lunedì 14 aprile 2014

Virginia D. Capitolo 21. Foto di gruppo con signora.



Trovare informazioni su Virginia D. era quasi impossibile. Non era iscritta a nessun social network, almeno non col suo vero nome. Su tutto internet il suo cognome non compariva mai. In compenso compariva un cognome simile, con una sillaba in più. 
Lei era riservatissima. Non avrebbe rivelato nulla nemmeno sotto tortura. Inoltre la sua esperienza nelle arti marziali era un valido deterrente a non infastidirla con domande che potessero apparirle indiscrete.
Nel suo cellulare si poteva accedere solo con la password, così come nel suo portatile.
Insomma niente: niente di niente.
Come ritorsione, anche io avevo assunto un atteggiamento estremamente riservato, anche se in realtà non c'era poi gran che da conoscere o da raccontare sul conto della mia famiglia. Almeno così credevo.
In ogni caso, il silenzio di Virginia non riguardava solo i familiari, ma anche gli amici.
Pareva non averne, il che era un po' inquietante, ma non necessariamente un dramma.
Un giorno, però, notai, mentre lei stava riposando, che nella sua borsetta, lasciata stranamente semiaperta, c'erano delle foto, dove lei appariva insieme ad altre donne, di cui tre coetanee, all'incirca, e due più grandi.




Lei era vestita completamente di nero, ed appariva molto spenta, triste, diversissima da come l'avevo conosciuta. Pareva quasi voler prendere moralmente le distanze dalle altre donne de gruppo.
La donna di età più adulta, vestita in bianco, avrebbe potuto essere la madre di Virginia.
La ragazza vestita da scolaretta avrebbe potuto essere una sorella minore.
Poi c'era una signora in rosso, elegante, che poteva sembrare una sorella maggiore. E infine c'era due bionde che proprio non c'entravano niente. 
Non sembrava comunque una rimpatriata di famiglia.
In effetti avevano tutte un'aria un po' spaesata, o comunque strana.
Eppure dovevano essere amiche tra loro, perché si tenevano tutte abbracciate.


Il "total black" di Virginia pareva il correlativo oggettivo del suo umore. Nerissimo. L'unico tocco di colore era dato dal rossetto e dalla borsa, color corallo.
In una di queste foto, Virginia era da sola, sullo sfondo minimalista e vagamente "art deco" di un mobile in vetro ed infissi neri, con vasi e fotografie incorniciate. Non era un'abitazione, pareva più che altro la sala d'aspetto di uno studio dentistico.
Non avevo mai visto Virginia triste. Mi pareva impossibile che potesse esserlo. 


Forse più che triste era perplessa. In fondo la perplessità è un atteggiamento di grande valore, che denota intelligenza ed equilibrio e tiene lontano il fanatismo e le presunte certezze di qualsiasi "pensiero unico".
Io sono sempre stato perennemente perplesso e questo forse ha disorientato le persone con cui ho avuto a che fare, perché la perplessità rende imprevedibili le nostre decisioni e le eventuali prese di posizione.
Se non puoi sconfiggerli, confondili! 
Era un consiglio che mia nonna materna ripeteva spesso.
L'inaspettato è l'arma con cui ci si difende meglio.
Questo pensiero mi fece venire in mente che Virginia conosceva le arti marziali.
Perché aveva deciso di apprenderle? Si sentiva realmente in pericolo?
Prima o poi dovevo chiederglielo.
Guardai le altre due foto.
In una, lo stesso gruppo, si trovava in un luogo che poteva essere un cortile o una terrazza in quello che pareva un albergo.



A giudicare dal vestiario, la foto doveva essere stata scattata una sera dell'estate 2013.
La cosa stranissima era che in quella foto, come nelle altre, Virginia appariva più "vecchia" rispetto a quando io la conobbi, alcuni mesi dopo!
Oddio, forse quell'impressione derivava da una pessima scelta di look.
Il nero la incupiva, ma forse era l'eccesso di make up ad attribuirle un'aria molto "dark", troppo per i miei gusti. Era un outfit completamente sbagliato.



Quandoquidem bonus dormitat Homerus. Ogni tanto anche il valente Omero dormicchia.
Un outfit sbagliato poteva capitare persino a Virginia.
Ma in quelle foto era tutto ad essere "sbagliato". Rivelava un mondo di cui lei non mi aveva mai rivelato nulla.
Ma se aveva lasciato le foto lì, in bella mostra, una ragione doveva esserci.
Quando lei si svegliò, glielo chiesi:
<<Con chi eri in quelle foto?>>
<<La signora in bianco è mia zia Valeria D. e la signora in rosso è zia Vanessa D. , la sua sorella più giovane. La ragazza vestita da collegiale è mia cugina Vittoria D. , figlia di un altro fratello di mio padre. Le altre due ragazze erano delle compagne di classe di Vittoria>>
C'era un nuovo indizio:
<<Valeria, Vanessa, Vittoria, Virginia. Come mai tutti i nomi iniziano con la V?>>
<<E' una tradizione della famiglia D. >>
<<C'era un grande antenato con quell'iniziale?>>
Lei sorrise:
<<Chissà, forse>>
<<Ma tuo padre come si chiama?>>
<<Virgilio>>
Un'altra singolare coincidenza. L'Eneide ritornava sempre fuori.
<<E tuo nonno?>>
<<Vittorio>>
Era plausibile. Un nome in voga negli anni '30.
<<Quindi tutti con le iniziali V.D. >>
Lei annuì, sorridendo:
<<Sì è una cosa un po' strana, ma non è colpa mia. I nomi, come i genitori, uno non se li sceglie>>

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