domenica 7 marzo 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 113. Lorenzo Monterovere, l'Iniziato agli Arcani Supremi

 



E' giunto il momento di parlare più dettagliatamente del misterioso Lorenzo Monterovere, il figlio minore di Romano Monterovere e di Giulia Lanni.
Era molto diverso dai fratelli Francesco ed Enrichetta, con i quali ebbe poco a che fare essendo molto più giovane di loro ed avendo scelto, per vocazione, di entrare in seminario il prima possibile.
Per molto tempo la sua vocazione al sacerdozio rimase solida e profonda, eppure, poco dopo la laurea in Teologia, decise, con grande sconcerto di tutti, decise di non proseguire il cammino verso l'ordinazione presbiteriale.
Poco tempo dopo vinse una borsa di studio per un dottorato in Storia delle Religioni all'Università di Jena, in Germania, sotto la guida dell'illustre professor Franz Kranz, il grande filosofo metafisico, che a sua volta era stato un allievo del germanista Erich von Tomaten, l'autore del celeberrimo saggio "Das tausendjaehrige Reich". Successivamente, Lorenzo divenne assistente del professor Raffaele Pettazzoni alla Sapienza di Roma e infine vinse il concorso per l'incarico ricercatore confermato all'Università di Bologna, diventando poi Associato e infine Professore Ordinario di Storia delle Religioni.
Fin dall'inizio decise di specializzare il proprio ambito di ricerca nello studio delle religioni esoteriche e misteriche, di cui divenne uno dei massimi esperti a livello mondiale.

Fisicamente aveva una certa somiglianza con Mario Monti, ma si vestiva in maniera molto più eccentrica, prediligendo il colore viola in tutte le sue possibili tonalità (dal lilla al prugna) e con tutti gli abbinamenti immaginabili riguardo ai capi del guardaroba.


I genitori di Lorenzo, pur contenti del suo successo e della sua carriera, trovavano tuttavia strano il fatto che non si fosse sposato.
Alcuni sussurravano che fosse gay, ma non vi fu mai una prova certa al riguardo.
Le insinuazioni derivavano, oltre che dalle "50 sfumature di viola" con cui si vestiva, anche da certi aspetti personali come una voce un po' stridula, una risatina querula, un atteggiamento lezioso, a tratti un po' petulante, un viso oppure anche dal fatto che, a semestri alterni, partiva per un "viaggio di ricerca" di qualche mese in Grecia o in Egitto, portandosi dietro alcuni giovani allievi, molto prestanti, che poi vincevano cospicue borse di studio o importanti concorsi .
Ma mettendo da parte le solite dicerie delle malelingue, va invece detto che i viaggi all'estero derivavano anche dal fatto che le più stimate università gli conferivano lauree ad honorem, lo imploravano di tenere almeno una lectio magistralis, e gli proponevano contratti molto vantaggiosi e incarichi di massimo prestigio, che lui accettava soltanto se non distavano molto dalla sua residenza bolognese.
Non volle mai lasciare Bologna, dove aveva stretto amicizia con Umberto Eco, il quale ammetteva che buona parte della sua erudizione derivava dai consigli di lettura dell' "amico Lorenzo".
Come Eco, anche Monterovere aveva pubblicato testi fondamentali, di grande valore accademico e di grande successo editoriale.
E non possiamo non menzionare almeno i titoli più noti e le opere imprescindibili: 
 1) La tomba di Zeus (1969);
 2) L'auto-evirazione di Attis nelle Dionisiache di Nonno di Panopoli (1971);
 3) I Coribanti e la Patera di Parabiago (1973);
 4) Dies Sanguinis (1976) [vincitore del Premio Strega];
 5) In difesa di Agave (1978);
 6) La versione di Lucifero (1981) [vincitore del Premio Bancarella];
 7) Abraxas e Yaldabaoth (1985);
 8)Rex Mundi (1988);
 9) L'Oro di Tolosa: dai Celti ai Templari (1992);
10) Et in Arcadia Ego (1994); 
11) Dal Mabinogion al Santo Graal (1996);
12)Artorius Rex : Glastonbury, Modena e Otranto (1997);
13) In insula Avalonia : la spada, la lancia e il calderone (1998);
14) Il culto di Belenos, la discendenza messianica e la linea di San Michele (1999), 
15) Il Regno Millenario (2000).




Si può notare un progressivo avvicinarsi dell'indagine esoterica dall'età arcaica fino al pieno Medioevo e al tema del pellegrinaggio mistico nei Luoghi Sacri.
Tratteremo in un capitolo successivo delle opere che il Professore scrisse nel nuovo Millennio.
In tutto questo tempo, la residenza ufficiale rimase a Bologna in quanto vicina alle "terre d'origine degli antenati".
E tuttavia i suoi parenti in vita sembravano essere l'ultimo dei suoi pensieri.
Non era così: Lorenzo li teneva d'occhio da lontano, tramite sua zia Anita, che sapeva sempre tutto di tutti, per quanto non fosse mai imparziale nelle sue ricostruzioni.
Ma il Professore sapeva depurate un racconto dalla sua faziosità, era quasi un'abitudine spontanea per un filologo classico come lui, abituato a lavorare su testi greci e latini, diffidando sempre dalla pretesa neutralità dell'autore (cosa impossibile, anche con le migliori intenzioni, perché "la verità dei fatti raramente è pura e quasi mai semplice", e la realtà percepita da un punto di vista non è mai la Realtà vera, il Noumeno kantiano, "Das Ding an sich").
Per depurare la versione della zia Anita, Lorenzo telefonava ogni tanto ai "fratelli Monterovere" superstiti: Edoardo, l'eterno assessore alle infrastrutture dell'Emilia-Romagna, e, molto raramente, a Romano, suo padre.
Ad Anita aveva rivelato un suo progetto di ricerca genealogica riguardante i Monterovere e il loro eventuale legame con i Montecuccoli di Querciagrossa, presso Pavullo nel Frignano modenese.
Questa iniziativa, che poteva sembrare vana e inconsistente, si fondava però sui racconti dell'antico trisavolo Ferdinando, quello che, nel primo capitolo di questo romanzo, morì cadendo da cavallo presso il sito detto "L'Orma del Diavolo", dove un tempo aveva sede la secolare Quercia Sacra dove i celto-liguri Friniati e i Galli Boi (respinti sulle colline dai Romani) adoravano Belenos, l'equivalente celtico dell'Apollo romano, e poi abbattuta per ordine dell'imperatore Teodosio e dell'arcivescovo Ambrogio.




Si pensò all'inizio che l'interesse di Lorenzo fosse puramente accademico, ma il testo sul culto di Belenos presso la Quercia Sacra, il cui ricordo era rimasto nei secoli tanto a lungo da dare il nome al borgo di Querciagrossa, ai piedi del castello di Montecuccolo, era scritto in maniera tale da far pensare che tutti quei miti e quelle religioni scomparse da tempo lo riguardassero personalmente.
In effetti c'erano alcuni elementi, riscontrabili solo da lettori molto attenti, nelle note a piè e di pagina e nei riferimenti bibliografici, che sembravano collegare due località sacre ai Galli Cisalpini e alla religione druidica, ossia Querciagrossa, di cui si è già detto, e ovviamente Casemurate, nostra antica conoscenza, in particolare riguardo a un culto pagano-celtico nel Bosco Sacro delle farnie, dei cerri e delle roveri che al tempo dei Romani assunse il nome di Confluentia.
Riguardo a questo luogo e a questo nome, i lettori più accorti si sono soffermati sulle note personali dell'autore, in cui il Professore fornisce una descrizione meticolosa di tale luogo, anche nei giorni nostri, in particolare la sua collocazione, presso la confluenza del grande fosso Torricchia nel torrente Bevano, dove i proprietari del terreno circostante, gli Orsini, avevano autorizzato la creazione di una Colonia Felina gestita da anziane sorelle.
Qualcuno fece notare che tale luogo si trovava nella proprietà della suocera di Francesco Monterovere, fratello maggiore di Lorenzo.
Il Professore si spinse anche, in una Lectio Magistralis sulla Vallis Padusa, a sostenere l'ipotesi che il cosiddetto culto misterico delle Signore della Palude fosse anticamente collegato a tutti gli insediamenti pre-appenninici, lambiti dalla Palude Padusa stessa, specialmente nella sua parte navigabile, il "piscosus Amnis Padusae" di cui ci parla Virgilio nell'Eneide (11, 457-458).




Tale perizia nel ricostruire il rapporto tra i culti celto-pagani e l'enorme estensione della Padusa Palus, derivava a Lorenzo non solo dalla conoscenza delle opere di bonifica su cui l'Azienda Monterovere si era specializzata, ma anche, e forse soprattutto, sugli insegnamenti di suo nonno, l'ingegner Lanni, il Profeta delle Acque, il visionario che per primo aveva avuto l'intuizione da cui poi nacque il Canale Emiliano Romagnolo.
Ma anche la possibilità di verificare di persona il corso del Bevano, la Confluentia, la Valle Standiana, l'Ortazzo e l'Ortazzino, gli furono di grande aiuto.
A Casemurate molti avevano intuito chi lui fosse e soprattutto chi lo avesse mandato.
Tutti sapevano che l'Iniziato aveva intenzione di compiere ulteriori ricerche.
Non destò dunque stupore il fatto che nei decenni che seguirono gli eventi del 1992, l'Anno della Falsa Primavera, si ebbe un riavvicinamento tra i due fratelli, e un sempre maggiore coinvolgimento, da parte di Lorenzo, del nipote Roberto, specialmente quando, dopo il "periodo milanese" (1994-1999), risiedette a Bologna per lungo tempo, dal 2001 al 2017.
I lettori ci perdoneranno per questa anticipazione, ma va detto che nella prima parte di tale periodo lo zio Lorenzo venne nominato direttore artistico del restauro del Castello di Montecuccolo, e poi ne mantenne l'usufrutto per conto dell'Ordine degli Iniziati agli Arcani Supremi, una società segreta di cui non si sapeva nulla tranne il nome altisonante, ma non esplicativo, e il fatto che potesse contare su potenti affiliati in tutti i gangli dell'alta società.
Ma nel 1992 quell'Ordine era solo un nome e quelle località erano soltanto punti cerchiati su una mappa in riferimento alle colline sovrastanti, ai boschi e alle vallate "d'elfi e funghi" da dove i Monterovere avevano avuto origine.
All'epoca non c'era Google Maps e anche le cartine topografiche non erano del tutto chiare ed esaurienti. Oggi ci sembrerebbero più simili alle antiche mappe su pergamena che alle nostre.
Roberto comunque, consultando ciò che aveva a disposizione, vide che la foresta di Querciagrossa si ritrovava a sud dell'aeroporto di Pavullo, che i maligni sostenevano fosse stato creato come scalo personale dei pezzi grossi dell'Ordine degli Iniziati, diretti al castello di Montecuccolo.







































Nella parte bassa del paese c'era una vecchia trattoria, divenuta un moderno ristorante, con ricette tipiche della zona, di cui Roberto aveva sentito parlare da bambino, quando la bisnonna Eleonora Bonaccorsi Monterovere cucinava i cosiddetti "ciacini", molto simili alle tigelle, ma più buoni.
Per raggiungere le antiche proprietà dei Monterovere c'erano due modi: se da Querciagrossa si prendeva la provinciale 29 si arrivava all'ex tenuta principale della famiglia, venduta da tempo. 
Se invece si saliva lungo la statale 12, verso il monte Cimone, si raggiungevano le località di Sestola e Fanano, dove i Monterovere avevano conservato, per mancanza di acquirenti, delle terre in pendenza, ricoperte di boscaglia e vicine ai ruscelli che confluivano nel Panaro. 
In quelle zone si trovavano baite molto rudimentali, tra cui un "rustico" abitabile che risultò essere, guarda caso, di proprietà di Lorenzo.


Roberto fece molte domande sia al nonno Romano che alla prozia Anita, ricavandone però informazioni generiche e quasi reticenti, come se ci fosse una sorta di "peccato originale" da nascondere, o una "maledizione" da dimenticare.
Molto probabilmente era qualcosa di legato alla morte del trisavolo Ferdinando presso l'Orma del Diavolo e di sicuro Lorenzo sapeva tutto anche riguardo a questo.
Ma come fare a mettersi in contatto con lui?
Teniamo presente che nel 1992 i telefoni cellulari erano quasi sconosciuti (bei tempi, verrebbe da dire!), per cui rintracciare qualcuno che non voleva farsi rintracciare era molto difficile.
E all'epoca Lorenzo non voleva farsi rintracciare facilmente, per motivi che conosceremo in seguito.
Aveva mantenuto privato il numero di telefono della propria residenza, di cui non si conosceva l'ubicazione. 
Non aveva fornito altri recapiti se non quello del suo ufficio all'Università, dove rispondevano gli assistenti e prendevano nota di chi aveva chiamato. Solo in seguito ad attente verifiche era possibile programmare un appuntamento.
Dopo aver seguito scrupolosamente tutta la procedura, finalmente Roberto riuscì a parlare con il Grand'Uomo.
La voce dello zio Lorenzo era ancora più stridula del solito:
<<Roberto! Che sorpresa! A cosa devo l'onore?>>
Forse sapeva già tutto, ma Roberto preferì essere diplomatico:
<<Be', so che sei molto impegnato, ma mi farebbe piacere incontrarti, conoscerti meglio. Ci sono tante cose sul castello di Montecuccolo e sulla foresta di Querciagrossa che vorrei chiederti, visto che Anita e Romano tengono le bocche cucite...>>
Lorenzo rise allegramente, toccando acuti degni una soprano o di un cantore evirato:
<<Ah, ah, hai trovato proprio l'espressione giusta! Bocche cucite. Romano, mio padre, è sempre stato di poche parole. Per la zia Nita è diverso: lei con me parla molto, ma purtroppo da quando Francesco si è sposato...>>
Il nipote conosceva fin troppo bene la questione:
<<Lo so. Ma se lei con te ha parlato, allora ci sono dati che possiamo esaminare>>
Dall'altra parte del telefono si sentì che lo zio stava consultando l'agenda:
<<Ti vedrò molto volentieri. Per il momento ho troppi impegni che non posso rimandare, ma presto ti farò sapere qualcosa e potremo metterci d'accordo>>
La telefonata si concluse con i soliti convenevoli del tipo "salutami i tuoi", "senz'altro" e altre promesse destinate a non essere mantenute, ma necessarie per concludere una telefonata in maniera cortese.
In ogni caso, l'obiettivo era stato raggiunto: presto Roberto avrebbe potuto parlare a tu per tu con lo zio paterno, e gli avrebbe potuto porre quelle domande che al telefono è sempre meglio evitare.
Ebbe la percezione che gli ingranaggi del suo destino si stessero movendo, come quelli di un orologio a pendolo, in cui i due poli di oscillazione erano Casemurate (il feudo materno) e Querciagrossa (la terra dei padri, circondata dai boschi),
C'è un legame tra questi due luoghi: entrambi sono stati insediamenti celtici, entrambi hanno conservato per lungo tempo sopravvivenze di druidismo e culti pagani, entrambi nascondono molti segreti. Potrebbe essere un caso, ma il mio istinto mi dice di no.







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