"Si potrebbe anche morire felici, se si morisse davvero"
Questo era diventato uno dei pensieri e delle battute più frequenti dell'anziano giudice De Gubernatis, dopo che gli era stata diagnosticata una forma grave di sclerodermia sistemica progressiva.
Non temeva la morte.
A questo mondo ci sono innumerevoli cose estremamente peggiori della morte.
E allora cosa temeva?
Temeva forse le fiamme dell'Inferno o l'implacabile legge del Karma?
Difficile rispondere, dal momento che in lui lo scetticismo rimaneva prevalente.
Eppure, sentendo avvicinarsi la fine, se ne usciva con citazioni bibliche del tipo:
<<Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore!>>
Questi presagi inquietanti però non lo schiacciavano del tutto, poiché, se si escludevano alcuni episodi legati alla propria famiglia, riteneva di non avere colpe troppo gravi.
Certo, aveva fatto di tutto perché suo cognato Ettore Ricci fosse sempre scagionato non solo da ogni accusa, ma persino da ogni sospetto.
Per tutte le altre cause che aveva affrontato come Giudice, era sempre stato clemente, perché riteneva che, nella scelta tra giudicare e capire, il secondo punto fosse più importante.
Non sapremo mai se fu castigo o fu misericordia la sorte che gli toccò, dal momento che tutto ciò che accadde all'altra vittima della maledizione della strega Elvira, commissionata da Massimo Braghiri, fu molto peggio.
Ma di questo parleremo a suo tempo.
Guglielmo De Gubernatis si sentì male e fu ricoverato d'urgenza con una diagnosi di aderenze e blocco intestinale.
Si decise di operarlo, anche se il fisico era molto debole.
Prima di andare sotto i ferri, volle ribadire la sua frase più famosa, destinata a diventare proverbiale:
<<In fondo, si potrebbe anche morire felici... se si morisse davvero>>
La moglie Ginevra non capì e le figlie fecero finta di non capire.
I due generi, Massimo Braghiri e il poeta Adriano Trombatore, capirono benissimo, ma tacquero.
Guglielmo De Gubernatis morì sotto i ferri all'età di 81 anni, lasciando la famiglia nella costernazione più totale.
Le figlie Anna Trombatore ed Elisabetta Braghiri erano sconvolte, ma mai quanto la loro madre.
Ginevra Orsini, che si mise in lutto strettissimo.
I Monterovere l'andarono a trovare nella sua villa dei quartieri "bene" di Forlì.
Per tutto il tempo parlò del marito, tracciando di lui un ritratto agiografico, ben lontano dalla realtà.
<<Guglielmo era un marito fedele e un giudice integerrimo>>
Purtroppo, in verità, non era stato né l'uno né l'altro.
Forse gli altri potevano anche crederci, ma non la figlia di Ettore Ricci.
E tuttavia Silvia Monterovere mantenne con la zia Ginevra un atteggiamento di sincera commozione, perché il Giudice era stato sempre e comunque un vero amico per Ettore e la sua famiglia.
Forse era stato persino un buon padre per i suoi figli e questo era bastato a Ginevra per assolverlo da tutte le altre colpe.
O forse Ginevra aveva deliberatamente scelto di non vedere e di non sapere, anche perché chi non vuol lasciare tracce, non deve confessare neanche a se stesso eventuali scomode verità.
In compenso, Ginevra Orsini, vedova De Gubernatis, si diede ancor di più alle sue passioni: il pettegolezzo e i giochi a carte, specie a canasta, con le amiche attempate, vedove e arzille.
Una volta, durante una scala quaranta, raccontò alle comari di aver fatto un incubo terribile:
<<Ho sognato che Guglielmo era ancora vivo. E' stata una cosa spaventosa!>>
Da allora in poi la sua fama di vedova allegra si sparse ovunque, facendo scuotere il capo persino alla sua veneranda madre, Emilia Paolucci de' Calboli, vedova Orsini e Contessa Madre di Casemurate.
La stessa sorella maggiore, Diana, confidò al nipote preferito, Roberto, che Ginevra era sempre stata "una testa vuota" e forse De Gubernatis era stato infedele anche per questo.
Eppure, nell'avvicinarsi del trapasso, giunto ormai all'ultimo atto, quello de "l'ora è fuggita", si era pentito di quelle avventure.
E sicuramente si era anche pentito di aver insabbiato tante indagini, negando giustizia a Isabella Orsini, ad Arturo Orsini e a Federico Traversari.
Troppo tardi.
Ai funerali il vescovo tenne un'omelia terrificante;
<<Guglielmo De Gubernatis era un servitore dello Stato e un illustre esponente della Magistratura.
Ed ora io mi rivolgo allo Stato, mi rivolgo alla Magistratura!
Io vi chiedo di identificare e di castigare esemplarmente tutti i pubblici ufficiali che abusano del loro potere, affinché essi non rimangano sempre impuniti. E ancor di più i loro mandanti, i loro corruttori, coloro che li hanno traviati dalla retta via>>
L'uditorio era sconvolto: il vescovo era considerato un uomo prudente, e nessuno avrebbe mai immaginato una simile invettiva.
<<L'opinione pubblica attende sempre che giustizia sia fatta e che non si possa nutrire il minimo dubbio sulla volontà efficace di giungere alla scoperta e alla dimostrazione della verità dei fatti>>
Ma il passaggio più drammaticamente efficace fu la perorazione finale, con tanto di apostrofe, invocazione e anafora:
<<Guarda, Signore, e fissa lo sguardo perché sto diventando spregevole agli occhi di Chi mi contempla!
Guarda, Signore, e fissa lo sguardo perché sto diventando spregevole agli occhi di Chi mi contempla!>>
Seguì un silenzio anomalo persino per un funerale.
Se De Gubernatis si fosse alzato dalla bara avrebbe suscitato meno scalpore.
Le allusioni del vescovo sconvolsero più di tutti Ettore Ricci, perché capì di esserne il destinatario.
Questo aumentò le sue già forti inquietudini.
Le morti di Guglielmo De Gubernatis e della Signorina De Toschi, così come la caduta politica del Senatore Leandri, lo avevano colpito profondamente, non tanto perché erano suoi parenti acquisiti, quanto piuttosto perché loro gli avevano sempre coperto le spalle ed adesso che non c'erano più, Ettore sapeva che le suddette spalle erano ormai pericolosamente indifese.
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