Un altro assiduo frequentatore di Villa Ozzani era il notaio
Giuseppe Papisco.
Nato a Catanzaro nel 1916, si era laureato in Giurisprudenza
all’Università di Bologna nel 1939. L’iscrizione ai Guf, Giovani
Universitari Fascisti, (in seguito disse che era in realtà un infiltrato del
partito socialista) unito alla sua buona cultura classica fecero sì che la sua tesi sul “Diritto d’enfiteusi nella Roma di Silla” fosse molto apprezzata non solo negli ambienti accademici, ma anche presso il partito fascista.
Evitò la leva obbligatoria, e quindi la guerra, a causa di una misteriosa allergia ai pollini.
Queste
credenziali gli permisero di vincere un dottorato in Istituzioni di Diritto Romano e di
conseguire anche l’Avvocatura.
Nel 1942 entrò a far parte,
grazie a una segnalazione di un “barone” universitario, di cui era divenuto
fedele seguace, del prestigioso studio legale Frassineti-Petrello-Raffaroni,
che assisteva in quel periodo gli interessi della famiglia Ozzani di Fossalta
in una controversia con la famiglia Ghepardi riguardo ai costi di
ristrutturazione di un palazzo in Via Belle Arti, a Bologna, che questi ultimi
avevano venduti ai Conti Ozzani una ventina d’anni prima.
La causa si era protratta per le lunghe sia per i tempi della giustizia italiana, che per le vicende della guerra.
Il processo si stava inoltre pericolosamente avvitando su se
stesso, considerato che la signora Cordelia Ghepardi aveva fatto causa pure
alla Ditta appaltatrice del restauro, all’architetto che aveva presieduto i
lavori, al notaio che aveva controfirmato la compravendita, all’agente mediatore
del contratto di compravendita, al portiere del palazzo per diffamazione, al
giardiniere per cause sconosciute, e persino a una famiglia di inquilini che
abitavano da generazioni in una specie di sottoscala del palazzo.
Poiché si trattava dunque di una “gatta da pelare” che in
studio nessuno voleva, la causa fu affidata al giovane Giuseppe Papisco, che
così divenne legale della famiglia Ozzani.
In verità come avvocato non si distinse mai gran che, ma in
compenso ebbe un insperato successo come seduttore: il suo fascino latino e la
sua figura azzimata, con tanto di baffetti e brillantina, come usava all’epoca,
conquistarono una delle sorelle, del Conte Umberto, Margherita Ozzani.
I due si fidanzarono nel 1943, l’anno stesso in cui Papisco
vinse il concorso da Notaio (si narra che anche in questo concorso determinante
fosse stata la presenza in alta uniforme e decorazioni del generale De Toschi,
zio di Margherita e padre della famosa signorina Carlotta, La Grand Mademoiselle).
Dal matrimonio del notaio Papisco con Margherita Ozzani di
Fossalta, celebrato nel maggio del ‘43, nacquero tre figli: Piergiuseppe, Goffredo e Benedetta.
Nonostante la guerra, per alcuni anni la famiglia Papisco visse
felicemente e fu un modello per l’alta società ferrarese: il notaio guadagnava
denari a palate grazie ai clienti che il Conte Ozzani e la signorina De Toschi
gli raccomandavano, mentre la signora Margherita sfornava un figlio dietro
l’altro e li affidava alle cure della balia.
Durante la Repubblica Sociale di Salò, Papisco mantenne una
posizione defilata, occupandosi di studi di diritto societario, in cui
abilmente sostenne l’ipotesi di nazionalizzazione delle grandi industrie, che
poteva piacere sia al fascismo repubblichino, sia al socialismo, al comunismo e
al cattolicesimo-sociale. Comunque fosse finita la guerra egli sarebbe “caduto
in piedi”.
Questi studi giovarono anche alla sua carriera accademica, tanto che ottenne la
cattedra universitaria di Professore Associato di Diritto Commerciale.
Quando però si accorse che, politicamente, il vento stava cambiando, decise che era giunto il momento di una "profonda revisione interiore etico-valoriale" che lo portò ad aderire molto opportunamente e con una perfetta tempistica alla Dc,
nella corrente Dossetti-Fanfani.
I suoi articoli sulle "Cronache sociali" risultarono molto apprezzati, sia in ambito accademico che in ambito politico, tanto che durante l'era del centrismo degasperiano fu eletto nel Consiglio Comunale di Ferrara.
Passati i quarantacinque anni, il
notaio Papisco si poteva considerare un uomo di successo sotto ogni punto di
vista.
Era il 1953 quando scoppiò lo scandalo destinato a segnare
profondamente la vita non solo del notaio Papisco, quanto di tutta la famiglia
Ozzani di Fossalta.
Il notaio infatti si innamorò perdutamente della sua bella e
sveglia segretaria, tale Serena Sarpi, che lo aveva conquistato a tal punto da convincerlo
di punto in bianco a lasciare moglie e figli per andare a convivere con lei.
Ma
ebbe a pentirsi quasi subito di quella “fuga d’amore” e ne
pagò le tragiche conseguenze per il resto dei suoi giorni.
La famiglia dei conti Ozzani di Fossalta si schierò compatta contro di lui e gli
fece perdere moltissimi clienti. I suoi colleghi universitari lo isolarono,
biasimandone il comportamento (teniamo presente che erano gli Anni Cinquanta!).
L’alta società gli voltò le spalle. Famoso fu l’ “anatema” che la signorina De
Toschi pronunciò contro di lui: «Ha tradito non solo la fiducia di sua moglie,
ma anche quella del mi’ babbo!»
A nulla valsero i suoi disperati tentativi di tornare dalla
moglie: la signora Margherita era ritornata a Villa Ozzani e non voleva più
vederlo.
L’amante poi lo teneva in pugno: come segretaria del suo studio
notarile era a conoscenza dei segreti di mezza città e non si sarebbe fatta
scrupolo a lasciarli trapelare, qualora il notaio la lasciasse. Sotto un simile
ricatto, e considerando che Serena Sarpi era nel contempo una donna attraente e
un’abile amministratrice finanziaria, Giuseppe Papisco si affidò anima e corpo a costei, che da
quel momento decise di ogni più piccolo dettaglio della sua vita.
Non si potevano sposare, dal momento che all'epoca, in Italia, non esisteva una legge sul divorzio, ma ciò non impedì alla coppia di convivere more uxorio ed avere un figlio, Bramante, destinato a diventare un protagonista di primo piano nella vita dell'alta società ferrarese.
Ma poiché le vie del Signore sono infinite, il notaio riuscì a rientrare "dalla finestra" in quell'alta società che lo aveva cacciato "dalla porta" di casa, o meglio dal portone della Villa Ozzani di Fossalta.
Volle il caso, infatti, che il notaio Papisco fosse paziente del
dottor Guglielmo Federici, il padre di Giulia (amica di Virginia Ozzani di Fossalta), e medico di famiglia dell’alta società
ferrarese.
Fra i due era nata una cordiale amicizia e
poiché il dottor Federici non era uomo da voltare le spalle alle persone care nei
momenti di disgrazia, la loro amicizia si cementò a tal punto che la presenza
della signorina Sarpi venne ammessa in casa Federici.
Tutto ciò accadeva mentre Giulia Federici diveniva amica troppo intima di Alessio Ozzani di Fossalta, gemello di Virginia e nipote di Margherita, l'ex signora Papisco.
Questa imbarazzante posizione di
amica delle famiglie dei due separati coniugi Papisco avrebbe potuto determinare la caduta in disgrazia di Giulia presso i suoi aristocratici amici, ma incredibilmente accadde il contrario.
Giulia infatti venne considerata come il veicolo
principale di informazione dettagliata e di prima mano da parte di entrambi i
coniugi Papisco, l’uno nei confronti dell’altra.
La signora Margherita Ozzani ex
Papisco aveva addirittura espresso il vivo desiderio che “quella cara ragazza”
(Giulia) fosse ospite gradita a Villa Ozzani, ove del resto già la destinavano le
buone parole della signorina Carlotta De Toschi, sua insegnante di ripetizione per
latino e greco, e le ottime conoscenze del dottor Federici nel “gran mondo”. Questo
fu uno dei tanti motivi, in apparenza del tutto casuali, che contribuirono a
legare indissolubilmente la sorte di Giulia a quella degli Ozzani di Fossalta.
Nel frattempo il notaio Papisco si era convertito al Centro-Sinistra, proprio nel momento in cui, col primo governo di Aldo Moro, nel 1962, l'alleanza tra la DC e il PSI inaugurava la sua lunghissima stagione di potere.
Questo gli valse l'elezione a senatore della Repubblica.
Col passare dei decenni, seguendo il corso della politica italiana, il senatore Giuseppe Papisco divenne Sottosegretario nei governi di Solidarietà Nazionale, basati sul Compromesso Storico tra la DC e il PCI.
E così, l'uomo che in gioventù era stato fascista e nella maturità era divenuto un democristiano guardato con simpatia dai socialisti, divenne un politico apprezzato anche all'interno del potentissimo Partito Comunista, che a Ferrara deteneva il potere assoluto.
Dopo avere politicamente avversato la legge sul divorzio, nel 1975 fu uno dei primi a divorziare e poté finalmente sposare Serena Sarpi, anche se da quel matrimonio non sarebbe venuto fuori nulla di buono, come vedremo in seguito.
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