sabato 10 dicembre 2016

Mappa delle conseguenze della Primavera Araba (la Falsa Primavera)

Risultati immagini per sinistra al caviale

Chi ha letto "Il trono di spade" sa che tutti i mali ebbero inizio al Torneo di Harrenal, nell'Anno della Falsa Primavera.
Chi non l'ha letto, sa comunque che gran parte delle catastrofi umanitarie degli ultimi sei anni hanno avuto origine in seguito alla Primavera Araba del 2010, che si può a buon diritto considerare una Falsa Primavera, avendo prodotto soltanto guerre, devastazioni, terrorismo, crudeltà di ogni genere, migrazioni, esodi, squilibri demografici che hanno dissestato tutta l'area mediterranea e i tre continenti che la circondano.

Arab Spring map.svg

    Allontanamento o morte del capo di stato
     Conflitti armati e cambiamento nel governo
     Cambiamento del primo ministro
     Proteste maggiori
     Proteste minori
     Proteste collegate
     Guerra civile
     Assenza di proteste

Flag of the Arab League.svg

La premessa necessaria è che tutti gli avvenimenti di cui si tratta qui sotto, sono stati favoriti più o meno segretamente dall'amministrazione Obama e in particolare dal segretario di Stato Hillary Clinton e dal suo principale finanziatore e consigliere, George Soros, l'eminenza grigia dietro alle "rivoluzioni colorate"

Storia

Le proteste cominciarono il 18 dicembre 2010, in seguito alla protesta estrema del tunisino Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco in seguito a maltrattamenti subiti da parte della polizia, il cui gesto innescò l'intero moto di rivolta tramutatosi nella cosiddetta Rivoluzione dei gelsomini.[7][8] Per le stesse ragioni, un effetto domino si propagò ad altri Paesi del mondo arabo e della regione del Nord Africa. In molti casi i giorni più accesi, o quelli dai quali prese avvio la rivolta, sono stati chiamati giorni della rabbia o con nomi simili.[9][10]
Nel 2011, quattro capi di Stato furono costretti alle dimissioni, alla fuga e in alcuni casi portati alla morte: in Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali (14 gennaio 2011), in Egitto Hosni Mubarak (11 febbraio 2011), in Libia Muhammar Gheddafi che, dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, fu catturato e ucciso dai ribelli il 20 ottobre 2011[11][12] e in Yemen Ali Abdullah Saleh (27 febbraio 2012).[13]
I sommovimenti in Tunisia portarono il presidente Ben Ali, dopo venticinque anni, alla fuga in Arabia Saudita. In Egitto, le imponenti proteste iniziate il 25 gennaio 2011, dopo diciotto giorni di continue dimostrazioni, accompagnate da vari episodi di violenza, costrinsero alle dimissioni (complici anche le pressioni esercitate da Washington) il presidente Mubarak dopo trent'anni di potere.[14] Nello stesso periodo, il re di Giordania ʿAbd Allāhattuò un rimpasto ministeriale e nominò un nuovo primo ministro, con l'incarico di preparare un piano di "vere riforme politiche".[15]
Sia l'instabilità portata dalle proteste nella regione mediorientale e nordafricana, sia le loro profonde implicazioni geopolitiche, attirarono grande attenzione e preoccupazione in tutto il mondo.[16]

I fattori scatenanti

Le proteste hanno colpito non solo paesi arabi, ma anche esterni alcuni Stati non arabi, come nel caso della Repubblica Islamica dell'Iran, che ha in un certo senso anticipato la primavera araba con le proteste post-elettorali del 2009-2010; i due casi hanno in comune l'uso di tecniche di resistenza civile, come scioperi, manifestazioni, marce e cortei e talvolta anche atti estremi come suicidi, divenuti noti tra i media come auto-immolazioni, e l'autolesionismo. Anche l'utilizzo di social network come Facebook e Twitter per organizzare, comunicare e divulgare determinati eventi è stato molto diffuso, a dispetto dei tentativi di repressione statale. La Primavera araba ha avuto lo scopo di portare o riportare le tradizioni del mondo arabo al potere.[17][18][19] I social network tuttavia non sarebbero stati il vero motore della rivolta, secondo alcuni osservatori, per i quali "il network della moschea, o del bazar, conta assai più dì Facebook, Google o delle email".[20][21] Alcuni di questi moti, in particolare in Tunisia ed Egitto, hanno portato a un cambiamento di governo, e sono stati identificati come rivoluzioni.[22][23]
I fattori che hanno portato alle proteste sono numerosi e comprendono la corruzione, l'assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti umani e la mancanza di interesse per le condizioni di vita, molto dure, che in molti casi rasentano la povertà estrema.[24] Anche la crescita del prezzo dei generi alimentari e la fame sono da considerarsi tra le principali ragioni del malcontento; questi fattori hanno colpito larghe fasce della popolazione nei Paesi più poveri nei quali si sono svolte le proteste, portando quasi a una crisi paragonabile a quella osservata nella crisi alimentare mondiale nel 2007-2008.[25][26][27] Tra le cause dell'aumento dei costi, secondo Abdolreza Abbassian, capo economista alla FAO, vi fu la "siccità in Russia e Kazakistan, accompagnata dalle inondazioni in EuropaCanada e Australia, associate a incertezza sulla produzione in Argentina", a causa della quale i governi dei Paesi del Maghreb, costretti ad importare i generi commestibili, decisero per l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di largo consumo.[28] Altri analisti hanno messo in risalto il ruolo della speculazione finanziaria nel determinare la crescita del prezzo dei generi alimentari in tutto il mondo.[29] Prezzi più alti si registrarono anche in Asia e in particolare in India, dove vi furono rialzi nell'ordine del 18%, e in Cina, con aumento dell'11,7% in un anno.[28]

Stati coinvolti

Tunisia

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Sommosse popolari in Tunisia del 2010-2011.

Zine El-Abidine Ben Ali, ex presidente della Tunisia

La Carovana della Liberazione a Tunisi
Le proteste nel Paese iniziarono dopo il gesto disperato di un fruttivendolo, Mohamed Bouazizi, che il 17 dicembre 2010 si diede fuoco per protestare contro il sequestro da parte della polizia della propria merce.[30] Il 27 dicembre il movimento di protesta si diffuse anche a Tunisi, dove giovani laureati disoccupati manifestarono per le strade della città e vennero colpiti duramente dalla polizia.[30]
Nonostante un rimpasto di governo il 29 dicembre, le rivolte nel paese non si placarono.[30] Il 13 gennaio il presidente tunisino Ben Ali, in un intervento trasmesso dalla televisione nazionale, si impegnò a lasciare il potere nel 2014 e promise che avrebbe garantito la libertà di stampa. Il suo discorso però non calmò gli animi e le manifestazioni continuarono.[30] Meno di un'ora dopo, venne decretato lo stato d'emergenza e imposto il coprifuoco in tutto il Paese.[30] Poco dopo, il primo ministro Mohamed Ghannushi dichiarò di aver assunto la carica di presidente ad interim fino alle elezioni anticipate.[31] In serata venne dato l'annuncio che Ben Ali, dopo ventiquattro anni al potere, aveva lasciato il Paese.[32]
A fine febbraio alcune decine di migliaia di manifestanti si radunarono nel centro di Tunisi per chiedere le dimissioni del governo provvisorio, insediatosi dopo la cacciata di Ben Ali.[33]

Egitto

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Rivoluzione egiziana del 2011Tamarod e Golpe egiziano del 2013.

Il quartier generale del Partito Nazionale Democratico di Mubarakmesso a fuoco il 28 gennaio
Il 25 gennaio, in seguito ai diversi casi di protesta estrema, in cui diverse persone si erano date fuoco, violenti scontri si svilupparono al centro del Cairo, con feriti ed arresti, durante le manifestazioni della giornata della collera, convocata da opposizione e società civile contro la carenza di lavoro e le misure repressive.[34] Il fulcro delle manifestazioni è Piazza Tahrir, che si trova al centro della metropoli e rappresenta un punto nevralgico della capitale egiziana, ospitando importanti edifici amministrativi, hotel di lusso, l'università americana AUC e il Museo delle antichità egizie. I manifestanti contrari al regime di Mubarak invocano la liberazione dei detenuti politici, la liberalizzazione dei media, e sostengono la rivolta contro la corruzione e i privilegi dell'oligarchia.
Il 29 gennaio il presidente Hosni Mubarak licenziò il governo e nominò come suo vice l'ex capo dell'intelligence, ʿOmar Sulaymān Tuttavia gli scontri e le manifestazioni continuarono nelle città egiziane.[35] Il 5 febbraio intanto si dimise l'esecutivo del Partito nazionale democratico di Mubarak, mentre il rais alcuni giorni dopo delegò tutti i suoi poteri a Sulaymān.[36] L'11 febbraio il vice presidente annunciò le dimissioni di Mubarak mentre oltre un milione di persone continuavano a manifestare nel Paese.[37] L'Egitto fu lasciato nelle mani di una giunta militare, presieduta dal feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi, in attesa che venisse emendata la costituzione e che fosse predisposta la convocazione di nuove elezioni presidenziali.[38][39]

Libia

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra civile in Libia e Seconda guerra civile in Libia.

Il dittatore libico Mu'ammar Gheddafi, ucciso dal CNT il 20 ottobre 2011.

La vecchia bandiera del regno libico usata durante le manifestazioni dalle forze di opposizione
Il 16 febbraio si verificarono nella città di Bengasi scontri fra manifestanti, irritati per l'arresto di un attivista dei diritti umani, e la polizia, sostenuta da sostenitori del governo. In tutto il Paese nel frattempo si tennero manifestazioni a sostegno del leader Mu'ammar Gheddafi.[40]
Il 17 febbraio si registrarono numerosi morti in accesi conflitti a Bengasi, città simbolo della rivolta libica che intendeva cacciare Gheddafi, al potere da oltre quarant'anni. Testimoni vicini ai ribelli riferirono inoltre che sarebbero avvenute vere e proprie esecuzioni da parte delle forze di polizia.[41] Nella data del 17 febbraio, proclamata la giornata della collera, milizie giunte da Tripoli a Beida, nell'est della Libia, attaccarono i manifestanti, causando morti e numerosi feriti.[42]
Molti dei decessi registrati in Libia risultarono concentrati nella sola città di Bengasi, località tradizionalmente poco fedele al leader libico e più influenzata dalla cultura islamista.[43] Il 20 febbraio il numero delle vittime si avvicinava ai 300 morti.[44] Il sito informativo libico Libya al-Youm denunciò che i militari inviati dal regime libico per reprimere i manifestanti di Bengasi stanno usando in queste ore armi pesanti contro le persone riunite davanti al tribunale cittadino, come razzi Rpg e armi anti-carro.[44]
Il 21 febbraio la rivolta si allargò anche alla capitale Tripoli, dove i contestatori diedero fuoco a edifici pubblici.[45] Nella stessa giornata a Tripoli si fece ricorso a raiddell'aviazione sui manifestanti per soffocare la protesta.[46] Il 21 febbraio cominciarono i tradimenti politici: la delegazione libica all'Onu prese nettamente le distanze dal leader Muʿammar Gheddafi. Il vice-ambasciatore libico, Ibrahim Dabbashi, a capo della squadra diplomatica libica, accusò il Colonnello di essere colpevole di genocidioe di aver praticato crimini contro l'umanità[47]. Il 20 ottobre 2011 Gheddafi venne catturato e ucciso vicino Sirte. Il suo cadavere fu poi sepolto nel deserto vicino a Misurata.

Siria

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile siriana.

Il presidente siriano Bashar al-Assad

La vecchia bandiera della Siria usata durante le manifestazioni dalle forze di opposizione
Il 26 gennaio Ali Akleh ad Amman si diede fuoco, in segno di protesta contro il governo siriano. A fine gennaio su Facebook vennero invocate manifestazioni in tutto il Paese dopo la preghiera settimanale islamica contro la monocrazia, la corruzione e la tirannia, nella prima giornata della collera del popolo siriano e della ribellione civile in tutte le città siriane[48].
In un'intervista rilasciata al quotidiano statunitense Wall Street Journal, Bashar al-Assad, Presidente siriano, si disse convinto del fatto che fossero necessarie riforme e che si stesse costruendo una nuova era in Vicino Oriente.[49]
La mobilitazione indetta però per il 4 e 5 febbraio, in contemporanea con la giornata della partenza proclamata in Egitto, non ottenne il risultato sperato, e le adesioni risultarono scarse da parte della popolazione, complice anche il cattivo tempo. Il giorno prima si era rivelato un insuccesso il sit-in indetto davanti alla sede del Parlamento in segno di solidarietà con studenti, lavoratori e pensionati privi di reddito[50].
Il 10 febbraio Damasco aprì definitivamente ai social network, e dopo cinque anni fece cadere il divieto che ne prevedeva l'oscuramento[51]. La decisione di eliminare le limitazioni, secondo quanto riferirì il quotidiano filo-governativo al-Waṭan (La patria), dimostrò la fiducia del governo nell'uso della Rete. Secondo l'opposizione, la libera accessibilità ai social network sarebbe stato un tentativo delle autorità siriane di contrastare attività sediziose contro il regime.[51]
Il 17 febbraio Tal al-Mallouhi, giovane blogger siriana, venne condannata a cinque anni di carcere dall'Alta Corte per la Sicurezza dello Stato, con l'accusa di aver lavorato per conto della CIA.[52]
Le sommosse popolari in Siria del 2011-2012 furono un moto di contestazione, simile a quelli che si svolsero nel resto del mondo arabo nello stesso periodo, e che interessò numerose città della Siria dal mese di febbraio del 2011. Le proteste, che assunsero connotati violenti sfociando in sanguinosi scontri tra polizia e manifestanti, avevano l'obiettivo di spingere il presidente siriano Bashar al-Assad ad attuare le riforme necessarie a dare un'impronta democratica allo stato. In virtù di una legge del 1963 che impediva le manifestazioni di piazza (formalmente revocata solo dopo diverse settimane di scontri), il regime procedette a sopprimere, anche ricorrendo alla violenza, le dimostrazioni messe in atto dalla popolazione, provocando un numero finora imprecisato di vittime tra i manifestanti e le forze di polizia. In seguito, dalla sostanzialmente pacifica ribellione popolare, anche a causa della risposta dura e violenta del regime, la Siria precipitò in una guerra civile.

Iraq

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Proteste in Iraq del 2011.

Yemen

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Rivolta yemenita.

Episodi correlati

Conflitti e sommosse

Proteste in altri paesi arabi

Proteste in paesi non arabi


Note

  1. ^ micromega - micromega-online » 2011, l'anno della Primavera araba - Versione stampabile
  2. ^ Francesca Paci, L'onda non si ferma: dallo Yemen alla Giordania, dal Marocco alla Siria, in La Stampa, 1° febbraio 2011. URL consultato il 20 febbraio 2011.
  3. ^ RIVOLTE M.O. E NORDAFRICA: DALLA CADUTA DI BEN ALI ALL'IRAN (SERVIZIO), in ASCA, 15 febbraio 2011. URL consultato il 20 febbraio 2011.
  4. ^ La mappa della protesta, in RaiNews24, 19 febbraio 2011. URL consultato il 21 febbraio 2011.
  5. ^ La "primavera araba" fra autoritarismo e islamismo - SAMIR KHALIL SAMIR
  6. ^ L'Europa e la primavera araba | Presseurop (italiano)
  7. ^ (EN) Yasmine Ryan, The tragic life of a street vendor, in Al Jazeera, 20 gennaio 2011. URL consultato il 20 febbraio 2011.
  8. ^ (EN) KAREEM FAHIM, http://www.nytimes.com/2011/01/22/world/africa/22sidi.html?pagewanted=1&_r=1&src=twrhp, in New York Times, 21 gennaio 2011. URL consultato il 20 febbraio 2011.
  9. ^ Gheddafi con i sostenitori contro la "Giornata della collera", in Euronews, 18 febbraio 2011. URL consultato il 20 febbraio 2011.
  10. ^ Giornata della rabbia in Bahrein: scontri e feriti, in Il Messaggero, 14 febbraio 2011. URL consultato il 20 febbraio 2011.
  11. ^ Mubarak si dimette, Cairo in festa Poteri passano in mano ai militari, in Adnkronos/Aki, 11 febbraio 2011. URL consultato il 20 febbraio 2011.
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  13. ^ Terre spezzate: viaggio nel caos del mondo araborepubblica.it, 16 agosto 2016. URL consultato il 18 agosto 2016.
  14. ^ Vittorio Emanuele ParsiAlla fine ha vinto Obama, in La Stampa, 12 febbraio 2011. URL consultato il 12 febbraio 2011.
  15. ^ Re Abdullah di Giordania cambia governo, e ordina vere riforme politiche, in ASIANews, 02 febbraio 2011. URL consultato il 20 febbraio 2011.
  16. ^ Mattia Toaldo, Il dittatore se n’è andato. E ora?, in Limes, 11 febbraio 2011. URL consultato il 12 febbraio 2011.
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  18. ^ Algeria: tre disoccupati si danno fuoco seguendo esempio tunisini, in Adnkronos/Aki, 16 title=Proteste_nel_Nordafrica_e_Medio_Oriente_del_2010-2011&action=edit&section=1 gennaio 2011, p. 03. URL consultato il 20 febbraio 2011.
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  46. ^ Bombardamenti sulla folla a Tripoli, in Skytg24, 21 febbraio 2011. URL consultato il 21 febbraio 2011.
  47. ^ Caos Libia, la delegazione Onu volta le spalle a Gheddafi: “Genocida”, in Blitzquotidiano, 21 febbraio 2011. URL consultato il 23 febbraio 2011.
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  50. ^ SIRIA: FALLISCE LA "GIORNATA DELLA RABBIA" INDETTA ON-LINE, in AGI News, 04 febbraio 2011. URL consultato il 21 febbraio 2011.
  51. ^ a b Siria, sì a Facebook e Youtube dopo divieto di 5 anni, in Newsnotizie, 10 febbraio 2011. URL consultato il 21 febbraio 2011.
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Bibliografia

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Voci correlate

venerdì 9 dicembre 2016

Rojava, il Kurdistan siriano

Under NSR administration (green), claimed (orange)





Il Rojava (noto anche come Kurdistan siriano o Kurdistan OccidentalecurdoRojavayê Kurdistanê, da rojava che significa "occidentale"; arabo: کردستان السورية Kurdistan as-Suriyah) è una regione autonoma de facto nel nord e nord-est della Siria. Non è ufficialmente riconosciuta come autonoma da parte del governo siriano.
Nel 2012, nel corso della guerra civile siriana, le forze governative siriane si sono ritirate da tre aree abitate dai curdi rilasciando il controllo militare alle milizie curde (YPG). Il Comitato Supremo curdo (Dbk) è stato istituito con il Partito dell'Unione Democratica (PYD) e il Consiglio Nazionale Curdo (KNC) come organo di governo del Kurdistan siriano nel luglio 2012. Il Consiglio è composto da un numero uguale di membri del PYD e KNC. Nel novembre 2013 il PYD ha annunciato un governo ad interim diviso in tre aree autonome non contigue o cantoni, AfrinJazira e Kobani.
Il governo della regione è basato sulla filosofia del "confederalismo democratico" che implica l'autosufficienza, il localismo e il pluralismo politico. Il PKK, con cui il PYD è in stretti rapporti, descrive così il confederalismo democratico nel proprio manifesto:
« Il confederalismo democratico del Kurdistan non è un sistema di Stato, è il sistema democratico di un popolo senza Stato ... Prende il potere dal popolo e lo adotta per raggiungere l'autosufficienza in ogni campo compresa l'economia. »
Alcuni curdi considerano il Kurdistan siriano parte di un grande Kurdistan che comprende anche le zone nel sud-est della Turchia (Kurdistan turco), nord-Iraq(Kurdistan iracheno), e nord-ovest dell'Iran (Kurdistan iraniano).

Voci correlate


Kurdistan Siriano
regione autonoma de facto
Rojavayê Kurdistanê
کردستان السورية
Kurdistan Siriano – Bandiera
(dettagli)
Localizzazione
StatoSiria Siria
Amministrazione
CapoluogoQamishli
Data di istituzione21 marzo 2014
Territorio
Coordinate
del capoluogo
37°03′N 41°13′ECoordinate37°03′N 41°13′E (Mappa)
Abitanti4,600,000 (2014)
Altre informazioni
Linguecurdoarabo e siriaco
Fuso orarioUTC+2
Nome abitanticurdi
Cartografia
Kurdistan Siriano – Mappa

Albero genealogico degli Spencer Churchill, i parenti di sir Winston, lady Diana e della duchessa d'Alba

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La nobile famiglia Spencer si divise in due rami nel Settecento. Il ramo principale, gli Spencer Churchill, si tramandarono il titolo di Duca di Malborough. Da questo ramo discese sir Winston Churchill, il più famoso primo ministro nella storia del Regno Unito.
Il ramo cadetto si tramandò il titolo di Conte Spencer di Althorp. Come possiamo vedere dalla genealogia sottostante, lady Diana Spencer discendeva in linea diretta dai Conti Spencer e suo padre Edward John era il Conte Spencer di Althorp, la tenuta di famiglia. Il titolo comitale è portato adesso dal fratello di lady Diana, il conte Charles Spencer.

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Se si risale ulteriormente nell'albero genealogico si può vedere come la famiglia Spencer Churchill fosse imparentata anche con i Duchi d'Alba, discendenti della casa reale degli Stuart.
Annabella Churchill fu infatti un'amante del re Giacomo II Stuart, dal quale ebbe un figlio, riconosciuto e legittimato, chiamato a sua volta Giacomo, e che ebbe il cognome Fitzjames Stuart Duca di Berwick, la cui discendenza si fuse con quella dei Duchi d'Alba, e in particolare dalla defunta Cayetana Maria del Rosario Fiztjames Stuart da Silva y Falcò Gurtabay, 18° Duchessa d'Alba, famosa, tra le altre cose, per essere stata la donna con più titoli nobiliari della storia.

Albero genealogico dei Plantageneti ed origine della dinastia




I Plantageneti, detti anche seconda casa d'Angiò, o Angiò-Plantageneti, furono un'importante casata comitale medievale. Divenne una casata di rango regale con Enrico II d'Inghilterra, figlio di Goffredo V d'Angiò il Bello, a sua volta figlio di Folco V, conte d'Angiò e del Maine.

 Goffredo, nato nel 1113, sposò giovanissimo Matilde, figlia di Enrico I d'Inghilterra, e prese come simbolo araldico il fiore di ginestra, ricevendo così il soprannome di "Plantageneto" dal termine latino planta-genistae, che significa appunto pianta di ginestra.

Le origini della casata vengono fatte risalire nel Gâtinais ed in seguito nell'Angiò, di cui divenne la prima casa comitale sin dal IX secolo. In seguito assunse, oltre che il governo dell'Inghilterra (1154-1485), quello della Normandia (1144–1204, 1346–1360 e 1415–1450), della Guascogna e dell'Aquitania (1153–1453), ma nel 1206 perdette la stessa contea di Angiò, passata alla corona francese con Filippo Augusto. La dinastia plantageneta, includendo anche i rami cadetti di Lancaster e di York, conta quindici Re d'Inghilterra e regnò ininterrottamente dal 1154 al 1485.

Il secondo albero genealogico, qui sotto, mostra come il fondatore della dinastia dei Plantageneti, ossia Folco V, fu anche Re di Gerusalemme, in virtù del suo secondo matrimonio con Melisenda di Gerusalemme (1101-1161)
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Ultima foto ufficiale della Famiglia Reale Inglese



Da sinistra: Camilla Parker-Bowles, Duchessa di Cornovaglia (e de jure Principessa del Galles); Carlo, Principe di Galles; Elisabetta II, Regina di Gran Bretagna e Irlanda del Nord; Filippo, Duca di Edimburgo; William, Duca di Cambridge; Kate Middleton, Duchessa di Cambridge.

giovedì 8 dicembre 2016

Mappa della crisi dell'Unione Europea

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Mappa dei paesi il cui nome è più conosciuto

Mappa della battaglia di Aleppo all'8 dicembre 2016

Rif Aleppo2.svg
L'85% della città di Aleppo è stata liberata nella giornata di ieri. L'esercito regolare siriano del Presidente Assad ha ripreso il controllo della Città Vecchia e dei quartieri circostanti, come quelli di Marjeh, Sheikh Said e Salah al-Din.  I terroristi di Al-Nusra/Al-Qaeda, sostenuti da Turchia e Arabia Saudita. controllano ormai soltanto una zona a sud della città, del raggio di 2,5 chilometri e sembrano vicini a trattare la resa.




     Syrian Arab Army control
     Opposition control (including al-Qaeda in the Levant)
     SDF control
     Islamic State of Iraq and the Levant control
     Joint SAA-SDF control
     Confrontation or unclear situation





DAMASCUS, SYRIA (7:15 P.M.) - The Syrian Arab Army (SAA) is rolling in jihadist-held east Aleppo, capturing several districts that were once considered untouchable for their forces and allies.
Over the course of two weeks, the Syrian Arab Army, primarily the Tiger Forces and Republican Guard, have managed to capture 65 percent of the jihadist-held east Aleppo pocket, leaving Fatah Halab and Jaysh Al-Fateh with their backs against the wall at the southern corridor near the Aleppo International Airport.
On Tuesday, the Tiger Forces and their allies continued their wide-scale assault in east Aleppo, seizing 5 districts after a fierce battle with the jihadist rebels of Fatah Halab.
Among the many sites captured by the Syrian Armed Forces on Tuesday was the strategic Al-Sha'ar District, which had been one of the longest-held districts under the opposition's control.
In addition to capturing Al-Sha'ar, the Tiger Forces and Desert Hawks Brigade advanced at both the Sheikh Lufti and Marjah districts, despite heavy resistance from Fatah Halab militants on Tuesday night.
Initially, reports from both Marjah and Sheikh Lufti indicated that both districts were under Syrian Army control; however, an officer in east Aleppo confirmed that this news was in fact false - they are still contested.

Ilsildur e Anarion, la storia dei figli di Elendil

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Gli Argonath, dette "Le Colonne dei Re" sono due statue colossali raffiguranti rispettivamente Isildur e Anárion poste su entrambe le rive del fiume Anduin all'entrata settentrionale del lago di Nen Hithoel. Esse marcavano i confini settetrionali di Gondor e ne costituivano l'ingresso fluviale; poco più a sud vi erano altri due avamposti: quello di Amon Hen e quello di Amon Lhaw.
Furono scolpite probabilmente intorno all'anno 1248 della Terza Era dal Re di Gondor Rómendacil II di ritorno dalla battaglia che lo vide vittorioso sugli Esterling, come monito per coloro che giungevano da nord. Entrambe le statue avevano la mano sinistra alzata in segno di ammonimento e nella mano destra stringevano una grande ascia. La Compagnia dell'Anello passò gli Argonath il 25 Febbraio 3019, quando ormai il regno di Gondor si era già da tempo ridotto notevolmente di dimensioni.

Isildur, Re di Arnor e Anarion, Re di Gondor, erano i figli di Elendil, fondatore dei regni di Arnor e Gondor e figlio dell'ultimo Principe di Andunie, nella perduta Numenor.

Isildur nacque nel 3209 della Seconda Era a Númenor, primo figlio di Elendil figlio di Amandil, l'ultimo dei Signori di Andúnië. Ebbe un fratello più giovane, Anárion. Isildur ebbe quattro figli, tre dei quali nati a Nùmenor prima dell'Akallabeth e l'ultimo a Gran BurroneElendurAratanCiryon e Valandil.

Anarion è il secondogenito di Elendil e il fratello di Isildur. Secondo alcuni scritti, suo figlio Meneldil fu l'ultimo uomo nato sull'isola di Númenor prima della Caduta. Insieme a suo padre e a suo fratello, Anárion guidò i Fedeli, la fazione di Númenóreani che si erano opposti al dispotismo del re Ar-Pharazôn e di Sauron.

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Isildur


In giovinezza, durante la corruzione di Sauron su Númenor, Isildur ebbe la saggezza di cogliere un frutto del Nimloth, l'Albero Bianco di Númenor, prima che esso venisse distrutto dal Re Ar-Pharazôn, sotto l'influenza di Sauron, riuscendo in tal modo a preservare la sopravvivenza dell'Albero. Nella fuga dal palazzo reale, dopo aver sottratto il frutto, dovette combattere con le guardie, che si erano allertate dalla sua presenza, e venne ferito mortalmente, arrivando alla casa del padre in fin di vita. Allora il frutto, riconoscente, fece un prodigio e lo guarì del tutto. Isildur, quindi, ne piantò il seme nel giardino della casa del nonno Amandil a Rómenna. Quando, assieme al padre ed al fratello, Isildur abbandonò Númenor poco prima che le flotte di Ar-Pharazôn cominciassero l'invasione di Valinor e Nùmenor venisse conseguentemente completamente distrutta dall'ira divina di Iluvatar, portò con sé l'alberello cresciuto dal seme di Nimloth.

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Giunti nella Terra di Mezzo, il padre Elendil si stabilì a nord, fondando il reame di Arnor, mentre Isildur e il fratello Anárion si spinsero a sud, fondando il regno di Gondor.

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Isildur si stabilì sulla riva orientale del fiume Anduin fondando la città di Minas Ithil, dove piantò quello che poi divenne il Primo Albero Bianco di Gondor, e la provincia dell'Ithilien. Nel 3428, tuttavia, Sauron, il cui spirito era sopravvissuto alla caduta e rientrato a Mordor, iniziò l'invasione degli Stati Liberi, e Isildur fuggì in Arnor lasciando al fratello il governo di Gondor.
Nel 3434 Isildur, insieme a suo padre e al signore degli elfi Gil-galad, tornò al Sud al comando dell'Ultima Alleanza tra gli Elfi e gli Uomini, sfidando Sauron prima nella vittoriosa battaglia di Dagorlad, e poi sulle pendici del Monte Fato.

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Lì trovarono la morte sia suo fratello Anarion che suo padre Elendil e il re elfico Gil-galad. Questi ultimi due riuscirono ad abbattere la forma corporea di Sauron, perendo però nell'impresa. Isildur ebbe la prontezza di tagliare dal dito del cadavere di Sauron l'Unico Anello con ciò che rimaneva della spada di suo padre, Narsil.

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Sauron fu così sconfitto e fuggì all'Est, garantendo pace alla Terra di Mezzo.[1] Tuttavia, a dispetto delle raccomandazioni del sire elfico Elrond, Isildur non distrusse l'Anello ma se ne appropriò legandolo al proprio casato. Isildur lasciò al nipote Meneldil, figlio di suo fratello, il controllo di Gondor, ed egli ritornò ad Arnor con i suoi tre figli.

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Lungo la strada per Gran Burrone, tuttavia, ai Campi Iridati, essi vennero attaccati dagli Orchi e i figli di Isildur furono uccisi. Isildur tentò di fuggire; gettò via le armi e l'armatura e si lanciò nel fiume, infilandosi l'Anello per rendersi invisibile. Ma l'Anello scivolò via dal suo dito e un arciere degli Orchi lo colpì alla gola, uccidendolo. Da quel momento l'Anello fu chiamato il Flagello d'Isildur, e di esso si perse ogni traccia finché non fu ritrovato da Sméagol. Il corpo del Re non fu più ritrovato; solamente 3000 anni dopo Saruman il Bianco ritrovò la stella di Elendil che Isildur portava, e la catenella con cui fissava l'Anello al collo. Solo in tre scamparono al disastro, e Othar, il suo scudiero, portò a Gran Burrone i frammenti di Narsil e l'Anello di Barahir, affidatigli da Isildur quando ormai aveva capito che tutto era perduto.[2]
Isildur fu l'ultimo e il più valoroso re a governare su entrambi i due regni degli Uomini, finché il suo discendente Aragorn - col nome di Re Elessar - non riunì i regni dopo aver affrontato l'ultima minaccia di Sauron. Dei figli di Isildur si salvò infatti il quarto, Valandil, il quale si trovava con sua madre a Gran Burrone nel momento del disastro dei Campi Iridati. Da Valandil discese la stirpe regale di Arnor e, dopo la scissione di questo, quella di ArthedainCardolan e Rhudaur.

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Anárion


Anárion è un personaggio dell'universo immaginario di Arda creato dallo scrittore inglese John Ronald Reuel Tolkien. Il suo nome deriva apparentemente da Anar, parola Quenya per Sole.
Egli è il secondogenito di Elendil e il fratello di Isildur. Secondo alcuni scritti, suo figlio Meneldil fu l'ultimo uomo nato sull'isola di Númenor prima della Caduta. Insieme a suo padre e a suo fratello, Anárion guidò i Fedeli, la fazione di Númenóreani che si erano opposti al dispotismo del re Ar-Pharazôn e di Sauron.

La fondazione di Arnor e Gondor[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la Caduta, Elendil si stabilì nel nord della Terra di Mezzo vicino al reame elfico del Lindon e fondò il regno di Arnor, mentre i suoi figli approdarono più a sud, dove fondarono il reame di Gondor. Entrambi i regni erano state dapprima semplici colonie Númenóreane: Gondor si espanse dalla città di Pelargir e dal Principato del Belfalas.
Anárion e Isildur si impegnarono nell'espansione di Gondor: cominciarono a costruire le città di Minas Anor e Minas Ithil, e allo stesso tempo fondarono Osgiliath. Quest'ultima venne eretta in onore delle stelle e dello stesso Elendil. Minas Anor e la regione circostante, l'Anórien, ricevettero il nome dal Sole e da Anárion, mentre Minas Ithil e la regione dell'Ithilien, lungo il fiume Anduin, presero il nome dalla Luna e da Isildur.

La guerra con Mordor[modifica | modifica wikitesto]

Gondor fu presto attaccata da Sauron, Isildur venne costretto alla fuga e Minas Ithil fu conquistata. Nella Guerra dell'Ultima Alleanza tra gli Elfi e gli Uomini Anárion svolse un ruolo primario nella difesa di Gondor e del suo popolo e ne divenne il reggente, mentre suo fratello si rifugiò nel nord raggiungendo Elendil e gli Elfi. Nonostante l'intera regione fosse sotto assedio, Anárion riuscì a difendere gli esuli Númenóreani e le popolazioni indigene di Gondor. Il suo esercito non lasciò mai Osgiliath e cacciò le forze di Sauron sulle montagne, ma Anárion capì che non avrebbero liberato Gondor se non con l'arrivo di Elendil.
Quando arrivarono Elendil, Isildur e Gil-galad, essi gli chiesero di lottare al loro fianco contro Mordor. Anárion combatté con possanza nella Battaglia di Dagorlad e nell'Assedio di Barad-dûr, ma rimase ucciso nel 3440 S.E. da una roccia scagliata dalla Torre Oscura. La corona di Minas Anor, l'Elmo di Anárion, si spaccò e non venne successivamente usata da Isildur che utilizzò il proprio come una corona. Molte generazioni più tardi, l'Elmo di Isildur fu sostituito da un elmo elaborato, su cui vi furono incastonate gemme.

Genealogia e titoli

Anárion ebbe quattro figli, il più giovane dei quali, Meneldil, divenne Re di Gondor nel 2 T.E.; niente è scritto dei primi tre, anche se se ne può dedurre che la loro morte sia antecedente a quella del padre.
Non è chiaro se a questo punto Gondor fosse già una nazione indipendente o se Isildur volesse che esso rimanesse soggetto al controllo dell'Alto Re. In ogni caso, Isildur non rinunciò mai esplicitamente ai suoi diritti su Gondor e Meneldil è detto compiaciuto dalla sua partenza. D'altro canto, non vi è traccia di dichiarazioni di Meneldil su questi fatti. Ciò che è sicuro è che al tempo delle dispute tra Arvedui e Eärnil II, tra il 1944 e il 1945 T.E., si affermava già che Gondor fosse indipendente e quindi libero dalle pretese dei discendenti di Isildur.[1]
Il titolo "Alto Re" rimase legato alla discendenza del nord, e seppure Gondor crebbe in potere molto più di Arnor, quest'ultima mantenne una certa supremazia. Il trono di Gondor divenne vacante alla scomparsa di Eärnur nel 2050 T.E..
Le due linee di sangue di Anárion e Isildur vennero riunite quando la Principessa di Gondor Fíriel, discendente di Anárion, sposò il discendente di Isildur Arvedui, Principe e futuro Re di Arthedain. Quest'unione pose le basi alla nascita di Aragorn II, che sarebbe diventato Re dei Regni Riuniti.

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mercoledì 7 dicembre 2016

Liberata l'Acropoli di Aleppo



La cittadella di Aleppo è il monumento più conosciuto della città, situato su una collina alta una cinquantina di metri, dotata di una pianta ellittica con 300-400 metri di diametro, è circondata da un fossato profondo 22 metri e largo 30. Il nucleo principale della cittadella attuale è una fortezza arabo-islamica medievale costruita ad uso militare ma in grado di ospitare oltre 10.000 persone durante gli assedi.
In realtà la collina stessa è in gran parte artificiale, formata dai diversi strati degli edifici che si sono costruiti uno sulle rovine dell'altro. I più antichi reperti trovati all'interno della cittadella sono due leoni di basalto che ornavano il tempio ittita di Hadad, del X secolo a.C. ma si ritiene che la collina si sia formata già ai primi insediamenti nella città (3000 a.C.) e che fosse fortificata, dagli Amorrei del regno di Yamkad, nel II millennio a.C.
Di fatto inespugnabile, la fortezza si arrese solo a Hulagu Khan, nipote di Gengis Khan, che la saccheggiò e massacrò la guarnigione. Poi Tamerlano la conquistò con l'inganno.
Durante il dominio macedone (le terre conquistate da Alessandro Magno) fu costruita l'acropoli, ai tempi di Giustiniano fu scavata una grande cisterna sotterranea, detta "prigione di sangue", perché gli arabi la usarono come segreta, nel 945, la residenza del governatore fu trasformata in un palazzo dalla dinastia degli Hamdanidi, nel 1167Norandino fece costruire la moschea Makam Ibrahim al-Asfal, nel luogo dove la leggenda narra che Abramo mungesse la sua vacca, nel 1214, al-Zahir Ghazi fece costruire la Grande moschea e poi, nel 1230, un complesso di edifici di 40 stanze (Palazzo Ayyubide), ora in rovina e infine, dopo l'ultima devastazione dei Mongoli, del 1401, Jakam fece costruire la sala del trono, lunga 27 metri e larga 24 metri, poi abbellita dai suoi successori..
I governatori ottomani vi stabilirono la loro residenza facendo costruire un hammam e all'interno costruirono una caserma, poi utilizzata anche dall'esercito francese.
La città è stata sede di feroci combattimenti, nel corso della guerra civile combattuta in Siria tra il 2011 e il 2016, che hanno prodotto seri danni.
Il 7 dicembre 2016 l'esercito siriano del presidente Assad ha liberato la città dal controllo dei gruppi terroristi sostenuti dalla Turchia e dall'Arabia Saudita.

Al-Bab, la battaglia delle cinque armate

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Western al-Bab offensive (2016) (within Northern Syria).svg

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Cinque eserciti si stanno contendendo il controllo della città siriana di Al-Bab, attualmente sotto il controllo dell'Isis.
Queste cinque armate sono:
1) L'esercito dell'Isis
2) L'esercito della Turchia, che è il più vicino alla città
3) L'esercito dei cosiddetti "ribelli", cioè le organizzazioni terroristiche alleate della Turchia e dell'Arabia Saudita.
4) L'esercito ufficiale della Siria del presidente Assad
5) L'esercito curdo, alleato con Assad dopo l'invasione turca del nord siriano.
Presto questi cinque eserciti si dovranno scontrare in una battaglia che deciderà le sorti della stessa guerra siriana, che si protrae ormai da cinque anni.