domenica 20 ottobre 2024

La Quarta Era. Capitolo 9. Galadriel torna a Valinor

 



Il viaggio era finito lì, molti anni prima, nella baia di Avallone, il porto principale dell'isola di Tol Eressea.

Quel luogo incantato erano l'unico, tra tutte le Terre Imperiture di Valinor, in cui gli Elfi provenienti dalla Terra di Mezzo avevano avuto il permesso di abitare, in attesa del definitivo perdono dei Valar.

Arda, il pianeta creato dal canto degli Ainur, le entità angeliche che affiancavano il supremo Iluvatar nello spazio extra-dimensionale tra un universo e l'altro, aveva tre continenti, uno occidentale, chiamato Aman, uno centrale, chiamato Endor, la Terra di Mezzo, e uno orientale, di cui non si sapeva pressoché nulla, e di cui persino gli Istari, che tutto conoscevano, avevano ritenuto cosa saggia e giusta tacere persino il nome.

Durante il viaggio verso Aman, Galadriel aveva soltanto ammesso: "Ho sentito dire che laggiù esista un portale che conduce al regno delle Ombre, per questo alcuni lo chiamano Terra Oscura" 




Ma Gandalf l'aveva corretta:
<<Mia adorata lady Galadriel, le Ombre e l'Oscurità sono cose diverse: nell'Oscurità non può esserci l'Ombra, a meno che non sia proiettata dalla Fiamma di Udun, evocata dagli stregoni malvagi che vestono di rosso. Esiste una città. dall'altra parte di quel varco, ma non pronuncerò mai quel nome, ora che il Portale è stato sigillato per sempre>>

Così si era detto anche di Utumno e di Angband, e più volte di Mordor, ma l'Oscurità era sempre tornata, e i sigilli erano stati sempre spezzati.
<<Gli Stregoni Rossi potrebbero tornare, Mithrandir. Conoscere il nome della loro città, oltre il Portale di Ulthor, come alcuni lo chiamano, non sarebbe una difesa per noi?"
Gandalf scosse il capo: 
<<Non pronunciare mai più quel nome nelle Terre Imperiture. Esso contamina tutto ciò che tocca, persino come suono. E il nome della città è contaminato oltre ogni dire, e qui a Valinor potrebbe creare dei portali segreti. Noi abbiamo già protetto la Terra di Mezzo: ora è nostro dovere attenerci alle regole dei Valar>>

Nel continente di Aman, che aveva la forma di una mezzaluna con gobba a ponente, c'era il Reame Beato di Valinor, dove vivevano le somme potenze di Arba, i Valar, che spesso si riunivano nella città di Valmar, presso l'Anello del Destino.




Tol Eressea si trovava al centro della Baia di Eldamar, protetta da un semicerchio di Isole Incantate che separavano con un velo di magia il mondo degli uomini da quello dei Valar, dopo il folle assalto che Ar-Pharazon, ultimo Re di Numenor, aveva tentato, con la sua flotta, contro lo stesso continente di Aman, sobillato da Sauron, per abbattere i troni dei Valar.
Galadriel aveva intuito il destino di Numenor fin da quando aveva indossato l'Anello di Diamante, uno dei Tre, creato da Celebrimbor: l'anello che dava le premonizioni, la telepatia e a volte persino la bilocazione.
Ho sostenuto i Principi di Andunie, col potere di Nenya, ho guidato Elendil e i suoi figli verso la salvezza, ma non sono riuscita a salvare Tar Miriel dalla follia di suo marito, né Isildur dal suo destino.
Le era mancato l'appoggio di Celeborn, in quei frangente: il loro amore non era stato affatto così perfetto come appariva, e dopo la creazione di Lothlorien era diventato un matrimonio di facciata.
Celeborn era bello e forte, ma gli mancava la sottigliezza richiesta ad un sovrano.
E' rimasto a Lothlorien molto più a lungo di me, nonostante certe ricostruzioni facciano credere diversamente. Ci sono troppe leggende contraddittorie, fummo fidanzati nel Doriath, poi io andai a Nargothrond e lui alla corte di Amroth a Lothlorien.  
Era stata la loro prima separazione, ma alla fine lui era tornato e l'aveva supplicata di seguirlo a Lothlorien, perché grandi sventure stavano per accadere nel Beleriand.
E così, prima della caduta di Nargothrond o Gondolin valicai le montagne, e insieme attraverso le ere del mondo abbiamo lottato contro la lunga sconfitta.
Così aveva detto a Frodo, ma aveva omesso le altre separazioni.
Quando suo nipote Gil-Galad l'aveva mandata nell'Eregion per tenere d'occhio Celebrimbor, Celeborn non l'aveva seguita, perché disapprovava il ruolo dei Nani a Ost-in-Edhil e la simpatia che lei nutriva nei loro confronti, ed era rimasto nelle terre dei Nandor, a Ovest delle Montagne Nebbiose.





Celebrimbor l'aveva corteggiata, forgiando per lei il gioiello dell'Elessar, il primo di tanti doni che lei aveva accettato per ordine di Gil-Galad.
Spesso Elrond giungeva a portare notizie e tra loro avrebbe potuto esserci più di un'amicizia, se la questione dei Tre Anelli non avesse preso il sopravvento.
Ma dopo la caduta di Ost-in-Edhil, quando lei non avrebbe disdegnato di essere la signora di Imladris, Celeborn era tornato pieno di amore e attenzioni e insieme avevano rinnovato i loro voti nuziali.
Si erano poi trasferiti nel Belfalas, nella futura Dol Amroth, presso il porto elfico di Edhellond, recandosi a volte a Lórien.
E avevano ripreso la loro battaglia, la loro "lunga sconfitta", poiché il Male non si estingue mai.

Per tutto il resto della Seconda Era, avevano preso parte alla sanguinosa guerra contro le armate di Sauron.  
Celeborn fu creduto morto nella battaglia di Dagorlad. Io me ne ero fatta fin troppo presto una ragione. Partecipavo ai consigli di guerra, l'Anello di Diamante accresceva il mio potere oltre ogni limite.
Per ordine di Gil-Galad le era stato rifiutato il permesso di combattere e il re, suo nipote, le aveva detto: "Se io ed Elendil dovessimo cadere, tu consegna il mio Anello ad Elrond e insieme aiutate Isildur a sconfiggere il Nemico".




Ed era accaduto proprio questo: Gil-Galad ed Elendil erano caduti, ed Elrond aveva indossato Vylia, l'Anello di Zaffiro, ed Isildur aveva ucciso il nemico.
Ecco, quello fu il momento di massima esaltazione della mia vita: Sauron appariva annientato, Elrond poteva reclamare la corona di Alto Re degli Elfi, ed io, che mi credevo vedova, e indossavo Nenya, l'avrei sposato e avremmo regnato fianco a fianco sulla Terra di Mezzo.
Soltanto ora, tremila anni dopo, riusciva a confessare a se stessa quella verità.
Ma Elrond non era riuscito a impedire a Isildur di distruggere l'Unico Anello, e questo lo aveva portato ad un tale sconforto che aveva rifiutato la corona di Alto Re degli Elfi e si era ritirato a Imladris, dichiarando che la rottura tra lui e Isildur era insanabile e l'alleanza tra Elfi e Uomini era finita.
L'Ultima Alleanza.
Fu allora che Celeborn ricomparve: era stato tenuto prigioniero a Minas Ithil, la futura Minas Morgul. E ancora una volta rinnovammo i nostri voti nuziali. E poiché la guerra sembrava finita, ci parve giusto generare un erede: nacque così Celebrian e mio marito, per rinsaldare le alleanze, la offrì in moglie ad Elrond.
Che ironia! Il suo destino era stato quello di diventare suocera di colui che in segreto avevo imparato ad amare. E almeno fosse stato un matrimonio felice! Ma ormai erano tutti pensieri inutili.

Quei pensieri erano stati banditi nel momento insieme ad ogni rimpianto della Terza Era.

Adesso erano nella Quarta Era del Sole! E stavano valicando le Isole Incantate e avvistando la gloriosa luce della Baia di Eldamar, Al cui centro spiccava l'Isola di Tol Eressera col suo porto, Avallone, tra le bianche scogliere.
E, come si è detto, per molti il viaggio era finito lì, ma non per Galadriel.




Per i meriti acquisiti durante la Guerra dell'Anello, Galadriel ed Elrond erano stati autorizzati, in data da destinarsi, a raggiungere le città degli Eldar nel Continente, come il Porto di Alqualonde, dove vivevano i Teleri di re Olwe, zio di Galadriel, o la capitale elfica Tirion, dove dominava il re supremo dei Noldor, Finarfin, padre di Galadriel, erano i discendenti delle Famiglie Reali delle stirpi dei Noldor e dei Sindar, un piccolo manipolo di reduci, ormai.

In seguito, i Sindar vennero indirizzati, col tempo, ad Alqualonde, presso i loro cugini Teleri, che parlavano una lingua molto simile alla loro.
I Noldor invece, che erano la minoranza, furono tenuti "in anticamera" molto più tempo, per il sospetto che il loro Re Supremo nutriva verso coloro che avevano seguito Feanor e verso i loro eredi.

Tra essi, in verità, l'unica sopravvissuta tra i Noldor nati a Valinor che avevano seguito Feanor, novemila anni prima,  prima che iniziasse la Prima Era, prima che fossero creati il Sole e la Luna, quando c'era ancora la Luce degli Alberi, c'era proprio lady Galadriel, anzi, la Principesssa Reale Galadriel.

Fosse stato per suo padre Finarfin, il Re Supremo dei Noldor, lei sarebbe rimasta a Tol Eressea per tutta l'eternità. 









Sono l'ultima sopravvissuta, tra i ribelli che lasciarono Valinor.
E la più vecchia, tra i reduci di Endor.

Novemila anni...persino per un elfo incominciano ad essere troppi... ma la mia missione non è ancora finita: mio padre deve sapere tutta la verità!

Galadriel veva lasciato quei luoghi insieme ai suoi fratelli, quando era una giovane ribelle, con tanta energia e curiosità, e sete di giustizia. Il suo non era stato un capriccio.
Morgoth aveva distrutto gli Alberi della Luce e rubato i Silmaril, e minacciava di regnare incontrastato sulla Terra di Mezzo, lasciando che a Occidente regnassero i Valar sui loro troni immortali.

Qualcuno doveva fare qualcosa per impedirlo! I miei fratelli non sono morti invano!

Finrod, Amrod, Aegnor e Orodreth, tutti caduti nelle guerre della Prima Era.
Ma durante la lunga pace dell'Alto Re dei Noldor della Terra di Mezzo, che all'epoca era Fingolfin, il fratello maggiore di Finarfin, ognuno dei figli di quest'ultimo, e cioè i fratelli di Galadriel, aveva avuto un suo regno nel Beleriand, prima della Battaglia delle Innumerevoli Lacrime, prima della Guerra dell'Ira e dell'inondazione del Beleriand.



Caddero l'uno dopo l'altro, ed ora le loro ceneri sono disperse in mare.

E mentre la Seconda e la Terza Era si succedevano, tra molte sconfitte e poche vittorie inutili, tranne l'ultima, Galadriel aveva condiviso con Celeborn quella che i Noldor chiamarono "la Lunga Sconfitta".

Eppure alla fine abbiamo vinto noi! Morgoth e Sauron sono stati distrutti ed io sono tornata carica d'anni e di ricordi, e sopravvissuta a millenni di battaglie. 

La prima impressione che aveva provato, scorgendo di lontano le scogliere di Tol Eressea, era stata di estraneità.

Ad attenderli nel porto di Avallone non c'era quasi nessuno, tranne pochi curiosi.
Lei ed Elrond si erano scambiati uno sguardo deluso: non era venuta nemmeno Celebrian!

"Voi andate" aveva detto agli altri "io farò due passi sulle scogliere".
Aveva bisogno di smaltire da sola la sua delusione per la mancanza dei parenti, compresa sua figlia!
Aveva pianto in silenzio, senza farsi notare, in una piccola insenatura scogliosa dove da piccola aveva nuotato con i suoi fratelli, quando ancora tutto sembrava perfetto.
Quanti tuffi aveva fatto da quelle scogliere!

Me le ricordavo bianche e luminose. Ora sono scure e opacheAnche il mare si è fatto peggiore, l'acqua è fredda e torbida, le onde molto più agitate: ne vedo i crudeli assalti al molo. 
Il porto di Avallone era deserto.
Non s'imbianca più di vele, non è lo specchio di nulla, neppure di se stesso.
Quella malinconica visione l'aveva rattristata.
Abbiamo commesso un errore a venire qui. Era miglior pensiero restare dove eravamo, non andare oltre, sognare. 


Persino senza il potere degli Anelli gli Elfi sarebbero stati di grande aiuto nel proteggere la Terra di Mezzo dal ritorno dell'Ombra.
Perché prima o poi l'Oscurità ritorna sempre: ecco perché noi Eldar chiamiamo la Storia: "La lunga sconfitta".










Anche gli altri a quella vista si erano incupiti..
Elrond, che mai aveva visto Tol Eressea, mi guardavano come per dire: 
"E' tutto qui? E' questa la gloria delle Terre Imperiture? Dov'è lo splendore degli Eldar? Ci avevano detto: siate benedetti fino a quando dureranno i Troni dei Valar!"
Ma quei Troni erano lontani più che mai.

E' così che i Valar accolgono i salvatori della patria?"
Avrebbe voluto rispondere di no, ma non poteva.
Sarebbe stata una bugia, o quantomeno una mezza verità.

Le era tornata in mente una poesia, scritta in gioventù, e ne aveva pronunciato i versi:
<<Vero viaggio è il ritorno, ma il sogno che interrompi non ritorna uguale>>.


mercoledì 9 ottobre 2024

La Quarta Era. Capitolo 8. Re Aelfwine il Bello, figlio di re Eomer di Rohan e suo successore

 


Il Gran Consiglio dei Sovrani della Terra di Mezzo giunse al suo apice quando la parola passò a re Aelfwine di Rohanche era succeduto alla guida del Mark dopo la morte di suo padre Eomer.

Aelfwine appariva molto giovane, ma non lo era. La sua longevità e apparente giovinezza erano dovute al sangue numenoreano di sua madre Lothiriel di Dol Amroth, una dama influente nella corte di Minas Tirith.

<<Il mondo è cambiato>> esordì Aelfwine <<e tutto ciò che un tempo era stabile, ora si rivela insicuro>>
Solo Legolas e Gimli ricordarono che un tempo il prozio di Aelfwine, re Theoden di Rohan, aveva pronunciato parole molto simili, anche se in un contesto completamente diverso.

<<Non lasciatevi ingannare dalla gioventù del mio aspetto: anch'io, come l'Alto Re Eldarion, per volontà dei Valar e diritto di discendenza sovrano del Regno Unito di Arnor e Gondor, sono per metà un Dùnedain, un discendente di Numenor, e solo per l'altra metà un discente di Eorl il Giovane, fondatore del Regno del Mark di Rohan e della dinastia che lo governa da secoli.
Quando ero realmente giovane, e mio padre Eomer regnava da pochi anni, la Terra di Mezzo era ancora un meraviglioso insieme di diversi popoli legati da vincoli di amicizia, fratellanza, alleanza e parentela.
Gli Elfi di tutte le grandi casate, Noldor, Sindar e Nandor (i Silvani), gli Uomini, sia i nativi di Endor, la Terra di Mezzo, sia discendenti dei Dùnedain della perduta Nùmenor.

Ma ora, ahimè, tutto è cambiato, e non in meglio.

Gli Elfi sono quasi tutti migrati ad Ovest. I Nani e gli Hobbit sono diminuiti di numero, e me ne dispiace, perché mi ritengo un loro sincero amico alleato. 
Da alcune generazioni nessun uomo ha più avvistato un Ent, e questo non è un buon segno.
Così come mi preoccupa il fatto che tra i Beorniani metaforfi e gli animali che un tempo comunicavano alla pari con noi e ci aiutavano, come le grandi Aquile, ora ci sfuggono, e solo il saggio Radagast riesce ancora a comunicare con loro.
Mentre non è affatto certo che gli Orchi, i Mannari, i grandi Ragni o i Draghi si possano ritenere estinti: forse hanno solo mutato forma.
Questo è ciò che accade all'interno della Terra di Mezzo, ma i regni di confine, come quello di Rohan, sono consapevoli che esistono cambiamenti anche all'esterno, che comportano minacce molto pericolose.
Le orde immense degli Esterling di Rhun premono sui nostri confini orientali, così come le popolazioni dell'Harad si accalcano ai nostri confini meridionali. Sono un numero incalcolabile, e di certo infinitamente superiore a quanti siamo noi. Ecco spiegato il motivo per cui la nostra civiltà rischia di estinguersi e di crollare sia per le nostre divisioni interne che per la pressione dei Barbari dall'esterno>>

Quello che Aelfwine aveva detto non era una novità, ma era il modo in cui lo aveva detto che poneva alcune questioni di fondo, a partire dal concetto di civiltà e di barbarie.
<<Nella Quarta Era, il nemico appare più prosaico: non ha più la natura assolutamente malvagia o l'aspetto ripugnante. Non è un nemico con la N maiuscola. Si tratta di uomini che minacciano ciò che ci è più caro e sacro. Li combattiamo non perché noi siamo "i buoni" e loro "i cattivi", ma perché noi dobbiamo, possiamo e vogliamo difendere noi stessi, le nostre famiglie, i nostri popoli, la nostra terra, la nostra tradizione. 

Per questo il mio appello a tutti i membri di questo sommo Consiglio è di non combattersi tra loro, ma di unirsi contro il comune nemico, così come ha giustamente suggerito l'Alto Re di Arnor e Gondor, il nostro sovrano Eldarion, di cui mi onoro di essere amico d'infanzia>>




Era stato un discorso efficace ed elogiativo per tutti, specie per l'esaltazione di ciò che era stata la Terra di Mezzo nel "buon tempo antico", (anche se, a dire il vero, era stata così soltanto nei racconti degli eroi e dei protagonisti) e ottenne l'effetto di placare di animi che prima di erano contrapposti.

l'Alto Re Eldarion colse questa occasione al volo:

<<La saggezza di Rohan ci mostra una strada per comporre i dissidi che si sono manifestati in seno a questo Consiglio. E affinché sia chiaro per tutti il pericolo che corriamo di fronte alle minacce esterne, chiederei ai sapienti Alatar e Pallando di parlarci delle intenzioni degli Esterling e degli Haradrim>>

Indicò Alatar, il quale si alzò:
<<Vostra Maestà del Reame Riunito, e Vostra Maestà del Mark di Rohan, mi rivolgo per primi a voi che avete posto la questione di Rhun, ma nel contempo mi rivolgo a tutti gli altri sovrani ed  eminenti membri del Consiglio Supremo della Terra di Mezzo, e ai capi delle delegazioni dei popoli associati.
Come ben sapete io ho trascorso la maggior parte della mia esistenza tra gli Esterling e ho ancora numerosi contatti con alcuni di loro. Come membro dell'Ordine degli Istari, il mio compito è quello di tutelare la pace tra i popoli ed evitare che qualcuno commetta atti di prepotenza verso qualcun altro, sia all'interno che all'esterno di questo regno. Ciò premesso, non nasconderò che informazioni in mio possesso sono allarmanti. 
Un enorme impero è sorto a Est, l'Impero di Rhun. La sua forza cresce ad un ritmo così veloce che già ora sta superando la nostra. E' un impero in espansione, con una politica estera aggressiva.


Attorno all'Impero di Rhun ci sono molti regni ad esso alleati, che ne moltiplicano la forza. 
La loro popolazione è in rapido aumento e ha bisogno di nuove terre e nuove risorse. Se noi non sapremo difendere le nostre, se le prenderanno, in un modo o nell'altro>>

La concisione era una dote di Alatar e rendeva efficaci i suoi interventi, ma questo non era l'unico motivò della brevità del suo discorso.
<<E' una grande minaccia per la pace tra i popoli e la libertà di ogni singolo popolo, ma credo che la minaccia costituita dagli Haradirm sia ancora maggiore, come può spiegarci il sapiente Pallando, capo del mio Ordine>>


Quest'ultimo si sollevò lentamente, con aria grave e solenne.
<<Ebbene sì, miei cari amici della Terra di Mezzo: la pace e la libertà dei vostri popoli e delle vostre comunità è in pericolo ed è mio compito, quale superiore dell'Ordine degli Istari, avvertire coloro che stanno per essere aggrediti ed aiutarli a fronteggiare l'aggressione. 
Sarebbe un errore fatale, per la Terra di Mezzo, che i suoi popoli si mettessero a guerreggiare tra loro quando ai suoi confini esistono minacce di estrema pericolosità.
In particolare il pericolo viene dall'Harad, dove è sorta una alleanza tra diversi regni e poteri avente come obiettivo principale quello di conquistare il regno di Gondor, di annientarne la tradizione e soggiogarne la popolazione. 
Naturalmente le decisioni finali spettano al Re, ma il mio consiglio è quello di trovare il prima possibile un accordo in seno a questa assemblea, perché l'alleanza degli Haradrim è pronta a colpire in modo subdolo. 
Hanno infiltrato molte spie nella Terra di Mezzo e dunque il pericolo è già in mezzo a noi. 
I miei poteri sono al vostro servizio per identificare tutti coloro che sono potenzialmente ostili prima che mettano in atto i loro piani.

Tutto questo, come suggeriscono le loro Maestà, Eldarion di Gondor ed Aelfwine di Rohan, può essere sconfitto soltanto tramite una grande alleanza comune di tutti i popoli della Terra di Mezzo, in cui ciascuno faccia la sua parte, superando le attuali divisioni.

Occorre ritornare a quello spirito di unità che ci fu nei tempi passati, nei Grandi Anni alla fine della Terza Era. 

Ora è giunto il momento in cui anche nella Quarta Era la Terra di Mezzo lotti unita per la propria sopravvivenza: anche noi avremo i nostri Grandi Anni!>>











lunedì 7 ottobre 2024

Mappe commentate del Sacro Romano Impero ( II parte)






Agli inizi del XV secolo, per quanto la Bolla d'Oro di Carlo IV di Lussemburgo si fosse imposta tramite i Principi Elettori, l'assetto del Sacro Romano Impero non era ancora del tutto delineato: benché ne fossero state definite alcune istituzioni e procedure, i rapporti di potere tra l'Imperatore, i Principi Elettori e gli altri Duchi e feudatari minori dipendeva in larga parte dalla personalità dei vari sovrani. 
Sigismondo di Lussemburgo (1433-1437) si concentrò soprattutto sui propri feudi personali, tra cui spiccava il Regno di Boemia e la sua capitale, Praga, che il padre Carlo IV aveva reso anche sede della Corte Imperial e periferici rispetto alle terre centrali e "germaniche" dell'impero. I duchi iniziarono a rivaleggiare tra di loro e questi conflitti alle volte evolvevano in scontri locali.
Ma Sigismondo dovette affrontare anche l'ascesa della potenza ottomana, che si era estesa lungo la penisola balcanica e minacciava Costantinopoli.

La guerra dinastica che da un secolo vedeva i Lussemburgo di Boemia contro gli Asburgo d'Austria in lotta per la Corona Imperiale si risolse con il primo di una lunga serie di fortunati matrimoni su cui gli stessi Asburgo basarono la loro fortuna.

Alberto II d'Asburgo (Vienna, 16 agosto 1397 – Neszmély, 27 ottobre 1439), Duca d'Austria (dal 1404), sposò a Praga la principessa Elisabetta di Lussemburgo, figlia dell'imperatore Sigismondo,    re di Boemia e di Ungheria.
La devozione di Alberto verso la moglie e il suocero convinsero Sisismondo a nominare Alberto "Re dei Romani", titolo con cui almeno a partire dal XV secolo, quando la dinastia asburgica riuscì ad affermarsi per un lungo periodo sul trono imperiale (il quale restava pur sempre una carica di tipo elettivo), l'Imperatore in carica designava l'erede al trono.

Fu così che nel 1438, un anno dopo la morte dell'imperatore Sigismondo, l'ultimo dei Lussemburgo, i Principi Elettori concordarono nell'eleggere Alberto II d'Asburgo come Imperatore, che già era succeduto al suocero nei titoli di Re di Boemia e d'Ungheria e Re di Croazia.

Sotto, possiamo vedere lo stemma del Sacro Romano Impero sotto il regno di Alberto II: l'aquila nera imperiale è protetta da uno scudo che a sinistra vede il Leone di Boemia e a destra le strisce bianche e rosse dell'Ungheria. Al centro c'è un secondo scudo più piccolo che indicava l'Arciducato d'Austria, che da allora divenne il centro della politica imperiale.



Alberto II morì nel 1339, dopo un solo anno di regno, lasciando il trono ad un figlio nato dopo la sua morte, Ladislao il Postumo (1340-1357).
Ne seguì una breve crisi dinastia, nel senso che Ladislao ereditò i domini personali del padre come Arciduca d'Austria e Re di Boemia e di Ungheria, sotto la reggenza di sua madre Elisabetta di Lussemburgo.
Tutt'altra questione fu invece la successione ai troni di Germania e a quello del Sacro Romano Impero.
I Principi Elettori non riconobbero a Ladislao il titolo di Rex Romanorum et Teutonicorum, essendo egli nato dopo la morte del padre, ed elessero come imperatore un suo lontano cugino, Federico, appartenente alla linea secondogenita degli asburgo.

Federico III d'Asburgo ( che regnò dal 1452 al 1493) fu il vero artefice della fortuna successiva della Dinastia asburgica, dell'Austria e dell'Impero.




Poiché nel 1453 la città di Costantinopoli era caduta in mano ai Turchi della dinastia Ottomana, Federico III volle che nel suo stemma imperiale fosse affissa l'aquila bicipite, per rivendicare l'eredità dell'Impero Bizantino e l'autorità morale che gli diveniva dall'essere nel contempo Imperatore d'Occidente, come sovrano del Sacro Romano Impero, e il pretendente al trono dell'Impero d'Oriente. A sovrastare l'aquila vi fu la corona che Federico III fece creare per l'Arciducato d'Austria, di cui mantenne anche lo stemma, quando finalmente poté ottenerne il dominio dopo la morte precoce di suo nipote Ladislao.




L'aquila era bicipite e guardava in entrambe le direzioni come erede dell'Impero Romano nella sua universalità, un concetto che fu molto caro a suo figlio Massimiliano e al nipote di quest'ultimo, Carlo V.
La signoria sull'Arciducato d'Austria divenne il baricentro dell'Impero asburgico, specie in quella fase in cui i nobili di Boemia e di Ungheria avevano rifiutato l'elezione di Federico, dopo la morte di Ladislao, preferendogli candidati della casa degli Jagelloni o dei Corvinus.
Federico III però rimase intenzionato a riprendersi quei territori, suggerendo a suo figlio una attenta politica matrimoniale per assicurarsi le risorse necessarie all'elezione imperiale e alla successione delle altre corone.
Si fece inoltre proclamare Duca di Stiria, Carinzia e Carniola, titoli che poi trasferì il prima possibile a suo figlio Massimiliano.

Nei suoi ultimi anni presiedette alla fase iniziale della Riforma Imperiale, che si sviluppò principalmente sotto il figlio Massimiliano. Lo stesso Massimiliano era più aperto alle riforme, anche se naturalmente voleva anche conservare e valorizzare le prerogative imperiali. Dopo che Federico si ritirò a Linz nel 1488, come compromesso, Massimiliano, divenuto Arciduca d'Austria e Rex Romanorum et Teutonicorum, fece da mediatore tra i principi e suo padre. Quando sarebbe succeduto alla morte del padre, avrebbe continuato questa politica di intermediazione, fungendo da giudice imparziale tra le opzioni suggerite dai principi.

Massimiliano I d'Asburgo (Wiener Neustadt, 22 marzo 1459 – Wels, 12 gennaio 1519), già Arciduca d'Austria, Duca di Stiria, Carinzia e Carniola, fu confermato Re dei Romani e dei Teutoni nell'aprile del 1493 alla morte del padre Federico III e fu eletto Imperatore il 19 agosto 1493 anche grazie alle sue doti diplomatiche e alle cospicue donazioni che poté elargire ai vescovi in quanto detentore dell'immenso patrimonio della sua defunta prima moglie Maria, Duchessa di Borgogna, deceduta nel 1477, lasciando il titolo ducale al figlio Filippo I d'Asburgo, che rimase a lungo sotto la tutela paterna.

Nel 1495, l'imperatore Massimiliano I convocò una dieta a Worms. Qui, il re ed i duchi convennero su quattro punti ed emanarono la Riforma imperiale (Reichsreform), una raccolta di testi legali tendente a dare qualche struttura al Sacro Romano Impero al fine di evitarne la disgregazione. Tra le altre cose furono istituiti i "Circoli Imperiali" (Reichskreisstandschaft) ed il "Tribunale della Camera imperiale"(Reichskammergericht). 
Tuttavia alcuni territori vassalli dell'Impero si rifiutarono di entrare nei Circoli, minacciando l'indipendenza: si trattava di Boemia, Moravia e Slesia (sotto il controllo degli Jagelloni di Polonia, che ambivano a creare una potenza slava che si estendesse tra la Germania e la Russia), ma anche la Confederazione Svizzera, che dopo aver sconfitto Carlo il Temerario di Borgogna, suocero di Massimiliano, aveva dichiarato la propria indipendenza, e infine i principati e le signorie italiane, che fin dall'estinzione della dinastia degli Hohenstaufen, avvalendosi della rinuncia ai diritti regi sancita dalla pace di Costanza secoli prima, avevano mantenuto soltanto un omaggio formale verso l'Impero, ma sostanzialmente avevano agito in maniera autonoma. 



Massimiliano e suo figlio Filippo elaborarono un complesso piano matrimoniale, dinastico e militare che doveva condurre gli Asburgo al recupero del potere nella maggioranza dei territori che si erano dichiarati indipendenti o avevano agito come tali.

In questo ambito va visto il matrimonio tra Filippo I, Arciduca d'Austria e Duca di Borgogna, con l'infanta Giovanna di Castiglia e d'Aragona, che in seguito a una serie di lutti molto imprevista e molto sospetta, portò Filippo I a diventare re di Castiglia nel 1506, salvo morire poco dopo, forse avvelenato dal suocero Ferdinando.

L'erede di Giovanna e Filippo, il giovane Carlo, divenne allora automaticamente l'erede sia di Massimiliano d'Asburgo che di Ferdinando d'Aragona.
L'Imperatore già pregustava le montagne d'argento provenienti dalle Americhe, sottomesse alla Castiglia, che un giorno sarebbe stata ereditata da suo nipote Carlo.

Nel 1512, l'Impero prese il nome di Heiliges Römisches Reich Deutscher Nation, "Sacro Romano Impero della nazione germanica". L'addizione Nationis Germanicæ compare solo alla soglia tra il tardo medioevo e la prima età moderna, quando l'impero si estendeva essenzialmente all'area di lingua tedesca. Nel 1486 questo titolo fu utilizzato nel Landfriedensgesetz dell'imperatore Federico III.




Questa aggiunta fu usata ufficialmente per la prima volta nel 1512 nel preambolo dell'addio al Reichstag a Colonia. L'imperatore Massimiliano I aveva invitato i possedimenti imperiali, tra l'altro, allo scopo di "preservare [...] il Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca" L'esatto significato originale dell'aggiunta non è del tutto chiaro. Potrebbe significare una restrizione territoriale dopo che l'influenza dell'imperatore nell'Italia imperiale era scesa praticamente a zero e gran parte del regno di Borgogna era ora governata dalla Francia. 

Nel 1516, quando morì Ferdinando d'Aragona, Massimiliano impose suo nipote Carlo come Re di Castiglia e d'Aragona, formalmente associato alla madre Giovanna, rinchiusa nel castello di Tordesillas con l'accusa, mai dimostrata, di essere malata di mente. L'argento delle Americhe incominciò a fluire nei forzieri degli Asburgo.
Era il trionfo della politica matrimoniale di Massimiliano il quale a sua volta, sposando Bianca Maria Sforza in seconde nozze, si fece proclamare anche Duca di Milano, seppure solo come pretendente.
Famose furono le sue parole: "Bella gerant alii, tu felix Austria nube!", ossia "che gli altri conducano le guerre, tu, fertile Austria, sposati!".




Alla morte di Massimiliano, nel 1519, suo nipote Carlo V d'Asburgo si trovò ad ereditare un Impero sul quale, come lui stesso disse "il sole non tramonta".




La costruzione dell'impero di Carlo V, però, non avvenne con un semplice atto di successione ereditaria, dal momento che alla morte dei suoi nonni, Massimiliano d'Asburgo e Ferdinando d'Aragona, i feudatari locali si ribellarono e gran parte dei territori asburgici erano controllati solo formalmente. Cito qui sotto (da Wikipedia) lo schema completo dei possedimenti che Carlo V e suo fratello Ferdinando rivendicarono, collaborando, alla morte dei nonni (dal momento che loro padre Filippo I d'Asburgo era morto e loro madre, la regina Giovanna di Castiglia e Aragona, rinchiusa a Tordesillas) e di altri loro parenti, reclamarono come propri:

 Nel dettaglio i possedimenti di Carlo V erano così composti:

Le intenzioni di Carlo V erano quelle di ricreare l'Impero Romano d'Occidente per poi muovere guerra contro l'Impero Ottomano, restaurando un Sacro Romano Impero Cattolico Universale.

Oltre ai Turchi Ottomani, due grandi ostacoli si opposero a tale progetto: la Riforma Protestante in Germania, che indebolì fortemente l'autorità imperiale, e le ambizioni della Francia, che non solo voleva conservare la propria indipendenza, ma voleva conquistare l'Italia.

Carlo V passò la vita combattendo una guerra dietro l'altra, con alterna fortuna. Nella fase iniziale, tra il 1525 e il 1530, il sogno dell'Imperatore fu sul punto di avverarsi: conquistò il Ducato di Milano, facendo prigioniero Francesco I di Francia e imponendogli condizioni di pace umilianti, restaurò i Medici a Firenze creando il Granducato di Toscana come feudo imperiale e poi scagliò i Lanzichenecchi a Roma, assediando papa Clemente VII, per porre fine alle sue simpatie filo-francesi e convincerlo a incoronarlo Imperatore.

L'incoronazione di Carlo V d'Asburgo fu l'ultima che avvenne secondo le più antiche e sacre tradizioni fin dai tempi di Carlo Magno e avvenne a Bologna nel 1530, l'apogeo del potere di Carlo V.

Qui papa Clemente VII prima lo incoronò Re d'Italia, con la Corona Ferrea dei Longobardi (Rex Italiae sive Rex Italiarum Omnium, tenendo conto che Carlo era, per eredità patrilineare e diritto di conquista sia Rex Romanorum, Italicorum et Langobardorum, sia, tramite i possedimenti materni aragonesi, Re di Napoli, Re di Sicilia e Re di Sardegna).



Il giorno seguente Clemente VII incoronò infine Carlo V col titolo di Caesar Imperator Romanorum Augustus Pius aggiungendo, tanto perché fosse chiaro a tutti i nemici dell'Imperatore, la dizione completa degli altri titoli "sive Catholicus Hispaniarum ominium Rex et Italiarium ominium Rex, et Summsu Protector Germanicae Nationem et Regnorum Bohemiae et Hungariae sive Austriae Archidux.




I numerosi nemici di Carlo, compresa la sua stessa madre Giovanna, relegata a Tordesillas, non apprezzarono questa manifestazione di forza del sovrano, le cui aspirazioni si erano estese al Portogallo, grazie al matrimonio con la bellissima Isabella d'Aviz, che gli aveva dato il figlio Filippo II, e da ogni parte dell'Impero sorsero problemi e conflitti. 


 
I luterani, rappresentati dai cosiddetti "ordini riformati", reagirono dando vita, nell'anno 1531, alla Lega di Smalcalda. Tale lega, dotata di un esercito federale e di una cassa comune, fu detta anche "Lega dei Protestanti", ed era guidata dal Duca Filippo I d'Assia e dal Duca Giovanni Federico, elettore di Sassonia.

Dopo l'effimera conquista di Tunisi, l' Imperatore si impegnò nuovamente contro i Turchi in un conflitto che si concluse con molta sfortuna in una sconfitta, maturata nella battaglia navale di Prevesa del 27 settembre 1537, dove lo schieramento turco ebbe la meglio sulla flotta degli imperiali, composta da navi genovesi e veneziane. Questa sconfitta indusse Carlo V a riprendere i rapporti con gli Stati della Germania, di cui aveva comunque bisogno, sia da un punto di vista finanziario sia militare

Il suo atteggiamento più conciliante verso i rappresentanti luterani, tenuto nelle diete di Worms (1540) e Ratisbona (1541), gli valsero l'appoggio di tutti i principi, oltre che l'alleanza di Filippo I d'Assia.
Alla Chiesa Cattolica non rimaneva che opporre alla Riforma Protestante una Riforma Cattolica e sotto questi auspici papa Paolo III Farnese convocò un Concilio Ecumenico universale nella città di Trento, i cui lavori furono ufficialmente aperti il 15 dicembre 1545, per protrarsi per lunghi decenni.

Nel biennio 1546-1547, Carlo V dovette fronteggiare alcune congiure anti-asburgiche in Italia. A Lucca, nel 1546, Francesco Burlamacchi tentò di instaurare in tutta la Toscana uno Stato repubblicano. A Genova, Gianluigi Fieschi organizzò, senza successo, una rivolta a favore della Francia. A Parma infine, nel 1547 Ferrante I Gonzaga conquistò Parma e Piacenza a spese del duca Pier Luigi Farnese (figlio del pontefice), ma la conquista fallì per mano del duca Ottavio Farnese, che riconquistò il Ducato, il quale fu successivamente riconquistato ancora una volta dal Gonzaga.

Per contrastare le ambizioni del nuovo re di Francia, Enrico II, Carlo V incominciò il rafforzamento del suo contingente militare facendo affluire rinforzi e danaro sia dalla Spagna sia da Napoli; la qual cosa indusse Maurizio di Sassonia, condottiero delle truppe francesi, ad aprire trattative con l'imperatore, nel timore di una sconfitta. Nei colloqui, svoltisi a Passavia, tra i principi protestanti capeggiati da Maurizio di Sassonia e l'imperatore, si giunse a un accordo che prevedeva maggiori libertà religiose per i riformati in cambio dello scioglimento dell'alleanza con Enrico II. La qual cosa avvenne nell'agosto del 1552.

A quel punto Carlo V puntò tutta la sua fortuna sulla conquista di Metz, come baluardo contro la Francia, con la stessa temerarietà del bisnonno Carlo il Temerario, Duca di Borgogna, e ahimè, con la stessa sfortuna. All'indomani del fallimento dell'assedio di Metz e della mancata riconquista della Lorena, Carlo V entrò in una fase di riflessione: su sé stesso, sulla sua vita e sulle sue vicende oltre che sullo stato dell'Europa. 

Già dal 1554 la salute Carlo V era in declino, a causa di un tumore alla prostata che gli portò immani sofferenze e che egli percepì come una punizione divina per la grave ingiustizia di aver tenuto fino a quel giorno prigioniera sua madre Giovanna a Tordesillas con false accuse di instabilità mentale.

Per quanto i confessori di Carlo lo esortassero a recarsi a Tordesillas per liberare l'anziana madre, l'imperatore preferì mandare suo figlio Filippo II, che, nel 1555, trovò la nonna Giovanna ormai in gravi condizioni di salute, incapace di muoversi e di lasciare le sue stanze, a cui aveva infine attribuito, dopo 50 anni di prigionia, il ruolo di casa.

Dopo la morte della madre Giovanna, Carlo seguì le volontà della defunta, che voleva essere seppellita, insieme all'amatissimo marito Filippo I, che era ancora tumulato a Tordesillas, nella stessa cripta della cattedrale di Granada, dove erano sepolti anche Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia.

Stremato dopo le esequie dei genitori e divorato dalle malattie, nel 1556 Carlo V decise di abdicare, ma con molta saggezza lasciò a suo figlio soltanto la Spagna e tutti i territori dipendenti dalle corone di Castiglia e d'Aragona, poiché già da solo quell'insieme di possedimenti era fin troppo grande per essere amministrato da un unico sovrano.



La sorte del Sacro Romano Impero fu dunque quella di essere lasciato nelle mani di Ferdinando I d'Asburgo, fratello di Carlo. 
Ferdinando, nato e cresciuto in Spagna, aveva un carattere più malleabile di quello del fratello, pur dimostrando coraggio e valore. Dopo essere stato per trent'anni Arciduca d'Austria, Re di Boemia e d'Ungheria, Duca di Stiria, Carinzia, Carniola e Tirolo, venne infine eletto Re di Germania, Re d'Italia, Re dei Romani e divenne Imperatore del Sacro Romano Impero nel 1556 senza l'incoronazione pontificia, che da allora venne ritenuta superflua in quanto non rappresentativa dell'intera "Nazione germanica" ormai in buona parte protestante.

Ferdinando aveva già infatti dato prova di diplomazia durante i lavori preparatori per la Pace di Augusta del 1555 tra cattolici e protestanti tedeschi.
Per esigenze di sintesi, citiamo anche qui Wikipedia.

Ferdinando e la Pace di Augusta del 1555

Ferdinando nel 1531, nell'anno della sua elezione a Re dei Romani

Dopo decenni di conflitti religiosi e politici senza sosta tra gli stati tedeschi, Carlo V ordinò l'apertura della Dieta di Augusta nella quale tutti gli Stati dell'Impero erano chiamati a partecipare, a discutere dei loro problemi ed a trovare una soluzione. Carlo V stesso non vi prese parte per non influenzare le parti e vi delegò invece suo fratello Ferdinando, col diritto di agire liberamente in suo nome.[9] Alla conferenza, Ferdinando riuscì a far convergere tutti i rappresentanti sull'accordo di tre importanti principi:

  1. Il principio del cuius regio, eius religio ("Di chi è lo stato, di questi sia la religione") che consentiva la libertà religiosa ad ogni singolo Stato tedesco, con l'unica forma di doversi adeguare alla scelta fatta dal principe locale: la religione del principe divenne religione di Stato per tutti i suoi abitanti. Gli abitanti che non si fossero conformati alla religione del principe, avevano il permesso di abbandonare il paese oppure di pagare una forte tassa per il mantenimento del loro culto, idee estremamente innovative per il XVI secolo.
  2. Il principio del reservatum ecclesiasticum (riserva ecclesiastica), che riconosceva uno status speciale agli stati ecclesiastici. Se un prelato di uno Stato ecclesiastico cambiava infatti il proprio orientamento religioso, gli uomini e le donne che vivevano sotto il suo dominio non erano tenuti a fare lo stesso. Al contrario, il prelato avrebbe dovuto entro breve tempo abbandonare il proprio incarico.
  3. Il principio della Declaratio Ferdinandea (Dichiarazione di Ferdinando), che esentava i cavalieri e molte città dall'uniformità religiosa, permettendo quindi l'esistenza di città e villaggi ove potessero convivere cattolici e protestanti insieme. Ferdinando inserì questa clausola all'ultimo minuto e per propria autorità personale.[10]

Circondato da consiglieri seguaci di Erasmo da Rotterdam e lui stesso sensibile agli insegnamenti del grande umanista, dopo gli anni quaranta Ferdinando I promosse una politica tollerante di riconciliazione religiosa, favorevole al colloquio tra cattolici e protestanti, che culminò nella pace religiosa di Augusta del 1555.

L'Austria sotto Ferdinando I

Al tempo di Ferdinando I, gli stati provinciali tedeschi erano ancora vere e proprie potenze, con le quali l'arciduca doveva continuamente patteggiare. I temi di maggiore scontro erano esercito e denaro, costanti necessità dello Stato, specialmente per il pericolo turco. Oltre all'esercito imperiale stabile formato da uomini assoldati e da capitani di ventura come condottieri, pagato e mantenuto dall'imperatore, vi erano ancora gli eserciti dei piccoli stati provinciali.

Le diete degli stati provinciali votavano le contribuzioni obbligatorie a carico delle città, dei contadini e dei feudatari che a loro volta li imponevano ai sudditi. Anche la giustizia e la burocrazia, dove questa già funzionava, erano completamente in mano ai nobili, per cui non esisteva una chiara e netta separazione tra il potere centrale degli Asburgo e il potere delle diete provinciali. Questa autonomia provinciale di tipo oligarchico, gestita da nobili gelosi dei loro poteri feudali, opprimeva i contadini e gli abitanti delle città, creando gravi situazione di tensione sociale. Il principio ispiratore di ogni decisione era infatti l'esenzione da qualsiasi imposta da parte della nobiltà.

Ferdinando I morì nel 1564 e venne sepolto nella Cattedrale di San Vito a Praga.

Il "Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca" alla morte di Ferdinando I


Massimiliano II d'Asburgo (Vienna, 31 luglio 1527 – Ratisbona, 12 ottobre 1576) , figlio ed erede di Ferdinando I, fu ancor più tollerante del padre in materia religiosa e questo permise il rispetto dei princìpi stabiliti nella Pace di Augusta.


Come Re di Boemia ed Ungheria, possedimenti che occupavano un ruolo centrale anche nel suo stemma, Massimiliano II dedicò molte delle sue forze al contrasto delle mire espansionistiche dell'Impero Ottomano, giunto all'apice della sua potenza sotto il sultano Solimano I il Magnifico.




A Massimiliano II succedette il primogenito Rodolfo II Rodolfo II d'Asburgo (Vienna, 18 luglio 1552 – Praga, 20 gennaio 1612) che fu imperatore del Sacro Romano Impero dal 1576 al 1612.

Uomo coltissimo, ma di carattere piuttosto eccentrico, Rodolfo II trasferì la capitale imperiale a Praga, che visse sotto il suo regno il momento di massimo splendore. La sua corte divenne un luogo di scienza, cultura umanistica e mecenatismo artistico (fu un grande collezionista di dipinti famosi). Tra i più celebri ospiti dell'imperatore vi furono il teologo e filosofo Giordano Bruno, gli scienziati Tycho Brahe e Johannes Kepler, astronomi e astrologi di grande fama; John Dee e Edward Kelly, il primo consigliere di Elisabetta I d'Inghilterra e il secondo sedicente medium, nonché Michael Sendivogius, alchimista dalla vita avventurosa.  

Come spesso accade agli uomini di cultura e di genio, Rodolfo II fu inizialmente un monarca illuminato e da tutti ammirato, ma il suo carattere ipersensibile e i suoi sbalzi d'umore, dall'entusiasmo immotivato alla cupa disperazione, gli resero sempre più difficile mantenere un equilibrio nella propria linea governativa. 
Sarebbe certamente troppo ingiusto far risalire a Rodolfo II, come fecero alcuni storici tra cui Golo Mann, nella sua monumentale opera su Wallenstein, le cause della Guerra dei Trent'Anni, una delle più atroci di sempre, che insanguinò l'Europa tra il 1618 e il 1648.
Rodolfo era molto amato, a Praga, e la libertà di culto da lui concesse agli "Ordini" ungheresi (1606) ed a quelli boemi (1609) con la lettera di maestà stanno a dimostrare come l'imperatore fosse consapevole della necessità di ridurre le crescenti tensioni tra cattolici e protestanti, sobillati dai rispettivi signori e capi religiosi, nell'epoca in cui la Riforma Cattolica si diffondeva in Germania tramite i padri gesuiti, precettori di grande fama e preparazione.
Rodolfo fu anche amico e protettore della comunità ebraica di Praga.
Rodolfo fu inflessibile invece nel condurre una tenace guerra contro gli Ottomani in Ungheria e specialmente in Transilvania. Purtroppo gli esiti di questo conflitto lungo e sanguinoso non furono quelli che l'imperatore si aspettava. I rovesci della lotta contro i turchi e l'aggravarsi del disturbo bipolare di Rodolfo segnarono la sua fine.

Dal 1600 in poi, l'imperatore, timoroso dell'esistenza di complotti e congiure ordite da suo fratello e dai cattolici intransigenti, si rinchiuse nel castello di Praga (Hradčany), dove incominciò a soffrire di disturbi paranoici, e ad avere allucinazioni dovute alle pozioni che gli alchimisti di sua fiducia gli somministravano per far fronte alle sue sempre più lunghe e gravi crisi depressive. Sempre più chiuso, sospettoso e scostante (aveva smesso di presiedere il Reichstag nel 1594), l'imperatore veniva avvicinato solo dal suo personale da camera, che accumulava privilegi di cui non tardava ad abusare. 

Seppur sostenuto dai Boemi e dai Moravi, l'imperatore Rodolfo II perse il sostegno degli Ungheresi, che si schierarono a favore di suo fratello l'arciduca Mattia, e questo fece degenerare la situazione. Mattia infatti pretese che Rodolfo gli cedesse la Corona d'Ungheria e l'Arciducato d'Austria, nominandolo anche Re dei Romani, ossia erede designato, non avendo figli.
Quando Rodolfo rispose con le armi alle pressanti richieste del fratello, i soldati fedeli a Mattia imprigionarono Rodolfo nel suo castello a Praga, costringendolo a cedere al fratello anche la Corona di Boemia.

Nel 1611 a Rodolfo rimaneva ormai soltanto il titolo imperiale, senza tuttavia potersi avvalere delle sue prerogative a causa delle difficili condizioni di salute e dello stato di prigionia in cui segretamente lo teneva il fratello. Rodolfo morì nel 1612, nove mesi dopo essere stato privato di qualsiasi potere effettivo in favore di Mattia, che ereditò cinque mesi dopo anche la Corona Imperiale. Rodolfo non lasciò eredi: l'amante Anna Maria Strada gli aveva dato un figlio illegittimo, Don Giulio, che soffriva però di disturbi mentali e finì i suoi giorni rinchiuso nel castello di Krumlov. La salma dell'imperatore riposa nella cattedrale di San Vito, all'interno del complesso del castello di Praga, dove si trovano anche le spoglie di suo padre e di suo nonno.

Mattia d'Asburgo (Vienna, 24 febbraio 1557 – Vienna, 20 maggio 1619) è stato re di Boemia e Ungheria col nome di Mattia II. Fu reggente del Sacro Romano Impero e imperatore dal 1612 fino alla sua morte. Pur essendo eccentrico e vanesio, non ebbe alcuna delle doti intellettuali del fratello e la sua arroganza fu certamente una delle molle che fece scattare la famosa Defenestrazione di Praga, che nel 1618 diede inizio alla Guerra dei Trent'Anni.

Mattia infatti offese per ben due volte i sudditi di Boemia: la prima fu quando spostò la corte da Praga a Vienna, togliendo così a Praga un primato che si era consolidato nei decenni sotto il regno di Rodolfo e che lasciava i boemi e i moravi senza un solido punto di contatto con le autorità imperiali.
La seconda fu quando Mattia, pur consapevole del fatto che i praghesi fossero all'epoca in maggioranza hussiti e protestanti, mandò al municipio di Praga due Legati imperiali inflessibilmente cattolici.
A quel punto, il 23 maggio 1618, alcuni rappresentanti dell'aristocrazia praghese e boema, galvanizzati dal conte Thurn, catturarono i due luogotenenti imperiali e li lanciarono fuori dalle finestre del castello, che però non si trovavano a grande altezza e dunque tale "defenestrazione" non causò la morte degli ambasciatori, nessuno di loro si ferì gravemente, anche grazie alla pendenza del terreno che attutì l'impatto. 
Questa fu la miccia che fece esplodere la bomba della rivolta: i Boemi ribelli elessero loro re Federico V del Palatinato, invocando l'aiuto dell'Unione Evangelica. 

L'imperatore Mattia, seppure furibondo, sarebbe stato in grado di gestire una trattativa così complessa, ma le sue condizioni di salute, nel 1619, precipitarono a tal punto che, essendo anche lui senza figli, i cattolici dell'Impero si rivolsero al suo erede designato, il cugino Ferdinando II, arciduca di Stiria, noto per la sua intransigenza assoluta nella fede cattolica.

Ferdinando II d'Asburgo (Graz, 9 luglio 1578 – Vienna, 15 febbraio 1637) succedette al cugino Mattia, deceduto senza eredi nel 1619, durante la delicatissima crisi imperiale seguita alla Defenestrazione di Praga. Ferdinando, col supporto della lega cattolica e del re di Spagna suo cugino, decise di reclamare i suoi possedimenti in Boemia e di schiacciare la ribellione. 

L'8 novembre 1620 le sue truppe, capeggiate dal generale belga Johann Tserclaes, conte di Tilly, schiacciarono i ribelli di Federico V del Palatinato che era stato eletto anch'egli re nel 1618. 

Dopo la fuga di Federico nei Paesi Bassi, Ferdinando ordinò la conversione forzata al cattolicesimo di Boemia e Austria, riducendo notevolmente anche il potere della Dieta imperiale.

Questa reazione di Ferdinando II andava contro i princìpi della Pace di Augusta stipulata dal suo bisnonno Ferdinando I, ed i Principi Protestanti, tra cui l'Elettore di Sassonia e l'Elettore del Brandeburgo chiamarono i sovrani protestanti delle nazioni scandinave in difesa del protestantesimo tedesco.

Non è questa la sede per riassumere i complessi eventi della Guerra dei Trent'Anni (1618-1648), che, dopo la prima fase boemo-palatina, vide altre tre fasi: quella danese, guidata dal re di Danimarca, Cristiano, quella svedese, guidata dal re di Svezia, Gustavo Adolfo, e quella francese, dove il cardinale Richelieu, in nome della ragion di stato della sopravvivenza della Francia contro l'assedio asburgico, accettò un'alleanza tattica con i protestanti.




Ferdinando II, insieme ai suoi due feldmarescialli Tilly e Wallenstein, sconfisse il re di Danimarca, mentre dovette chinare il capo di fronte alla forza del re di Svezia, che salvò il protestantesimo tedesco. Tuttavia ognuno di loro morì prima della fine della guerra, in circostanze non piacevoli: Wallenstein fu fatto uccidere dallo stesso Ferdinando II, geloso della sua popolarità, il Tilly morì nella stessa battaglia in cui perse la vita re Gustavo Adolfo, a Lutzen.
Ferdinando II aveva visto morire il suo avversario, ma anche i suoi alfieri, e soprattutto a Lutzen aveva subito una tremenda sconfitta. L'illusione di poter comunque salvare la propria supremazia fu infranta dall'ingresso dei francesi nella guerra, che Ferdinando vide come un tradimento fratricida tra cattolici, cosa che lo amareggiò, riconoscendo in Richelieu un avversario di estrema tenacia e astuzia.
Come se non bastasse, Ferdinando si rendeva conto della pochezza dei suoi alleati, dell'ambiguità dei Wittelsbach, troppo ambiziosi, e soprattutto dell'inettitudine politico-militare del proprio figlio ed erede designato Ferdinando III. 

Ferdinando III d'Asburgo (Graz, 16 luglio 1608 – Vienna, 2 aprile 1657), pur avendo avuto studi eccellenti ed essendo persona sensibile, avvenente e portata per le lingue, le arti e la musica, non era stato allevato per succedere al padre, cosa che avvenne solo in seguito alla morte dei suoi fratelli maggiori. Cercò di guadagnarsi il rispetto del padre in azioni militari il cui merito è però da ascrivere ad altri. Divenuto imperatore nel 1637, si trovò di fronte ad una situazione disperata: la Germania e la Boemia erano state decimate dalla guerra, le città devastate, la popolazione falcidiata dalla violenza, dalla malattia e dalla fame. Cercò in tutti i modi di siglare una pace che però né la Svezia né la Francia vollero concedere. Di fronte a questo rifiuto Ferdinando III reagì inizialmente con sdegno, sguinzagliando i suoi comandanti (Gallas, Piccolomini e il fratello Leopoldo Guglielmo) per tutto l'Impero, ma presto constatò che nessuno di loro aveva la stoffa di un Tilly o un Wallenstein, e la situazione gli sfuggì di mano su tutti i fronti. La grave mancanza di rifornimenti costrinse Gallas a ritirarsi in Boemia alla fine del 1638. Allo stesso tempo, Bernardo di Sassonia-Weimar, protestante tedesco al servizio della Francia, conquistò i possedimenti asburgici in Alsazia e la roccaforte di Breisach dopo un lungo assedio. Per frenare l'avanzata del generale svedese Banér, che invase la Boemia attraverso la Sassonia nel 1639, Ferdinando dovette richiamare l'esercito di Piccolomini dai Paesi Bassi spagnoli, ponendo fine in gran parte alla cooperazione militare diretta con la Spagna. Nel 1640, l'imperatore perse definitivamente il controllo sulla Germania settentrionale.
Ma i guai per Ferdinando III non erano finiti.
L'alleanza tra Svezia e Francia si rivelò pienamente efficace dal 1642, quando gli svedesi vinsero la battaglia di Breitenfeld nel 1642. Un anno dopo, la Francia sconfisse definitivamente la Spagna a Rocroi.
La morte di Richelieu, non pose fine alla guerra, poiché il suo successore Mazzarino alzò al massimo il prezzo per la pace, trattando da una posizione di forza. I negoziati per un accordo di pace iniziarono nel 1644 a Münster e Osnabrück, in Westfalia, e durarono fino al 1648 mentre la guerra continuava.
L'imperatore dovette cedere alle pressioni di Francia e Svezia, accettando nuove regole procedurali che furono soltanto il primo assaggio di ciò che il Sacro Romano Impero stava per diventare e cioè una confederazione svuotata di potere, un insieme frantumato di innumerevoli stati diversissimi tra loro e con interessi spesso opposti, tenuti insieme soltanto da un unico principio: la fine delle guerre di religione.
Oltre a tutto questo, l'Impero subì numerose e consistenti perdite territoriali e non sono a favore della Svezia e della Francia. 
Riconobbe definitivamente l'indipendenza delle Province Unite dei Paesi Bassi, della Confederazione Svizzera, della Savoia, del Piemonte e della Toscana, perdendo ogni tipo di legame feudale con l'Italia.




Dal punto di vista giuridico, la Pace di Vestfalia è tradizionalmente considerata il punto di inizio del diritto internazionale e delle relazioni internazionali moderne, oltre che, in Europa, dello Stato sovrano sul proprio territorio, con confini sanciti dal reciproco riconoscimento di limiti certi e autorità indipendenti e sovrane, inizialmente caratterizzate dalla forma di governo della monarchia assoluta.
La natura sovra-statuale e sovranazionale dell'Impero perdeva importanza, così come la sua "sacralità", dal momento che ogni aspetto confessionale era stato accantonato in maniera definitiva.
Della dizione "Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca" rimanevano in piedi tre parole: Impero, Nazione e Tedesca. Ecco dunque che la Germania, la Nazione Tedesca nel suo complesso, si riconosceva come un Impero frantumato in mille pezzi che secondo alcuni dovevano rimanere autonomi, mentre secondo altri dovevano essere unificati in uno stato-nazione sul modello francese.
Tutto questo dibattito ebbe conseguenze enormi sulla Storia europea e non solo, e non si trattò sempre di conseguenze piacevoli.