāh, dopo nove anni di regno, morì dopo una lunga malattia. Il principe ereditarioSalmān bin ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd fu proclamato nuovo re.

Potere politico

Il vice principe ereditario e ministro per la difesa Mohammadcon il segretario alla difesa statunitense Ashton Carter al Pentagono, 13 maggio 2015
Il vice principe ereditario e ministro per la difesa Mohammad con il segretario alla difesa statunitenseAshton Carter al Pentagono, 13 maggio 2015
Il capo della dinastia saudita è il re dell'Arabia Saudita, che è anche capo di Stato e sovrano del regno dell'Arabia Saudita. Il re detiene potere politico quasi assoluto e nomina i ministri del suo ufficio che li supervisiona in suo nome. I ministeri chiave della difesa, interni, esteri e quasi tutti i 13 posti di governatore regionale sono riservati agli Al Saud. La maggior parte dei portafogli, come quello per le finanze, lavoro, informazione, pianificazioni, affari petroliferi ed industria, tradizionalmente vengono assegnati a cittadini comuni, spesso con giovani membri della dinastia come vice. La famiglia Al Saud detiene anche la maggior parte delle cariche militari e governative importanti. Il potere supremo è sempre rimasto in mano agli Al Saud, anche se il supporto dagli ulema, dalla comunità mercantile e di gran parte della popolazione sono stati fondamentali per il mantenimento dello status quo politico della famiglia.
Le cariche di governo di lunga durata, come quelle di re Abdullah, che era comandante della Guardia Nazionale dal 1963 al 2010, dell'ex principe ereditario Sultan bin 'Abd al-'Aziz Al Sa'ud, che è stato ministro della difesa e dell'aviazione dal 1962 alla sua morte nel 2011, dell'ex principe ereditario Nayef bin 'Abd al-'Aziz Al Sa'ud che è stato ministro degli interni dal 1975 al 2012, del principe Mut'ib bin 'Abd al-'Aziz Al Sa'ud che è stato degli affari locali e rurali dal 1975 al 2009, e l'attuale re Salman, che è stato governatore della regione di Riyad dal 1963 al 2011, hanno perpetuato la creazione di feudi dove i principi più vecchi hanno spesso mescolato le loro ricchezze private con quelle dei rispettivi domini. Hanno anche nominato i loro figli a posizioni di dominio all'interno dei loro feudi. Alcuni esempi sono il principe Mut'ib bin 'Abd Allah Al Sa'ud, che è stato vicecomandante della guardia nazionale fino al 2010, il principe Khalid bin Sultan Al Sa'ud come viceministro della difesa fino al 2013, il principe Mansour bin Mutaib come viceministro degli affari locali e rurali e il principe Mohammed bin Nayef come viceminisitro degli interni. In alcuni casi dove i portafogli avevano budget molto alti la nomina a vice di fratelli più giovani si è resa necessaria per condividere le ricchezze e le responsabilità di ogni feudo, come nel caso del principe 'Abd al-Rahman ibn 'Abd al-'Aziz Al Sa'ud che era viceministro della difesa e dell'aviazione Sultan bin 'Abd al-'Aziz, o il principe Bard, vice di re Abdullah nella Guardia Nazionale.
A differenza delle famiglie reali occidentali la monarchia saudita non ha un ordine di successione chiaramente definito. Storicamente, una volta diventato re, il sovrano designava il proprio erede al trono che faceva da principe ereditario del regno. Alla morte del re il principe ereditario diventa re, e durante l'assenza di poteri del re il principe ereditario ne assume i poteri. anche se altri membri della famiglia Al Saud detengono posizioni politiche nel governo, tecnicamente sono solo il re e il principe ereditario a costituire legalmente delle istituzioni politiche.

Opposizione

Opposizione interna

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Diritti umani in Arabia Saudita.
A causa del proprio governo autoritario e teocratico la dinastia saudita ha attirato molte critiche. I suoi oppositori generalmente descrivono la monarchia saudita come totalitaria o dittatoriale. Ci sono stati numerosi incidenti, manifestazione ed altre forme di resistenza contro la dinastia, come la ribellione degli Ikhwan durante il regno di Ibn Saʿūd o i numerosi colpi di stato da diversi rami dell'esercito del regno.
Il 20 novembre 1979 il Santuario alla Mecca venne violentemente occupato da 500 dissidenti pesantemente armati, soprattutto uomini della scomparsa tribù Ikhwan degli ʿOtayba, ma anche da altri arabi ed alcuni egiziani che frequentavano studi islamici all'università Islamica di Medina.
L'occupazione fu guidata da Juhayman al-Otaybi e ʿAbd Allāh al-Qaḥṭānī (convinto dell'imminenza dell'Apocalisse) che denunciavano la corruzione e la immorale sontuosità del governo saudita. al-ʿOtaybī e il suo gruppo attaccarono come bidāʾ (perniciosa innovazione) gli elementi di modernizzazione socio-tecnologica in atto in Arabia Saudita e chiesero che il petrolio non venisse venduto agli Stati Uniti.[13]
Al-ʿOtaybī ebbe uno scarso sostegno al di fuori del piccolo circolo di lavoratori e studenti di origine tribale, e di lavoratori stranieri (da Egitto, Yemen e Pakistan). La famiglia saudita si rivolse agli ʿulamāʾ che emisero una fatwache permetteva di assaltare il santuario. Forze armate saudite, aiutate da forze speciali francesi e pachistane, impiegarono due settimane per far uscire i ribelli dal santuario; l'uso di commando francesi fu sorprendente in quanto, ufficialmente, i non-musulmani non possono entrare a La Mecca.[14] Secondo Lawrence Wright, il commando della GIGN si sarebbe convertito (non si sa quanto in buona fede) all'Islam,[15] anche se questa ricostruzione è stata contraddetta da almeno altre due ricostruzioni, fra cui quella del comandante del GIGN Christian Prouteau, il quale disse che i tre uomini del commando del CICN non presero parte all'azione e non misero piede nella moschea, sostenendo che l'operazione venne compiuta da uomini delle forze speciali pachistane.
Tutti gli uomini sopravvissuti, al-ʿOtaybī compreso, vennero decapitati pubblicamente in quattro città dell'Arabia Saudita.[16]

Note

  1. ^ a b Stig Stenslie, Regime Stability in Saudi Arabia: The Challenge of Succession, Routledge, 21 agosto 2012, p. 53, ISBN 978-1-136-51157-8.
  2. ^ Counter-Narratives: History, Contemporary Society, and Politics in Saudi Arabia and Yemen by Madawi Al-Rasheed (Editor), Robert Vitalis (Editor) p. 64
  3. ^ History of the Kingdom, su Ministry of Foreign AffairsURL consultato il 20 marzo 2015.
  4. ^ Al Saud Family Saudi Arabia History, su Arab Royal FamilyURL consultato il 20 marzo 2015.
  5. ^ G. Rentz, al-Diriyya (or al-Dariyya), in P. Bearman, Th. Bianquis, C.E. Bosworth, E. van Donzel e W.P. Heinrichs (a cura di), Encyclopaedia of Islam, Brill, 2007. URL consultato l'8 settembre 2007.
  6. ^ H. St. John Philby, questia Saudi Arabia , London, Ernest Benn, 1955, p. 8.
  7. ^ John Pike, King Abdul Aziz Bin Abdul Rahman Al-Saud, su Global SecurityURL consultato il 20 marzo 2015.
  8. ^ a b c Mark Weston, Prophets and princes: Saudi Arabia from Muhammad to the present, Hoboken, N.J., Wiley, 2008, p. 101, ISBN 0-470-18257-1.
  9. ^ Wayne H. Bowen, The history of Saudi Arabia, 1. publ., Westport, Conn., Greenwood Press, 2008, p. 73, ISBN 0-313-34012-9.
  10. ^ Abdullah Mohammad Sindi, Britain and the Rise of Islam and the House of Saud, in Kana'an Bulletin, IV, nº 361, 16 gennaio 2004, pp. 7–8.
  11. ^ In realtà la parola, in lingua araba, indica un "comandante" e ha acquisito per un chiaro fenomeno acculturativo l'accezione di "principe".
  12. ^ Saudi Arabia names Prince Nayef as heir to throne, in BBC, 27 ottobre 2011. URL consultato il 28 ottobre 2011.
  13. ^ Madawi Al-Rasheed (Editor), Robert Vitalis (Editor), Counter-Narratives: History, Contemporary Society, and Politics in Saudi Arabia and Yemen, p. 64
  14. ^ History of the Kingdom, su Ministry of Foreign AffairsURL consultato il 20 marzo 2015.
  15. ^ Al Saud Family Saudi Arabia History, su Arab Royal FamilyURL consultato il 20 marzo 2015.
  16. ^ John Pike, King Abdul Aziz Bin Abdul Rahman Al-Saud, su Global SecurityURL consultato il 20 marzo 2015.

Voci correlate

Mappa della guerra tra Armenia e Azerbaijan, uno dei tanti conflitti dimenticati

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Guerra del Nagorno Karabakh
Da sinistra a destra, dall'alto in basso: 2005 carro armato azero abbandonato; 1993 profughi azeri; 1994 truppe del RNK sulle montagne; 2007 memoriale della guerra
Da sinistra a destra, dall'alto in basso2005 carro armato azero abbandonato; 1993 profughi azeri; 1994truppe del RNK sulle montagne; 2007 memoriale della guerra

Data20 febbraio 1988 - 16 maggio 1994
LuogoNagorno Karabakh e Azerbaigian
Casus belliDichiarazione d'indipendenza del Nagorno Karabakh
EsitoVittoria delle forze armate del Nagorno Karabakh e dell'Armenia
Modifiche territorialiIl Nagorno Karabakh diventa una repubblica de facto indipendente, l'Azerbaigian perde il controllo di un'ingente porzione del proprio territorio
Schieramenti
Flag of Armenia.svg Armenia
Flag of Nagorno-Karabakh.svg Nagorno Karabakh
Flag of Armenia.svg Volontari armeni della Diaspora
Flag of Azerbaijan.svg Azerbaigian
Flag of Afghanistan (1992-1996; 2001).svg Mujaheddin provenienti dall'Afghanistan
Flag of Chechen Republic of Ichkeria.svg Repubblica cecena di Ichkeria
Flag of the CIS.svg Mercenari del CIS
Comandanti
Effettivi
Flag of Armenia.svg 20.000
Flag of Nagorno-Karabakh.svg 20.000
Flag of Azerbaijan.svg 40.000
Flag of Afghanistan (1992-1996; 2001).svg Flag of Chechen Republic of Ichkeria.svg circa 3.000
Perdite
Morti 4.592
Dispersi 196
Feriti 25.000
Morti circa 25.000
Dispersi 4.210
Feriti 60.000
Perdite civili:
  • 1264 civili armeni uccisi, tra questi anche cittadini della Repubblica armena
  • Il numero dei civili azeri morti è sconosciuto in quanto non è mai stato reso ufficiale. Probabilmente è incluso nel numero di morti complessivi e/o in quello dei civili dispersi.
Civili dispersi:
  • 400 civili armeni secondo la Karabakh State Commission
  • 769 civili azeri secondo la Azerbaijani State Commission
Voci di guerre presenti su Wikipedia
La guerra del Nagorno Karabakh è un conflitto armato che ha avuto la sua fase più intensa tra il gennaio 1992 e il maggio 1994, nella piccola enclave del Nagorno Karabakh, nel sud-ovest dell'Azerbaigian, tra la maggioranza etnica armena del Nagorno Karabakh, sostenuta dalla Repubblica Armena, e la Repubblica dell'Azerbaigian.
Preceduto, a partire dal 1988, da atti di violenza e di pulizia etnica compiuti da entrambe le parti, il conflitto scoppiò in seguito al voto del parlamento del Nagorno Karabakh il quale, facendo leva sulla legge dell'Urss allora vigente, dichiarò la nascita della repubblica del Karabakh Montagnoso (Nagorno Karabakh)-Artsakh.
In base a tale legge del 3 aprile 1990 (Registro del Congresso dei deputati del popolo dell'Urss e Soviet Supremo, n.13 pag 252) se all'interno di una repubblica che decideva il distacco dall'Unione vi era una regione autonoma (oblast') questa aveva diritto di scegliere attraverso una libera manifestazione di volontà popolare se seguire o meno la repubblica secessionista nel suo distacco dall'Urss. Il 30 agosto 1991, l'Azerbaigian decise di lasciare l'Unione e diede vita alla repubblica di Azerbaigian. Il 2 settembre il soviet del Nagorno Karabakh decise di non seguire l'Azerbaigian e votò per la costituzione di una nuova entità statale autonoma. Il 26 novembre il Consiglio Supremo dell'Azerbaigian riunito in sessione straordinaria approvò una mozione per l'abolizione dello statuto autonomo del Karabakh ma la Corte Costituzionale sovietica due giorni dopo la respinse in quanto non più materia sulla quale l'Azerbaigian poteva legiferare. Il 10 dicembre 1991 la neonata repubblica del NK Artsakh votò il referendum confermativo al quale fecero seguito le elezioni politiche per il nuovo parlamento.
Il 6 gennaio 1992 venne ufficialmente proclamata la repubblica, il 31 dello stesso mese cominciano i bombardamenti azeri sulla regione. Alla fine della guerra, nel 1994, il Nagorno-Karabakh si consolida come repubblica de facto non ancora riconosciuta peraltro dalla comunità internazionale. L'Azerbaigian lamenta la perdita del suo territorio e rivendica il principio di integrità territoriale, mente dal canto loro gli armeni rivendicano quello di autodeterminazione dei popoli.
Per gli armeni del Nagorno-Karabakh il territorio ricompreso nei confini dell'oblast' sovietico e dal quale è nata la nuova repubblica non ha mai fatto parte ufficialmente della nuova repubblica dell'Azerbaigian la quale peraltro nel suo Atto Costitutivo del 1991 (art. 2) rigettava l'esperienza sovietica e si richiamava alla prima repubblica democratica (1918-20) nella quale il Karabakh non fu mai compreso perché venne assegnato all'Azerbaigian (sovietico) solo nel 1921. Rimangono non eseguite le quattro Risoluzioni delConsiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (n. 822, 853, 874 e 884, tutte del 1993 mentre era in corso il conflitto) sul “ritiro delle forze di occupazione dalle aree occupate appartenenti alla Repubblica dell'Azerbaigian”. Dalla fine della guerra, i rapporti tra Armenia e Azerbaigian sono ancora molto tesi. Nel 2008, il presidente azero Ilham Aliyev ha dichiarato che "il Nagorno-Karabakh non sarà mai indipendente, questa posizione è sostenuta dai mediatori internazionali, nonché, l'Armenia, deve accettare la realtà".
I due paesi sono ancora tecnicamente in guerra e il governo dell'Azerbaigian minaccia di riconquistare il Nagorno-Karabakh con la forza militare, se la mediazione dell'OSCE,Gruppo di Minsk, non riuscirà nel suo compito[1].
Le zone di confine tra il Nagorno-Karabakh e l'Azerbaigian rimangono militarizzate in un regime di "cessate il fuoco" spesso violato da entrambe le parti[2].