giovedì 18 giugno 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 72. L'anno dei tre Papi


Come si è detto all'inizio, il ramo romagnolo della famiglia Orsini, quello dei Conti di Casemurate, ebbe origine da Bernardo Orsini, fratello di Bertoldo (1230-1319), il quale, come è scritto persino su Wikipedia, fu Conte di Romagna a partire dal 1278, nominato da papa Niccolò III Orsini (che Dante collocò all'Inferno per simonia).
A differenza di quanto erroneamente mostrato da alcuni atlanti storici, la dominazione pontificia sulla Romagna incominciò, de iure, soltanto in quell'anno 1278, l'imperatore Rodolfo d'Asburgo rinunciò formalmente alla sovranità su quelle terre, che tuttavia, de facto, furono annesse allo Stato Pontificio soltanto nel Cinquecento, con papa Giulio II.
Per questa ragione gli Orsini di Casemurate conservarono per cinque secoli un ligio e decoroso rispetto per la Santa Sede, pur godendo di un ampio margine di autonomia, a loro concesso dal Cardinale Legato Bessarione e dai suoi successori.
Quando però Diana Orsini, diciottesima Contessa di Casemurate, sposò Ettore Ricci, già impadronitosi del Feudo tramite prestiti ad usura al diciassettesimo Conte, il clan Ricci-Orsini assunse una posizione più vicina a quella degli "indigeni" locali di stirpe gallo-italica.
Va detto che Romagnoli, forse a causa di cinque secoli di dominazione pontificia, hanno sviluppato un anticlericalismo trasversale, presente in diverse coloriture politiche e ancor più disparati ceti sociali, con l'eccezione delle donne, generalmente incaricate di presenziare alla Santa Messa, perché "non si sa mai".
E' raro che un Romagnolo di genere maschile possa essere avvistato in una chiesa a meno che non sia egli stesso il prete, oppure lo sposo o il defunto, o al limite qualche parente o amico dei suddetti. 
Ogni regola ha comunque le sue eccezioni, e quindi ci sono tutt'ora alcune famiglie che partecipano al completo ai riti cattolici con grande fervore, altre con una sfumatura vagamente apotropaica, del tipo: "Non ci credo del tutto, però dicono che funzioni anche per chi non ci crede".
Nell'ambito della famiglia Ricci, per quanto prevalesse lo scetticismo, c'erano alcuni ferventi cattolici, devoti alla Chiesa e a Nostro Signore, in particolare una delle sorelle di Ettore, Caterina Ricci, la moglie del Senatore democristiano Leandro Baroni, uno dei più influenti protettori politici dell'impero economico dei Ricci-Orsini.
Ma Caterina era l'unica, tra i Ricci, ad essere sinceramente devota.
Gli altri erano politicamente più vicini al Movimento Sociale Italiano, che era forte nel forlivese, e in certuni casi conservava lo spirito del fascismo delle origini, che era anticlericale.
Diana Orsini votava per il Partito Liberale Italiano, che era sostanzialmente laico.
Ettore Ricci, per quanto formalmente iscritto alla Democrazia Cristiana, mostrava simpatie anche per il Partito Repubblicano Italiano, fieramente laico, e non andava quasi mai a messa, accampando come scusa il fatto che, pure nei fine settimana, doveva lavorare, studiando i contratti nel suo "ufficio" a Villa Orsini, il che non era del tutto falso, ma non era neanche del tutto vero.
Questo era in sintonia con uno dei suoi motti: "Il mentitore abile non dice bugie, ma soltanto mezze verità".
Su sententiae come queste aveva costruito un impero ed anche una reputazione da "simpatica canaglia" (per essere onesti, anche questa era una mezza verità, perché non era poi sempre una canaglia, ma non era neanche sempre simpatico).
Diana gli aveva consigliato di leggere l'Arte della guerra di Sun Tzu, e lui, stranamente, aveva seguito il consiglio della moglie: uno degli aforismi che più gli piacevano era quello secondo cui "chi ha la pazienza di attendere un nemico che non è un nemico, sarà vincitore", ma non tenne conto del fatto che poteva essere vero anche il contrario, ossia che "chi non ha il coraggio di affrontare un amico che non è un amico, sarà sconfitto". Naturalmente il falso amico era Michele Braghiri.
A volte Ettore aveva impegni di lavoro improrogabili, riguardo ai quali non transigeva.
Il caso più clamoroso, ma vero, fu quando, trovandosi ospite di Serafino Ferruzzi al Park Hotel Sole Paradiso di Ravenna, per valutare un'ipotesi di acquisizione congiunta dello zuccherificio Eridania, si dichiarò "desolato" di non poter partecipare, causa impegni di lavoro improrogabili, al funerale di sua madre, la maestra Clara Torricelli, spentasi a metà marzo del 1978 a 95 anni.
Al telefono, dal Park Hotel di Ravenna, si raccomandò tuttavia con grande severità e fermezza che il resto della famiglia partecipasse al completo manifestasse un adeguato cordoglio.
Fu obbedito, per quanto il parroco, suo cugino don Pino Ricci, la cui sfericità aveva raggiunto livelli allarmanti, manifestasse un certo disagio per l'assenza del "grand'uomo" alle esequie di "nonna Clara".
Don Pino era anche preoccupato per il fatto che, in assenza di Ettore, i suoi fratelli e sorelle, noti per il carattere sanguigno e l'estrema rivalità, potessero, data l'alta concentrazione di membri della famiglia Ricci nello stesso luogo e l'attesa per l'apertura del testamento della defunta, dare libero sfogo ai propri istinti predatori.
In effetti Oreste e Alberico si guardarono torvo, Maria Teresa non rivolse la parola a nessuno, ma lanciò occhiate di fuoco; l'unica scenata si ebbe tra Carolina e Adriana, che si presero vicendevolmente a male parole, borsettate ed unghiate in faccia, per la questione dell'eredità e per una rivalità sorta in un tempo così remoto che esse stesse non sarebbero state in grado di spiegarne l'origine.
Fortunatamente l'episodio fu breve e isolato, grazie anche alla presenza di uomini delle istituzioni come il giudice De Gubernatis, il commissario Tartaglia e il Senatore Leandro Baroni, che tenne l'orazione funebre, mentre la Signorina De Toschi si esibiva in uno dei suoi ruoli preferiti: quello della prefica. La Grande Mademoiselle arrivò a rimproverare Diana Orsini per "non aver pianto abbastanza".
Al termine del funerale la tensione era palpabile, ma a distogliere l'attenzione di tutti dalla tumulazione del feretro fu l'arrivo di un'automobile blu, che trasportava il segretario personale del Senatore, che gli si avvicinò per comunicargli una notizia sconvolgente.
Si trattava del rapimento di Aldo Moro.
Quell'evento rappresentò il più antico ricordo politico di Roberto Monterovere, cosa che, molti decenni dopo, lo faceva apparire "vecchio" nei confronti di persone poco più giovani di lui.
E come introduzione alla politica non fu proprio il massimo della positività, tanto che molti in seguito attribuirono a questo "imprinting" la colpa del suo pessimismo storico.
Alcuni si potrebbero chiedere come sia stato possibile che un bambino di tre anni potesse ricordare così distintamente quegli eventi.
Il fatto è che in famiglia tutti seguirono gli sviluppi del caso Moro con grande attenzione.
Ettore Ricci, di ritorno da Ravenna, punzecchiò il senatore Baroni con un riferimento alla linea della fermezza del Presidente del Consiglio e al suo Ministro dell'Interno:  <<Secondo te Andreotti e Cossiga si daranno da fare sul serio per salvare Moro?>>.
Il Senatore si accigliò: <<Certo! Perché non dovrebbero?>>
Ettore abbozzò un mezzo sorriso sornione: <<Be', alcune idee io ce le avrei, e scommetto che le hai anche tu. E del resto, Andreotti stesso dice sempre: a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca>> e non aggiunse altro.
Il clan Ricci-Orsini per intero si commosse invece nell'ascoltante il discorso di papa Paolo VI all'epoca anziano e già malato: "Uomini delle Brigate Rosse, lasciate a me, interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un vittorioso sentimento di umanità. Io ne aspetto pregando, e pur sempre amandovi, la prova". 
Così dichiarò il Pontefice in data 21 aprile 1978.
Il 9 maggio il cadavere di Moro fu ritrovato nel bagagliaio della famigerata Renault 4.
Cossiga si dimise e fu forse l'unico atto dignitoso di tutta la sua carriera. Andreotti, com'era nel suo stile, tirò a campare ("sempre meglio che tirare le cuoia").
Chi invece seguì Moro nella tomba, poco tempo dopo, fu lo stesso Paolo VI, che si spense in data 6 agosto 1978.
Molti anni dopo, Roberto avrebbe stupito gli amici dicendo: "Pensate che io mi ricordo della morte di Paolo VI", cosa gli dava un'ulteriore aura di uomo d'esperienza, testimone di eventi considerati molto lontani nel passato.
Il Conclave successivo fu seguito con molto interesse.
L'ascesa del Patriarca di Venezia, cardinale Albino Luciani, al soglio pontificio, col nome di Giovanni Paolo I, suscitò nel senatore Melandri un vaghissimo, quasi impalpabile dispiacere, di cui però Ettore Ricci non parve meravigliato.
Qualche settimana dopo se ne capì il motivo, quando negli ambienti romani si seppe che il nuovo Papa voleva controllare i conti dell'Istituto per le Opere Religiose.
Ettore Ricci, dopo un lungo colloquio col senatore Baroni, convocò i fratelli:
<<Ho venduto tutte le azioni del Banco Ambrosiano e se fossi in voi farei la stessa cosa. Non si sa mai...>>
Alberico pareva quasi convinto, ma Oreste non ne voleva sapere:
<<Ettore, questa volta tu e Leandro avete torto. Io sono certo che Calvi e Sindona non permetteranno a nessuno, nemmeno al Papa, di sollevare un polverone su... tu sai a cosa mi riferisco...>>
Ettore allargò le braccia:
<<Può anche darsi, visti gli interessi in ballo. Ma credo che prima o poi tutti i nodi verranno al pettine. Perché rischiare oltre?>>
Oreste, aggressivo come sempre, sbatté un pugno sul tavolo:
<<E' il Papa l'unico che rischia, in questa faccenda!>>
I fatti sembrarono dargli ragione.
Il 28  settembre 1978, mentre Roberto Monterovere trascorreva gli ultimi giorni di vacanza in campagna, prima di iniziare l'asilo a Forlì', fu comunicata la notizia della morte di papa Giovanni Paolo I.
Roberto corse a dare la notizia al nonno, che si trovava nel suo "ufficio" al piano di sopra.
Ettore Ricci non parve sorpreso:
<<Qualcuno deve averlo aiutato>>
<<Aiutato? Non capisco>> chiese Roberto senza capire.
Ettore Ricci sospirò:
<<Un giorno capirai. 
Sì, un giorno ti spiegherò tutto quello che penso su argomenti come questo. Ti insegnerò anche i rudimenti della finanza e della politica. 
Dei miei nipoti, pur essendo un Monterovere, tu mi sembri quello più sveglio.
Potrei fare di te il mio erede nella gestione di tutta la baracca: sei meno fighetto dei tuoi cugini e sei quello che mi assomiglia di più. Si sente che hai sangue caldo nelle vene! 
Se vivrò abbastanza da vederti crescere e se tu mi rimarrai fedele, potrei addestrarti per diventare il nuovo capofamiglia, l'erede maschio che ho sempre desiderato!>>

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