sabato 1 febbraio 2025

La Quarta Era. Capitolo 13. L'ultimo viaggio di Arwen Undomiel

 


La regina vedova Arwen Undomiel aveva detto addio a tutto ciò che le era stato più caro, specialmente negli anni luminosi in cui, insieme al suo defunto sposo, aveva regnato sul reame riunito di Arnor e Gondor.
Tutto questo apparteneva al passato, e il ricordo del tempo felice le rendeva ancor più difficile affrontare il lutto per la morte di Aragorn.
Per questo era partita per un ultimo viaggio, visitando i luoghi dove ancora dimoravano gli ultimi elfi, e durante il viaggio era sua intenzione visitare i luoghi più significativi della Terra di Mezzo.

Prima di lasciare Osgiliath e salutare suo figlio Eldarion e le figlie Ancalime e Silmarien, Arwen Undomiel aveva preso congedo da tutti coloro che non l'avrebbero seguita nel suo viaggio. 
Nel fare questo si era resa conto di aver già perduto gran parte del suo mondo molto tempo prima della morte del re suo marito.
Per molti anni lei ed Aragorn Elessar erano stati al centro di quello che lui chiamava "Il Regno dell'Estate",  un'età dell'oro che sembrava dovesse essere eterna e invece no, il suo splendore si era molto lentamente e molto lievemente affievolito, di modo che nessuno se n'era accorto se non quando ormai era troppo tardi.
Amore mio, tu immaginavi un mondo per sempre pacificato, in cui tutti i popoli e tutti gli individui sarebbero vissuti come fratelli in perfetta ed eterna armonia. Mi parlavi di queste cose come se fossero state ottenute per sempre, ed io ci ho creduto insieme a te, quando eravamo giovani ed era più giovane anche il mondo.

Poi era passato molto tempo, e quel sogno, invece di realizzarsi, si era allontanato e i suoi contorni erano svaniti come il vento sugli alberi, come la pioggia sui prati, come i lunghi tramonti, dietro le colline, nell'ombra.
 Giorno dopo giorno, nel profondo del cuore di Arwen, si era fatta strada la consapevolezza che il Regno dell'Estate era un'utopia che non sarebbe sopravvissuta al suo ideatore.
E così era stato.
Era apparso evidente durante il Consiglio dei Popoli della Terra di Mezzo.
L'età della concordia è finita. Nessuno ci crede più. Persino i nostri più entusiasti sostenitori hanno ceduto di fronte all'evidenza. Nessun sogno regge il confronto con la realtà. Tutti i sogni muoiono all'alba.
Eldarion aveva fatto ciò che aveva potuto, ma gli mancava il carisma di suo padre.
La stessa famiglia reale era divisa: Ancalime aveva assunto una posizione che rasentava il cinismo, mentre Silmarien si era dichiarata estranea ai temi della politica.
Ogni generazione si oppone a quella che è venuta prima, specie quando, nel momento in cui riceve l'agognata eredità, si rende conto che si tratta di un mondo in declino, la cui stessa sopravvivenza è minacciata da tutte le parti.




Come avrebbe reagito Aragorn, sapendo che i suoi figli non erano stati in grado di ridare slancio al suo sogno?
I figli non sono i nostri figli: sono i figli del futuro. Non ci appartengono più di quanto la freccia appartiene all'arco che l'ha scoccata. 
Questo era il loro momento. Avrebbero fatto le loro scelte e forse sarebbero state scelte sbagliate. Ma dovranno essere liberi di sbagliare, così come lo siamo stati noi.
Giusto, ma c'era un'obiezione.
Noi non abbiamo sbagliato.

Nella sua mente prese forma il ricordo di Aragorn, che le diceva:
Ne sei sicura? Non pensi a tuo padre, al suo dolore, a quanto gli mancherai, per sempre? Possa Elrond perdonarmi per averlo privato di ciò che aveva di più caro e sacro.
Il padre di Arwen li aveva perdonati, ma lei era sicura che sua madre Celebrian, partita per Valinor tanto tempo prima, non le avrebbe mai concesso il proprio perdono.
L'unica che aveva capito davvero i suoi sentimenti era stata sua nonna Galadriel.
E' una scelta che spetta a te. Soltanto a te.
C'era un "peccato originale" nella sua famiglia elfica: il rapporto tra Elrond e Galadriel aveva oscurato i loro rispettivi coniugi. Per questo Celebrian se n'era andata e suo padre Celeborn era rimasto per molto tempo a Lothlorien, ed ancora indugiava nel Lindon.
Arwen ricordò le parole che aveva detto ad Aragorn:
Due innamorati sono come i complici di uno stesso crimine, che si rincorrono da sempre e per sempre, sotto le sedie e tra i tavoli, nell'infinità del tempo.
Beren e Luthien, Dior e Nimloth, Tuor e Idril, Earendil ed Elwing...
Noi non avremo una seconda vita, come gli elfi: ciò che è riservato agli umani dopo la morte nessuno lo sa.
Quel pensiero la turbava.
Ciò che gli uomini perdono, lo perdono per sempre.
Per un istante si lasciò cullare nell'oppiaceo incantesimo che inutilmente fingeva un'illusione, come se il tempo si fosse fermato, e non fosse invece sfumato come polvere nascosta ormai negli interstizi e sotto i tappeti. 
Ho avuto la mia parte di felicità, ma sapevo fin dall'inizio che, a differenza degli elfi, gli uomini sono chiamati a dire addio al bel tempo andato, e a prepararsi al grande balzo verso l'ignoto.




Ma la preoccupazione di Arwen non era solo personale: riguardava la sorte della Terra di Mezzo.
Ci siamo illusi che l'oscurità fosse stata sconfitta una volta per tutte. Siamo stati degli ingenui.
Solo in quel momento tutto le sembrava evidente.
Gandalf l'aveva previsto e aveva messo in guardia sia lei che Aragorn.
L'oscurità ritorna sempre. Le tenebre fanno parte della natura stessa dell'universo e senza di esse non conosceremmo il valore della luce, così come non apprezzeremmo il bene se non esistesse il suo contrario. Questi sono gli Arcani Supremi su cui si regge tutto il creato.
Gandalf lo sapeva: era uno dei Maiar, e aveva ascoltato la musica degli Ainur, al principio dei tempi.
Arwen e Aragorn avevano sottovalutato quel monito.
Come abbiamo potuto pensare di intrometterci nel disegno di Iluvatar? Abbiamo peccato di orgoglio, Aragorn: ci siamo sentiti alla pari dei Valar.
Si ricordò una frase che Eldarion si era lasciato sfuggire a proposito di suo padre.
"Ho condiviso il suo sogno, gli ho creduto: mai più guerre, mai più ingiustizie, mai più malvagità!
Ma senza di lui tutto questo si è rivelato soltanto un auspicio. Ed ora ci troviamo disarmati di fronte al ritorno dell'ombra"
Molto più dura, come sempre, era stata Ancalime:
"Per questo i sognatori devono morire, prima che ci uccidano tutti con i loro maledetti sogni"
Forse era stato il ricordo di quelle parole spietate a rendere Arwen così severa con i suoi figli dopo la morte di Aragorn, ma non voleva che il loro addio fosse turbato da questioni che ormai sfuggivano al loro controllo.
<<Figli miei>> aveva detto Arwen <<Ogni generazione deve affrontare i suoi demoni. Guardate dentro di voi, riflettete su ciò che è giusto e ciò che non lo è. Fatelo con umiltà e con coraggio: guardate la verità anche se questa non vi piace. Saranno le vostre scelte a stabilire se sarete figli della luce o dell'oscurità>>




Eldarion aveva sussurrato:
<<Pensi che riuscirò a non sbagliare?>
Arwen aveva sorriso:
<<La domanda vera è: "chi non sbaglierà?". Forse persino i Valar possono sbagliare. Impara dai tuoi errori. Gli errori sono i migliori maestri.
Quando dovrai rialzarti in piedi, ricorda ciò che mantiene vivo un uomo e gli permette di essere tale, anche nella sua ora più disperata. Tu sai di cosa sto parlando?>>
Qualcosa si illuminò nel volto del figlio:
<<La Luce di Earendil>>
Arwen sorrise:
<<Earendil. Il padre di mio padre Elrond. Ricordi cosa dicono le leggende riguardo ad Earendil?>>
Eldarion guardò verso l'alto:
<<Dicono che la sua nave solca ancora i cieli, portando nel firmamento la luce del Silmaril creato da Feanor e che Beren aveva sottratto alla corona di Morgoth, per donarlo a Luthien, la sua amata. Senza quell'amore, e noi non saremmo qui. La vita e la bellezza richiedono grandi sacrifici e una speranza ancora più grande: è questo forse il significato più profondo del Quenta Silmarillion>>
Arwen annuì:
<<La Luce di Earendil, la nostra stella più amata. 
Ed ha anche un secondo nome: Undomiel, Stella del Vespro. 
Ogni volta che avrai bisogno di me, guarda la stella di Earendil, e ricordati ciò che ci siamo detti oggi e ciò che ti dico ora. Non perdere mai la speranza: è l'unica cosa che ti chiedo>>
Eldarion annuì:
<<Lo prometto, madre>>
E poi si erano abbracciati.
<<Namarie>>
Era parola d'addio degli Elfi.
<<Namarie...>>
L'avrebbero ripetuta di nuovo nella cerimonia pubblica, ma il loro vero addio era stato quello.
Arwen aveva un cupo presentimento.
Noi non ci rivedremo mai più. 
Affrontiamo con coraggio questa difficile verità, senza raccontarci favole su una immortalità di cui gli uomini non hanno mai avuto una prova tangibile.

sabato 11 gennaio 2025

Il freddo della stanza



Il freddo della stanza che raggela
e il luogo dove tu posasti lieta 
ora deserto e nel silenzio solo 
si sente l'aspra loquela
dei presenti, e l'eco dei ricordi, muta,
oltre la biblioteca, e sento che è reale
solo la tua assenza:
tutto il resto è morto, finto, vano
e come queste scale 
tutto scende, precipita, si schianta.

----

Gli oggetti sono ancora al loro posto
a custodire muti la quiete polverosa 
delle stanze, nell'oppiaceo incantesimo 
che inutilmente finge un'illusione:
come se i decenni non fossero sfumati
nell'inconcludenza di un tempo nascosto
già negli interstizi e sotto i tappeti.
E non serve a nulla fare l'inventario 
delle cose perdute, per poi soffocare dentro
l'urlo dei rimpianti e appoggiarsi a questi 
arredi fragili come fossero pilastri
mentre tutto frana intorno
e i volti a poco a poco si congedano.








Noi abbiamo sognato in grande:
stelle, galassie, universi interi,
nebulose, viaggi, distanze siderali.
Noi eravamo i visionari, l'onda
che si è infranta, gli anormali
naufragati tra un millennio e l'altro, 
già obsoleti a detta dei nativi digitali.
Loro sono invece troppo scaltri,
ci tarpano le ali e irridono l'immenso.
Ecco quel che non abbiamo avuto:
in cambio ci hanno dato i cellulari.







giovedì 2 gennaio 2025

La Quarta Era. Capitolo 12. Difendere la Contea

 


Nel frattempo, nella Contea degli Hobbit, le vicende del vasto mondo al di fuori dei loro confini parevano sempre più lontane ed estranee. Dopo gli anni della grande prosperità e dell'amicizia con gli uomini, seguiti all'elezione di Sam Gamgee alla carica di Sindaco, e all'avvento di Peregrino Tuc, finalmente maturato, alla carica di Conte, erano seguiti gli anni della delusione e del ritorno all'isolamento. La Contea però non era cambiata: gli Hobbit erano restii al cambiamento e preferivano seguire le antiche tradizioni, l'Antica Via, come la chiamavano i membri delle famiglie fondatrici.
Nella Terra di Mezzo c'erano stati dei progressi a livello tecnico, per quanto soltanto gli Uomini fossero amanti del cambiamento, laddove invece gli Elfi e i Nani erano custodi della tradizione e anche loro, pur chiamandola diversamente, seguivano l'Antica Via.
La Quarta Era aveva visto crescere la potenza degli Uomini e diminuire quella degli altri popoli, i quali si sentivano minacciati, e gli Hobbit più di tutti gli altri.
Questa diffidenza era stata tenuta a bada durante l'apice del regno di Aragorn Elessar, grazie alla sua personale amicizia con i rappresentanti di tutti i principali popoli, ma col passare del tempo l'età dell'ottimismo e della grande partecipazione succeduta alla sconfitta di Sauron si era conclusa e la morte del vecchio Re ne aveva decretato una fine che già era presente nei fatti.
Gli Hobbit non si fidavano del nuovo re Eldarion, giudicato ambiguo per i suoi tentativi di mediazione tra le diverse istanze, e meno che mai di sua sorella Ancalime, a cui interessava soltanto il potere.
Solo Gandalf avrebbe potuto mantenere vivo il contatto tra gli Hobbit e il resto degli abitanti della Terra di Mezzo, ma lo stregone si trovava ormai dall'altra parte del mare e non avrebbe fatto più ritorno.
Tra gli Hobbit, i più vecchi erano nati dopo gli anni delle grandi imprese e nessuno di loro, a parte i parenti dei quattro membri della Compagnia dell'Anello, ricordavano i legami che si erano creati in quei giorni. Ormai la famiglia Baggins si era estinta e a Casa Baggins vivevano alcuni discendenti di Sam Gamgee e Rosie Cotton, ma non tutti.

Dei loro numerosi figli rimaneva in vita, alla ragguardevole età di 119 anni, la primogenita di Sam e Rosie, la leggendaria Elanor la Bella, della cui bellezza, tuttavia, non rimaneva pressoché nulla. Ma nella sua estrema vecchiaia, Elanor aveva conservato ancora una straordinaria lucidità, che le permetteva di supplire all'affievolirsi di tutte le facoltà del suo corpo rattrappito.
Viveva, con i suoi biondi discendenti, i Paloidi di Verdolmo, nella Marca Occidentale, territorio di nuova colonizzazione donato da re Elessar agli Hobbit e di cui era stato Guardiano, un tempo, il marito di Elanor stessa, Fastred di Verdolmo. Elanor e i suoi discendenti erano anche i custodi del Libro Rosso di Bilbo e Frodo, lasciati loro dallo stesso Sam prima di imbarcarsi lui stesso verso Ovest.

Quel giorno la vegliarda aveva ricevuto la visita dei Tre Notabili, capi delle famiglie più illustri della Contea e cioè per primo  il Conte Isengrim Tuc, per secondo il Guardiano delle Terre Orientali, Faradas Brandibuck e come terzo il Sindaco l'attuale proprietario di Casa Baggins, e cioè Harding Gamgee-Gardner del Colle, pronipote di Sam.

Isengrim aveva raccontato ad Elanor tutto ciò che era stato detto al Consiglio Supremo dei Popoli della Terra di Mezzo, sostenendo (considerata anche l'amicizia di antica data tra i Tuc e la Famiglia Reale) la sostanziale giustezza delle richieste del nuovo re Eldarion, ma Faradas si era chiuso in un mutismo che non prometteva niente di buono e Harding rimaneva impassibile.

Elanor se n'era accorta e voleva sentire la loro versione:
<<Isengrim sembra d'accordo col nuovo Re. Ma voi due non mi sembrate convinti, anche se forse avete motivazioni diverse per la vostra perplessità>>

Faradas scambiò un'occhiata con Harding e poi rispose:
<<Forse è arrivato il momento di dire tutta la verità, almeno a te. Credo che potrai comprendermi, tu che hai appreso sulle ginocchia di tuo padre le imprese dei Grandi Anni e hai visto con i tuoi occhi l'Età dell'ottimismo e della grande partecipazione. Ebbene, tutto questo ormai non esiste più, è stato, come dire, una parentesi, nella storia della Contea.
Non contiamo più niente, ormai>>
Elanor rivolse a tutti e tre gli Hobbit uno sguardo interrogativo e poi si rivolse al pronipote:
<<Harding, non dirmi che sei stato contagiato anche tu da questa sfiducia>>

Il Sindaco guardò la prozia intensamente e poi, da politico quale era, esordì con una certa enfasi:
<<Eravamo un popolo felice e innocente, prima che l'Anello del Potere entrasse nella Contea. La nostra vita era tranquilla, serena, non contagiata dal male: eravamo esattamente come volevamo essere e possedevamo tutto ciò di cui avevamo bisogno. Seguivamo il ritmo delle stagioni ed ogni cosa aveva il suo posto e il suo significato.
Vivevamo indisturbati, nel nostro angolo di mondo. Poi giunse lo Stregone... Mithràndir lo chiamavano gli Elfi, Olòrin i Valar, ma a noi si presentò col nome di Gandalf, e non era una visita di cortesia. Voleva qualcosa da noi, ha sempre voluto qualcosa da tutti: non denaro, non potere e nemmeno gloria: no, lui ci richiedeva coraggio, eroismo e sacrificio, lacrime, sudore e sangue.
I vecchi capifamiglia di un tempo, saggiamente, rifiutavano, perché non era nella nostra natura impicciarci negli affari della gente alta e temevano che la nostra quiete fosse turbata dagli eventi della Grande Storia. Sapevamo che la tranquillità si può difendere soltanto rimanendo appartati, facendosi dimenticare. 
E infatti quasi nessuno conosceva la nostra esistenza, prima che Bilbo Baggins accettasse di farsi coinvolgere nella questione della riconquista di Erebor. 
Quando Bilbo ritornò, con un baule pieno di tesori e un numero esorbitante di storie da raccontare, i giovani incominciarono a fremere, a non accontentarsi di quello che avevano>>
Elanor sospirò:
<<Ma è normale che i giovani fremano, che non si accontentino! Che gioventù sarebbe se si adeguassero alle vecchie usanze senza un minimo di trasgressione... e te lo dice una vecchia centenaria che non è mai stata una ribelle!>>
Harding scosse il capo:
<<Non sto parlando delle piccole marachelle giovanili! Ai giovani era consentito trasgredire un po', ma si trattava di una fase, un insieme di piccoli eventi che non li guastavano. Non avevano desideri superiori alle loro risorse>>
Elanor rise:
<<Tu sottovaluti le nostre risorse! Mio padre era considerato un sempliciotto: Sam il figlio che Gaffiere, eppure senza di lui la Terra di Mezzo sarebbe caduta nelle tenebre!>>
Harding cercò di correggere il tiro:
<<Zia, mi hai frainteso. Quello che voglio dire è che Sam non aspirava alla grandezza, ha fatto il proprio dovere per difendere la Contea, perché era questo il mondo che amava, così come suo padre il Gaffiere, che possedeva soltanto una piccola casetta, pochi mobili, un servizio da tè e una bottiglia di vetro rosso più antica della stessa Contea. Aveva una moglie che ricambiava il suo amore e tanti figli devoti. Era un artigiano e gli piaceva il suo lavoro. Insomma, pur nella sua povertà, era ricco. 
Noi tutti eravamo poveri, ma ci sentivamo ricchi. E' questo ciò che intendevo dire>>
Elanor gli rivolse un sorriso ironico:
<<Se vuoi tornare a stare nella vecchia topaia del Gaffiere, perché non lo fai? Nessuno ti obbliga ad abitare nel lusso di Casa Baggins! Si fa presto a dire che ognuno deve accontentarsi e stare al proprio posto, ma sentirlo dire da un privilegiato non è credibile.
Tuttavia in ciò che hai detto c'era una parte di verità: noi Hobbit, nel tempo che precedette i Grandi Anni, forse eravamo più felici di quanto lo siamo ora, ma non perché siamo più poveri o meno importanti, ma per il fatto che, dopo aver conosciuto il benessere, non siamo più disposti a rinunciarci, forse non ne siamo più capaci. E' questo che volevi dire?>>
Harding annuì amaramente:
<<Mia cara prozia, mi hai tolto le parole di bocca. Io non nego di essere un privilegiato, nella Contea, ma il guaio è che ai privilegi ci si abitua troppo facilmente e alla fine li si dà per scontati. E questo lo sapeva anche Sam!>>
Gli occhi di Elanor per un istante si velarono di nostalgia:
 <<Sì lo sapeva. Quando ero bambina mi cantava una nenia che Bilbo gli aveva insegnato. Niente di particolare, ma forse ha a che fare con ciò di cui stai parlando. Suonava all'incirca così:

Il vento ha spazzato la terra
e gli uomini via lontano...
Cos'è mai questo vento?
E' una vita via da qui,
è tutta questa voglia di avventura,
voglia di andare via.
Ma allora come spieghi
tutta questa nostalgia?
Ho conosciuto troppi mondi

troppi uomini, troppe terre,
troppi mari, troppi venti...
Ora so che non morirò più qui,
nella mia terra non riposerò più.

Mio padre aveva già deciso di seguire lo stesso destino di Bilbo e di Frodo.
 Qualcosa dentro di lui si era spezzato, come era accaduto ai Baggins, e poi, alla fine, quel turbamento contagiò tutti noi. Era la nostalgia di qualcosa che non conoscevamo, la volontà di vedere il vasto mondo, oltre i confini sicuri della Contea.
Ma non allarmarti, Harding: questa nostalgia morirà con me. Stiamo tornando all'isolamento e alla fine ci adatteremo anche alle rinunce che questo implica>> 




Harding era commosso, ma inquieto:
<<Spero che là il bisnonno Sam abbia potuto, nei suoi ultimi anni, ritrovare Bilbo, Frodo e Gandalf>>

Elanor sospirò:
<<Quanto vorrei sapere cosa sta succedendo a Valinor! Lo so che è presuntuoso da parte mia, ma non è una curiosità fine a se stessa. Mi resta poco tempo e si dice che le persone prossime alla morte hanno la capacità di prevedere il futuro.
Ebbene, io credo che Gandalf non si sia dimenticato di noi. Non ci abbandonerà la sua protezione, specialmente ora che la Terra di Mezzo sta tornando ad essere un luogo insicuro>>
Gli altri hobbit erano meno speranzosi.

Faradas Brandybuck, sollecitato dagli altri, espresse il suo giudizio in maniera netta:
<<Io ho una certa dimestichezza con il Mark di Rohan, molto più che col Regno di Arnor e Gondor. Ho parlato a lungo con re Aelfwine, al Consiglio. 
Lui comprende le nostre ragioni, ma mi ha detto che dobbiamo fare una scelta: o rintanarci sempre più nelle nostre caverne, fino a sparire del tutto, o imparare a difenderci e a combattere. I confini della Terra di Mezzo sono minacciati e se quei confini cadranno, la Contea sarà in pericolo. Dobbiamo farcene una ragione, non possiamo far finta di niente e vivere di ricordi. I ricordi non bastano più: noi dovremmo combattere al fianco delle altre razze della Terra di Mezzo! I nostri antenati lo hanno fatto ed è grazie al loro eroismo che Sauron è stato distrutto!>>




Elanor era perplessa:
<<Tu usi la parola "eroismo" con un'accezione che si limita alla guerra. Noi non siamo guerrieri e, per quanto la natura ci abbia concesso molte capacità, non siamo in grado di difendere la Contea da soli! Abbiamo bisogno degli uomini del Regno Unito di Arnor e Gondor.
I soldati di Arnor ci proteggono e noi in cambio dobbiamo pagare le tasse, anche se sono più alte di prima. Re Eldarion ha le sue ragioni e se non lo sosteniamo rischiamo che il potere passi a quella tirannica sorella, Ancalime, e ai suoi Stregoni Blu, di cui mio padre non si è mai fidato.
Eldarion è la nostra ultima speranza: se non lo sosteniamo, il potere passerà a governanti molto peggiori e le frontiere della Terra di Mezzo cadranno, e anche la Contea e tutta la nostra gente.
Non ci saranno altre navi dirette a Valinor per noi. Mio padre ebbe quel privilegio solo perché portò l'Anello per un breve tratto e fu di fondamentale sostegno per Frodo.
Ma i Reami Beati dell'Occidente non saranno generosi col Piccolo Popolo, se noi non faremo la nostra parte, e l'unica parte che possiamo fare è pagare i nostri tributi in oro o in natura>>







Isengrim Tuc, che era molto meno avventuroso dei suo antenati, approvò:
<<Per quanto non sia particolarmente eroico limitarsi a pagare altri che ci difendano, io credo che questo sia nella nostra natura di popolo pacifico. Non siamo più al tempo del mio antenato Brabobras "Ruggitoro" Tuc, che sconfisse Golfinbul nella battaglia dei Campi Verdi. Quei tempi sono passati, noi siamo più bassi e più deboli. Lo spirito di avventura è sempre più affievolito, e non sapete quanto mi costi dirlo, essendo un Tuc e un Conte. Ma non abbiamo altra scelta>>

Faradas Brandybuck protestò:
<<Di scelte ne abbiamo, eccome! Un tempo i Raminghi ci difendevano senza chiedere niente in cambio ed avevano molti altri incarichi, rispetto all'esercito di Arnor. E noi facemmo la nostra parte. 
No, io non intendo nutrire con le tasse i grassi burocrati di Osgiliath.
Ci stanno impoverendo e umiliando, e guardano a noi come a una razza in via di estinzione, qualcosa da tenere rinchiuso in una riserva e da osservare come spettacolo da circo o come folletti delle favole. E' questo che stiamo diventando. I bambini di Gondor si addormentano leggendo favole sul Piccolo Popolo che fabbrica i loro regali delle feste. Non c'è dignità per noi in tutto questo!>>

Elanor gli scoccò una delle sue famose occhiate taglienti:
<<In questo c'è tutta la dignità che potremo mai avere! 
Il Piccolo Popolo vive nelle fiabe come gli Elfi vivono nelle leggende e, secondo Gandalf, le fiabe e le leggende o i poemi epici appartengono tutti allo stesso genere, con eguale dignità. Un giorno Elfi e Hobbit e Nani saranno ricordati insieme tra le creature del Regno delle Fate, che è la nostra Contea, la Marca Occidentale, i Monti Azzurri, il Lindon e i Porti Grigi. 
Questa è la gloria e l'immortalità del Piccolo Popolo!
Non siamo guerrieri, ma abbiamo molte altre doti. Per ora il nostro contributo può essere solo di carattere civico, ma come vi ho detto, Gandalf non si è dimenticato di noi, così come, io temo, nemmeno il Male e i suoi nuovi signori oscuri.
Forse saremo chiamati a fare la nostra parte, come mio padre, e allora, chissà, un giorno avremo in dono l'Isola di Tol Eressea, e la leggendaria Casa del Gioco Perduto. Gandalf insegnò tutto questo a mio padre e lui lo insegnò a me così come io lo ripeto a voi: abbiamo ancora un ruolo da svolgere, prima di poterci guadagnare il nostro posto nel mondo fatato, la terra ad ovest che alcuni chiamano Faerie. 
La Quarta Era richiede la nostra presenza e il nostro contributo, e qualcosa mi dice che non saranno solo tributi in denaro, ma nemmeno battaglie, Faradas. Abbiamo altre abilità.
Non escludo il rischio che tornino le guerre, ma allora tu rimpiangerai di aver desiderato la gloria delle armi, perché è pur sempre meglio pagare un tributo in oro che uno fatto di sangue.
Noi qui ci crediamo al sicuro, ma se il Regno Unito di Arnor e Gondor dovesse soccombere all'attacco congiunto degli Esterling e degli Haradrim, allora nessuna caverna hobbit sarà sufficientemente profonda per salvarci dalla loro sete di potere e dal loro fanatismo.
Ma il marcio può nascere anche da dentro il Regno: i tempi si sono inaspriti, il mondo è tornato pieno di pericoli e in tutti gli animi la speranza rivolta al nuovo Re si mescola con la paura e con l'angoscia per l'enormità delle minacce che ci giungono da ogni parte>>

martedì 24 dicembre 2024

Gli oggetti

 



Gli oggetti sono ancora al loro posto
a custodire muti la quiete polverosa 
delle stanze, nell'oppiaceo incantesimo 
che inutilmente finge un'illusione:
come se i decenni non fossero sfumati
nell'inconcludenza di un tempo nascosto
già negli interstizi e sotto i tappeti.
E non serve a nulla fare l'inventario 
delle cose perdute, per poi soffocare dentro
l'urlo dei rimpianti e appoggiarsi a questi 
arredi fragili come fossero pilastri
mentre tutto frana intorno
e i volti a poco a poco si congedano.




Come il silenzio, 
noi scenderemo ognuno
per le proprie scale,
non penseremo più
al tuo bene ed al mio male,
senza guardare in giù,
e tutto il resto vada poi
come gli pare.
Come il deserto,
che avanza dentro me
veloce come il suono,
la nostra storia brucerà
un'ultima volta
e finalmente poi sarà
soltanto fumo.
Che ne faremo 
di questa farsa
che si ferma e poi riparte,
di questa vita
che non nasce e che non muore?
Dal grande fiume
svogliatamente
ci faremo trascinare
dalla sorgente alla foce, 
fino al mare, 
dalla corrente alla deriva
e non nuotare.
Dentro l'abisso,
che si spalanca sotto noi
come una fauce,
potremo infine
dolcemente sprofondare
e tutto il male 
ora e per sempre svanirà, 
svanirà, 
svanirà.







Noi abbiamo sognato in grande:
stelle, galassie, universi interi,
nebulose, viaggi, distanze siderali.
Noi eravamo i visionari, l'onda
che si è infranta, gli anormali
naufragati tra un millennio e l'altro, 
già obsoleti a detta dei nativi digitali.
Loro sono invece troppo scaltri,
ci tarpano le ali e irridono l'immenso.
Ecco quel che non abbiamo avuto:
in cambio ci hanno dato i cellulari.