Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
lunedì 14 aprile 2014
Virginia D. Capitolo 21. Foto di gruppo con signora.
Trovare informazioni su Virginia D. era quasi impossibile. Non era iscritta a nessun social network, almeno non col suo vero nome. Su tutto internet il suo cognome non compariva mai. In compenso compariva un cognome simile, con una sillaba in più.
Lei era riservatissima. Non avrebbe rivelato nulla nemmeno sotto tortura. Inoltre la sua esperienza nelle arti marziali era un valido deterrente a non infastidirla con domande che potessero apparirle indiscrete.
Nel suo cellulare si poteva accedere solo con la password, così come nel suo portatile.
Insomma niente: niente di niente.
Come ritorsione, anche io avevo assunto un atteggiamento estremamente riservato, anche se in realtà non c'era poi gran che da conoscere o da raccontare sul conto della mia famiglia. Almeno così credevo.
In ogni caso, il silenzio di Virginia non riguardava solo i familiari, ma anche gli amici.
Pareva non averne, il che era un po' inquietante, ma non necessariamente un dramma.
Un giorno, però, notai, mentre lei stava riposando, che nella sua borsetta, lasciata stranamente semiaperta, c'erano delle foto, dove lei appariva insieme ad altre donne, di cui tre coetanee, all'incirca, e due più grandi.
Lei era vestita completamente di nero, ed appariva molto spenta, triste, diversissima da come l'avevo conosciuta. Pareva quasi voler prendere moralmente le distanze dalle altre donne de gruppo.
La donna di età più adulta, vestita in bianco, avrebbe potuto essere la madre di Virginia.
La ragazza vestita da scolaretta avrebbe potuto essere una sorella minore.
Poi c'era una signora in rosso, elegante, che poteva sembrare una sorella maggiore. E infine c'era due bionde che proprio non c'entravano niente.
Non sembrava comunque una rimpatriata di famiglia.
In effetti avevano tutte un'aria un po' spaesata, o comunque strana.
Eppure dovevano essere amiche tra loro, perché si tenevano tutte abbracciate.
Il "total black" di Virginia pareva il correlativo oggettivo del suo umore. Nerissimo. L'unico tocco di colore era dato dal rossetto e dalla borsa, color corallo.
In una di queste foto, Virginia era da sola, sullo sfondo minimalista e vagamente "art deco" di un mobile in vetro ed infissi neri, con vasi e fotografie incorniciate. Non era un'abitazione, pareva più che altro la sala d'aspetto di uno studio dentistico.
Non avevo mai visto Virginia triste. Mi pareva impossibile che potesse esserlo.
Forse più che triste era perplessa. In fondo la perplessità è un atteggiamento di grande valore, che denota intelligenza ed equilibrio e tiene lontano il fanatismo e le presunte certezze di qualsiasi "pensiero unico".
Io sono sempre stato perennemente perplesso e questo forse ha disorientato le persone con cui ho avuto a che fare, perché la perplessità rende imprevedibili le nostre decisioni e le eventuali prese di posizione.
Se non puoi sconfiggerli, confondili!
Era un consiglio che mia nonna materna ripeteva spesso.
L'inaspettato è l'arma con cui ci si difende meglio.
Questo pensiero mi fece venire in mente che Virginia conosceva le arti marziali.
Perché aveva deciso di apprenderle? Si sentiva realmente in pericolo?
Prima o poi dovevo chiederglielo.
Guardai le altre due foto.
In una, lo stesso gruppo, si trovava in un luogo che poteva essere un cortile o una terrazza in quello che pareva un albergo.
Io sono sempre stato perennemente perplesso e questo forse ha disorientato le persone con cui ho avuto a che fare, perché la perplessità rende imprevedibili le nostre decisioni e le eventuali prese di posizione.
Se non puoi sconfiggerli, confondili!
Era un consiglio che mia nonna materna ripeteva spesso.
L'inaspettato è l'arma con cui ci si difende meglio.
Questo pensiero mi fece venire in mente che Virginia conosceva le arti marziali.
Perché aveva deciso di apprenderle? Si sentiva realmente in pericolo?
Prima o poi dovevo chiederglielo.
Guardai le altre due foto.
In una, lo stesso gruppo, si trovava in un luogo che poteva essere un cortile o una terrazza in quello che pareva un albergo.
A giudicare dal vestiario, la foto doveva essere stata scattata una sera dell'estate 2013.
La cosa stranissima era che in quella foto, come nelle altre, Virginia appariva più "vecchia" rispetto a quando io la conobbi, alcuni mesi dopo!
Oddio, forse quell'impressione derivava da una pessima scelta di look.
Il nero la incupiva, ma forse era l'eccesso di make up ad attribuirle un'aria molto "dark", troppo per i miei gusti. Era un outfit completamente sbagliato.
Quandoquidem bonus dormitat Homerus. Ogni tanto anche il valente Omero dormicchia.
Un outfit sbagliato poteva capitare persino a Virginia.
Ma in quelle foto era tutto ad essere "sbagliato". Rivelava un mondo di cui lei non mi aveva mai rivelato nulla.
Ma se aveva lasciato le foto lì, in bella mostra, una ragione doveva esserci.
Quando lei si svegliò, glielo chiesi:
<<Con chi eri in quelle foto?>>
<<La signora in bianco è mia zia Valeria D. e la signora in rosso è zia Vanessa D. , la sua sorella più giovane. La ragazza vestita da collegiale è mia cugina Vittoria D. , figlia di un altro fratello di mio padre. Le altre due ragazze erano delle compagne di classe di Vittoria>>
C'era un nuovo indizio:
<<Valeria, Vanessa, Vittoria, Virginia. Come mai tutti i nomi iniziano con la V?>>
<<E' una tradizione della famiglia D. >>
<<C'era un grande antenato con quell'iniziale?>>
Lei sorrise:
<<Chissà, forse>>
<<Ma tuo padre come si chiama?>>
<<Virgilio>>
Un'altra singolare coincidenza. L'Eneide ritornava sempre fuori.
<<E tuo nonno?>>
<<Vittorio>>
Era plausibile. Un nome in voga negli anni '30.
<<Quindi tutti con le iniziali V.D. >>
Lei annuì, sorridendo:
<<Sì è una cosa un po' strana, ma non è colpa mia. I nomi, come i genitori, uno non se li sceglie>>
Virginia D. Capitolo 20. The Dark Lady
Avrei dovuto capire subito che Virginia era pericolosa.
O meglio, il sospetto che fosse pericolosa ce l'avevo fin dall'inizio, ma non che fosse così pericolosa.
Eppure, a modo suo, lei mi aveva avvertito, un po' come fanno certe creature demoniache dei film horror quando chiedono il permesso di entrare in casa delle loro vittime.
Prima di rivolgermi la parola, quando ci eravamo conosciuti, in università, mi aveva messo sotto gli occhi il suo badge, con il suo cognome in bella vista.
Quel cognome di due sillabe, che ne evocava una terza preoccupante, era stato un avvertimento notevole che io avevo scelto di ignorare, perché in fondo, pensavo, certe cose non esistono.
Come mi sbagliavo.
Avrei dovuto ricordare una frase, citata in epigrafe in un meraviglioso libro di mitologia greca, che Virginia mi aveva consigliato: "Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre".
Non era solo una frase letteraria, era un altro avvertimento.
Gli indizi erano numerosi, ma romanzeschi. Li interpretavo in chiave psicologica, come secondo grado di lettura, quando il senso letterale viene considerato puramente allegorico.
Per esempio, il fatto che somigliasse in maniera inquietante ad una foto degli anni '40 di mia nonna da ragazza, che altro significato poteva avere se non in termini edipici?
In fondo "La donna che visse due volte" era vissuta una volta sola anche nel film.
C'è sempre una spiegazione razionale delle cose, no?
In tutti i romanzi gotici, i personaggi cercano fino all'ultimo di trovare una spiegazione razionale ad eventi impossibili.
Puro caso? Coincidenze? E quando queste coincidenze diventano troppe?
Prendiamo per esempio le continue citazioni dell'Eneide, da parte di Virginia.
Non erano mai casuali, come quella che venne fuori quando parlammo di mia nonna.
<<Quanti anni ha adesso?>>
<<Se fosse viva ne avrebbe ottantacinque. Purtroppo è morta l'anno scorso>>
<<Mi dispiace, Luca. Immagino che ti manchi molto>>
<<Moltissimo. Eravamo molto legati. Ma adesso lei vive dentro di me, nei miei ricordi>>
Virginia aveva annuito, come se io avessi detto una frase rivelatrice, e poi si era sentita in dovere di citare l'Eneide:
<<Quisque suos patimur manes. Ciascuno di noi porta con sé i suoi fantasmi>>
A quel punto, se fossi vissuto in un film horror, come talvolta sospettavo, avrei dovuto chiedere: "Ma chi sei tu veramente?".
Non era una cosa gentile da chiedere.
E non potevo nemmeno chiederle: "Ma come mai una ragazza perfetta come te si è messa con un tipo strano come me?". Per non parlare del fatto che era ancora vergine. Quella era la cosa più strana di tutte, a meno che non si volesse prendere anche il suo nome proprio come un avvertimento, a costo però di fare la figura del paranoico.
Quelle assurdità potevano anche farsi strada nel mezzo di una notte buia e tempestosa, ma poi, quando tornava il giorno, e rivedevo quella splendida ragazza, con quel meraviglioso sorriso, tutti i dubbi sparivano.
E così non mi accorsi del mutare della marea.
La settimana successiva al nostro primo weekend insieme aveva portato con sé la pioggia e il freddo.
Virginia, sempre previdente, aveva messo in valigia il cappotto e l'ombrello, entrambi neri, da vera dark lady, ma cosa importava questo se i suoi occhi sorridevano?
Era bello, in fondo, credere che due occhi così scuri potessero brillare tanto.
Starring
Emmy Rossum - Virginia D.
domenica 13 aprile 2014
Virginia D. Capitolo 19. La seconda Duchessa di Windsor.
Quel sabato fu la nostra prima serata insieme.
Virginia era riuscita stupirmi con un look che non mi aspettavo. Si era cambiata d'abito a casa mia, ordinandomi di non guardare, perché voleva sorprendermi e devo dire che ci riuscì.
<<Non so come prenderai quello che sto per dirti, ma sappi che lo ritengo uno dei massimi complimenti per quanto riguarda l'eleganza. Stasera tu sei più elegante persino della Duchessa di Windsor>>
Lei rise e, da brava classicista, mi rispose citando l'incipit di un carme oraziano:
<<Hoc erat in votis! Era nelle mie intenzioni. Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa, nel mio aspetto, che, se accentuato, poteva ricordare Wallis Simpson. In meglio, però!>>
Anche io risi:
<<Decisamente, mia Duchessa. Devo rivolgermi a voi chiamandovi Vostra Grazia? O forse Wallis si faceva chiamare Altezza Reale?>>
<<Credo che la chiamassero Altezza Reale, anche se non fu mai ufficialmente ammessa nella Famiglia. Ma quello che conta è che lei ha ottenuto credo la più grande prova d'amore della storia: il suo uomo a rinunciato a un regno, anzi, a un impero, pur di sposarla. E' un caso unico. Se ci pensi, Edoardo VIII avrebbe potuto avere donne infinitamente più belle, più giovani, di sangue nobile e invece ha scelto lei, una donna non bella, non giovane, non nobile e divorziata due volte. Credo che lei dovrebbe essere un motivo di speranza per tutte le donne che non si sentono né belle, né giovani, e magari sono reduci da storie deludenti. Se sapranno essere eleganti come lo era Wallis, allora potrebbero conquistare il cuore di un re>>
Al riguardo avevo una mia teoria:
<<Se ci pensi, la scelta di Edoardo VIII è spiegabile dal punto di vista psicologico. Sua madre, la regina Mary, era una donna dalla personalità fortissima. I figli di madri del genere finiscono quasi sempre per innamorarsi di donne con lo stesso carattere dominante. Edoardo sposò Wallis e suo fratello Bertie, che poi divenne re, sposò Elizabeth Bowes-Lyon, la rivale di Wallis, l'unica che seppe tenerle testa. Fu Lizzie la vera nemica di Wallis>>
Lei annuì:
<<E' un'analisi interessante. A livello antropologico si potrebbe pensare che in fondo la moglie subentra alla madre nel prendersi cura dell'uomo>>
Io sorrisi:
<<E nel comandarlo a bacchetta!>>
Virginia rispose con un sorriso malizioso:
<<Naturalmente!>>
<<E per sottolineare questo fatto, stasera hai scelto di portare i pantaloni!>>
Lei scosse il capo:
<<Ho scelto i pantaloni a palazzo perché so che ti piacciono. Ogni minimo dettaglio è stato studiato sulla base dei tuoi gusti, che fortunatamente io trovo molto raffinati>>
Non starò a raccontarvi cosa successe quella sera. L'amore felice non è un argomento interessante.
Ma state tranquilli, questa storia non sarà felice ancora per molto. Un racconto non ha senso se non c'è un'azione complicante. La felicità piena ci può essere soltanto una o al massimo due volte, e deve essere breve, altrimenti il lettore non solo si annoia, ma potrebbe diventare invidioso dei personaggi.
In qualità di narratore-personaggio, io, Luca Bosco, posso garantirvi una cosa: la mia vita ha ben poco di invidiabile, come del resto la maggior parte delle vite, se le persone avessero il coraggio di essere sincere con se stesse e non si prendessero troppo sul serio.
Si può essere sereni, ma la felicità è un'altra cosa. Accade di rado e dura poco.
Ma quella sera, ah quella sera... da sola basterebbe per giustificare tutto il resto!
Ogni cosa, fin nel minimo dettaglio, andò alla perfezione.
Avrei dovuto capire che era proprio quella perfezione il segno che avevamo raggiunto il vertice e da quel momento si poteva solo scendere.
Plaisir d'amour ne dure qu'un moment. Chagrin d'amour dure toute la vie
Però è stato meglio così. Bisogna avere dei bei ricordi.
Meminisse iuvabit, avrebbe detto Virginia, nella sua foga classicista, citando l'Eneide, che era stata l'occasione del nostro incontro e della nostra conoscenza.
Quella sera, però, più che Enea, io ero come Anchise da giovane, quando, unico tra i mortali, poté dividere il letto con la dea Venere.
E Virginia, quella sera, ai miei occhi era pari a una dea.
Tutto perfetto dunque, esattamente come era nei miei desideri.
Una sola cosa mi meravigliò e mi colse completamente alla sprovvista: Virginia, in pieno accordo col suo nome, ma in totale disaccordo con la storia della prima Duchessa di Windsor, era, incredibilmente, ancora vergine.
Com'era possibile?
Una ragazza così vistosamente bella, così piena di desiderio e di determinazione, come poteva essere rimasta vergine fino a 19 anni, in un'epoca come la nostra, in cui la verginità non solo ha perso ogni valore, ma addirittura viene considerata quasi il sinonimo del fallimento esistenziale?
Quella domanda, che non osavo rivolgerle, mi avrebbe perseguitato per molto, moltissimo tempo.
La morale di questo strano capitolo della mia vita è che niente è semplice come può sembrare e non esistono scorciatoie per la felicità.
Starring
Emmy Rossum - Virginia D.
Virginia D. Capitolo 18. Pensiero stupendo
E' straordinario pensare a come un capo di abbigliamento così semplice come la lingerie possa riuscire ad accendere il desiderio in maniera esplosiva.
Ero ancora molto giovane all'epoca, e molto inesperto, ma la mia immaginazione era riuscita a supplire in maniera eccezionale ciò che l'esperienza non mi aveva ancora insegnato.
La mia fantasia eccessiva e la mia accentuata sensibilità erano il frutto di una vita di desiderio. E in genere ciò che si desidera di più è quello che non si ha. Il frutto proibito.
Ecco, Virginia D. mi stava offrendo quel frutto.
Era molto di più di quanto avessi potuto sperare anche solo poche settimane prima.
Ma c'era una parte di me che ricordava le conseguenze che erano costate ad Adamo per aver assaggiato il frutto proibito offertogli da Eva su istigazione del serpente.
Sarei stato cacciato anch'io dal mio Eden?
Qual era il mio Eden? Una vita libera da vincoli e condizionamenti? Ancora non ero in grado di rispondere a quella domanda.
Mi veniva in aiuto la favola di Esopo sulla volpe e l'uva.
Prima di dire che l'uva è acerba, bisogna averla assaggiata.
Sapevo che quell'età tra i 20 e i 30 anni era dedicata alla sperimentazione.
Primum vivere, deinde philosophari.
Quella citazione di Seneca era una delle preferite di Virginia.
Leggevo in lei il desiderio di essere amata, di essere completata.
Era il mio stesso desiderio, che però non era da considerare solo nel suo aspetto passionale.
A volte la tenerezza può essere persino più importante della passione.
Se il rapporto sessuale non è preceduto o seguito da momenti di tenerezza, perde gran parte del suo valore.
A me la dolcezza è sempre venuta istintivamente dopo che sia io che la mia partner avevamo raggiunto il culmine del piacere.
C'era un dettaglio che costituiva la prova incontestabile della sincerità del mio innamoramento, ed era una cosa in apparenza trascurabile: un piccolo, rapido bacio sulla bocca, istintivo, immediatamente dopo l'orgasmo.
Un'inezia, certo, ma era un istinto rivelatore: nel momento in cui si manifestava, mi rendevo conto che il motivo per cui ero lì insieme a quella donna non era solo il desiderio fisico del suo corpo, ma anche e soprattutto la gioia che derivava dalla pura e semplice compagnia di lei in quanto persona unica e irripetibile.
Se mi chiedessero che definizione dare dell'amore, nel senso più ampio del termine, risponderei che è quell'insieme di sentimenti per cui la presenza di una persona ci dà gioia e la sua assenza ci dà dolore.
Questa definizione comprende l'affetto e l'amicizia, ma si distingue dal "voler bene".
Al riguardo ha già detto tutto Catullo:
"quod amantem iniuria talis cogit amare magis, sed bene velle minus"
E' un concetto fondamentale. Se la persona che amiamo non ricambia il nostro sentimento, allora si manifesta un paradosso: la amiamo di più, ma le vogliamo meno bene.
Solo a pochi succede di far coincidere, per tutta la vita, l'amore e il voler bene.
Nel mio caso specifico posso dire che c'è sempre stata una consapevolezza della distinzione tra questi due concetti, dovuta al fatto che le donne che ho amato avevano tutte una colpa, anche se involontaria, e cioè mi avevano sottratto la libertà di non amare.
Ho sempre vissuto l'amore come una forma di dipendenza: se la donna che amavo era con me, stavo bene, se non era con me, stavo male. Tutto molto semplice e nel contempo terribile.
Questo mi rendeva una potenziale preda di donne che desiderassero esercitare su di me una forma di dominazione e che prosciugarmi di tutto, come farebbe un vampiro.
Tutti i pensieri stupendi di piacere e di dolcezza erano offuscati dalla paura di perdere la mia libertà e di diventare schiavo di una personalità dominante.
Era stato così per mio padre. Nel matrimonio dei miei genitori era mia madre la personalità dominante.
Se Sigmund Freud mi avesse conosciuto, avrebbe citato il mio caso come esempio di un complesso di Edipo irrisolto, ma con un esito diverso da quello da lui ipotizzato. Nel mio caso, infatti, la conseguenza era stata una singolare coazione a ripetere: le donne di cui mi innamoravo avevano gli occhi e la personalità di mia madre e della mia nonna materna.
Questo può essere sconcertante, ma è un meccanismo molto più comune di quel che si pensi.
Ricordatevi che tutti noi desideriamo soprattutto ciò che non possiamo avere.
Starring
Emmy Rossum - Virginia D.
Virginia D. Capitolo 17. La prima cosa bella...
...è il tuo sorriso giovane, sei tu.
In quei giorni mi veniva da canticchiare questa canzone che in genere associavo a mia madre, ma in quel momento la regina dei miei pensieri era Virginia e se pensavo al suo "sorriso giovane", non potevo fare a meno di cantare, anche se non ne ero capace...
La senti questa voce?
Alla fine trovai il coraggio di chiederle se voleva trascorrere il weekend con me.
Lei accettò e mi disse che sarebbe arrivata da me il sabato in tarda mattinata e sarebbe rimasta fino al lunedì.
Passai il tempo dell'attesa in preda alle fantasie, ma non dovete pensar male: erano ancora fantasie molto romantiche.
Immaginavo a come sarebbe stato bello uscire insieme la sera, in un posto elegante, in modo che lei potesse indossare un abito lungo e valorizzarlo col suo portamento e il suo stile.
Mi immaginai tutte le possibili varianti.
C'erano infinite combinazioni, ma Virginia riusciva sempre a trovare le migliori. Si poteva sempre fare affidamento sul suo buon gusto.
Poi naturalmente le mie fantasie si addentravano su come si sarebbe svolta la serata e quali sviluppi avrebbe preso la situazione.
L'immaginazione era una componente fondamentale della vita in generale e dell'amore in particolare.
Mi sentivo parte di un romanzo in cui lei era protagonista, ma non riuscivo ancora bene a intuire quello che sarebbe potuto essere il mio vero ruolo e quale sorte mi sarebbe spettata come personaggio.
Virginia D. Capitolo 16. I love shopping.
Per scoprire alcuni lati nascosti del carattere di una persona, in particolare di una donna, è necessario accompagnarla durante lo shopping.
Non c'è bisogno di chiedere niente, basta osservare in quali negozi si ferma, quali oggetti le piacciono o le interessano, come si rapporta col personale addetto alle vendite, cosa decide di comprare e a che prezzo, quanto tempo le occorre per prendere una decisione e altre simili questioni.
Da lì si capiscono i gusti, gli interessi, il modo di relazionarsi con le persone, la capacità di autocontrollo emotivo e le priorità valoriali e materiali.
Quando accompagnai Virginia a fare shopping per la prima volta, riuscii a dare una risposta a molti interrogativi sul suo conto.
Partimmo dalla zona universitaria, dove io abito. In quella zona, i primi negozi che si incontrano sono le librerie. Per me sono una tappa obbligata: nei megastore legati alle case editrici vedo le novità, le ultime uscite o ristampe, gli sconti promozionali e le occasioni, ma le librerie in cui trascorro più tempo sono quelle dei libri usati, dove spesso mi capita di trovare dei veri tesori a prezzo stracciato.
Constatai con piacere che Virginia condivideva la mia attrazione per le librerie, sia dei libri nuovi che di quelli usati.
Era interessata a tutti i generi di testo, con un atteggiamento di curiosità consapevole, tipica di chi ama la lettura e le dedica un tempo significativo ogni giorno.
Mostrò di essere preparata su quasi tutti i generi di narrativa, poesia e saggistica.
Le piacevano molto i romanzi gotici e aveva una attrazione particolare e insospettabile per il genere horror alla Stephen King. Questo era in strana sintonia con un dato molto importante che la riguardava, ma lei liquidò la questione con una battuta, dicendo che il genere horror le serviva per non spaventarsi quando alla mattina si guardava allo specchio.
<<Credevo che leggessi solo i classici>> le dissi.
<<Lo studio dei classici è il mio lavoro, ma nel tempo libero leggo di tutto. Non ho preclusioni, né pregiudizi. Però se un testo mi delude, lo stronco con una critica spietata>>
Avevo notato questa sua attitudine alla critica, sempre sottile e ironica, ma molto tagliente, e questo nel contempo mi attraeva e mi spaventava.
Mi attraeva perché l'ironia, soprattutto quella fine, è un indice di intelligenza, di stile e di consapevolezza della realtà. Mi spaventava, però, perché spesso le persone ironiche sono più brave a demolire che a costruire.
Rimasi positivamente impressionato dalla sua competenza e cultura: mi sapeva dare consigli su testi e autori che a volte non avevo mai sentito nominare.
Quando le chiesi come riusciva a conciliare le esigenze della lettura con quelle necessarie per mantenere una perfetta forma fisica, Virginia sentenziò:
<<C'è un tempo per tutte le cose. Il mio obiettivo è essere una persona completa. Mens sana in corpore sano>>
In quel momento mi sentii orgoglioso di essere il suo ragazzo, anche se temevo che una donna con tante qualità avrebbe attirato infiniti corteggiatori, tra cui sicuramente uomini migliori di me.
Quando arrivammo in piazza iniziò la parte più classica dello shopping, quella dei negozi del centro, tutti incentrati sulla cura dell'immagine. Anche in quel campo era del tutto preparata e competente.
<<L'occhio vuole la sua parte, ed è una parte importante>>
Concordavo in pieno.
Lei era capace di leggere persino mentre si faceva fare la manicure. Trovavo la cosa molto eccitante.
Aveva una ben precisa strategia di acquisto: guardava con attenzione, valutava molto attentamente, memorizzava i dati e poi, quasi sempre, non comprava niente, a meno che non si trattasse di una vera occasione. Sapeva dove trovare le stesse cose a prezzi dieci volte inferiori.
Questa capacità di rimandare la gratificazione era uno degli indici del suo forte autocontrollo.
Da quel che riuscii a intuire, non aveva molti soldi da spendere, anche se nessuno, vedendola così elegante, non ci avrebbe creduto. In realtà, se si conoscono le giuste strategie, è possibile vestirsi bene senza spendere molto.
Le regalai alcuni capi di abbigliamento che le piacevano e che desideravo vederle indosso.
Lei accettò i regali con gioia, anche se non si trattava di capi costosi.
<<Una donna che indossa le cose giuste>> le dissi <<per me è più attraente di una donna completamente nuda>>
La cosa non la stupì:
<<E' tipico di noi feticisti. Le persone che non conoscono alcun feticismo sono molto noiose>>
Quella frase mi illuminò:
<<Sono d'accordo e credo che il segreto per una salda unione di coppia sia il fatto di avere qualche feticismo in comune>>
Virginia sorrise:
<<Ecco il motivo per cui sono certa che saremo una coppia indissolubile>>
Ci conoscevamo solo da due settimane e non avevamo ancora avuto un rapporto completo, ma lei aveva già capito che con me poteva dare libero sfogo alle sue fantasie, soprattutto a quelle che ad altri sarebbero parse troppo eccentriche.
Starring
Emmy Rossum - Virginia D.
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