venerdì 6 dicembre 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 34. Presagi di tempesta

Tutte le volte che Ettore Ricci si aggirava intorno ad Anastasia Traversari, ormai fidanzata ufficialmente con Arturo Orsini, non riusciva a trattenersi dal fischiettare il motivo di qualche canzone d'amore, e addirittura dal canticchiare espressamente le parole di tali canzoni.
Era più forte di lui, e piuttosto compatibile con la sua indole istrionica e il suo debole per le belle donne.
All'inizio la cosa era sembrata talmente ridicola da non poter essere presa sul serio.
Era il 1951, e dopo tanti anni dal suo matrimonio con Diana Orsini, ancora i parenti di sua moglie continuavano a ridere di lui.
La loro ostinazione era snervante, anche se prevedibile.
<<Non imparano mai>> disse Ettore, sospirando, a sua sorella Adriana <<non hanno ancora capito con chi hanno a che fare>>
Adriana Ricci, la cui bocca "a culo di gallina" impediva di capire quali fossero i suoi reali stati d'animo, ammesso che ne avesse, rispose:
<<Meglio così. Meglio che abbassino la guardia. Ma fa' attenzione a Diana. E' pazza, ma non è stupida>>
Ettore scrollò le spalle:
<<Diana non esce dalla sua stanza ormai da un anno e per il momento è meglio così. 
Mi occuperò di lei dopo aver risolto le questioni in sospeso con Arturo e Anastasia>>
Adriana sapeva che i rischi erano alti:
<<Li vuoi ridurre sul lastrico? Con quali mezzi? Sei sicuro che il giudice De Gubernatis insabbierebbe tutto un'altra volta, se ce ne fosse bisogno?>>
Lui inarcò le sopracciglia cespugliose:
<<Nel caso della morte di Isabella non c'era nulla da insabbiare: non sono stato io, anche se fatico ancora a credere che Mueller fosse il colpevole. Non era nel suo stile. Se proprio voleva far fuori Isabella, le avrebbe sparato in fronte, davanti a tutti, prima della ritirata.
Ma non importa, ormai tutto questo appartiene al passato.
Per il presente io non ho preoccupazioni: tutti i miei cognati dipendono da me e se io dovessi affondare, il giudice De Gubernatis, il senatore Baroni, l'ispettore Tartaglia, il conte Gagni di Montescudo, tutti loro affonderebbero con me. Il nostro è un patto di sangue, il cosiddetto "patto infrangibile". Non avrebbero altra scelta che collaborare, come hanno sempre fatto>>
E così l'atteggiamento di Ettore verso Angelica divenne sempre più imbarazzante.
Un giorno Arturo affrontò Ettore di persona:
<<Se non smetti di fare il cascamorto con la mia fidanzata, giuro che te la farò pagare!>>
Ettore parve cadere dalle nuvole:
<<Oh, avanti, Arturo! Cosa sarà mai se io fischietto e canticchio qualcosa?
Se avessi in mente chissà quali piani, me ne starei zitto... 
So bene che Anastasia mi disprezza, così come del resto anche mia moglie e in generale tutti voi Orsini, voi nobili, che con l'arroganza dei privilegiati vi fate chiamare "il gran mondo", l'elite, la crème, "l'alta socieà"... ma io non mi offendo, siamo ormai una sola famiglia, il clan Ricci-Orsini, e tu potresti diventare il mio braccio destro, se solo ti impegnassi un po' di più in ufficio. Io ti tendo la mano: lavoriamo insieme, la nostra fortuna economica è in crescita.
Non roviniamo tutto per queste piccinerie!>>
Arturo scosse il capo:
<<Io non ti credo. Non riesco a capire a che gioco stai giocando, ma se oserai anche soltanto sfiorare Anastasia, io e tutti gli Orsini prenderemo apertamente le distanze da te, le porte dell'alta società torneranno ad esserti sbattute in faccia>>
Era una frase terribilmente snob, e forse furono proprio le frasi di questo tipo quelle che portarono ai tragici eventi che stavano per abbattersi sulla stirpe degli Orsini.
Ettore sorrise, ma era un sorriso terribile a vedersi:
<<Tu credi di essere furbo, Arturo! Ma pur con le tue sottigliezze non hai discernimento. 
Credi che gli occhi della famiglia Ricci siano ciechi? Io ho visto più di quanto tu sappia: con la mano sinistra mi useresti come fonte di guadagno e con la destra cercheresti di soppiantarmi! 
So chi cospira con te... ah sì... è giunta voce alle mie orecchie di quello che tu e Federico Traversari avete in mente! Lui è ricco, certo, ma non quanto me, e ha molti meno agganci nelle istituzioni. 
E tu, tu che cosa sei, se non l'ultimo discendente di una cenciosa casata da lungo orbata di signoria e comando?>>
Arturo Orsini, erede dei Conti di Casemurate, si sentì avvampare:
<<Hai imparato a parlare con linguaggio forbito, Ettore, ma resti pur sempre un villano rifatto!>> e se ne andò sbattendo la porta.
L'aria era così grave e densa, nei corridoi di Villa Orsini, che sembrava potersi tagliare con un coltello.
La governante, Ida Braghiri, che aveva ascoltato di nascosto tutta la conversazione, la riferì al marito Michele:
<<E' il momento di agire, Michele. Il clima è come quello dell'ultima notte di Isabella, prima che tu la imbavagliassi e le tagliassi le vene>>
Michele mise l'indice sopra le labbra:
<<Non dire mai più queste parole. La colpa allora fu affibbiata al tenente Mueller, ma questa volta tutti dovranno credere che sia stato Ettore. Lui la farà franca, ma avrà ancora bisogno di me, per tenere in piedi la baracca.
Tutto procede come avevo previsto. Gli Orsini e i Ricci si distruggeranno a vicenda, e allora sarà il nostro momento>>
Ida si sentì percorrere da un brivido di emozione:
<<Ma non siamo ancora abbastanza ricchi per aspirare al controllo del Feudo!>>
Michele le lanciò uno sguardo complice:
<<La più grande ricchezza sono le informazioni riservate. Se si è in grado di ricattare una persona ricca e potente, allora è come se si fosse più ricchi e potenti di quella persona, e della sua famiglia. Il tramonto degli Orsini è vicino. E i Ricci saranno ricattabili.
Molto presto tutto sarà compiuto, e noi diventeremo i padroni!>>

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