venerdì 11 giugno 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 139. Hyde Park e il romanticismo londinese


Non del tutto consapevoli delle trame che, da più parti, si ordivano ai loro danni, Aurora e Roberto continuavano a vivere il loro idillio romantico visitando i luoghi più caratteristici della capitale britannica, in quell'estate del 1992.
Era il 10 agosto, e i giorni erano volati con la rapidità del fulmine.
Roberto era felice, ma non poté fare a meno di recitare mentalmente, come fossero una preghiera, i versi del Pascoli, al quale era legato dal comune amore per la Romagna, dalla nostalgia per l'infanzia trascorsa in campagna, dall'ipersensibilità e infine dalla poetica del fanciullino.
San Lorenzo io lo so perché tanto di stelle nell'aria tranquilla arde e cade...
Non poté fare a meno di pensare, per un istante, alla sua famiglia, che si sarebbe riunita, come ogni anno, in occasione dei fuochi d'artificio di Cervia.
Ma quell'anno, per la prima volta, lui non era presente (e per alcuni si trattava di un'assenza non giustificata).
E tuttavia, il suo morale era alto e il suo amore per Aurora era immenso, assoluto e incondizionato. 
I due fidanzati avevano organizzato un'escursione la cui prima tappa era Hyde Park e le successive erano, nell'ordine, Kensington Gardens, Portobello Road, Notting Hill e per finire, con l'aiuto logistico di Battista, anche una puntatina a Little Venice.






Il parco formava un'unica, molto ampia area verde, insieme agli attigui Kensington Gardens, i giardini retrostanti a Kensington Palace, che nel 1992 era ancora residenza dei Principi di Galles, anche se, da alcuni mesi, il Principe dimorava per lo più nella residenza di campagna ad Highrove, oppure a Clarence House, ospite di di sua nonna, la Regina Madre, che lo nominò suo erede.
Questa area verde era compresa tra i quartieri di Mayfair, Belgravia, South Kensington, North Kensington, Bayswater e Paddington.
L'organizzazione della giornata si basava ormai sul solito schema: sveglia alle 7, colazione alle 8, partenza in auto col fedele Battista alle 8.30 e arrivo prefissato all'Hyde Park Corner, presso il Wellington Arch alle 9.00 in punto.
Traffico permettendo.





L'itinerario si basava, sostanzialmente, su una scelta "romantica", nel senso più "sentimentale" (e se vogliamo, anche banale) del termine, e ciò significava che non erano previste tappe di interesse culturale, come invece era avvenuto nelle giornate precedenti.
Roberto sentiva che Aurora ne aveva bisogno, ma anche una parte di sé, quella che si sentiva come un gentiluomo dell'Ottocento con a fianco la sua Dama, ritratto davanti a un lago.








E il lago c'era davvero, nel senso che la vera attrazione di Hyde Park era proprio il Serpentine Lake, così chiamato per la sua forma obliqua e sinuosa, percorsa da piccole barche a remi e pedalò a noleggio, per "navigare" circondati da un paesaggio teoricamente idillico e perfetto per una coppia di innamorati.
Concretamente era un po' meno idillico, come spesso accade alle mete del turismo di massa.
Va inoltre precisato che il nome "Serpentine", in senso stretto, si riferisce solo alla sezione orientale del lago, al est del Ponte di Serpentine, che lo traversa; la sezione occidentale, al nord-ovest, è chiamata "The Long Water".

Hyde Park
aveva molte entrate, ma quella del Corner era la più grande, con il suo imponente arco a tre porte, la Great Entrance.
I cancelli dell'arco centrale erano chiusi, ma si poteva accedere da quelli laterali.
(Secondo alcuni, passare dal cancello centrale portava sfortuna, per questo lo tenevano chiuso. Non sappiamo se fosse vero e non abbiamo idea se lo tengano chiuso anche adesso).
 Aurora e Roberto fecero il loro ingresso nel grande viale principale, la Serpentine Road.
Il viale era asfaltato, affollato e percorso dalle biciclette e persino da qualche automobile con permesso speciale, a bassa velocità e a senso unico, sulla sinistra.
L'affollamento, già alle 10 del mattino, e persino d'agosto, era notevole e francamente eccessivo.
Era tutto molto più chiassoso rispetto a ciò Roberto si era immaginato.
Le mappe e le immagini non rendono mai bene l'idea.
Questo iniziale disagio era accentuato dal fatto che la sua immaginazione era ferma ai tempi della regina Vittoria e dei pittori Preraffaelliti.
Aspettative troppo elevate: ne era consapevole.
Ma è pur sempre un adorabile mattino...
L'aria era ancora fresca, fragrante e ricca di ossigeno. I platani erano rigogliosi, alti e possenti, e certo dovevano essere lì da molto tempo e ci sarebbero rimasti per molto tempo ancora.
Le querce erano più basse, ma i loro rami si espandevano ovunque, e toccavano terra, formando un vero e proprio bosco.
Il contatto con la natura riuscì a rasserenarlo.
<<Questi alberi sono meravigliosi, e il prato è fresco, ben irrigato: il verde mi ritempra. In fondo, io resto un ragazzo di campagna>>
Aurora sorrise, perché quell'affermazione era, come sempre, soltanto una "mezza verità":
<<Tu stavi a Casemurate nei mesi estivi, e nei fine settimana, ma per il resto vivevi a Forlì con i tuoi genitori, vero? In un condominio. 
Però dici che sei cresciuto a Casemurate, non a Forlì.
E in generale parli moltissimo dei tuoi nonni e pochissimo dei tuoi genitori>>
Lui sorrise a sua volta, perché sapeva che a lei non poteva nasconderle niente:
<<A Casemurate sono felice, a Forlì no. Avrei preferito una casa con un giardino, mio nonno Ettore l'aveva proposto ai miei, ma loro hanno voluto un appartamento in un condominio, per "mantenere un profilo basso", "non dare nell'occhio", avere meno spese e meno responsabilità. 
Col risultato che la gente, ironizzando, chiama il condominio "Palazzo Monterovere", dove l'elite (ammesso e non concesso che questo termine possa essere usato in riferimento ad una città noiosa, amorfa e insignificante come la nostra) si raccoglie per i salotti intellettuali del Professore e della Signora (che è professoressa anche lei, ma preferisce l'altro titolo, perché sia chiaro a tutti chi è che comanda).
Ho dedicato molto tempo alla cura del cortile, specie per l'irrigazione delle ortensie, ma ai condomini non va mai bene niente, dicono che io "attiro i gatti" di tutto il quartiere perché lascio una ciotola con i croccantini e una con l'acqua, e consumo elettricità condominiale  perché irrigo le piante con l'acqua del pozzo estratta con una pompa elettrica.
Poi si mettono a farmi il terzo grado, specie da quando sanno che stiamo insieme, e mi fissano con diffidenza.
Se poi consideri che abbiamo pure la famiglia Braghiri nel nostro stesso pianerottolo...
Con Vittorio ero amico, ma lui diventava sempre più ostile e tagliente, proprio come suo padre.
Insomma, come metto un piede fuori dall'appartamento, mi ritrovo i vari condomini che si comportano come paparazzi. Non c'è un minimo di privacy...
Per forza che poi mi rintano in camera mia a leggere!
Ma quando sono nella mia Contea torno ad essere felice: l'atmosfera fiabesca del Maniero neogotico degli Orsini, immerso in un parco mi riconcilia col mondo, così come il verde, la natura, i fiumi, i boschetti, gli animali, a parte gli esseri umani s'intende! Quelli non li voglio tra i piedi, salvo rare eccezioni >>
Aurora rise:
<<Ah, me ne sono accorta. Ma vedo che hai evitato di commentare l'altra questione...>>
Roberto annuì:
<<La storia dei miei genitori è più comune di quella dei miei nonni, o almeno così mi sembrava, prima che mi sorgessero due dubbi sul ruolo di Lorenzo nel fare l'intermediario tra le due famiglie.
Comunque, mio padre e mia madre sono le colonne portanti della mia vita, insieme a te, s'intende.
Mi hanno dato e mi danno un affetto e un amore profondissimo. E' raro che l'amore di un coniuge possa superare quello di un genitore. 
So di poter contare su di loro e su tutti i parenti di mia madre.
Conoscono le mie debolezze e cercano di proteggermi. Sanno bene che sono una persona emotiva e vulnerabile, che nasconde le propria paure e ansie dietro un'apparente indifferenza. 
Mio padre pensa che mi fortificherò con l'andare del tempo, come ha fatto lui. 
Mia madre teme che io non sia in grado di difendermi da solo, e forse ha ragione>>
Lei scosse il capo:
<<Capisco le sue preoccupazioni, ma secondo me ti sottovaluta. Io conosco le tue fragilità e ti offro tutto il mio aiuto, ma sento che hai delle risorse interiori che ti rendono in grado non solo di difenderti, ma anche di aiutare gli altri.
Tu forse non te ne rendi conto, ma mi stai aiutando>>
Lui non capiva:
<<Sei tu che aiuti me, Auri. Mi infondi una sicurezza e un benessere che non avevo mai provato in vita mia>>
Lei sorrise:
<<E per me è la stessa cosa. Prima che ci mettessimo insieme, io ero sotto il ricatto morale di Felix. Lui mi diceva che nessuno avrebbe potuto amarmi sinceramente. 
Mi avrebbero desiderata fisicamente, avrebbero desiderato il mio corpo e i soldi della mia famiglia, ma come persona mi avrebbero bollata come una pazza, e magari avrebbero cercato di "curarmi", di cambiarmi, e non di amarmi per ciò che sono, nel bene e nel male>>
Roberto era sorpreso:
<<Davvero pensavi questo? Che tutti i tuoi corteggiatori, ed erano tanti, non ti avrebbero amata sinceramente? E' impossibile non amarti>>
Aurora era indecisa se commuoversi o dubitare:
<<Senza tentare di cambiarmi o di "curarmi"?>>
Era una domanda rilevante, e Roberto se l'era posta molte volte:
<<Io credo che le cose funzionino all'opposto: l'amore incondizionato è l'unica cura possibile. 
Una persona che si sente pienamente e incondizionatamente amata, col tempo può desiderare in maniera spontanea di non mettere a repentaglio la propria salute e la propria vita
Ma tutto deve avvenire, lo ripeto, spontaneamente, senza colpevolizzazioni>>
Lei percepì che era sincero, e lo abbracciò, sussurrandogli all'orecchio:
<<Sapevo che tu avresti capito. Leggevo i tuoi temi, e ogni volta sentivo che tu guardavi le cose da una prospettiva diversa dagli altri.
Ma da dove ti venivano tutte quelle idee originali?>>
Lui sorrise:
<<Non erano originali. C'era poca farina del mio sacco. Il mio unico merito è che io leggo sempre, di tutto, sono letterariamente onnivoro. 
E se trovo una bella parola, una frase che mi colpisce, un passaggio interessante, un verso evocativo, io me lo segno. Mi ronza per la testa per giorni interi. 
Del resto, nessuno di noi è immune da ciò che legge.
Ci sono romanzi o poesie o saggi che mi hanno cambiato la vita, li ho riletti fino a consumarne le pagine. E' da lì che viene gran parte di quelle idee che sembrano originali e invece sono solo citazioni. 
I nostri compagni pensavano... be', immagino che tu lo sappia, visto che tuo cugino ha sempre avuto il dente avvelenato contro di me>>
Lei sorrise a sua volta:
<<Ce l'aveva con te perché io fin dalle medie stavo dalla tua parte. 
Mi veniva spontaneo, perché erano accuse palesemente inventate:  dicevano che sicuramente la prof. ti faceva sapere i titoli il giorno prima, e che sicuramente, sempre il giorno prima, all'ultimo minuto, avevi imparato a memoria qualche frase intelligente sull'argomento. Come se la retorica, da sola, bastasse a sostenere una tesi!
Io invece percepivo la persona che c'era dietro quelle parole. Una persona che formulava ipotesi, proponeva idee, ragionamenti, a volte anche provocazioni, ironie o paradossi, ma tenendo sempre aperto uno spiraglio per l'ascolto, il dialogo, la possibilità che gli altri ti convincessero a cambiare idea, o per lo meno ti offrissero una nuova prospettiva non banale. 
E' stato anche per questo che già da allora avevo fiducia in te, come se ti conoscessi da sempre>>
Roberto era lusingato, ma sapeva di essere, concretamente, molto meno elastico di quanto i suoi temi potessero far pensare:
<<Hai un'opinione troppo alta di me. Ho sempre paura di deluderti>>
Aurora gli scompigliò i capelli:
<<Resta quello che sei, il ragazzo della campagna che cammina lungo il fiume e si chiede qual è la sorgente!
Lorenzo è stato crudele a disilluderti, dicendoti che il Bevano non aveva sorgente. 
In realtà nasce a Bertinoro, vicino a casa mia: è un piccolo fosso, certo, ma ha comunque un inizio: è lui che ha indicato agli altri la strada.
E la sua foce è l'ultima oasi naturale rimasta intatta, nella Riviera.
Non dimenticare le tue radici e non smettere mai di cercare le sorgenti>>
E da allora lui si attenne scrupolosamente a quel consiglio.
<<Te lo prometto. Nessuno è più legato di me a quella terra e a quel piccolo fiume.
Sono vincolato a loro da un giuramento. E i Monterovere mantengono sempre la parola data>>
Lei sembrava fiduciosa:
<<Ti aiuterò io, se me lo permetterai>>
Lui annuì:
<<Certo. Ci aiuteremo a vicenda, sempre>>
Anche quello era un giuramento, ma il tempo avrebbe dimostrato che persino la parola di un Monterovere poteva vacillare.




Poi, Aurora, per sdrammatizzare il clima troppo serio, entrò in "modalità canzone italiana":
<<Hai presente la canzone "Montagne verdi?" Mi sembra vicina alla tua storia. Così nostalgica, così consapevole dello scorrere del tempo e dello svanire di ciò che amiamo.
"...poi un giorno mi prese il treno / l'erba, il prato e quello ch'era mio / scomparivano piano piano..."// ...quante volte ho cercato il sole / quante volte ho mangiato sale / la città aveva mille sguardi / io sognavo montagne verdi... il mio destino, è di stare accanto a te..."
E Roberto concluse:
<<...con te vicino più paura non avrò...
Sì, la conosco questa canzone, ed è la mia storia, hai scelto bene: semplice, ma c'è tutto: con poche pennellate dipinge un quadro vero. Interamente vero. 
Quando è morto mio nonno Ettore, ho sentito che la mia campagna scompariva, mi scivolava tra le mani>>

Era passato più di un anno, ma sembravano secoli.
Gli tornarono in mente tante cose, ma una si fece largo.
Don Pino Ricci, il parroco di Casemurate, che era cugino di Ettore e in vita non gli aveva risparmiato severe ammonizioni, era stato assolutorio nell'omelia, ma dopo la sepoltura, vedendo che Roberto era così triste, aveva scambiato due parole con lui, ricordandosi di quanto era stato devoto il "bambino della campagna", che andava alla Messa del sabato, con la madre, si confessava, contrito, per aver detto una bugia o una parolaccia, e diceva le preghiere prima di addormentarsi.
Ma com'era diventato pieno di dubbi il ragazzo della città!
In ogni caso, il parroco sapeva benissimo che non era il giorno adatto, per discorsi troppo impegnativi, ma ritornò su una questione minore che, all'incirca un anno prima, lo aveva lasciato perplesso.
Roberto, sapendo che don Pino era una buona forchetta, gli aveva chiesto come mai, a questo mondo le cose buone da mangiare facevano male alla salute e viceversa. 
Il sacerdote inizialmente era arrossito, guardandosi il pancione e lisciandosi il doppio mento, ma poi aveva risposto: "E' per colpa del Peccato Originale".
Roberto, da "Bastian Contrario", come lo chiamava sua madre, aveva chiesto ulteriori spiegazioni.
Don Pino era un ottimo parroco, ma quando si abusava della sua pazienza sommergendolo di domande teologiche su questioni di lana caprina, entrava in ebollizione, e tagliava corto dicendo: "E' un Mistero e va accettato come tale!"
Era l'ultimo ammonimento, prima che un'esplosione d'ira tipicamente romagnolo-casemuratense, e per giunta condita dalla tipica virulenza dei Ricci, si abbattesse sul parrocchiano che si era spinto troppo in là lungo la via dello scetticismo.
In particolare non gradì una similitudine espressa da quel ragazzotto molesto che sembrava ripetere a pappagallo i discorsi della Contessa,"che Dio la perdoni!", la quale, pur sostenendo economicamente la parrocchia in maniera generosa e discreta, non si faceva mai vedere in chiesa, se non in occasione dei funerali dei suoi compaesani, tutta velata di nero che le mancava soltanto la falce in mano per apparire come l'Angelo della Morte. Non andava mai ai matrimoni, per principio, ritenendoli una delle massime calamità nella vita di una donna, e riteneva troppo sfiancanti le altre cerimonie. 
Insomma, per farla corta, Roberto aveva asserito (riportando in effetti una delle battute preferite di sua nonna) che il ricorso al Peccato Originale come argomento decisivo di ogni disputazione metafisica (parlava già così a quattordici anni) gli ricordava, tanto per cambiare, il fatto che la Regina Madre Lizzie Bowes-Lyon desse la colpa di ogni male all'Abdicazione, naturalmente con Wallis Simpson nell'improbabile parte di Eva.
Due anni dopo, però, terminate le esequie di Ettore, don Pino Ricci si avvicinò a Roberto : 
"Ho ripensato alla questione della dieta. Vedi, c'è in ballo una delle Virtù Cardinali, la Temperanza. Non ci è fatto divieto di mangiare le cose buone: dobbiamo solo evitare di mangiarne in quantità eccessiva rispetto alle esigenze del nostro corpo. E qui sono il primo a dover fare il mea culpa".
Quello senza dubbio, aveva pensato Roberto, pur ammettendo che la risposta fosse più convincente.
Alla fine, però, da degno nipote di Ettore, il ragazzo della campagna corrotto dalla città, rispose:
"Il problema, Padre, è che io posso riuscire a impormi l'astinenza, ma non riesco a mettere in pratica la moderazione".
Don Pino aveva sorriso: 
"Lo credo bene! Sei un Ricci, come me! Ma poi non venire a lamentarti quando ti crescerà il pancione"
 E ci sia concesso di concludere questo excursus su questioni che rientrano nella sfera del Mistero con uno scambio di parole che abbiamo avuto di recente proprio con Roberto. 
Gli abbiamo chiesto, da confidenti quali siamo, se gli Iniziati gli avessero fornito risposte riguardo ai Misteri. Lui ha annuito:
"Molte risposte, certo, ma la mente umana, persino quella di un Iniziato, ha i suoi limiti. Ci sono dunque risposte che ancora non comprendo"
Gli abbiamo chiesto se avesse delle ipotesi e se pensasse ad una più probabile delle altre.
Lui ha sorriso, (ed era un sorriso arcaico, che a stento celava il divertimento del ragazzo della campagna, il puer senex che discettava della metafisica della dieta col parroco in sovrappeso, prima che entrambi si recassero al Maniero Orsini, dove insieme alla Contessa eretica avrebbero condiviso una cena a base di piadina e prosciutto).
E dopo aver sorriso, il quarantacinquenne Roberto ha risposto:
"Amici miei, quando mi trovo circondato dal buio, in un luogo ignoto, io non penso niente, ma immagino tutto".

Il diciassettenne Roberto del 1992, invece, camminando lungo la Serpentine Road, condivise con Aurora un altro ricordo, meno avulso dal conteso di questa narrazione:
<<Il giorno dopo il funerale, io ero rimasto con mia nonna Diana.
Gli altri erano andati già tutti dal notaio. Il testamento era noto, ma era rimasto un mare di problemi da risolvere. Persino la governante e le sue figlie erano uscite per varie commissioni.
I creditori ne approfittarono e si presentarono davanti a Villa Orsini, per cogliere la Contessa impreparata, senza difese, in un momento di debolezza.
Mia nonna era così sdegnata per un tale sciacallaggio, che ha perso la testa. 
Ha preso un baule con dell'argenteria ed è andata sul balcone :
"Volete i soldi, eh... prendete questo anticipo, allora" e scagliò un grosso piatto in argento massiccio molto vicino a uno degli avvoltoi, "e anche questo, e questo, e questo, e questo...
E ogni volta che diceva "questo" partiva un piatto, volutamente non contro le parti vulnerabili, ma sufficientemente vicino per far prendere uno spavento.
Alla fine se ne sono andati.
E non hanno sporto denuncia... non è una bella pubblicità fare gli sciacalli con le vedove.>>
Aurora sorrise:
<<E' una grande donna. In lei scorre ancora il sangue dei cavalieri del passato. E vive ancora il loro spirito, il loro codice morale. Non ce ne sarà mai più un'altra come lei>>
Roberto annuì:
<<No. Ed è questo che mi fa paura. Fintanto che c'è lei, la Villa e il Feudo sono al sicuro: nessuno oserebbe farle un torto. 
Ma dopo...
La gente, compresi i nostri compagni di scuola, credono, erroneamente, che i miei genitori siano ricchi, ma non è vero! A tenere i cordoni della borsa sono i vari zii e prozii. 
Io e i miei non abbiamo niente e non contiamo niente.
Con gli stipendi dei miei facciamo fatica a coprire i costi di manutenzione delle case. Per la nostra quota di terra ci pagano un affitto ridicolo. 
E dal versante dei Monterovere è ancora peggio: mio nonno Romano detesta mio padre e detesta persino Lorenzo. Sta cercando il modo di estrometterci anche dalla quota di legittima, intestando tutto a quella megera di sua sorella, la prozia Anita, che ha promesso di non lasciarci neanche un centesimo.
E comunque incomincio a pensare che anche lui e i suoi fratelli non siano particolarmente ligi nei confronti della legge, e si avvalgano di Anita come prestanome.
Ma lei non è stupida, e prima o poi farà valere le sue quote, ma non parliamone più, oggi lasciamo fuori le preoccupazioni.
E comunque, non dir niente a tuo padre. Lasciamogli credere che io sia un principe ereditario!>>





Lei gli strinse la mano:
<<Quando diventerai mio marito, la situazione si ribalterà. Tua nonna è ancora relativamente giovane, compirà ottant'anni l'anno prossimo e se vive a lungo come sua madre potrà vederci laureati, sposati e con figli. 
Certo, so benissimo che ci sono tante altre "forze" in campo, alcune molto oscure, con intenzioni più o meno ostili, ma se saremo uniti, se resteremo insieme, li sconfiggeremo tutti, uno dietro l'altro>>
Lui le appoggiò un braccio sulle spalle e la strinse a sé come per proteggerla, poiché grande era la sua paura di perderla.
Ma quel giorno egli mise da parte, almeno per qualche ora, quel continuo dubbio che era nel contempo il suo tormento e la sua scialuppa di salvataggio.
Alcuni anni dopo, però, avrebbe riflettuto sul verso di una canzone del 1996.
"Amarsi è come arrampicarsi su uno specchio di illusioni e poi credere quell'edera realtà"
(ad essere sinceri, il Maestro Amedeo Minghi, usò la parola "schermo", ma Roberto preferiva "specchio", perché così, nella similitudine e nella metafora, si inseriva anche il "modo di dire", il proverbio. Era la mentalità del paroliere che diceva al cantautore: "tu pensa alla musica, che alle parole ci penso io").
E tutto questo non è solo retorica, ma sostanza, in quanto “le parole sono la nostra fonte di magia più inesauribile” come suggerì un personaggio uscito dalla penna di una scrittrice britannica, che con le parole ci sa fare, intrappolando come in una ragnatela milioni di lettori, che restano invischiati nel suo mondo e non ne escono mai più del tutto.
E tutta questa ridda di voci che si azzuffano per reclamare attenzione e dire la loro, non è il delirio di un folle, come si potrebbe legittimamente ipotizzare, ma, per quel poco che ne sappiamo, la prima manifestazione di ciò che gli Iniziati definiscono "propensione al risveglio delle memorie ancestrali".

Erano finalmente arrivati al lago: era grande, ma più sul lungo, tanto da poter quasi sembrare un fiume o un canale, e c'era una grande quantità di cigni, di anatre e di oche selvatiche.
All'inizio del lago c'era il Serpentine Bar Restaurant, che assomigliava a una pagoda di cristallo, ma a un solo piano, con tavoli all'aperto, in una specie di terrazza sul lago.
 Poco lontano c'era il primo molo vicino alla Boathouse, la casa di noleggio delle barche, e sull'altra riva il Lido, con una zona balneabile e una spiaggia.






Roberto tenne la sua consueta introduzione storiografica: la storia del Parco risaliva al cruciale anno 1536 (quello in cui morì Caterina d'Aragona e in cui pochi mesi dopo fu decapitata Anna Bolena, rimpiazzata da Jane Seymour) Enrico VIII, con l'abolizione dei monasteri, si impadronì del feudo e del castello di Hyde, proprietà dei canonici di Westminster Abbey sin dal periodo della conquista normanna dell'Inghilterra. 
Enrico VIII fece divenire il parco una grande riserva di caccia reale, introducendovi numerosi cervi.
La zona rimase riserva di caccia ad uso esclusivo del sovrano e della corte sino a quando Giacomo I non la aprì limitatamente al pubblico, ma essa rimase in ogni caso di appartenenza alto borghese ed aristocratica.
Fu invece Carlo I che, nel 1637 concesse l'entrata a tutti all'interno del parco.
Ma i londinesi, e gli Inglesi in generale, non gliene furono riconoscenti.
Nel 1665, anno della grande peste di Londra, una parte della popolazione si rifugiò in Hyde Park per cercare di sfuggire il contatto con l'epidemia.

Nel 1689 Guglielmo III d'Orange, marito di Maria II Stuart, trasferì la sua abitazione da Nottingham House presso Kensington Palace; fece così costruire la Route de Roi, poi cambiata in Rotten Row, una grande corsia per far passare le carrozze. E fu la Rotten Row la prima strada inglese illuminata di notte: erano stati infatti collocati, per ordine del re, trecento lampioni, data la costante presenza di duellanti e rapinatori.
Nel 1730 la regina Carolina, moglie di Giorgio II fece sbarrare il fiumiciattolo di Westbourne per costruire il Serpentine, un lago artificiale di 11,34 ettari che ospitò, nel 1814, una rappresentazione della battaglia di Trafalgar (e uno spettacolo pirotecnico).
Nella seconda metà del Ottocento, a seguito di scontri e questioni tra manifestanti e polizia (principalmente legati al Cartismo e a Edmond Beales), il Parks Regulamentation Act del 1872 stabilì la libertà di incontro e di espressione della propria opinione nei parchi, dando così origine alla tradizione dello Speakers' Corner.
Tra i maggiori eventi ospitati dal parco nel corso della sua storia va ricordato che nell'Ottocento ebbe luogo la Grande Esposizione del 1851, e che per l'occorrenza venne edificato, dietro sollecitazione del principe Alberto, il celebre Crystal Palace, prima spostato in un'altra zona della città e poi distrutto da un incendio il 30 novembre del 1936.









Ripensandoci, molto tempo dopo, e senza i paraocchi dell'innamoramento, Roberto avrebbe detto che in fondo non era poi così diverso dall'Idroscalo o dalla Darsena di Milano.
Ma il fascino di Londra sta nel fatto che ancor oggi conserva, nell'immaginario collettivo, gli echi della tarda età vittoriana, specie del periodo tra il 1886 (anno in cui Robert Louis Stevenson pubblicò Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hydee il 1897 (anno del Giubileo di Diamante, lo stesso anno in cui Bram Stoker pubblica Dracula, ultimo dei romanzi gotici e tra i primi fondatori del genere horror). 
In questo decennio, che costituisce una sorta di "periodo assiale" per la letteratura inglese, Londra è il cuore pulsante del mondo, ("sotto l'epidermide della Storia scorrono le vene di Londra") e nel contempo è un universo cupo, grigio, fumoso e sanguinario, perfettamente incarnato negli innumerevoli ritratti di una regina che non sorride mai, e che indossa perennemente il nero del lutto. 
Vittoria, questa sovrana eterna, fredda, impassibile, minacciosa, distante e nel contempo ubiqua e gravosa come una cappa di ferro, è l'emblema di questo periodo, è il volto che esprime nel contempo la potenza inattaccabile dell'Impero Britannico e l'atmosfera cupa e spietata della sua capitale.
Nel 1888 l'orrore diventa realtà: Jack lo Squartatore commette gli omicidi più atroci e truculenti a memoria d'uomo. Ma l'orrore si può celare anche dietro la perfetta bellezza, come ci insegna Oscar Wilde pubblicando nel 1890 il suo capolavoro, Il ritratto di Dorian Gray, che è nel contempo uno dei manifesti dell'estetismo e uno dei primi romanzi horror di tipo non gotico. 
Queste opere del decadentismo inglese hanno le loro radici in autori dell'Età Romantica: Mary Shelley ha ispirato Stevenson, John William Polidori (zio materno di Dante Gabriel Rossetti e sua sorella Christina, poetessa) ha ispirato Stoker, Lord Byron ha ispirato Wilde.
Ma è sempre nella Londra tardo vittoriana di quel periodo, e precisamente nell'anno 1887, che Arthur Conan Doyle pubblica Uno studio in rosso, il primo caso di Sherlock Holmes. L'ispirazione di Conan Doyle è romantica e anglosassone, ma americana e cioè, naturalmente, Edgar Allan Poe,
E allora ci domandiamo, perché il romanticismo anglosassone ha preso la piega che porta al Giallo e al Nero, al mistery e all'horror? E perché Londra ne è, anche fisicamente, materialmente, la perfetta rappresentazione, oltre che il naturale baricentro?
E ci sono anche altre specificità: lo stesso termine "romantic" è stato coniato nell'ambito della letteratura inglese riferendosi al romance, e che questa letteratura ha inventato generi nuovi, come il romanzo gotico, il romanzo "sentimentale a sfondo gotico" delle sorelle Bronte, e soprattutto il romanzo storico, con l'Ivanhoe di Walter Scott, il cui maniero di Abbotsford House servì da modello per lo stile dell'architettura neogotica, promossa poi dal principe Alberto.
Il principe consorte, della stirpe dei Sassonia-Coburgo, proveniente da un castello sperduto nella selva di Turingia, portò con sé, oltre alle atmosfere brumose della sua terra, lo spirito originario del romanticismo: quello tedesco, mirabilmente rappresentato nei quadri di Caspar David Friedrich. Tutto questo favorì in Inghilterra una rivalutazione del medioevo, delle radici sassoni, dell'arte in stile preraffaellita e del senso del Mistero.
Azzardiamo un'ipotesi, per poi applicarla a livello pratico.
Il mondo anglosassone è geograficamente nordico e linguisticamente germanico, e queste caratteristiche, insieme a fattori economici e militari (la competizione è con la Francia) si presta ad una sorta di rivolta anti-classicista, perché questo è il romanticismo, persino quando i suoi poeti hanno una venerazione per la civiltà classica.
Il classicismo è geograficamente mediterraneo e linguisticamente latino, neolatino e greco.
La Francia è a metà strada, i simbolisti sono formalmente classici e contenutisticamente romantici, la narrativa è dominata dal realismo e dal naturalismo, ma Huysmans da solo è così visionario e poliedrico da rappresentare il grande contributo francese sia all'estetismo, sia ad un approccio verso le tematiche dell'orrore e dell'occultismo partendo però da un punto di vista che si fonda sulle radici cattoliche e tradizionaliste del romanticismo "gallico".
Ma allora tra Londra e Parigi, qual è la città più vicina al romanticismo?
Nell'accezione sentimentale e amorosa del termine vince Parigi, ma nell'accezione letteraria vince Londra, anche grazie alla continuità dell'istituzione monarchica, che conferisce alla capitale britannica una sacralità che soltanto Roma può superare.

Ma Londra ha un lato oscuro e questo si manifesta nei romanzi che produce così come nei crimini che vi sono commessi. 
E in particolar modo la Londra vittoriana, specialmente di notte. 
Mostri veri e mostri inventati, che sembrano altrettanto veri, se non di più.
La Londra della regina Vittoria, una donna che disprezza i suoi stessi figli, come può amare una città che per due terzi è fatta di straccioni, ladri e prostitute, anzi, no, chiediamo scusa, bisogna dire "povere sventurate", perché ufficialmente nella capitale dell'Impero Britannico non ci sono meretrici, solo povere sventurate.
Il politically correct l'hanno inventato i vittoriani.
Londra che di giorno è positivista e liberale e di notte diventa romantico-decadente e medievale, e questo è bello, a meno che non si incappi in qualche psicopatico.
Londra nel 1888: una città di Massoni, medici chirurghi e macellai.
La realtà si prende una rivincita sulla fantasia e ci ricorda che la vita è anche questo: trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Una città di fumerie d'oppio, perché la vita è insopportabile, e dunque lasciateci almeno sognare!
Che cosa è rimasto di quella Londra, nell'immaginario collettivo: la noiosa città del giorno o l'orribile mostruosità della notte? 
C'è una sola risposta: se si guarda un film ambientato nella Londra di quegli anni, la luce del sole non c'è mai, o raramente, perché di giorno anche le nubi la coprono e la pioggia la riempie di lacrime, e dunque è la Londra notturna che vince e sembra estendere le sue tenebre su tutto, persino sul giorno.
E gli Iniziati, da che parte stavano? Da entrambe le parti, ovviamente!

Nel 1901, finalmente, l'oscurantismo ha termine, così come la lunga attesa del Principe di Galles: la vedova di Windsor si spegne in un luogo improbabile, l'Isola di Wight. 
E Londra cambia faccia: l'età edoardiana è una breve, ma intensa ondata di luce.
Edoardo VII, uomo di mondo, sovrano illuminato e pacifico, muore dopo soli nove anni di regno, e gli succede il suo secondogenito, Giorgio V, un ruvido Nostromo, sposato a una regina dal viso lungo, serio, ed equino, e così, nel 1916, i Coburgo si scoprono troppo tedeschi e nasce la dinastia Windsor, battezzata dal bagno di sangue della Grande Guerra.
Londra si avvia verso la modernizzazione, ma non dimentica il suo lato oscuro, anzi, è proprio quel lato oscuro, così come l'aura di tragedia che grava sulla Famiglia Reale dai tempi della Guerra delle Due Rose, che affascina milioni di persone, dal poeta più raffinato all'analfabeta più rozzo.

E dunque cosa rende "speciale" la Serpentine londinese di Hyde Park? 
Il Roberto del 1992 non era ancora in grado di rispondere. Suo zio Lorenzo, invece, l'avrebbe saputo, anche da adolescente.
La risposta è: il suo passato, la sua storia, la sua vicinanza ai luoghi che, dall'età elisabettiana a quella vittoriana, hanno generato una letteratura feconda di nuovi capolavori e di nuovi generi, tutti più o meno gravitanti intorno ai temi o alle atmosfere del romanticismo.





Si avvicinava dunque il momento della tanto sospirata navigazione in barca a remi sul lago.
Notando che Aurora sembrava leggermente preoccupata non sapendo quale dimestichezza avesse lui con le barche, Roberto, che almeno lì sapeva fare qualcosa, la rassicurò:
<<Ho imparato ad andare in canoa nei canali di Cervia, fino alle saline. Per le barche a remi, c'erano i due laghi delle Ghiarine: quando mi iscrissi al corso, mi guardarono con aria strana e mi dissero: "Ma lei è davvero un Monterovere?". Io gli avevo già mostrato la carda di identità, per cui non capivo. Poi venni a sapere che i laghi erano di proprietà della prozia Anita, che faceva da prestanome a tutti gli altri fratelli, compreso mio nonno Romano.
Mi trattarono bene, per cui mi invogliarono a migliorare le tecniche, andando ad esercitarmi nel Bacino di Canottaggio della Standiana, ciò che rimaneva della Vallis Candiana dopo la bonifica.
E' di fianco al parco acquatico che hanno inaugurato in luglio, Mirabilandia.
Una volta lì era tutta palude, la Grande Palude, collegata alla Padusa.
Quando mi iscrissi al corso, scoprii che anche lì, una dei proprietari era Anita Monterovere.
C'è una faida tra Anita e mia nonna Diana, non si possono vedere.
Comunque, anche lì mi trovai abbastanza bene, per cui penso che potremmo azzardarci a noleggiare la barca a remi, sperando che ci sia il salvagente, però>>
Aurora era assolutamente d'accordo:
<<Ovvio che prendiamo la barca a remi! Non c'è romanticismo nel pedalò! Le giovani coppie vanno nella barca a remi. Vedremo se ti hanno insegnato bene. Io ho navigato nei fiumi veri, con il kayak. Prima o poi riuscirò a convincerti a provare>>
Su questo Roberto non aveva dubbi: lei poteva convincerlo a fare qualsiasi cosa, purché non fosse vietata dal Codice Penale.
E si ritrovarono davvero in una barca a remi sul Serpentine Lake di Hyde Park, con l'idea del tutto infondata che fosse una delle cento cose da fare almeno una volta nella vita.
La pensavano davvero così, in quel momento, erano euforici, si sentivano al centro dell'universo, con l'assoluta convinzione che il loro amore sarebbe stato eterno, e le loro anime si sarebbero rincorse e ritrovate per sempre, senza fine.
Quando Roberto ci parlò di questo, due o tre anni fa al massimo, disse che aveva ritrovato quel concetto nella stessa canzone di prima, quella del menestrello Amedeo, ("è un complimento", ci tenne a specificare) da cui aveva tratto la metafora, e recitò, come se si rivolgesse ad Aurora:
"Sarà che come me tu rivivrai / quando l'amore mio ti canterò / E quando tutti i giuramenti / fatti a te saranno inganni / alla vita che stupita sbanderà..."
C'era una nostalgia nella sua voce, e un rimpianto, per tutto ciò che sarebbe potuto essere e non era stato, che noi stessi ne fummo pervasi, perché avevamo davanti ai nostri occhi lo sbando della sua vita, lo sperpero di tutte le occasioni che la fortuna gli aveva servito su piatto d'argento e che lui aveva dilapidato in una vita dissipata, oziosa e volubile, come la fortuna stessa.
Gli chiedemmo dunque se l'amasse ancora e lui rispose con una parola che poteva essere autenticamente sua oppure una citazione, perché in fondo, alla fine, nell'immensità della letteratura, e nelle sceneggiature del cinema, forse tutto è già stato detto, e noi non lo sappiamo, o facciamo finta di non saperlo.
<<Sempre>> fu la sua risposta.
Non dubitammo e non dubitiamo del fatto che avesse continuato ad amare Aurora.
Ma era solo una mezza verità, e glielo dicemmo: l'altra mezza verità si chiamava Jessica.
E lui aveva le perse entrambe, anzi, le aveva allontanate da sé, di sua spontanea volontà, accollandosi tutte le colpe, comprese quelle che non aveva, perché solo così poteva salvarle da se stesso, da ciò che era diventato, nei decenni che seguirono gli eventi che stiamo narrando.




















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