martedì 1 luglio 2025

Una con tutte stelle nella vita. Capitolo 4. Il vero mentitore non dice bugie, ma solo mezze verità



La prima volta in cui Vittoria Prinsivalli ed io studiammo insieme fu interessante, ma non per quel che accadde, bensì per quello che capimmo l'uno dell'altra.
Per un po' di tempo rimanemmo concentrati sullo studio per il famoso esame di storia dell'arte contemporanea e, come avevo immaginato, questo ripasso delle lezioni e riassunto del libro si svolse più che altro sotto forma di domande e dubbi da parte di lei e di risposte e chiarimenti da parte mia, non perché io fossi più intelligente, ma perché ero di sicuro più studioso.
Vittoria aveva mille impegni e gli esami universitari erano molto in basso nel suo ordine di priorità.
Una prima divergenza di gusti tra noi emerse quando io mostrai di preferire l'arte dell'Ottocento a quella del Novecento e, all'interno dell'arte ottocentesca, quella inglese dei Preraffaelliti e dell'architettura del Neogotico vittoriano. 
Lei invece, pur chiamandosi Vittoria come la regina durante il cui regno fiorirono l'arte e la letteratura che a me tanto piacevano, preferiva il Novecento e le avanguardie, e questo non mi stupì, essendo lei così ben inserita nel presente, mentre io vagheggiavo la bellezza di un passato che forse era stato meno bello, nobile e cavalleresco di quanto io m'immaginassi.
Da questa divergenza di gusti nacque però un dialogo in cui riuscimmo comunque a trovare, tra le schermaglie, un'intesa che fu, prima di tutto, "spirituale".
Il momento esatto in cui suscitai per la prima volta la sua sincera attenzione fu quando risposi a una domanda che lei mi rivolse:<
<<Da dove derivano i tuoi gusti così particolari?>>
Io risposi, come sempre, con una mezza verità (che era dunque anche una mezza menzogna):
<<Sono cresciuto nella villa di campagna di una mia bisnonna contessa alcolizzata>>
Vittoria rise e disse:
<<Questo spiega molte cose>>, ma nei suoi occhi io lessi interesse e persino ammirazione.
L'aristocrazia dello spirito può trionfare su quella del denaro e persino su quella della bellezza, quando quelle altre doti sono accompagnate da un carattere noioso o prevaricatore.
Io ho sempre cercato di avere una battuta o una citazione pronta per ogni circostanza, anche se ho evitato di abusare di questa capacità.
In ogni caso, da quel momento il nostro colloquio prese il volo e lei incominciò a farmi qualche domanda, aspettandosi risposte non banali.
<<Cose buone o cose cattive?>> chiesi io.
E lei:
<<Cose originali. Se la tua bisnonna era una contessa, sei anche tu un nobile?>>
In realtà la mia bisnonna era chiamata "la Contessa" perché era una donna molto elegante ed aveva sposato un uomo ancor più elegante, che per primo aveva avuto l'appellativo di "Conte" pur non essendolo. Ma come sempre io risposi con una mezza verità:
<<Be', ho solo un quarto di nobiltà, nel senso che la bisnonna Emilia Orsini e suo marito Attilio Balducci erano nobili, i Conti di Casemurate, e la loro figlia ed erede, Diana Orsini-Balducci, era la mia nonna materna, che però sposò un borghese, un proprietario terriero>>
Mio nonno Ettore Ricci era un contadino arricchito che si era impadronito delle terre degli Orsini-Balducci prima prestando soldi ai futuri suoceri, che spendevano molto e non lavorano per niente, e poi, quando si trattò di riscuotere capitale e interessi fece valere le ipoteche sulle terre e sulla Villa Orsini, e i miei bisnonni poterono rimanere in quella casa soltanto a patto di far sposare la loro figlia, mia nonna Diana, col suddetto Ettore.
<<Quindi tuo nonno era un latifondista?>>
E io proseguii con le mie mezze verità:
<<Sì, certo, si chiamava Ettore Ricci e il suo matrimonio con mia nonna materna Diana Orsini-Balducci di Casemurate fu un evento memorabile>>
Vittoria era affascinata:
<<Ma quindi tua nonna Diana era una contessa?>>
Anche qui si imponeva una mezza verità:
<<La chiamavano contessa, ma era solo la figlia di un conte. Il titolo passò a suo fratello>>
Lei non parve troppo delusa:
<<Be', avendo sposato un uomo ricco, era lei la vera contessa, anche se non formalmente. E dalla parte di tuo padre quali sono le tue origini?>>
Io continuai imperterrito con le mezze verità:
<<Mio padre è insegnante al Liceo Scientifico da trent'anni, è molto stimato e suo padre possedeva una quota dell'azienda di marmi Fratelli Monterovere, che mio padre ha ereditato>>
In realtà mio padre aveva lasciato la sua quota a sua sorella, che aveva gravi difficoltà economiche.
Vittoria era impressionata:
<<Monterovere è un bellissimo cognome, da dove deriva?>>
Io proseguii imperterrito con le mezze verità e le mezze menzogne:
<<I miei antenati in linea maschile discendevano da un figlio bastardo di Raimondo Montecuccoli, Conte di Querciagrossa e Feldmaresciallo del Sacro Romano Impero. Il conte Montecuccoli riconobbe questo figlio, Domenico, e gli diede il cognome Monterovere, che assomigliava al suo. Ma in questo caso non si può parlare di vera nobiltà, perché la madre del mio antenato, l'amante giovanile di Raimondo, era una donna di umili origini>>
Questo mio apparente sminuire l'origine dei Monterovere rendeva più credibile un racconto della cui verità non esistevano prove, ma Vittoria non lo sapeva e non l'avrebbe mai saputo:
<<Quindi hai sangue blu anche da parte di padre. E poi tuo padre è un aristocratico dello spirito e tuo nonno era un esponente dell'alta borghesia, per cui hai un ottimo pedigree>>
Io mi schermii:
<<Ah, ma io non do importanza a queste cose. Non mi vanto nemmeno delle cose cose che mi merito, figuriamoci se mi vantassi di quelle che ho avuto in sorte senza merito alcuno>>
Vittoria a quel punto si sentì in dovere di mostrare anche lei un pensiero meritocratico:
<<Ma certo, è giusto. La fortuna non è un merito. Tu non puoi immaginare quanto io sia stata oggetto di invidie e dispetti per aver avuto la fortuna di nascere, perdona la schiettezza, bella e ricca e nobile>>




Io la guardavo, mentre diceva queste cose, e ascoltavo la sua voce flautata, e mi perdevo nell'osservare la sua bellezza e il suo stile da donna emancipata, che si vestiva sempre come businesswoman, con abito giacca e pantaloni, camicia bianca e una cravatta spessa e ampia, di seta (una scelta volontariamente contraria alla perniciosa moda delle skinny ties, imbarazzanti già nei teen ager e improponibili oltre i diciotto anni), con un nodo Double Windsor, che io le avevo insegnato la settimana precedente, poiché anch'io avevo iniziato a vestirmi come lei, a lezione, tanto che ci chiamavano: "Il Re e la Regina", i più benevoli, mentre gli altri ci deridevano con epiteti del tipo: "I due bancari precari".
Quando poi si era venuto a sapere, nella nostra classe di storia dell'arte contemporanea e nell'intera facoltà di Lettere, che Vittoria era una promettente influencer di moda e un astro nascente, in molti avevano incominciato a corteggiarla, ma lei si trincerava dietro al suo ufficiale fidanzamento (che purtroppo non era con me, per quanto il tipo "quadrato" stesse facendo molti autogol), mentre le ragazze la punzecchiavano con battute al vetriolo.
Lei sorrideva agli uni e alle altre e mi diceva:
<<Nei momenti difficili mi impongo questa regola: sorridi e vai avanti, a qualsiasi costo, e non dare soddisfazione a nemici e detrattori>>
Io ne sarei stato capace, ma annuii e rilanciai:
<<Facciamo la gara dei mantra dei combattenti. Parto io: non conta quante volte cadi, ma quante volte ti rialzi>>
E lei, a sua volta, rilanciò:
<<L'importante non è vincere ma rimanere in gioco>>
E io, con un pizzico di umorismo, che non guasta mai:
<<Forse io non potrò più vincere, ma voi potete ancora perdere>>
E lei, puntando su un approccio più filosofico/psicologico:
<<Il pericolo maggiore deriva dal non sapersi accontentare>>
Ero meravigliato dalla saggezza di Vittoria (che, da ragazza privilegiata quale era, non mi dava certo l'idea di chi si sa accontentare) e dal modo in cui riusciva a tenermi testa:
<<Cercate di prendere il meglio dal peggio che la vita vi butterà addosso>>
E da quel momento sconfinammo nel pessimismo cosmico con un'ombra di cinismo:
Io: <<Conoscendo la vita e la gente, credo che il terrore perpetuo sia una risposta razionale>>
E Vittoria, con un fendente improvviso e quasi letale:
<<Di te diranno: "Voleva conquistare il mondo rimanendo seduto">>
Io risi e ribattei:
<<Il mio tempo potrà anche essere perduto, ma non è stato sprecato>>
Era una critica implicita alle frivolezze di lei, la quale ribatté:
<<Puoi dire di me quel che vuoi: in fondo nemmeno i re sono padroni di quello che la Storia racconterà di loro>>
E io:
<<Sulla moda. Chi segue gli altri non arriverà mai per primo>>
E lei:
<<Sul tuo monolocale. Prima di varcare la porta ho pensato: Creati una via di fuga, prima di entrare!">>
Io risi e ribattei:
<<E' quello che pensi o è quello che vogliono farti pensare?>>
E lei:
<<Le persone esistono per deluderti>>
E io: 
<<E' per questo che stai fuggendo? Perché non sai più chi è il cattivo?>>
Ci avvicinavamo alle questioni personali:
Vittoria mi guardò negli occhi e disse:
<<Pensi di essere l'eccezione, vero? E invece diventerai come uno di loro!>>
E io:
<<Quando punti l'indice contro qualcuno, ricorda che tre dita della tua mano restano puntante contro di te>>
E lei:
<<E se puntassi il medio contro di te?>>
Io risi e ribattei:
<<La bellezza è certamente un grande dono, ma non c'è niente di più patetico delle persone belle quando invecchiano e si ritrovano disarmate. A quel punto si può dire a loro: benvenute nella vita reale>>
Questa frase, che io dissi scherzosamente, provocò in Vittoria un'improvvisa insicurezza:
<<E' un colpo basso, da parte tua. La capacità di parlare non fa di te un essere intelligente>>
Era solo una battuta, ma sentivo che lei già temeva le mie parole, e allora dovetti mitigarle e usarle come in poesia:
<<Farò ammenda tramite una confessione. Delle persone come me si dice che "vivono poco per non morire molto", intendendo che "non si lasciano coinvolgere troppo per evitare di essere feriti". E' forse un male?>>
E lei:
<<Non c'è mezzo per eludere la vita. Ovunque vai, lei ti rincorre, ti perseguita, ti trova sempre... e ti fa innamorare, sconvolgendo i privilegi della solitudine che avevi duramente conquistato>>
Io rimasi sorpreso dalla sua capacità di comprendermi:
<<E' come se tu mi leggessi nel pensiero. Ci frequentiamo da poco eppure sembra che ci conosciamo da sempre>>
E lei:
<<C'è una storia nei tuoi occhi. Una storia di lacrime, fatica, sudore e sangue. Una storia di tradimenti subiti e di cuori infranti. Dimmi se mi sbaglio>>
Io non seppi mai come fece a capirlo, ma dovetti ammettere la verità:
<<E' così. Non lo nego. Ma ho superato la prova del dolore>>
Vittoria annuì:
<<Ed è questo che ti rende un uomo. Un uomo vero. Un vero uomo>>






Come il silenzio, 
noi scenderemo ognuno
per le proprie scale,
non penseremo più
al tuo bene ed al mio male,
senza guardare in giù,
e tutto il resto vada poi
come gli pare.
Come il deserto,
che avanza dentro me
veloce come il suono,
la nostra storia brucerà
un'ultima volta
e finalmente poi sarà
soltanto fumo.
Che ne faremo 
di questa farsa
che si ferma e poi riparte,
di questa vita
che non nasce e che non muore?
Dal grande fiume
svogliatamente
ci faremo trascinare
dalla sorgente alla foce, 
fino al mare, 
dalla corrente alla deriva
e non nuotare.
Dentro l'abisso,
che si spalanca sotto noi
come una fauce,
potremo infine
dolcemente sprofondare
e tutto il male 
ora e per sempre svanirà, 
svanirà, 
svanirà.
































sabato 14 giugno 2025

Una con tutte stelle nella vita. Capitolo 3. In amore vince chi...



Dal giorno in cui Vittoria aveva incominciato a frequentare, come mia compagna di banco e di studi, il corso di storia dell'arte contemporanea, la mia vita era cambiata radicalmente.
Ogni lezione era come un "appuntamento", anche se io continuavo a non farmi illusioni immotivate e a mantenere un certo distacco, perché in fondo il mio ruolo era solo quello di un follower divenuto per caso conoscente utile, dal punto di vista di lei, come "tutor" da sfruttare per riuscire a passare l'esame con un buon voto senza faticare troppo. 
Però sarebbe riduttivo vedere le cose soltanto da quel punto di vista, perché Vittoria mostrava di gradire la mia compagnia, come amico s'intende, e mi trovava divertente, ed io a mia volta, apprezzavo il suo senso dell'umorismo e la sua allegria contagiosa, che tutto sommato smorzava la punta di malinconia che sentivo ogni volta che pensavo che quella meravigliosa ed ironica ragazza stava insieme ad un altro ed io non avevo speranze dal punto di vista sentimentale.

Dopo circa due settimane dal nostro primo colloquio, lei mi chiese se quel pomeriggio fossi libero per studiare con lei, cosa che in realtà significava farle lezione o "ripetizione" gratis.
L'idea di trascorrere un pomeriggio con lei, anche solo per studiare, mi emozionava e mi allettava, ma sapevo che alla fine avrebbe solo aumentato la mia sofferenza per il fatto che lei amava un altro e io mi sentivo una nullità in confronto a quell'altro.

Mi chiedevo quanto potesse essere grande l'autostima di un giovane uomo che si fosse guadagnato l'amore di una ragazza come lei, Vittoria Elena Lucrezia Prinsivalli.







Io non sapevo quasi niente del suo ragazzo e non ero ancora in grado di capire bene quali fossero le qualità che gli avevano permesso di conquistare l'amore di Vittoria.
Sapevo solo che lui si chiamava Michele e che lei lo chiamava Micky. Studiava ingegneria al Politecnico di Milano. Era alto e giocava anche a basket. Era un tipo sicuro di sé, forse un po' troppo. Per il resto c'erano stati solo alcuni accenni, su di lui, ma le informazioni che ne avevo ricavato erano comunque poche e contrastanti dal momento che Vittoria alcuni giorni sembrava arrabbiata con lui, mentre altri giorni mostrava un'adorazione sconfinata nei suoi confronti.

Una cosa era certa: stavano attraversando un momento di crisi perché lei aveva cancellato da Instagram e Tik Tok alcuni post che li ritraevano insieme in momenti molto romantici, in particolare uno che doveva aver richiesto molta tecnica per essere realizzato. Mai mi sarei aspettato una sua cancellazione. E poi lei aveva tolto anche la frase, che persino a me era parsa una vanteria, in cui diceva di sembrare più giovane della sua età.

<<Molto volentieri! Mi fa piacere l'idea di studiare insieme a te. Prima però dobbiamo mangiare qualcosa in un bar, io non cucino e spesso mi prendo anche una pizza al taglio, con una coca, ma non so i tuoi gusti, quindi dimmi tu...>>
Lei annuì:
<<Una pizza al taglio va benissimo, con una coca light. E spero di non sembrarti troppo sfacciata a chiederti se possiamo studiare da te, visto che so che disponi di un monolocale qui vicino>>
In effetti era vero: avevo potuto acquistare quel monolocale grazie all'eredità che mi aveva lasciato la mia adorata nonna materna.
<<Ma certo, è proprio qui a due passi. Ho anche un cortiletto interno, minuscolo, ma è comunque meglio di niente. Ho solo due domande. Ti fidi ad andare a casa di uno sconosciuto? E... come hai fatto a sapere del mio monolocale?>>
Lei rise:
<<Sono un'esperta di arti marziali, tra le altre cose. E riguardo alla seconda domanda: i tuoi due compari, Fabio e Nicola, approfittano di ogni opportunità per tessere le tue lodi e per mettere in risalto le tue qualità anche... come dire... materiali. Da dove deriva tutta questa loro adorazione per te?>>
Io risi a mia volta:
<<Non è adorazione, è compassione! Sai, io sono single e per loro questo è intollerabile e penoso. Per cui, con qualsiasi ragazza, mi descrivono come se fossi un principe azzurro, creando solo dei problemi perché poi queste fanciulle restano inevitabilmente deluse dalla mia triste realtà>>
Lei mi fissò con uno sguardo di rimprovero:
<<Perché ti svaluti così? Non mi era mai capitato di conoscere un ragazzo che parlasse male di se stesso. Non capisco perché senti l'esigenza di sminuirti>>
Era un discorso delicato, troppo difficile da affrontare mentre stavamo camminando verso il chiosco delle pizzette al taglio, ma qualcosa dovevo comunque dire:
<<Perché non voglio deludere nessuno>>
Vittoria mi osservò con stupore:
<<Ma è normale che le persone ci deludano! Però non bisogna farne una tragedia! Siamo esseri umani, possiamo sbagliare, possiamo avere tanti difetti, è una cosa naturale. L'importante è che non si facciano cose gravi, ma non mi sembra il tuo caso>>
Io pensai che dipendeva da cosa si intendesse per cose gravi, ma preferii essere più specifico:
<<Be', io ogni tanto mi arrabbio in maniera eccessiva rispetto alla causa, e durante quei momenti alzo la voce e dico parole crudeli con l'intento di ferire la persona che mi ha ferito. A parole, naturalmente, ma le parole che dico quando mi arrabbio sono difficili da dimenticare e ancor più  difficili da perdonare>>
Lei mi fissò:
<<Preferisco chi si sfoga con le parole piuttosto che in altri modi. I maschi di oggi sono violenti, a volte, oppure vendicativi, rancorosi. Preferisco uno che si arrabbia e sbotta per cinque minuti e poi, una volta che si è sfogato a parole, torna normale. In fondo vale la regola: "can che abbaia non morde!">>
Io risi:
<<Sì, be', diciamo che io rientro nella categoria dei cani che abbaiano, ma non mordono>>
Vittoria rise a sua volta:
<<Ma io non volevo paragonarti a un cane! E' che il proverbio dice così>>
Io annuii sorridendo:
<<Lo so, lo so... c'è molta saggezza nei proverbi. Ma scommetto che il tuo fidanzato non si arrabbia mai>>
Lei scosse il capo:
<<Si arrabbia anche lui, non è certo un santo! E dice anche lui cose sgradevoli, ma io so che non le pensa>>
Io ero molto curioso riguardo a quell'argomento, ma bisognava essere delicati:
<<Immagino che sia molto orgoglioso del fatto che una persona con le tue qualità abbia scelto lui>>
Vittoria apparve pensierosa:
<<All'inizio lo era, eccome! Ma col tempo, sai com'è, si incomincia a dare le cose per scontate. Insomma, ci si abitua e forse ci si stanca anche. Le relazioni, al giorno d'oggi, possono finire per ragioni difficili da descrivere... forse la parola adatta potrebbe essere "noia". Ciò che era travolgente diventa noioso: le coppie di una volta lo accettavano. Adesso è più difficile. Non dico che il mio fidanzato si annoi a stare con me, ma di certo è meno entusiasta di prima. Insomma, non bisogna mai dare nulla per scontato. E visto che siamo in vena di proverbi, l'amore è eterno finché dura>>




Io rimasi meravigliato per il fatto che lei si fosse confidata con me su questo argomento:
<<Sì, c'è molta saggezza nelle tue parole. Forse potrei aggiungere che è la passione quella che col tempo si affievolisce, e anche l'innamoramento, che viene sostituito da un profondo affetto, almeno così mi sembra sia accaduto per molte coppie che ho conosciuto. Non posso parlare in prima persona perché non ho mai avuto la gioia di un grande amore ricambiato, e questo per colpa mia, perché pretendo più di quel che posso dare>>
Lei mi ascoltò con interesse, mentre camminavamo, avvicinandoci al bar-pizzeria:
<<Sei tu il più saggio e il più sincero. Sei la prima persona di genere maschile che ammette i suoi difetti in maniera onesta, anche se eccessivamente severa. Credo che tu possa dare molto a una donna, perché noi donne apprezziamo gli uomini sinceri, che fanno autocritica, che ammettono i propri limiti, che sanno pensare in maniera profonda e parlare con efficacia>>
Riflettei sulle sue parole, mentre ordinavamo le nostre pizzette, e poi le risposi:
<<A costo di cadere in un luogo comune, credo che le donne apprezzino queste doti in un amico, ma poi si innamorano di uomini molto diversi, sicuri di sé, che parlano poco e agiscono molto>>
Vittoria si accigliò:
<<In parte è un luogo comune, anche se devo ammettere che all'inizio molte di noi si innamorano dei cosiddetti "maschi alpha". Ma dopo un po' il maschio alpha diventa insopportabile, almeno per le donne di oggi, che non sono disposte a farsi calpestare da questi personaggi narcisisti e manipolatori. Io credo che la dote dell'autocritica sia fondamentale sia nei rapporti di amicizia che nelle relazioni sentimentali.
Io mi sento una femmina alpha e forse voglio un maschio beta...>>
Mi chiesi se io corrispondessi all'idea che lei aveva del cosiddetto "maschio beta", ma il mio timore era di essere molto peggio, un "maschio omega", ultima lettera dell'alfabeto greco e ultima ruota del carro.
Mentre ci consegnavano le pizzette al taglio, io continuavo a riflettere su quelle parole e non sapevo se credere a ciò che aveva detto:
<<Forse le conquiste del femminismo e l'orrore dei femminicidi e delle molestie hanno fatto perdere molti punti al maschio alpha, agli occhi delle donne, ma temo che questo sia un discorso basato più sulla razionalità che sui sentimenti, sulle emozioni e sulle pulsioni. Io temo che alla fine l'uomo forte sia quello che risulta più desiderato>>
Lei aveva già la risposta pronta:
<<Il punto è che il concetto di forza è cambiato. Forse le ragazzine potranno ancora innamorarsi di un bullo che comanda una baby gang, ma una donna maggiorenne sa già che la vera forza richiede l'autocontrollo e l'autocritica, e anche l'intelligenza, il senso dell'umorismo, la cultura, l'eleganza, la capacità di esprimersi in maniera tale da affascinare l'uditorio>>
A questo punto, visto che ormai ci stavamo avvicinando al mio monolocale, trovai il coraggio di chiederle:
<<E quindi il tuo fidanzato possiede le doti che hai elencato adesso, immagino...>>
Gli occhi blu di Vittoria mi fissarono con aria malinconica:
<<Non proprio tutte e non al livello di cui in questo periodo sento l'esigenza. Ti ho già accennato altre volte che ultimamente abbiamo molte divergenze. Lui riesce sempre a stemperare la tensione e a riconquistare la mia fiducia, perché comunque la nostra relazione dura da molto tempo e abbiamo trascorso momenti bellissimi insieme. Ma non mi accontento più di vivere di ricordi e lui non è più quello di una volta. A essere sinceri, non lo sono più neanch'io>>
Il discorso si faceva interessante:
<<In che senso?>>
Lei apparve un po' titubante ed io mi ripromisi di non correre troppo:
<<Prima entriamo nella mia umile dimora, ci sediamo, mangiamo con calma, e poi continuiamo il discorso>>
 Vittoria annuì e apparve comunque un po' nervosa:
<<Ok, d'accordo, anche perché...>>
Incominciò ad aggiustarsi la cravatta della sua personale uniforme scolastica anglosassone così strana all'Università. Divenne all'improvviso molto agitata e continuava a tormentarsi la cravatta allora le chiesi se c'erano dei problemi e lei all'iniziò negò, poi si mise le mani sul cavallo della gonna e senza alcuna remora dichiarò quasi brutalmente: 
<<Scusa Roberto ma mi sto facendo la pipì addosso, è da stamattina alle 8 che non la faccio ed ho bevuto almeno due tazze di tè, due di caffè e tre bottigliette d'acqua. Adesso sono le 14, sono passate sei ore e ho la vescica che mi scoppia, mi sembra di avere le contrazioni da partoriente, se non arriviamo subito al tuo bagno c'è il rischio concreto che me la faccia addosso per strada... non sarebbe la prima volta, perché io ho paura dei bagni pubblici, mi fanno schifo e non li uso mai, e ogni tanto succede che non riesco a trattenere la pipì e tutto questo fa infuriare il mio fidanzato, che come vedi non è molto comprensivo, specie dopo che gli ho bagnato il sedile della sua preziosissima macchina...>>












Io ero incredulo:
<<Dopo sei ore in cui hai bevuto così tante sostanze diuretiche direi che al contrario hai dimostrato di avere una vescica di ferro: le accuse del tuo ragazzo sono ingiuste.
Comunque non preoccuparti: siamo arrivati, io sono al piano terra, la stanza è una sola e la porta del bagno è aperta, quindi hai via libera!>>
Aprii il portone esterno mentre lei mi avvertiva che stava incominciando ad avere delle perdite, poi aprii la porta del mio monolocale e lei si fiondò in bagno urlando "me la sto facendo letteralmente addosso" come se fosse con un amico di vecchia data.
Una cosa che mi colpì fu il fatto che, a differenza delle altre ragazze che avevano usato il mio bagno per la stessa ragione, lei non fece nulla per deviare la traiettoria del getto di urina per cui incominciai a sentire subito uno scroscio potente e torrenziale che durò senza pause per un minuto e mezzo senza e poi a fasi alterne fino a due minuti.

















Visto che lei non aveva fatto nulla per nascondere l'entità biblica del diluvio con cui aveva inondato il mio bagno, mi sentii libero di commentare ironicamente ironicamente:
<< Che record! Ma quanta ne avevi?>>
Lei, tutta sollevata e sorridente come una scolaretta, rispose, con grande naturalezza:
<<Secondo me almeno un litro e mezzo. La prossima volta compra un misuratore graduato, potresti rimanere stupefatto!>>
Io lo ero già nel vedere l'amore platonico della mia vita collidere con una minzione degna di un cavallo da corsa.
Eppure non per questo apparve meno perfetta ai miei occhi, anzi, in un certo senso questa sua spontaneità aveva creato una situazione di intimità che trovavo molto piacevole.

Lei fece un gran sospiro, si ricompose, si risistemò la cravatta e fu pronta per esprimere i suoi commenti sul mio monolocale.







Si sedette a tavola e accavallò le gambe in modo divino: erano davvero perfette. Sarei rimasto lì a contemplarle per l'eternità.



      
Come il silenzio, 
noi scenderemo ognuno
per le proprie scale,
non penseremo più
al tuo bene ed al mio male,
senza guardare in giù,
e tutto il resto vada poi
come gli pare.
Come il deserto,
che avanza dentro me
veloce come il suono,
la nostra storia brucerà
un'ultima volta
e finalmente poi sarà
soltanto fumo.
Che ne faremo 
di questa farsa
che si ferma e poi riparte,
di questa vita
che non nasce e che non muore?
Dal grande fiume
svogliatamente
ci faremo trascinare
dalla sorgente alla foce, 
fino al mare, 
dalla corrente alla deriva
e non nuotare.
Dentro l'abisso,
che si spalanca sotto noi
come una fauce,
potremo infine
dolcemente sprofondare
e tutto il male 
ora e per sempre svanirà, 
svanirà, 
svanirà.