La prima volta in cui Vittoria Prinsivalli ed io studiammo insieme fu interessante, ma non per quel che accadde, bensì per quello che capimmo l'uno dell'altra.
Per un po' di tempo rimanemmo concentrati sullo studio per il famoso esame di storia dell'arte contemporanea e, come avevo immaginato, questo ripasso delle lezioni e riassunto del libro si svolse più che altro sotto forma di domande e dubbi da parte di lei e di risposte e chiarimenti da parte mia, non perché io fossi più intelligente, ma perché ero di sicuro più studioso.
Vittoria aveva mille impegni e gli esami universitari erano molto in basso nel suo ordine di priorità.
Vittoria aveva mille impegni e gli esami universitari erano molto in basso nel suo ordine di priorità.
Una prima divergenza di gusti tra noi emerse quando io mostrai di preferire l'arte dell'Ottocento a quella del Novecento e, all'interno dell'arte ottocentesca, quella inglese dei Preraffaelliti e dell'architettura del Neogotico vittoriano.
Lei invece, pur chiamandosi Vittoria come la regina durante il cui regno fiorirono l'arte e la letteratura che a me tanto piacevano, preferiva il Novecento e le avanguardie, e questo non mi stupì, essendo lei così ben inserita nel presente, mentre io vagheggiavo la bellezza di un passato che forse era stato meno bello, nobile e cavalleresco di quanto io m'immaginassi.
Lei invece, pur chiamandosi Vittoria come la regina durante il cui regno fiorirono l'arte e la letteratura che a me tanto piacevano, preferiva il Novecento e le avanguardie, e questo non mi stupì, essendo lei così ben inserita nel presente, mentre io vagheggiavo la bellezza di un passato che forse era stato meno bello, nobile e cavalleresco di quanto io m'immaginassi.
Da questa divergenza di gusti nacque però un dialogo in cui riuscimmo comunque a trovare, tra le schermaglie, un'intesa che fu, prima di tutto, "spirituale".
Il momento esatto in cui suscitai per la prima volta la sua sincera attenzione fu quando risposi a una domanda che lei mi rivolse:<
<<Da dove derivano i tuoi gusti così particolari?>>
Io risposi, come sempre, con una mezza verità (che era dunque anche una mezza menzogna):
<<Sono cresciuto nella villa di campagna di una mia bisnonna contessa alcolizzata>>
Vittoria rise e disse:
<<Questo spiega molte cose>>, ma nei suoi occhi io lessi interesse e persino ammirazione.
L'aristocrazia dello spirito può trionfare su quella del denaro e persino su quella della bellezza, quando quelle altre doti sono accompagnate da un carattere noioso o prevaricatore.
Io ho sempre cercato di avere una battuta o una citazione pronta per ogni circostanza, anche se ho evitato di abusare di questa capacità.
Io ho sempre cercato di avere una battuta o una citazione pronta per ogni circostanza, anche se ho evitato di abusare di questa capacità.
In ogni caso, da quel momento il nostro colloquio prese il volo e lei incominciò a farmi qualche domanda, aspettandosi risposte non banali.
<<Cose buone o cose cattive?>> chiesi io.
E lei:
<<Cose originali. Se la tua bisnonna era una contessa, sei anche tu un nobile?>>
In realtà la mia bisnonna era chiamata "la Contessa" perché era una donna molto elegante ed aveva sposato un uomo ancor più elegante, che per primo aveva avuto l'appellativo di "Conte" pur non essendolo. Ma come sempre io risposi con una mezza verità:
<<Be', ho solo un quarto di nobiltà, nel senso che la bisnonna Emilia Orsini e suo marito Attilio Balducci erano nobili, i Conti di Casemurate, e la loro figlia ed erede, Diana Orsini-Balducci, era la mia nonna materna, che però sposò un borghese, un proprietario terriero>>
Mio nonno Ettore Ricci era un contadino arricchito che si era impadronito delle terre degli Orsini-Balducci prima prestando soldi ai futuri suoceri, che spendevano molto e non lavorano per niente, e poi, quando si trattò di riscuotere capitale e interessi fece valere le ipoteche sulle terre e sulla Villa Orsini, e i miei bisnonni poterono rimanere in quella casa soltanto a patto di far sposare la loro figlia, mia nonna Diana, col suddetto Ettore.
<<Quindi tuo nonno era un latifondista?>>
<<Quindi tuo nonno era un latifondista?>>
E io proseguii con le mie mezze verità:
<<Sì, certo, si chiamava Ettore Ricci e il suo matrimonio con mia nonna materna Diana Orsini-Balducci di Casemurate fu un evento memorabile>>
Vittoria era affascinata:
<<Ma quindi tua nonna Diana era una contessa?>>
Anche qui si imponeva una mezza verità:
<<La chiamavano contessa, ma era solo la figlia di un conte. Il titolo passò a suo fratello>>
Lei non parve troppo delusa:
<<Be', avendo sposato un uomo ricco, era lei la vera contessa, anche se non formalmente. E dalla parte di tuo padre quali sono le tue origini?>>
Io continuai imperterrito con le mezze verità:
<<Mio padre è insegnante al Liceo Scientifico da trent'anni, è molto stimato e suo padre possedeva una quota dell'azienda di marmi Fratelli Monterovere, che mio padre ha ereditato>>
In realtà mio padre aveva lasciato la sua quota a sua sorella, che aveva gravi difficoltà economiche.
Vittoria era impressionata:
Vittoria era impressionata:
<<Monterovere è un bellissimo cognome, da dove deriva?>>
Io proseguii imperterrito con le mezze verità e le mezze menzogne:
<<I miei antenati in linea maschile discendevano da un figlio bastardo di Raimondo Montecuccoli, Conte di Querciagrossa e Feldmaresciallo del Sacro Romano Impero. Il conte Montecuccoli riconobbe questo figlio, Domenico, e gli diede il cognome Monterovere, che assomigliava al suo. Ma in questo caso non si può parlare di vera nobiltà, perché la madre del mio antenato, l'amante giovanile di Raimondo, era una donna di umili origini>>
Questo mio apparente sminuire l'origine dei Monterovere rendeva più credibile un racconto della cui verità non esistevano prove, ma Vittoria non lo sapeva e non l'avrebbe mai saputo:
<<Quindi hai sangue blu anche da parte di padre. E poi tuo padre è un aristocratico dello spirito e tuo nonno era un esponente dell'alta borghesia, per cui hai un ottimo pedigree>>
Io mi schermii:
<<Ah, ma io non do importanza a queste cose. Non mi vanto nemmeno delle cose cose che mi merito, figuriamoci se mi vantassi di quelle che ho avuto in sorte senza merito alcuno>>
Vittoria a quel punto si sentì in dovere di mostrare anche lei un pensiero meritocratico:
<<Ma certo, è giusto. La fortuna non è un merito. Tu non puoi immaginare quanto io sia stata oggetto di invidie e dispetti per aver avuto la fortuna di nascere, perdona la schiettezza, bella e ricca e nobile>>
Io la guardavo, mentre diceva queste cose, e ascoltavo la sua voce flautata, e mi perdevo nell'osservare la sua bellezza e il suo stile da donna emancipata, che si vestiva sempre come businesswoman, con abito giacca e pantaloni, camicia bianca e una cravatta spessa e ampia, di seta (una scelta volontariamente contraria alla perniciosa moda delle skinny ties, imbarazzanti già nei teen ager e improponibili oltre i diciotto anni), con un nodo Double Windsor, che io le avevo insegnato la settimana precedente, poiché anch'io avevo iniziato a vestirmi come lei, a lezione, tanto che ci chiamavano: "Il Re e la Regina", i più benevoli, mentre gli altri ci deridevano con epiteti del tipo: "I due bancari precari".
Quando poi si era venuto a sapere, nella nostra classe di storia dell'arte contemporanea e nell'intera facoltà di Lettere, che Vittoria era una promettente influencer di moda e un astro nascente, in molti avevano incominciato a corteggiarla, ma lei si trincerava dietro al suo ufficiale fidanzamento (che purtroppo non era con me, per quanto il tipo "quadrato" stesse facendo molti autogol), mentre le ragazze la punzecchiavano con battute al vetriolo.
Lei sorrideva agli uni e alle altre e mi diceva:
Lei sorrideva agli uni e alle altre e mi diceva:
<<Nei momenti difficili mi impongo questa regola: sorridi e vai avanti, a qualsiasi costo, e non dare soddisfazione a nemici e detrattori>>
Io ne sarei stato capace, ma annuii e rilanciai:
<<Facciamo la gara dei mantra dei combattenti. Parto io: non conta quante volte cadi, ma quante volte ti rialzi>>
E lei, a sua volta, rilanciò:
<<L'importante non è vincere ma rimanere in gioco>>
E io, con un pizzico di umorismo, che non guasta mai:
<<Forse io non potrò più vincere, ma voi potete ancora perdere>>
E lei, puntando su un approccio più filosofico/psicologico:
<<Il pericolo maggiore deriva dal non sapersi accontentare>>
Ero meravigliato dalla saggezza di Vittoria (che, da ragazza privilegiata quale era, non mi dava certo l'idea di chi si sa accontentare) e dal modo in cui riusciva a tenermi testa:
<<Cercate di prendere il meglio dal peggio che la vita vi butterà addosso>>
E da quel momento sconfinammo nel pessimismo cosmico con un'ombra di cinismo:
Io: <<Conoscendo la vita e la gente, credo che il terrore perpetuo sia una risposta razionale>>
Io: <<Conoscendo la vita e la gente, credo che il terrore perpetuo sia una risposta razionale>>
E Vittoria, con un fendente improvviso e quasi letale:
<<Di te diranno: "Voleva conquistare il mondo rimanendo seduto">>
Io risi e ribattei:
<<Il mio tempo potrà anche essere perduto, ma non è stato sprecato>>
Era una critica implicita alle frivolezze di lei, la quale ribatté:
Era una critica implicita alle frivolezze di lei, la quale ribatté:
<<Puoi dire di me quel che vuoi: in fondo nemmeno i re sono padroni di quello che la Storia racconterà di loro>>
E io:
<<Sulla moda. Chi segue gli altri non arriverà mai per primo>>
E lei:
<<Sul tuo monolocale. Prima di varcare la porta ho pensato: Creati una via di fuga, prima di entrare!">>
Io risi e ribattei:
<<E' quello che pensi o è quello che vogliono farti pensare?>>
E lei:
E lei:
<<Le persone esistono per deluderti>>
E io:
<<E' per questo che stai fuggendo? Perché non sai più chi è il cattivo?>>
<<E' per questo che stai fuggendo? Perché non sai più chi è il cattivo?>>
Ci avvicinavamo alle questioni personali:
Vittoria mi guardò negli occhi e disse:
<<Pensi di essere l'eccezione, vero? E invece diventerai come uno di loro!>>
E io:
<<Quando punti l'indice contro qualcuno, ricorda che tre dita della tua mano restano puntante contro di te>>
E lei:
<<E se puntassi il medio contro di te?>>
Io risi e ribattei:
<<La bellezza è certamente un grande dono, ma non c'è niente di più patetico delle persone belle quando invecchiano e si ritrovano disarmate. A quel punto si può dire a loro: benvenute nella vita reale>>
Questa frase, che io dissi scherzosamente, provocò in Vittoria un'improvvisa insicurezza:
<<E' un colpo basso, da parte tua. La capacità di parlare non fa di te un essere intelligente>>
Era solo una battuta, ma sentivo che lei già temeva le mie parole, e allora dovetti mitigarle e usarle come in poesia:
<<Farò ammenda tramite una confessione. Delle persone come me si dice che "vivono poco per non morire molto", intendendo che "non si lasciano coinvolgere troppo per evitare di essere feriti". E' forse un male?>>
E lei:
<<Non c'è mezzo per eludere la vita. Ovunque vai, lei ti rincorre, ti perseguita, ti trova sempre... e ti fa innamorare, sconvolgendo i privilegi della solitudine che avevi duramente conquistato>>
Io rimasi sorpreso dalla sua capacità di comprendermi:
<<E' come se tu mi leggessi nel pensiero. Ci frequentiamo da poco eppure sembra che ci conosciamo da sempre>>
E lei:
<<C'è una storia nei tuoi occhi. Una storia di lacrime, fatica, sudore e sangue. Una storia di tradimenti subiti e di cuori infranti. Dimmi se mi sbaglio>>
Io non seppi mai come fece a capirlo, ma dovetti ammettere la verità:
<<E' così. Non lo nego. Ma ho superato la prova del dolore>>
Vittoria annuì:
<<Ed è questo che ti rende un uomo. Un uomo vero. Un vero uomo>>
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