giovedì 23 febbraio 2017

Situazione della guerra civile in Ucraina a fine febbraio 2017

Map of the war in Donbass.svg

In giallo le zone del Donbass sotto il controllo del governo ucraino e in azzurro le città.
In rosa le zone del Donbass sotto il controllo della Confederazione della Nuova Russia, composta dalla Repubblica Popolare di Donetsk e dalla Repubblica Popolare di Lugansk.
In arancione le zone dove sono in atto i combattimenti.

Belligerents

 Russia[note 1]
 Ukraine
Commanders and leaders

 Vladimir Putin[note 1]
 Petro Poroshenko
 Volodymyr Groysman
 Oleksandr Turchynov
 Arsen Avakov
 Stepan Poltorak
 Viktor Muzhenko
 Andriy Parubiy[8]
 Valentyn Nalyvaichenko
 Mykhailo Kutsyn (WIA)
Units involved

 Chechnya (Kadyrovtsy)[31]
Strength
40,000–45,000 fighters[35]
(3,000–4,000 Russian volunteers)[36]
9,000–12,000 regular Russian soldiers (Ukraine & US estimate)[37][38]
64,000–69,000 (active 2015-16)[39]
Casualties and losses
4,102 killed[*] (estimate)[40]3,351 killed,[41][42] 153 missing[43] and 10,926 wounded[44][45]
2,347 civilians killed[46]
9,800 killed and 22,779 wounded overall[47][48]
1,414,798 Ukrainians internally displaced; 925,500 fled abroad[49]
* Figure includes 2,081 Russians (per Cargo 200 NGO),[50][51]of which at least 400–500 are Russian servicemen (per United States Department of State, March 2015)[52]

Situazione della guerra civile in Somalia a fine febbraio 2017

Somali Civil War (2009-present).svg

In rosa le zone sotto il controllo del governo di Mogadiscio.
In nero le zone sotto il controllo del gruppo fondamentalista islamico Al-Shabaab (alleato dell'Isis)
In giallo le zone sotto il controllo del Somaliland
In verde le zone controllate da forze neutrali.

   Under control of the Government and Allies
   Under control of Al-Shabaab and Allies
   Under control of Somaliland Government
   Under control of neutral forces (Khatumo State)

Situazione della guerra civile nello Yemen a fine febbraio 2017

Yemeni Civil War.svg

In verde le zone controllate dal Comitato Rivoluzionario del movimento politico-religioso sciita Houthi
In rosa le zone controllate dal governo del premier Hadi e dall'Arabia Saudita
In bianco le zone controllate da Al-Qaeda
In grigio le zone controllate dall'Isis


  Controlled by the Hadi-led government and allies
  Controlled by al-Qaeda in the Arabian Peninsula (AQAP)
  Controlled by the Islamic State of Iraq and the Levant (ISIL)
(For a more detailed map, see Map of the Yemeni Civil War)

Situazione della guerra civile in Libia a fine febbraio 2017

Libyan Civil War.svg

In rosa le aree sotto il controllo del Governo di Tobruk e dell'Esercito Nazionale Libico del Generale Haftar.
In verde chiaro le aree sotto il controllo del Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Sarraj.
In verde scuro le aree sotto il controllo del Governo di Salvezza Nazionale di Khalifa al-Ghawil
In bianco le aree sotto il controllo delle milizie jihadiste
In azzurro le aree controllate da forze locali.
In giallo le aree controllate dai Tuareg.

  Under the control of the Tobruk-led Government and Libyan National Army
  Under the control of the Government of National Accord and Allies
  Under the control of the National Salvation Government
  Controlled by the Mujahedeen Councils of DernaBenghazi and Adjabiya
  Controlled by local forces
  Controlled by Tuareg forces

Mappa dell'Isis a fine febbraio 2017



   Controlled by the Syrian government 

   Controlled by the Islamic State of Iraq and the Levant (ISIL, ISIS, IS, Daesh)


   Controlled by al-Nusra 

   Controlled by Hezbollah 

   Controlled by the Syrian opposition

   Controlled by the Kurdish Syrian Democratic Forces 

   Controlled by the Iraqi government

   Controlled by the Lebanese Government 

   Controlled by iraqi Kurds

La situazione della guerra in Siria nel febbraio 2017



In rosso sono indicate le zone sotto il controllo del Presidente Assad. In verde le zone sotto il controllo delle milizie islamiche filo-saudite. In grigio scuro le zone sotto il controllo dello Stato Islamico (Isis). In arancione le zone sotto il controllo dei Curdi.

Syrian Civil War map.svg

carta di Laura Canali



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Sotto, la Battaglia di Deir Ezzor



Sotto, la situazione nei dintorni di Damasco

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Sotto, la Battaglia di Al Bab









Esisterà un Drago del Ghiaccio?

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Purtroppo quest'anno dovremo attendere fino al 3 giugno per l'inizio della settima stagione di Game of Thrones. In mancanza del romanzo corrispondente, The Winds of Winter, atteso ormai da sei anni, a causa dell'imperdonabile lentezza di George Martin, non è disponibile alcun tipo di spoiler.
Alcune domande sono però legittime, e tra queste ce n'è una che ha appassionato i disegnatori delle eventuali copertine: mi riferisco al Drago del Ghiaccio, ossia ad un drago che risponde agli ordini degli Estranei e che dunque possa costituire una seria minaccia per i draghi di Daenerys.
Questa ipotesi è legittima, perché la forza del "team Targaryen" è troppo superiore a quella degli avversari, potendo contare su due eserciti enormi e temibili (i Dothraki e gli Immacolati), una flotta imponente, potentissimi alleati (Dorne e i Tyrell), abili consiglieri (Varys e Tyrion Lannister) e soprattutto tre draghi (Drogon, Rhaegal e Viseryon).
Che cosa potrà mai fare un esercito di zombie contro il fuoco di tre draghi?
Spero che a questa domanda sia George Martin che gli autori di Game of Thrones stiano dando una risposta credibile.

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"Re Jaehaerys una volta mi disse che follia e grandezza sono due facce della stessa moneta. Ogni volta che nasce un nuovo Targaryen, disse, gli Dei lanciano in aria quella moneta, e il mondo trattiene il fiato aspettando di sapere su quale faccia cadrà.
Ser Barristan Selmy a Daenerys Targaryen
"A Storm of Swords", G.R.R. Martin

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Vite quasi parallele. Capitolo 36. Scene da un matrimonio. Ettore e Diana si affrontano.

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Forse, se l'incidente fosse avvenuto in tempi più recenti, i moderni mezzi di indagine sarebbero riusciti a scoprire qualcosa di più sulle circostanze della morte del giovane Augusto Orsini,
Ma era il 1954, e il fatto era avvenuto nelle campagne di una cittadina sperduta in un'Italia ancora rurale e arretrata.
Fu comunque avviata un'inchiesta, coordinata da un magistrato molto amico del giudice Papisco.
Nel frattempo, a Villa Orsini, le cose andavano di male in peggio.
Ettore Ricci era tornato a casa col cappello in mano, strascicando i piedi, scarmigliato e con un'espressione affranta disegnata sul volto.
Non aveva concesso a nessuno il tempo di dire alcunché:
<<Ah, che tragedia! Sono sconvolto... questo è il giorno peggiore della mia vita. Io e Augusto avevamo le nostre divergenze, si sa, ma per me era come un fratello. No, no... non dite niente, non è neanche il caso di parlarne... >>
Diana, che non credeva a una mezza parola di quella sceneggiata, riuscì a interrompere il monologo del marito:
<<Sì, immagino il tuo dolore, un po' come dopo la morte di Isabella>>
Ettore incassò il colpo:
<<Mi hai tolto le parole di bocca. Povera ragazza, dopo quello che aveva subito dal tenente Muller, quel maledetto nazista. Ah, che perdita! E adesso questa... Povero Augusto, pace all'anima sua, correva troppo forte con quella moto. Quante volte io stesso gli ho detto di fare attenzione! Sono sconvolto, non mi reggo in piedi, devo stendermi...>>
Diana allora gli si avvicinò e gli sussurrò all'orecchio:
<<Io so chi sei. Non si può vivere per quasi vent'anni a fianco di un uomo, senza capire chi è. Conosco la potenza distruttrice della tua rabbia, della tua invidia, della tua sete di vendetta. 
Mi fa disperare il pensiero che le mie figlie siano anche figlie tue, e possano trasmettere ai loro eredi queste tue caratteristiche. 
Prego il Signore che mi possa far vivere più a lungo di te. Almeno vent'anni più di te, in modo da poter rimediare ai tuoi danni e salvare quello che resta della mia famiglia e di coloro che nasceranno>>
Ettore scosse il capo:
<<Sei sconvolta, Diana... è naturale! Capisco il tuo bisogno di sfogarti. se ti fa sentire meglio... Sfogati pure come. Insultami... Non me ne avrò a male...>>
Lei rispose sempre a voce bassa:
<<Smettila di fare il buffone. Almeno una volta nella vita, sii sincero!>>
Ettore si passò una mano sulla guancia non rasata:
<<Sincero? Anche se le cose che penso realmente possono urtare i tuoi sentimenti?
Vuoi che smetta di fare il buffone? Va bene, allora sarò molto serio, e tu rimpiangerai i tempi in cui ti facevo ridere.
Li rimpiangerai, ma sarà troppo tardi.
E pensare che c'è stato un tempo in cui ti amavo.
Non ti voglio rimproverare, tu non mi volevi. Tu hai sempre desiderato un uomo della tua stessa classe sociale, uno come Federico Traversari Anastagi.
So dei tuoi tradimenti. Avrei potuto fare delle storie, e invece ho sopportato in silenzio. 
Ho sopportato le lunghe notti in un letto freddo, abbandonato. 
Non sei stata capace di vegliare neanche un'ora insieme a me. 
Ma io ho rispettato la tua decisione. Non ti ho voluto imporre la mia presenza a letto.
Certo, ho smesso di amarti e anch'io mi sono innamorato di altre persone, ma non ho mai consumato il tradimento. Eppure sei tu ad accusare me.
Cosa vorresti fare, adesso, Diana? Mi vuoi lasciare? E dove vuoi andare? Dal tuo amante? Allora non potrai più rivedere le tue figlie. 
Vuoi portami via anche loro? Tu e le tue figlie non avreste di che vivere, se non fosse per me. Non è bello da dire ma dipendete da me, tutti quanti, in questa casa. Se succede qualcosa a me, siete rovinati. Non sapreste da che parte farvi per gestire gli affari che ho a mezzo.
 I miei fratelli e le mie sorelle vi farebbero a pezzi nel giro di due giorni, per non parlare di quegli avvoltoi della famiglia Braghiri, che gioiscono delle nostre debolezze.
No, Diana, pensaci bene prima di tagliare i ponti con me. 
Pensaci bene, e lo dico per te, non me per me. 
Il nostro matrimonio è finito da un pezzo, ma bisogna salvare le apparenze, almeno per le nostre figlie.
E' inutile aggrapparsi ai fantasmi del passato.
Degli Orsini resta solo il nome e quel nome si estinguerà con te, mia cara Diana.

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Devi fartene una ragione.
Ma non dare la colpa a me. Nessuno degli Orsini può darmi la colpa.
E' stata la vostra superbia a condurvi alla rovina...>>
Diana si voltò, ma prima di uscire disse:
<<Ci saranno delle indagini. E se troveranno che la moto è stata manomessa...>>
Ettore si limitò a fissarla:
<<Non troveranno niente. Non c'è niente da trovare, Diana.  Avete fatto tutto da soli, tu e i tuoi fratelli. Siete stati troppo sicuri di voi stessi, troppo pronti a scaricare sempre le colpe sugli altri, Ma la mia unica colpa è stata quella di non essere raffinato come voi. I miei modi diretti, i miei appetiti manifestati rozzamente, queste sono le mie uniche colpe. Sono colpevole di non appartenere a quel mondo che la presunzione dei nobili chiama "l'alta società">>
Detto questo si trascinò a passi lenti verso le sue stanze.
Diana rimase immobile, come una statua di marmo levigata dal tempo.
Un dubbio atroce la tormentava.
E se avesse ragione lui? Siamo stati davvero troppo arroganti? Troppo sicuri di noi stessi? Troppo snob?Troppo pronti a scaricare la colpa sugli altri?
In cuor suo non poteva negarlo.
Come per una premonizione, Diana si immaginò il suo futuro, gli interminabili decenni che l'attendevano, oltre mezzo secolo, oltre il nuovo millennio, e si chiese come avrebbe fatto ad arrivare fino all'età estrema, trascinandosi, giorno dopo giorno, nell'oscurità e nel dubbio, come una notte d'inverno che arriva, incombe e si dilunga senza una stella.

mercoledì 22 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 35. La morte "on the road" di Augusto Orsini

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Come molti suoi coetanei romagnoli, Augusto Orsini era un appassionato di motociclismo.
C'è una lunga tradizione che lega l'Emilia-Romagna ai motori, sia per quel che riguarda le automobili da corsa che per quel che riguarda le moto e i motociclisti.
Questa sua passione per i motori era ben nota a tutti, così come la sua propensione al rischio.
Tutte le mattine si recava al lavoro in motocicletta, sollevando un polverone notevole sulla Cervese che, nel 1954, non era ancora asfaltata.
La gente scuoteva la testa, ma in fondo provava simpatia per Augusto.
Gli amici lo chiamavano James Dean, senza immaginare che sia lui che l'attore avrebbero fatto una fine analoga, alla stessa età, a un anno di distanza l'uno dall'altro.
Il fatto è che Augusto gli assomigliava anche fisicamente, e sotto tanti aspetti si poteva considerare come un antesignano della "beat generation" e della "gioventù bruciata", fenomeni che in Italia si sarebbero visti solo negli Anni Sessanta.
Ma Augusto Orsini non vide mai gli Anni Sessanta.
Una mattina del maggio 1954, mentre si recava al lavoro, la sua moto deragliò presso la curva della Bastia, poco dopo Pievequinta, e il giovane erede della dinastia dei Conti di Casemurate si schiantò contro un pioppo e morì a 25 anni, lasciando una vedova poco più che ventenne.
Per una strana coincidenza, era di servizio proprio da quelle parti il vice-ispettore Onofrio "Compagnia Bella" Tartaglia, il quale, dopo aver accertato il decesso del giovane, si mise a trafficare intorno alle lamiere della motocicletta.
Poi, mentre Tartaglia trascinava il cadavere sulla strada, la moto prese fuoco.
Poco dopo si formò un assembramento di passanti, ai quali Tartaglia diede ordine di allontanarsi e di chiamare i Vigili del Fuoco e la Croce Rossa, mentre lui con una radiolina cercava di mettersi in contatto con gli agenti di polizia più vicini.
Mezz'ora dopo, sistemate tutte le formalità, Onofrio "Compagnia Bella" Tartaglia, che era marito di Carolina Ricci e quindi cognato di Ettore, decise di andare di persona ad annunciare la notizia a Villa Orsini.
Ma la notizia lo aveva preceduto e quando arrivò alla Villa trovò una situazione pietosa.
Il vecchio Conte Achille si era ritirato nelle proprie stanze, in preda da un attacco di gastrite, che nel giro di pochi mesi si sarebbe manifestata per quello che era veramente e cioè un cancro allo stomaco.
La Contessa Emilia, per annegare il dolore nell'alcool, era corsa in cantina e aveva scelto una bottiglia di Bordeaux del 1826, tenuta in serbo per i momenti di crisi più nera.
La vedova Angelica era scoppiata in un pianto incontrollabile e dovette essere sedata.
Ettore Ricci era al lavoro. Sua sorella Adriana inscenò un lamento funebre che avrebbe fatto invidia a una prefica. Ida Braghiri si era messa a recitare il rosario.
L'unica a mantenere una ferrea lucidità era stata Diana, perché per sua natura era sempre preparata al peggio.
Inoltre, nutriva profondi dubbi sulla dinamica dell'incidente.
Dopo che Tartaglia le ebbe comunicato la versione ufficiale, i dubbi di Diana divennero certezze.
Sapeva che Tartaglia era un fedelissimo di Ettore e questo la insospettiva enormemente:
<<Mio fratello sapeva guidare molto bene. Non credo che sia finito fuori strada per un proprio errore. Sei sicuro che non ci fosse un guasto alla moto?>>
"Compagnia Bella" Tartaglia inarcò le folte sopracciglia:
<<Non ho fatto in tempo a verificare. Mentre trascinavo sulla strada il corpo di Augusto, la moto ha preso fuoco. Il motore è esploso. Succede in questi casi. Sarà molto difficile stabilire se c'era un guasto>>
Diana si convinse che qualcosa, in quella ricostruzione dei fatti, non tornava.
Se qualcuno ha manomesso i freni, ha fatto anche in modo che sparissero le prove. 
Un delitto perfetto. E Tartaglia è complice. E Papisco cercherà di insabbiare tutto come è successo con la morte di Isabella. 
Mentre pensava queste cose, vide sua madre, la Contessa Emilia, che si aggirava nei corridoi con la bottiglia in mano e ripeteva, con una voce quasi disumana:
<<E' la Fine della Dinastia>>

martedì 21 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 34. Presagi di tempesta a Villa Orsini

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Tutte le volte che Ettore Ricci si aggirava intorno alla cognata Angelica, moglie di Augusto Orsini, non riusciva a trattenersi dal fischiettare il motivo di qualche canzone d'amore, e addirittura, se non c'era il marito, dal canticchiare espressamente temi amorosi.
Era più forte di lui, e piuttosto compatibile con la sua indole istrionica e con il suo debole per le belle donne.
All'inizio la cosa era sembrata talmente ridicola da non poter essere presa sul serio.
Era il 1954, e ancora gli Orsini continuavano a ridere di lui.
<<Non imparano mai>> disse allora Ettore a sua sorella Adriana <<non hanno ancora capito con chi hanno a che fare>>
Adriana Ricci, la cui bocca "a culo di gallina" impediva di capire quali fossero i suoi reali stati d'animo, ammesso che ne avesse, rispose:
<<Meglio così. Meglio che abbassino la guardia. Ma fa' attenzione a Diana. Lei è l'unica che non ti sottovaluta>>
Ettore scrollò le spalle:
<<Diana è troppo presa dal suo amante e per il momento è meglio così. Mi occuperò di Federico Traversari dopo aver risolto le questioni in sospeso con Augusto e Angelica>>
Adriana sapeva che i rischi erano alti:
<<Sei sicuro che il giudice Papisco ti coprirebbe ancora, se ce ne fosse bisogno?>>
<<Se io dovessi affondare, Papisco affonderebbe con me. Non avrebbe altra scelta che collaborare, come ha sempre fatto>>
E così l'atteggiamento di Ettore verso Angelica divenne sempre più imbarazzante.
Un giorno Augusto affrontò Ettore di persona:
<<Se non smetti di fare il cascamorto con mia moglie, io e Angelica lasceremo Villa Orsini, anche se tu dovessi licenziarmi>>
Ettore parve cadere dalle nuvole:
<<Oh, avanti, Augusto! Cosa sarà mai se io fischietto e canticchio qualcosa? Se avessi in mente chissà quali piani, me ne starei zitto... non c'è niente da temere. Tua moglie mi disprezza, così come del resto anche mia moglie e in generale tutto voi nobili... ma io non mi offendo, siamo ormai una sola famiglia, lavoriamo insieme, la nostra fortuna economica è in crescita. Non roviniamo tutto per queste piccinerie!>>
Augusto scosse il capo:
<<Non riesco a capire a che gioco stai giocando, ma se oserai anche soltanto sfiorare mia moglie, io e tutti gli Orsini prenderemo apertamente le distanze da te, e le porte dell'alta società torneranno ad esserti sbattute in faccia>>
Era una frase terribilmente snob, e forse furono proprio le frasi di questo tipo quelle che portarono ai tragici eventi che stavano per abbattersi sulla stirpe degli Orsini.
Ettore sorrise, ed era un sorriso terribile a vedersi:
<<Sta' tranquillo, Augusto. Non ho intenzione di sfiorare nessuno>>
Lo disse con tono ironico e nel contempo vagamente minaccioso.
La tensione era diventata palpabile alla Villa.
L'aria era così grave e densa che sembrava potersi tagliare con un coltello.
La stessa governante, Ida Braghiri, riferì al marito Michele:
<<Sta per succedere qualcosa di grosso. Me lo sento. E' come quando trovarono Isabella impiccata al salice>>
Michele aveva l'aria di saperla lunga:
<<Tutto procede come avevo previsto. Gli Orsini e i Ricci si distruggeranno a vicenda, e allora sarà il nostro momento>>
Ida si sentì percorrere da un brivido di emozione:
<<Ma non siamo abbastanza ricchi per aspirare al controllo del Feudo!>>
Michele le lanciò uno sguardo complice:
<<La più grande ricchezza sono le informazioni riservate. Se si è in grado di ricattare una persona ricca e potente, allora è come se si fosse più ricchi e potenti di quella persona, e della sua famiglia. Il tramonto degli Orsini è vicino. E i Ricci saranno ricattabili.
Molto presto tutto sarà compiuto>>

lunedì 20 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 33. I conflitti interiori di Silvia Ricci


Silvia Ricci era la figlia secondogenita di Ettore Ricci e di Diana Orsini Balducci di Casemurate.
Per sua fortuna assomigliava più a sua madre che a suo padre, soprattutto fisicamente.
Per quanto il suo cognome fosse Ricci, Silvia era e si sentiva prima di tutto una Orsini.
Nata nel 1940, ricordava fin troppo bene gli anni della guerra.
E tuttavia, essendo in quel periodo ancora molto piccola, li aveva vissuti come se fossero un gioco.
I suoi traumi non derivarono dall'essere spettatrice della più terribile tra le guerre della Storia, bensì dalle tensioni familiari, soprattutto dopo il presunto suicidio di sua zia Isabella, a cui era molto affezionata.
In particolare soffriva molto nell'assistere al fallimento del matrimonio dei suoi genitori.
Una delle cose che la faceva soffrire di più era l'accusa, da parte di Ettore nei confronti di Diana. di non avergli dato un figlio maschio, ma solo "tre femmine inutili".
Silvia, nel sentire quei discorsi, aveva maturato, senza rendersene conto, perché era ancora bambina, un senso di colpa per il suo essere "figlia femmina" e non l'agognato erede maschio che suo padre desiderava a tutti i costi.
Va detto, tuttavia, che Ettore non era cattivo con lei: a volte poteva essere perfino affettuoso, ma Silvia si rendeva conto che suo padre era ossessionato dalle brame di ricchezza e potere, così come dai forti appetiti, specialmente nei confronti delle belle donne.
Per questo era consapevole che Ettore Ricci poteva diventare, se contrariato, un uomo molto pericoloso.
Silvia, sapendo di essere sua figlia, si chiedeva quale elemento caratteriale avesse ereditato da lui.
Sentiva che c'erano alcuni aspetti, in lei, che venivano dal padre: una certa ostinazione, una buona dose di ambizione, una volontà di realizzare qualcosa di importante.
Percepiva un conflitto dentro di lei: era come se sua madre e suo padre continuassero a litigare nella sua mente, come se i Ricci e gli Orsini si facessero la guerra anche all'interno della sua personalità.
Forse era anche per questo che aveva implorato i suoi genitori di mandarla in collegio.
Diversamente dalle sue cugine, le gemelle Clara e Benedetta Papisco, che in collegio sentivano la mancanza dei genitori, Silvia si sentiva finalmente libera. Preferiva di gran lunga il collegio delle suore all'atmosfera cupa e piena di intrighi di Villa Orsini.
A scuola era molto brava, molto brillante e decisamente molto promettente.
Ogni tanto sua madre veniva a trovarla, ma Silvia sapeva che quelli erano gli stessi giorni in cui Diana andava a trovare l'amante, e per quanto non la biasimasse per questo, tuttavia era preoccupata che qualcosa di terribile sarebbe potuto accadere.
<<Mamma, devi stare attenta. Non voglio che tu faccia la fine di zia Isabella>>
Diana allora stringeva forte le mani della figlia:
<<Silvia, tu sei una ragazza forte e intelligente, oltre che molto bella. Andrai all'università, diventerai qualcuno, e potrai lasciarti alle spalle tutte le angosce della tua infanzia. Non aver paura per me. Non posso dirti altro, ma non sono io ad essere in pericolo, e nemmeno tu.
Qualunque cosa dovesse succedere a Villa Orsini, tu dovrai andare avanti per la tua strada.
E forse un giorno, quando il peggio sarà passato, potrai ritornare nei luoghi della tua infanzia e far sì che diventino, per i tuoi figli, se vorrai averne, quel luogo felice che non sono stati per me e per te>>



domenica 19 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 32. Villa Orsini: chi viene e chi va

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Augusto Orsini sposò Angelica Traversari Anastagi nel giugno 1954, dopo essersi laureato in ingegneria nel febbraio dello stesso anno.
Il matrimonio fu celebrato, come tradizione per la famiglia Orsini, nella chiesa di Pievequinta, e i festeggiamenti si tennero presso la Villa, nella Contea di Casemurate.
Apparentemente Ettore Ricci, il vero capo della famiglia Orsini, fu molto contento del fatto che gli sposi avessero scelto di abitare presso la Villa.
C'erano infatti varie ragioni che facevano sentire Ettore di buon umore.
In primo luogo, dopo che la famiglia Ricci aveva fatto valere le ipoteche sul Feudo Orsini, Ettore controllava la maggioranza delle aziende agricole ad esso collegate, di fatto era divenuto il nuovo Signore della Contea, anche se di nome il Conte rimaneva suo suocero Achille.
La famiglia Ricci e i suoi alleati (in primo luogo la famiglia Braghiri) avevano, in tutto e per tutto, sostituito gli Orsini dalla gestione economica.Se dunque Armando avesse voluto dare un suo contributo, lo avrebbe fatto come azionista di minoranza.
<<Tuo padre è un Conte "scontato">> amava ripetere Ettore a sua moglie Diana, divertendosi molto per quel gioco di parole <<E tuo fratello è l'erede di un titolo che non vale più niente>>
Il matrimonio di Ettore e Diana era altrettanto vuoto di significato. Vivevano da separati in casa fin dai tempi del suicidio (o per meglio dire presunto suicidio) di Isabella Orsini.
Diana non replicava alle provocazioni del marito. Era il periodo del suo amore felice per Federico Traversar, e quando si è felici non si è mai permalosi.
Il vecchio Conte Achille Orsini, pur sentendosi tradito dalla famiglia Ricci, era troppo preso dai successi del figlio Augusto per preoccuparsi delle questioni economiche.
L'anziana Contessa Emilia, però era sospettosa nei confronti di Ettore, e continuava a soffocare nell'alcool la propria inquietudine.
Ettore Ricci era, di fatto, il padrone ed era intenzionato a far valere la sua autorità.
In secondo luogo Ettore si era invaghito della cognata Angelica Traversari, e gli piaceva l'idea che lei sarebbe abitata a Villa Orsini, sotto il suo attento controllo.
Inizialmente la convivenza delle varie coppie nella Villa si svolse in maniera tranquilla.
Diana era stata molto occupata a curarsi dell'educazione delle figlie, in particolare della secondogenita, Silvia, che era la più portata per gli studi.
Quando Silvia comunicò ai genitori la propria volontà di proseguire gli studi al Ginnasio e poi al Liceo Classico, all'inizio suo padre Ettore mostrò delle resistenze, ma dopo qualche giorno di riflessione, cambiò idea e sembrò quasi felice di spedire la figlia in un collegio in centro a Forlì.
In fondo, preferiva che ci fossero, presso la Villa, meno testimoni per ciò che aveva in mente di fare, e che non aveva ancora rivelato a nessuno.
Il suo piano scattò con un'astuta mossa padronale: offrì al cognato Augusto Orsini la direzione della Fabbrica Macchine Agricole Ricci, corredando tale offerta con un generoso stipendio.
Tutti ne rimasero meravigliati, dal momento che credevano che Ettore Ricci fosse invidioso e geloso di Augusto, e sperarono che questo gesto generoso e pacificatore potesse finalmente porre fine alle rivalità tra i due.
Diana però mise in guardia il fratello citando Virgilio: <<Timeo Danaos, et dona ferentis>>
<<Ed io dovrei temere Ettore Ricci anche quando porta doni?>>
<<Sì>> confermò Diana <<Conosco troppo bene mio marito e so che quando prende qualcuno in antipatia è impossibile fagli cambiare opinione. Vuole farti abbassare la guardia. E' sempre stata la sua strategia. Nei momenti in cui fa il finto tonto e la gatta morta, puoi stare sicuro che presto scatterà il suo agguato>>
Augusto aveva scrollato le spalle:
<<Non ho paura di lui>> 
Diana scosse la testa, sospirando:
<<E' proprio per questo che sei in grave pericolo>>


sabato 18 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 31 . Le vicissitudini del giudice Papisco e le trame della Signorina De Toschi

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Il giudice Giuseppe Papisco e sua moglie Ginevra Orsini avevano avuto quattro figli: Alberto (nato nel 1938),  le gemelle Clara Benedetta (nate nel 1940) e Carlo (nato nel 1942).
Per alcuni anni la famiglia Papisco visse felicemente e fu un modello per l’alta società forlivese.
Durante la Repubblica Sociale, Papisco si era distinto come ardente sostenitore del repubblicanesimo socializzatore e della riforma del diritto societario, in cui abilmente sostenne l’ipotesi di nazionalizzazione delle grandi industrie, che poteva piacere sia al fascismo repubblichino, sia al social-comunismo, sia al cattolicesimo-sociale. Comunque fosse finita la guerra egli sarebbe “caduto in piedi”.
Questi studi giovarono anche alla sua fama accademica, come autore di testi che continuavano ad essere studiati come se fossero la Sacra Bibbia.
Dopo la Liberazione si era iscirtto al Partito Repubblicano Italiano, ma aveva stabilito ottimi rapporti con la Democrazia Cristiana, in particolare con la corrente cattolico-sociale dei "professorini" Dossetti-Fanfani.
Passati i cinquant'anni, il giudice Papisco si poteva considerare un uomo di successo sotto ogni punto di vista.
E questo è sempre il momento più pericoloso, perché il successo è come l'alcool: dà alla testa, e riduce i freni inibitori,
Era l'autunno 1953 quando si verificò un imprevisto destinato a segnare profondamente la vita non solo del giudice Papisco e di sua moglie, ma anche di tutta la famiglia Orsini Balducci di Casemurate.
La vicenda incominciò in maniera piuttosto classica.
Papisco si innamorò perdutamente della sua bella e sveglia segretaria, tale Serena Sarpi, che lo aveva conquistato a tal punto da fargli perdere ogni prudenza.
Quando la notizia di quella relazione adulterina divenne di dominio pubblico, Papisco si trovò di fronte a un dilemma.
Il suo desiderio sarebbe stato quello di andare a vivere con Serena, ma in tal caso avrebbe ufficializzato l'adulterio e si sarebbe macchiato del reato di abbandono del tetto coniugale, e questo avrebbe segnato la fine della sua carriera.
La moglie Ginevra Orsini chiamò in soccorso sua madre, la Contessa Emilia, la quale dichiarò:
<<In questi casi, non c'è che la Signorina De Toschi. Ci penserà lei a far ragionare tuo marito>>
Quella frase suonava quasi comica.
Ginevra e sua sorella Diana avevano sempre associato la Signorina De Toschi alla Monaca di Monza dei Promessi Sposi, a cui ci si rivolgeva nelle situazioni scandalose.
Il giudice Papisco, con moglie e suocera, si ritrovò dunque davanti all'imponente e matronesca presenza di Mariuccia De Toschi.
L'attempata Signorina lo squadrava con occhi da rospo, tenendo  nella mano destra l'eterna sigaretta e nella mano sinistra l'eterno fazzoletto umido e lurido.
<<L’alta società ti volterà le spalle, se non poni fine immediatamente a questa indecenza!>> fu l’ “anatema” che la De Toschi pronunciò contro di lui: «Farai come ti dico, o sarò io stessa a punirti. Hai tradito non solo la fiducia di tua moglie, ma anche quella del mi’ babbo! Se hai vinto il concorso e hai avuto il posto qui, è grazie all'appoggio degli attendenti del Generale De Toschi. Non dimenticarlo mai, perché così come ti abbiamo creato, ti possiamo distruggere!»
Papisco ne fu terrorizzato:
<<Il problema è che Serena, come mia segretaria, è venuta a conoscenza dei segreti di mezza città, compresi quelli del caso della morte di Isabella Orsini>>
Questo non era stato preventivato.
Il faccione della Signorina divenne viola:
<<Maledetto idiota! I documenti sulla morte di Isabella dovevano essere distrutti! Non dirmi che la tua amante conosce anche l'esito dell'autopsia?>>
Papisco si sentì sprofondare fino al cerchio più profondo dell'inferno:
<<Serena sa tutto. E se non avrà una buona sistemazione, rivelerà ogni cosa>>
La De Toschi era a tal punto furente che pareva sull'orlo di un colpo apoplettico:
<<Una buona sistemazione? Gliela do io una buona sistemazione! Se ha letto davvero quei documenti, dovrebbe aver capito che chi si mette contro la nostra famiglia prima o poi fa una brutta fine!>>
Il giudice cercò di arginare la rabbia della zitellona:
<<Isabella apparteneva alla famiglia, ma questo non l'ha salvata>>
La Signorina capì dove lui voleva arrivare:
<<Se si fosse confidata con me e avesse seguito le mie istruzioni, non avrebbe fatto quella fine. Ma una volta che la disgrazia è accaduta, bisognava limitare i danni. Su questo eri d'accordo anche tu. Ci sei stato utile, non lo metto in dubbio, ma adesso ci hai messo in una situazione molto imbarazzante>>
Lui giocò la sua ultima, disperata carta:
<<Potrei esservi ancora utile. Ci sono altri scandali all'orizzonte. Ettore Ricci potrebbe venire a sapere della tresca di Diana con Federico Traversari>>
Qui intervenne la Contessa Emilia:
<<Ettore è perso dietro ad Angelica Traversari. Non farà niente contro il fratello di lei>>
Papisco inarcò le sopracciglia:
<<Per il momento... Ma dovete convenire con me che ci troviamo tutti sopra una polveriera. E' meglio trovare un compromesso, piuttosto che saltare tutti in aria...>>
La De Toschi appoggiò la sigaretta sul portacenere, prese il fazzolezzo lurido, si soffiò rumorosamente il naso, poi spalancò i suoi enormi occhi da batrace:
<<Di' alla tua sgualdrina che avrà la sua sistemazione. Ma non voglio più sentir parlare di lei e dei suoi ricatti. Tu tornerai al tuo lavoro, e farai bene a rigar dritto e ricordare a chi devi la tua fedeltà. Siamo tutti sulla stessa barca: se gli Orsini affondano, tutte le famiglie legate agli Orsini affondano con loro, e questo vale per te, per me e per tutti quelli che hanno avuto il privilegio di entrare in questa dinastia>>

venerdì 17 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 30. La famiglia Monterovere guarda a Sud.



Francesco Monterovere non era stato avvertito della morte del nonno Enrico. Il Seminario dei Salesiani, infatti, aveva regole molto restrittive per quanto riguardava la comunicazione degli allievi con le famiglie.
Probabilmente i suoi genitori, Romano e Giulia, pensavano che avrebbe appreso la notizia dai manifesti che erano stati affissi per tutta Faenza, ma non fu così.
La domenica successiva, mentre la scolaresca dei seminaristi si recava al Duomo per assistere all'ennesima omelia del Vescovo contro i pericoli del comunismo, Francesco notò i manifesti a caratteri cubitali che annunciavano la morte del compagno Stalin, e si ricordò che i missionari cattolici in visita al Seminario giuravano che in Russia i comunisti mangiavano i bambini.
Tre anni dopo si seppe che i crimini di Baffone erano ben altri, ma quello non era un problema di Francesco Monterovere, almeno non in quel momento.
Il vero problema, per Francesco fu che i manifesti per la morte del leader sovietico erano talmente numerosi e grandi nelle dimensioni, che oscurarono quasi del tutto quelli che annunciavano la morte di suo nonno, Enrico Monterovere.
Per il ragazzo, che era molto legato al nonno, questa circostanza rimase segnata nella memoria come una colpa personale. E invece era più che altro la prova di quanto fosse restrittiva la sua condizione di seminarista.
Il rendimento scolastico era buono, ma lui si sentiva sempre più come un recluso.
La messa tutte le mattine alle 6, le regole rigide, l'assenza di intimità, la mancanza di affetto familiare, la noia infinita, il senso di claustrofobia e di oppressione: tutto era diventato insopportabile.
In quel periodo le uniche cose positive di quell'esperienza seminariale erano le lezioni di pianoforte che un anziano e benevolo sacerdote impartiva al giovane Francesco, che aveva per la musica un talento particolare.
La sua fede si estinse ben presto e ovviamente la vocazione non si fece mai nemmeno lontanamente sentire. Ma siccome non tutti i mali vengono per nuocere, la disciplina salesiana e la presenza di una fornita biblioteca, gli permisero di farsi una cultura generale che poi gli valse per tutta la vita la fama di intellettuale completo, e gli facilitò gli studi universitari e la successiva professione nell'insegnamento.
Nel frattempo, la famiglia Monterovere si era riunita, dopo la dipartita del patriarca, e la vedova Eleonora, che viveva con la figlia Anita, insegnante elementare, decise di ospitare nel suo appartamento di Faenza il fratello Tommaso, che aveva intrapreso la carriera politica ed aveva le mani in pasta dappertutto.
L'Azienda Escavatrice e Idraulica dei Fratelli Monterovere, anche grazie alle amicizie politiche di Tommaso, era riuscita a entrare nel Consorzio per la realizzazione del Canale Emiliano Romagnolo per l'irrigazione agricola.
Fu così realizzato sogno coltivato per decenni dal Profeta delle Acque, ossia, l'ingegner Francesco Lanni, suocero di Romano Monterovere e nonno materno di Francesco.
Non era un sogno da poco.
Si trattava di un'idea ambiziosa, dal momento che questo canale avrebbe dovuto pompare verso l'alto l'acqua del fiume Po dal Cavo Napoleonico fino alle coste della Romagna.
Il Po infatti, in Val Padana, rappresenta il punto più basso della pianura, pertanto, se le sue acque dovevano essere portate altrove, era necessario che risalissero tramite un particolare sistema di idrovore e sifoni (con cui sottopassavano gli altri canali e i piccoli fiumi della Romagna).
L'Azienda Fratelli Monterovere si doveva occupare del tratto compreso tra Faenza e Cesena.
Fu così che i Monterovere ebbero in appalto anche la costruzione del Canale nei territori della Contea di Casemurate.
A posteriori furono in molti a dire che si trattava di uno strano scherzo del destino, perché le mappe disegnate in quegli anni indicavano un percorso che la famiglia Monterovere era destinata a seguire, verso la sua personale Terra Promessa, e cioè la Contea di Casemurate, e quindi anche verso le famiglie che la dirigevano, gli Orsini e i Ricci.
Le vite dei componenti della famiglia Monterovere erano procedute parallelamente a quelle degli Orsini-Ricci, ma loro sorte era quella che anni dopo Aldo Moro avrebbe espresso con la famosa formula delle "convergenze parallele".
La direzione era stata tracciata, e come spesso Francesco Monterovere ebbe a dire dopo aver trovato proprio laggiù la sua anima gemella, "persino due rette parallele sono destinate ad incontrarsi, all'infinito".
Non si sapeva ancora dove il Canale sarebbe terminato.
Si sapeva soltanto che era diretto a sud.
E tutti chiedevano ai fratelli Monterovere: <<A sud, d'accordo, ma dove?>>
E Romano rispondeva, indicando la sconfinata pianura:
<<Lontano>>

giovedì 16 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 29. Un amore di Diana


Diana si recava in città nei giorni di mercato. Come scusa non era un gran che, ma l'importante era salvare le apparenze.
L'autista la lasciava all'inizio del Corso.
Federico, il suo amante, la aspettava all'Hotel de Ville.
La cosa andava avanti ormai da tempo, ma l'entusiasmo era sempre grande, come se fosse la prima volta.
Nella vita di Diana tutto era arrivato più tardi: l'amore, la felicità... e forse era per questo che sapeva apprezzarli meglio, e non li dava mai per scontati.
Quando erano insieme, lei e Federico perdevano la cognizione del tempo.
Poteva anche crollare il mondo, ma loro non se ne sarebbero accorti.
L'amore in età adulta ha dei vantaggi: l'esperienza, la capacità di concentrarsi sul presente e la consapevolezza che ogni singolo istante va vissuto in sé e per sé, al di fuori da qualsiasi progettualità, perché la maturità è il momento in cui tutto è al suo apice.
Erano entrambi sposati, vincolati a matrimoni di convenienza, che erano stati scelti dalle rispettive famiglie, quando erano giovani.
Stavano anche per diventare parenti, perché la sorella di lui, Angelica, era fidanzata con fratello di lei, Augusto. 
Si erano conosciuti e innamorati quando Federico accompagnava Angelica a Villa Orsini.
Un giorno lui aveva detto a Diana:
<<Se ti avessi conosciuto prima, ti avrei chiesto di sposarmi>>
Lei aveva sorriso:
<<Non c'è tempo per i rimpianti. Ringraziamo il destino che ci ha fatti incontrare. La vita incomincia adesso>>
In una vita che era stata come una tempesta con rari sprazzi di sole, Diana aveva imparato a trarre da quel breve sole la massima gioia possibile.
Certo sapeva che ci sarebbe stata una fine, che prima o poi qualcosa o qualcuno si sarebbe messo nel mezzo, come sempre succede quando un amore è vissuto in clandestinità, ma preferiva non pensarci, perché, quando si ama, il presente è tutto il tempo che esiste.
L'appagamento che le derivava dal tempo trascorso insieme all'uomo che amava, rendeva Diana pienamente tranquilla e lucida, e quindi anche attenta e discreta nel modo di gestire quella situazione.
Non era maldestra e ingenua come Madame Bovary e nemmeno impulsiva e provocatoria come Anna Karenina. Dai romanzi aveva appreso quali sono gli errori da non fare.
Non era gelosa, non era possessiva, non era suscettibile.
E del resto non lo si è mai, quando si è felici.
Per tutto il tempo della loro storia, Federico e Diana non parlarono mai di se stessi in termini assoluti, con espressioni logore e iperboliche come "anima gemella" o "unico vero amore". Sapevano entrambi che certe cose si possono sapere soltanto alla fine della vita.
E forse anche questa capacità di non aver bisogno di parole e di etichette per essere felici insieme, derivava dal fatto di essere persone adulte.
Solo gli adulti riescono a tenere insieme amore e saggezza, perché hanno imparato a cogliere le occasioni quando si presentano, e a non rovinarle per futili motivi.
In modo particolare riescono ad essere saggi in amore coloro che in gioventù hanno subito un grave torto. Diana lo sapeva bene, e da questo traeva forza.
Era consapevole del fatto che le persone danneggiate hanno un vantaggio: sanno di poter sopravvivere.
Ci sarebbe stato, dopo, alla fine di tutto, un tempo per le riflessioni e per la rielaborazione del ricordo.
<<Prima si vive, poi si filosofeggia>> era uno dei proverbi preferiti di Diana e uno dei consigli che, in tarda età, avrebbe espresso ai nipoti, soprattutto a quelli che sembravano non imparare mai quella lezione.

mercoledì 15 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 28. Enrico Monterovere, Stalin e altre coincidenze

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Quando Enrico Monterovere compì 86 anni, nel 1953, gli rimaneva un solo desiderio, piuttosto stravagante, tanto che ben pochi lo prendevano sul serio: voleva vivere almeno un'ora in più di Stalin. Non gli aveva perdonato l'assassinio di Trotsky,
Ma c'era anche un'altra ragione, ancora più singolare.
Anni prima infatti Enrico, mentre era in osteria con gli amici, ubriaco fradicio, aveva dichiarato solennemente che sarebbe morto contento se fosse riuscito a sopravvivere a un certo numero di persone, di cui aveva persino stilato l'elenco.
Non c'erano solo suoi conoscenti, ma anche personaggi pubblici nei confronti dei quali, per motivi ignoti a tutti e forse persino a lui stesso, nutriva del risentimento: tra questi, per esempio, oltre al già citato Baffone, c'erano l'ex Re d'Italia Vittorio Emanuele III, il re d'Inghilterra Giorgio VI e molti altri capi di stato che avevano avuto un ruolo nella devastazione dell'Europa durante la guerra.
Li aveva seppelliti tutti tranne uno: Stalin.
Non dovette però aspettare a lungo.
All'alba del 5 marzo 1953 in seguito alle complicazioni di un ictus, il leader sovietico si avvicinava alla fine. Drammatici furono i suoi ultimi istanti di vita: convinto di essere vittima di una congiura, Stalin maledisse i capi comunisti riuniti attorno al divano sul quale giaceva, e poi morì.
Naturalmente questa versione dei fatti, narrata dalla figlia Svetlana, venne fuori soltanto molti decenni dopo.
Già il fatto stesso che Stalin fosse morto risultava difficile da comunicare.
Nel tardo pomeriggio, alla fine, la radio confermò a tutto il mondo la notizia.
Ognuno reagì a modo suo, a seconda del proprio credo, ma quasi certamente la reazione più singolare fu quella del vecchio Enrico Monterovere, che dichiarò: <<Trotsky, sei vendicato!>> e provvide subito a depennare il nome di Stalin dalla propria lista, ma nel farlo, accorgendosi che era l'ultimo, fu assalito da un lugubre presagio.
Poche ore dopo, appena finito di cenare, Enrico avvertì un leggero malessere.
Si misurò la febbre, aveva 38. 
Si mise a letto.
Prese una medicina, ma la temperatura continuò a salire.
Sua moglie Eleonora gli portò una pezza intrisa di acqua fresca, ma Enrico vaneggiava.
Nel delirio gli parve di vedere un cavaliere in un bosco di montagna.
Era suo padre, il leggendario Ferdinando, morto quarant'anni prima disarcionato da cavallo presso l'Orma del Diavolo.
I folletti dei boschi erano con lui.
<<Sono venuti a prendermi>> sussurrò <<torno dai miei padri, nei boschi di Monterovere>>
Furono le sue ultime parole.
Poco dopo, nel momento del trapasso, assunse un'espressione serena, come se veramente le montagne boscose della sua gioventù lo stessero accogliendo con un coro di fronde fruscianti, percorse da una brezza leggera.

martedì 14 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 27 Le relazioni pericolose di Diana Orsini

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All'inizio degli Anni Cinquanta, Diana Orsini, ormai più che quarantenne, poteva dire di essere riuscita a superare tutte le avversità del passato con una forza che lei stessa, da ragazza, non credeva di possedere.
Era riuscita perfino ad affrontare in maniera inaspettatamente serena quella fase della vita in cui spesso le donne (in particolar modo le più belle) vanno in crisi e cioè la menopausa.
Diana era entrata in menopausa in un'età relativamente giovane. Sotto certi aspetti era stata una liberazione, perché suo marito aveva smesso di tormentarla con le pretese di un figlio maschio, dopo aver avuto tre femmine.
Superati i quarant'anni, Diana si chiedeva se il resto della sua vita dovesse essere interamente dedicato alle figlie e alla famiglia, oppure se avesse ancora il diritto di sperare in qualcosa di più.
Aveva paura di confessare persino a se stessa i propri desideri.
Forse la sua riservatezza, la sua discrezione e la sua ritrosia derivavano anche dall'aver sempre pensato che ci fosse qualcosa di patetico nelle belle donne che invecchiano, specie quando hanno fatto troppo affidamento sulla bellezza come arma per stabilire una posizione dominante nei rapporti di coppia.
Diana riteneva che molte ex belle donne, sentendosi private del loro "potere contrattuale" nei confronti degli uomini, si ritrovassero in una condizione di vulnerabilità proprio nel momento in cui arrivava, su molte vicende della vita, la resa conti, con tutti i rimpianti, i rimorsi e i fantasmi che essa si portava dietro. Esisteva il rischio, allora, per molte di loro, di entrare in crisi e far fronte a quella crisi in vari modi, che spesso si rivelavano uno peggiore dell'altro.
Le dipendenze, comprese quelle affettive; il rivolgersi ad amanti più giovani illudendosi che non lo facessero per secondi fini; il ricorrere in modo eccessivo alla cosmetica (e in seguito alla chirurgia estetica); l'esternare il proprio dolore in maniera vittimista, aggrappandosi alla falsa consolazione di poter dare agli altri tutta la colpa della propria infelicità, il che troppo spesso è l'ultima spiaggia dei disperati.
Niente di tutto questo per Diana.
Va detto che, come per magia, o per clemenza del destino, nel suo caso il tempo si era fermato.
Nonostante le tre gravidanze, di cui l'ultima estremamente rischiosa, e le ricorrenti emicranie, il suo fisico si manteneva snello e tonico e il suo volto, raramente esposto al sole, mostrava una pelle levigata e senza rughe.
Insomma, era ancora una donna molto attraente, e di questo si erano accorti molti uomini, specie tra gli amici del giovane fratello di lei, Augusto.
Quest'ultimo, con il suo fascino, aveva permesso agli Orsini di riprendere i contatti con le famiglie nobili del forlivese, tra cui i Paolucci de' Calboli, gli Zanetti Protonotari Campi, gli Oddi, gli Orsi-Mangelli, gli Spreti, i Gagni e in particolare i Traversari Anastagi.
Federico Traversari Anastagi, in particolare, era un grande amico di Armando Orsini e un ospite fisso alla Villa, così come sua sorella Angelica.
Fin dall'inizio fu chiaro che Angelica era la prediletta di Augusto, che non faceva mistero di avere intenzioni serie nei suoi confronti.
Meno chiaro, ma non per questo meno vero, era l'interesse di Federico nei confronti di Diana.
Ancor meno probabile era il destino che avrebbe legato in un'unico intreccio di Liaisons Dangereuses  i fratelli Orsini, i fratelli Traversari Anastagi ed Ettore Ricci.
Possiamo comunque anticipare la struttura e la sequenza di questo strano menage: Augusto amava Angelica, il cui fratello Federico amava Diana, il cui marito Ettore era attratto da Angelica e odiava Augusto, di cui era invidioso.
Ce n'era abbastanza per creare la più esplosiva delle miscele.
Un nuovo scandalo era nell'aria, ma nessuno poteva prevedere fino a che punto sarebbe stato clamoroso e gravido di conseguenze tremende per chiunque ne fosse stato coinvolto.
L'ennesima tragedia della famiglia Orsini-Ricci era nell'aria, mentre gli avvoltoi, come la famiglia Braghiri, la famiglia Papisco e i loro parenti, stavano già roteando intorno al Feudo e alla Contea.