martedì 1 aprile 2025

La sirena


Se nel profondo più remoto del tuo cuore
vi fosse anche solo una grana di zucchero,
un briciolo di dolcezza, un'eco dello splendore
magico, malinconico del tuo sguardo d'angelo
falso, della fatale tua malia di fata e di sirena,
allora forse avrei potuto amarti e piangere
di gioia e di dolore una vita intera insieme a te, 
nella beata valle dei rari ricambiati palpiti. 
E invece il cuore tu l'hai massacrato a me,
tu a cui troppi doni ha regalato la fortuna:
anche per te verrà il giorno in cui i petali
di una privilegiata giovinezza ad uno ad uno
precipiteranno a terra e la vita sarà inquieta
e ti ricorderai di me, che t'avrò dimenticata.




Gli oggetti sono ancora al loro posto
a custodire muti la quiete polverosa 
delle stanze, nell'oppiaceo incantesimo 
che inutilmente finge un'illusione:
come se i decenni non fossero sfumati
nell'inconcludenza di un tempo nascosto
già negli interstizi e sotto i tappeti.
E non serve a nulla fare l'inventario 
delle cose perdute, per poi soffocare dentro
l'urlo dei rimpianti e appoggiarsi a questi 
arredi fragili come fossero pilastri
mentre tutto frana intorno
e i volti a poco a poco si congedano.


Tu 
che non mi riconosceresti;
io 
che ti confondo in mille volti;
tu 
che sei andata molto avanti;
io 
che sono fermo da una vita;
tu 
che non sei più quella di un tempo;
io 
che per amore tuo ho perso proprio tutto;
tu 
che non dicevi mai né sì, né no;
io 
che camminavo sui carboni ardenti;
tu 
che facevi finta ancor di non capire;
io 
che non osavo dire quello che già sapevi;
tu 
che non ricordi più di me nemmeno il volto;
io 
che ho tatuato il tuo su occhi e cuore;
esci 
dalla mia mente,
esci, 
fuggi dalla mia mente,
fuggi!
Come il silenzio, 
noi scenderemo ognuno
per le proprie scale,
non penseremo più
al tuo bene ed al mio male,
e poi che vada tutto un po' 
come gli pare!
Come il deserto,
che avanza dentro me
veloce come il suono,
la nostra storia brucerà
un'ultima volta
e finalmente poi sarà
soltanto fumo!
Che ne faremo 
di questa fiaba 
che si ferma e poi riparte
di questo amore
che non nasce e che non muore?
Dalla corrente 
ci faremo trasportare
e finalmente tutto svanirà.
Svanirà.
Svanirà...

giovedì 20 marzo 2025

"Adolescence": una serie orribile, crudele e sopravvalutata, dove Netflix ha toccato il fondo



 Non è una novità il fatto che molte serie TV di Netflix affrontino in maniera estremizzata e politicizzata argomenti molto complessi ed estremamente delicati, a volte in maniera interessante e coinvolgente, altre volte in maniera forzata e artificiosa. Queste forzature, spesso accompagnate da una specie di teorema socio-politico da dimostrare partendo da presupposti spesso arbitrari e discutibili, fino ad ora non avevano mai oltrepassato il limite di quella che io chiamerei "crudeltà" più che crudezza, perché la crudezza fa parte dei generi sia cinematografici che televisivi, ma la crudeltà è inammissibile, anche quando viene usata per cercare di sensibilizzare il pubblico su tematiche importanti, ma che possono e devono essere trattate con delicatezza e umanità, senza le quali si passa dalla parte del torto, cosa che è accaduta con "Adolescence" (2025).

Non c'è bisogno di spoiler per argomentare questo giudizio, anche perché il primo, enorme, pugno nello stomaco, arriva quasi subito con una scena che mostra l'arresto di un bambino, da parte di una squadra di poliziotti armati fino ai denti che fanno irruzione in casa come se dovessero arrestare un boss della mafia.
Non ci viene risparmiato niente, in termini di crudeltà e di assurdità: non conosco le procedure della polizia britannica, ma mi rifiuto di credere che sia possibile sottoporre un tredicenne, seppur accusato di un grave crimine, a una tale tortura fisica e psicologica che mi ha fatto inorridire.

Il mio primo impulso è stato quindi quello di fermarmi, di interrompere lì, perché il disgusto era troppo forte e doloroso, ma poi mi sono detto: "magari hanno voluto épater les bourgeois, e durante la serie si giustificherà e si rimedierà, ammesso che sia possibile, questa tale mancanza di pietà umana".
E invece no: più si va avanti più il sadismo di questa fiction cresce di livello. Persino gli avvocati e gli psicologi si comportano in maniera totalmente, totalmente, e ripeto totalmente fuori non solo da ogni tipo di professionalità, ma anche da ogni tipo di umanità.
Non voglio entrare nel merito della trama perché preferisco scrivere recensioni senza spoiler, per cui vengo subito al nocciolo della questione: qui si criminalizza un bambino bullizzato e sconvolto soltanto per fare un impasto di scandalo e di critica politica e sociologica a determinate teorie che io non conoscevo e avrei preferito non conoscere.
Queste teorie che Netflix mette sotto accusa sono talmente banali e grossolane che non meritavano di certo una serie tv che le pubblicizzasse, perché alla fine uno dei danni di questa miniserie di 4 puntate (una peggio dell'altra) è l'effetto boomerang di rendere credibili queste teorie.

Farò solo alcuni accenni ai punti essenziali di questa specie di ideologia sessista con presunti sfondi suprematisti o reazionari: si parla dei cosiddetti "incel", i celibi involontari ossia i maschi che vorrebbero avere una fidanzata o una compagna, ma non la trovano. Già questa definizione ci fa capire la povertà contenutistica di tutto il discorso che Netflix vorrebbe contrabbandare come categoria filosofica dilagante tra i ragazzini maschi. Verrebbe in effetti quasi da ridere, se non ci fosse da indignarsi per come questa serie è stata realizzata, perché il cosiddetto "incel" non è altro che la versione 5.0 dello sfigato, e lo dico appartenendo io stesso honoris causa al club degli sfigati, come del resto la maggior parte dell'umanità. 
Il secondo concetto è quello della teoria cosiddetta LMS (Look, Money, Status), che mi sembra un'ovvietà e cioè il fatto che se sei bello, ricco e famoso sei considerato più appetibile da parte della maggioranza delle donne.
Insomma è la scoperta dell'acqua calda.
Su Netflix però tutto fa brodo, per cui gli Incel che credono nella teoria LMS sarebbero dei potenziali assassini.
Affrontare i temi del sessismo e del femminicidio in questo modo è assurdo e contro-produttivo.
Ma non è finita qui: spunta anche la pillola rossa, che in Matrix aveva un grande significato, ma qui indica la teoria RedPill che sembra sostenere che l'80% delle donne desideri solo il 20% degli uomini, mentre non sarebbe vero il viceversa a causa di argomentazioni pseudoscientifiche a cui non doveva essere data tale visibilità.
Insomma, da un lato c'è l'ovvietà del fatto che essere belli, ricchi e famosi rende gli uomini attraenti e dall'altro invece c'è una teoria pseudoscientifica assurda che viene presa assurdamente sul serio.

L'unico tema invece drammaticamente reale, e cioè il cyberbullismo che crea poi complessi di inferiorità e genera rabbia viene sfiorato en passant senza essere stigmatizzato più di tanto perché in questo caso era una ragazza a bullizzare un ragazzo, cosa che si capiva già dalla prima puntata, e sinceramente non rendeva affatto simpatica questa ragazza, che poi è la vittima del femminicidio di cui il ragazzo è accusato, proclamandosi innocente.
Già in questa seconda puntata Netflix ha fatto tutto il possibile per creare un effetto boomerang, e cioè quello che in gergo si dice "processo alla vittima", quello in cui la gente dice "be', insomma, quella ragazza se l'è cercata". Ebbene, al termine della seconda puntata anche il più convinto femminista finirebbe per pensare quella frase e oserei dire che anche una parte del pubblico femminile finirebbe per biasimare la ragazza per la sua crudeltà gratuita, perché se la prende con l'unico che, in una circostanza grave, l'aveva difesa.

Naturalmente Netflix ci offre la spiegazione psico-socio-politologica già nella terza (e penultima, grazie al cielo) puntata di questo strazio.
La scena è ai limiti del teatro dell'assurdo e vede il confronto tra una giovane psicologa che ha già deciso a priori che la colpa è tutta del padre del ragazzo, e il ragazzo stesso che cerca di difendere il padre, che, pur essendo stato un genitore con qualche pecca (e chi è senza peccato scagli la prima pietra), non è poi tanto diverso da un qualsiasi comune cittadino, sia esso padre o madre, celibe o nubile. Ma non importa: Netflix, come la psicologa, ha già trovato il responsabile di tutto, il colpevole ideale, il "mandante morale", e cioè il patriarcato.

Io sono cresciuto in una famiglia matriarcale e la maggioranza delle famiglie che ho conosciuto sono basate su una madre caratterialmente più forte del padre e decisamente dominante. Non per questo però io mi sognerei mai di dare al matriarcato una connotazione negativa.
Ma la cosa più assurda è che il padre in questione non è affatto un maschio alpha patriarcale, ma lo era il nonno. E qui passiamo dalla tragedia alla farsa: la colpa è moralmente del nonno che però non compare mai, è un'entità astratta di cui la psicologa muore dalla voglia di parlare mentre il ragazzo tenta disperatamente di far capire alla psicologa che a bullizzarlo non è stato né il padre, né il nonno, ma i compagni di classe (cosa tipica) e in particolare una ragazza.
Di fronte alla mancanza totale di tatto e di professionalità della psicologa, che persino di fronte alla domanda disperata del bambino: "Secondo lei sono brutto?", gli nega una risposta che possa rincuorarlo perché comunque è un maschio e come tale già marchiato da un peccato originale, il ragazzo ha una reazione scomposta che avrei avuto anch'io se fossi stato trattato in quel modo.
A questo bambino, e lo chiamo così perché anche se gli attribuiscono 13 anni di età, a me sembra un bimbo delle scuole elementari, fanno passare le pene dell'inferno per 3 orribili, crudeli e insensate puntate.

Io speravo che nella quarta ci fosse il processo con lo scagionamento dell'imputato, come compensazione di tutto il male che gli hanno fatto prima, e invece no: l'ultima puntata non c'entra quasi niente col resto: c'è il compleanno del padre, festeggiato dalla moglie e dalla figlia, ma preso di mira dai vicini di casa e dai bulletti del quartiere per via del figlio arrestato, che però non compare se non tramite una telefonata in cui comunica una sua decisione, che ovviamente non rivelo.
Segue un giorno di ordinaria follia, in cui il padre ne subisce di tutti i colori e alla fine si arrabbia, come si sarebbe arrabbiato chiunque al posto suo.
Poi magicamente, dopo la telefonata del figlio, tutto cambia e si passa a un "volemose bene" da cui però il figlio è escluso, non perché non sia amato e ricordato dai genitori e dalla sorella, ma semplicemente perché per Netflix quel ragazzo è un mostro terribile peggio di Jack lo Squartatore e merita le pene dell'inferno.

Allora, io non sono certo tenero verso gli attuali teen-ager, ma durante queste orribili e strazianti quattro puntate ho sperato in tutti i modi che quel ragazzino venisse in qualche modo consolato da qualcuno, a prescindere dai fatti che non vengono nemmeno ben chiariti del tutto, (ma questo finisce per diventare marginale rispetto alla pena che provavo per il bambino) e invece niente: nessuno cerca di capire davvero il punto di vista di Jamie (così si chiama il protagonista).

Poi, sconsolato per la tristezza immensa del finale, vado a vedere le recensioni ed ecco che subito trovo le recensioni entusiaste da parte delle testate radical-chic e le analisti dei loro psicologi à la page, come Paolo Crepet,  e l'esaltazione parossistica delle riviste che in gergo vengono definite woke (termine con cui in America si indica una forma estrema di progressismo).
Certo, il fatto che Netflix abbia aderito in maniera totalitaria e acritica ad una forma piuttosto aggressiva ed estrema di progressismo (e lo dico da progressista dotato di buon senso) è cosa nota, ma fino ad ora queste esagerazioni potevano essere in qualche modo tollerate se la storia raccontata era coinvolgente.
Ma qui, con "Adolescence" si è veramente toccato il fondo: in nome di un femminismo fanatico al limite dalla paranoia si demonizza un ragazzino bullizzato e lo si tortura per 3 puntate, per poi sacrificarlo nella quarta, dove anche il padre viene crocefisso "in sala mensa" come Fantozzi.
Ma siccome tutto questo viene fatto per demonizzare il genere maschile e la generazione dei padri (siano essi Boomer o Millennials), allora i recensori si esaltano.
Io sono disgustato e profondamente amareggiato per questa crudeltà di una tv che vorrebbe essere all'avanguardia dei diritti civili e invece spiattella luoghi comuni a caso mentre tutti fanno la caccia alla volpe contro un bambino bullizzato che ha la sola colpa di non aver retto alla tensione e di essere caduto in raptus che solo a causa di un altro tizio diventa una cosa seria.
Anche qui non posso entrare nei particolari, perché ho promesso di evitare spoiler, quindi giudicherete voi chi è il colpevole.
A mio parere di colpevole ce n'è solo uno: Netflix. 


sabato 1 marzo 2025

Quello che non abbiamo avuto


Noi abbiamo sognato in grande:
stelle, galassie, universi interi,
nebulose, viaggi, distanze siderali.
Noi eravamo i visionari, l'onda
che si è infranta, gli anormali
naufragati tra un millennio e l'altro, 
già obsoleti, a detta dei nativi digitali.
Loro sono invece troppo scaltri,
ci tarpano le ali e irridono l'immenso.
Ecco quel che non abbiamo avuto:
in cambio ci hanno dato i cellulari.




Io che non ho vinto quasi mai
ma sempre duramente combattuto
sopravvissuto a fin troppe battaglie,
adesso a cinquant'anni ormai
mi sono all'improvviso ritrovato
collezionista di coppe e di medaglie
anche se ho combinato alcuni guai,
forse perché ferito troppe volte,
mal curato tra ruggine e ferraglia,
malato, stanco, ma non disertai
il campo di battaglia della vita.

Gli oggetti sono ancora al loro posto
a custodire muti la quiete polverosa 
delle stanze, nell'oppiaceo incantesimo 
che inutilmente finge un'illusione:
come se i decenni non fossero sfumati
nell'inconcludenza di un tempo nascosto
già negli interstizi e sotto i tappeti.
E non serve a nulla fare l'inventario 
delle cose perdute, per poi soffocare dentro
l'urlo dei rimpianti e appoggiarsi a questi 
arredi fragili come fossero pilastri
mentre tutto frana intorno
e i volti a poco a poco si congedano.




Se nel profondo più remoto del tuo cuore
vi foss'anche solo una grana di zucchero,
un briciolo di dolcezza, di splendore
malinconico, magico del tuo sguardo d'angelo
falso, della fatale tua malia di fata e di sirena,
avrei potuto forse amarti, persino, e piangere
di gioia e di dolore una vita intera insieme a te, 
nell'amena valle dei rari ricambiati palpiti, 
e invece il cuore tu l'hai massacrato a me,
tu a cui troppi doni ha regalato la fortuna.
Anche per te giorno verrà in cui i petali
della privilegiata giovinezza ad uno ad uno
precipiteranno a terra e la vita sarà inquieta
e ti ricorderai di me, che t'avrò dimenticata.

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 "Vedo foreste assolate, e verde intero sereno. Lì presto cammineremo, quando verrà l'estate".

sabato 22 febbraio 2025

Mappe araldiche controverse, antichi ordini cavallereschi e relative onorificenze

 




Nello stemma della "Grande Ungheria" o Greater Hungary pensato nel 1848, si riprendono alcuni stemmi di difficile interpretazione, ma che sono riuscito a riconoscere dopo lunghe ricerche: sulla destra, qui sotto, al di sotto dello stemma della Transilvania c'è uno stemma con un lupo o levriero bianco passante su campo rosso (gli stemmi successivi in senso orario sono quelli di Cumania, Triballia, Rascia, Lodomeria, Galizia, Slavonia, Croazia e Dalmazia):



che sta ad indicare, secondo questo link https://hu.wikibooks.org/wiki/F%C3%A1jl:Bulg%C3%A1ria_c%C3%ADmer.PNG un antico scudo rappresentante un territorio al di sotto dei Carpazi, chiamato Piccola Bulgaria, ma difficilmente individuabile, anche se noi ci proveremo.

 A volte tale stemma si accompagna , nei blasoni del Regno di Ungheria o dell'Impero Austro-Ungarico, nell'Ottocento, con un altro analogo con tre lupi o levrieri bianchi passanti su campo rosso a cui si attribuisce il nome di Grande Bulgaria,



la cui spiegazione è a questo link https://hu.wikibooks.org/wiki/C%C3%ADmerhat%C3%A1roz%C3%B3/Bulg%C3%A1ria_c%C3%ADmere
che  fa rifermento al fatto che molti re ungheresi usarono reclamarono il titolo di Re di Bulgaria. comprese alcune famiglie come i Vízkelethy (1569), che però presentano un lupo o levriero bianco rampante, e dominavano su un distretto distante dal territorio bulgaro, ma con legami dinastici con nobili famiglie bulgare fedeli al regno di Ungheria. Un'altra ipotesi riguarda la famiglia Vidak che inserisce nel proprio blasone allargato un quadrante con tre lupi bianchi passanti indicandoli come "Bulgaria".
 Ad una analisi più accurata i lupi sembrano più levrieri, con collari dorati intorno al collo.
Secondo Ede Ivánfi , questo era lo stemma congiunto di Bulgaria e Slavonia, ma si tratta si una semplice rassomiglianza, poiché lo stemma della Slavonia presenta una martora marrone passante su campo rosso e lo possiamo vedere qui sotto sul lato sinistro. 
In molti altri stemmi araldici disegnati da Carolus Franciscus Palma, compaiono i tre levrieri passanti su campo rosso, che potrebbero derivare da una difficile interpretazione di un antichissimo stemma del primo Zar di Bulgaria, che vede tre belve passanti, che potrebbero essere leoni, come nello stemma della Guardia Reale Bulgara. 






E' ipotizzabile che si sia stata una confusione tra i leoni e i levrieri poiché lo stemma originario era disegnato molto rozzamente. Il passaggio successivo sarebbe stato quello di cambiare il colore in bianco su campo rosso facendo confusione con lo stemma della Slavonia, da cui sarebbe poi derivato quello molto simile della presunta Piccola Bulgaria.

Però la questione non può essere liquidata così rapidamente, perché i due stemmi, sia della Piccola Bulgaria che della Grande Bulgaria continuano a ripetersi e a raffinarsi in molti altri stemmi asburgici come il seguente.


In base a quanto scritto supra, è possibile una ulteriore deduzione che deriva dall'esame dei tre stemmi soprastanti che indicano i Regni vassalli della Corona Ungherese, la quale reclamava sovranità su questi tre reami i cui stemmi passo a descrivere, da sinistra a destra.
1) Il primo è il Voivodato di Slavonia, Transilvania e Cumania.
2) Il secondo è il Regno di Croazia, Dalmazia e Zara (o Zadar).
3) Il terzo è il più controverso da in interpretare perché unisce lo stemma del levriero passante, attribuito alla Bulgaria, quello della Bosnia Serba con il braccio armato e sciabola della guardia asburgica (che impose tale scudo a tutto il protettorato di Bosnia-Herzegovina poi annesso all'Impero Austro-Ungarico nel periodo tra il 1889 e il 1918), quello della Triballia, con testa di cinghiale e freccia (che è un territorio ora diviso tra Serbia e Bulgaria e fu dominato alternativamente, nella storia, dalla corona serba e da quella bulgara, e quello della Rascia o Serbia Antica, con tre ferri di cavallo su campo blu. 




Ora, considerando che Bosnia Serba (Banato di Bosnia), Rascia e Triballia sono parti dell'Impero Serbo di Stefan Dušan Nemanjić (26 luglio 1308 – Prizren, 20 dicembre 1355) che ha come stato vassallo anche lo Zarato Bulgaro di Tarnovo il cui nome deriva dal fatto che Tărnovo è stata la capitale della Bulgaria dal 1185 al 1393 (Secondo impero bulgaro) col nome di Tărnovgrad, e di nuovo dal 1878 al 1879,




E questo ci porta a scoprire che lo stemma della città di Tarnovo è quello con le tre belve passanti



E lo stemma dello Zarato riprende quello precedente con colori invertiti.


La successiva trasformazione è stata la seguente, nella formulazione di Jacob Franquart per il corteo funebre di un Asburgo:



Resta però aperta la domanda del perché non si è utilizzato questo stemma, nel blasone dei tre Regni sottomessi alla Grande Ungheria (quello slavo-galiziano, quello croato e quello serbo-bulgaro) e si è preferito invece quello della cosiddetta "piccola Bulgaria", spesso confuso con quello della Slavonia.

E qui scopriamo che la confusione tra gli stemmi di Slavonia e quelli di Bulgaria è più ampia di quanto si notasse all'inizio perché nell'Armoriale di Fojnica, che rappresenta l'Impero Serbo come auspicato Impero Illirico o Jugoslavo, le tre belve rosse passanti vengono attribuite alla Slavonia





La descrizione è la seguente, che riportiamo citandola dalla fonte già indicata nei link forniti e tradotta in italiano:

"Ogni scudo è etichettato con il nome della regione o del popolo che rappresenta:
  • Macedonia: Scudo rosso con un leone rampante dorato.
  • Illiria: Scudo rosso con una mezzaluna bianca e una stella a otto punte.
  • Bosnia: Scudo dorato con due asce incrociate e un simbolo centrale.
  • Dalmazia: Scudo blu con tre teste di leone coronate d'oro.
  • Croazia: Scudo a scacchiera rossa e bianca.
  • Slavonia: Scudo bianco con tre martore rosse.
  • Bulgaria: Scudo dorato con un leone rampante rosso.
  • Serbia: Scudo rosso con una croce bianca e quattro simboli simili a "C" (o fuoco).
  • Rascia: Scudo blu con tre ferri di cavallo bianchi.
  • Primorje: Scudo rosso con una scimitarra e una torre. "
E qui l'errore è macroscopico: lo stemma attribuito alla Slavonia non presenta affatto tre martore rosse, ma come possiamo vedere bene si tratta dei tre levrieri che continuano a ricomparire nei vari blasoni oscillando continuamente tra Slavonia e Bulgaria.

Possiamo intuire quindi che, così come sono stati scambiati i tre levrieri, allo stesso modo lo stemma reale della Slavonia, con una sola martora, è stato scambiato con quello di una ipotetica Piccola Bulgaria con un levriero solo.


Chiediamo aiuto alle mappe dei territori a cui si è ispirata la bandiera del blasone serbo-bulgaro



Possiamo vedere come la concezione alto-medievale del concetto di Slavonia fosse molto più estensiva di quella attuale (ossia una regione interna alla Croazia) e dunque nella mentalità dei clerici del tempo, a cui era demandato il compito di tramandare la cultura trascrivendo gli antichi documenti e creandone di nuovi, l'Illiria, la Slavonia e la Bulgaria (prima della conquista ungherese della pianura pannonica) erano territori confinanti che condividevano la stessa religione del cristianesimo orienale dei santi Cirillo e Metodio e avevano come punto di riferimento culturale e politico l'Impero Bizantino.

La confusione alto-medievale tra Slavonia in senso lato e Bulgaria ha influenzato lo sviluppo dell'araldica danubiana e quando i Magiari hanno conquistato un enorme territorio che andava ben oltre i confini dell'attuale Ungheria, la loro percezione della Slavonia e della Bulgaria come potenziali vassalli o ha contribuito ulteriormente all'equivoco e allo scambio degli stemmi che abbiamo esaminato.

Infine, dopo la conquista da parte dell'Impero Ottomano e la successiva riconquista da parte dell'Impero Asburgico, l'araldica danubiana era ancora ferma alle fonti medievali e non aveva beneficiato dello sviluppo araldico occidentale. Si dovette aspettare il Settecento perché gli storici e i geografi e genealogisti mettessero mano al materiale e cercassero di rielaborarlo.

In tale contesto quindi non c'è da stupirsi se gli studiosi in buona fede non si sono accorti dell'equivoco e hanno attribuito alla Bulgaria stemmi che erano più appropriati per la Slavonia e vicecersa.

L'olandese Jan van der Bruggen, nel 1737, attribuì alla Bulgaria (che era ancora una provincia ottomana) lo stemma col singolo levriero bianco nella sua mappa araldica:















Possiamo vedere che il territorio della Triballia è in effetti confinante e in parte sovrapposto a quello della Bulgaria, sfiorando la regione della sua capitale, Sofia, il cui stemma è il seguente.



Qui la belva rampante è una sola



















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