Da un sex symbol di altri tempi ai canoni di bellezza del terzo Millennio, passando per chi cerca di rimarcarli come Abercrombie&Fitch. La casa di moda statunitense, nata nell’ultima decennio dell’Ottocento, dal 1996 fino a pochi giorni fa era nelle mani di Michael Stenton Jeffries. Il 70enne, ormai ex presidente e amministratore delegato del colosso, si è dimesso a inizio dicembre per le difficoltà dell’azienda. L’appeal del marchio è infatti in calo e le vendite sono diminuite sensibilmente rispetto al boom a cavallo tra il primo e il secondo decennio del 2000.
La bellezza è tutto per l’ex numero uno di A&F: magro e bello, magro è bello. Lui stesso (quand’era in carica) ha pubblicamente detto che il marchio che rappresenta si rivolge esclusivamente a persone magre e belle. In una vecchia intervista Jeffries spiegò fuori dai denti il suo modus operandi: “Ecco perché assumiamo uomini belli nei nostri negozi. Perché le persone di bell'aspetto attirano altre persone di bell'aspetto: non vogliamo commercializzare il bello e con nessun altro al di fuori esso”. Se siete in sovrappeso Aber non fa proprio per voi. Un capo di Abercrombie non può vestire chi è grasso: sarebbe pubblicità negativa. È una scelta di marketing, che ha pagato. E si parla di moda, un mondo che solo adesso e solo timidamente sta aprendo alla forme “curvy”, mentre continua a cavalcare in passerella corpi “poco quotidiani”.
La casa punta tutto sull’aspetto fisico. Altrimenti, all’ingresso, non troveremmo (anche d’inverno) modelli palestrati che, a petto nudo e in compagnia di una bellissima ragazza, accolgono i clienti. Curiosi che spesso e volentieri si fermano per una foto ricordo tra pettorali e addominali dei modelli (detti shirtless). La foto con i bronzi di Riace di Abercrombie è come fosse uno status symbol e appena scattata non è raro vedere chi l’ha richiesta girare i tacchi per uscire soddisfatto col proprio trofeo.
Spesso si sono sentite – oltre alle ventate di profumo se passate a pochi metri dalla sede milanese – voci strane circa gli scheletri nell’armadio di Abercrombie&Ficht. Del tipo: è vero che non ci sono taglie superiori alle L? È vero che se fate uno sbaglio venite puniti con piegamenti sulle braccia o accosciate? È vero che Jeffries è razzista e quando faceva un salto in sede non si vedevano commessi di colore? A proposito, il Daily Mail ricorda che nel 2004 la compagnia è stata citata in giudizio per prediligere ragazzi bianchi a discapito alle minoranza etniche.
Un ex commesso-modello ci dice come stanno le cose “Che non ci siano taglie oversize è vero solo in parte. Quelle da uomo arrivano fino alle XXL, mentre quella da donna fino alla L. Certo, vestono in maniera particolare e non sono fatte per persone obese. Ma non è che sia una cosa strana e specifica del solo marchio A&F non disporre di taglie molto forti…”.
Eccoci alle punizioni corporali di qui si è tanto vociferato: piegamenti per i ragazzi e squat per le ragazze. “Ma va, tutte cavolate! Non so quante volte ci abbiamo chiesto questa cosa e quante volte ci abbiamo scherzato su. Non è vero niente: non ho mai visto e non mi è mai capitato nulla del genere”.
Per quanto riguarda invece l’intolleranza dell’ex CEO per commessi e modelli di colore un fondo di verità c’è: “Si diceva che fosse razzista. E in effetti, le volte che Jeffries veniva in sede, i manager facevano in modo che filippini, cinesi e afroamericani non lavorassero, cambiando i turni. In negozio c’erano solo caucasici”.
Ma qui c’è un aneddoto divertente: “Mi hanno raccontato che un giorno,quando Michael Jeffires doveva passare, si è presentato per lavorare un ragazzo (che conosco) molto simpatico. In qualche modo aveva il turno, ma i capi non volevano che fosse in negozio. Allora, per non mandarlo via, l’hanno messo a far camerino nel reparto bambino. Non so come, ma Jeffries passò di lì e lo trovò mezzo nascosto. Ma, a differenza di quello che si potesse pensare, iniziarono a chiacchierare, ridendo e scherzando. E da quel momento non è più stato un problema se lui fosse o meno in servizio quando Jeffries doveva venire a Milano”.
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