giovedì 21 dicembre 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 92. La pecora nera della famiglia: vita mondana e dissoluta di Riccardo a Milano



Negli anni milanesi Riccardo aveva perduto l'innocenza ed aveva condotto, pur salvando le apparenze nei confronti della famiglia, una vita mondana godereccia, dissipata e incredibilmente spericolata, che lo aveva trasformato in una persona diversa, tanto che nei rari momenti di lucidità faceva fatica a riconoscersi.
C'era stato un momento particolare, alla fine del primo anno, un momento in cui era ancora innocente, un momento in cui però aveva già perduto qualcosa, qualcosa che amava e che potremmo chiamare "la retta via".
Com'era potuto accadere?
Innanzi tutto, neanche un esame del primo anno gli era piaciuto.
Quelli di diritto e di contabilità lo avevano annoiato a morte.
Quelli di economia aziendale erano aria fritta.
Quelli di economia politica erano modelli matematici totalmente campati in aria, privi di qualunque valore scientifico.
Ma il peggio l'aveva toccato con l'esame di statistica, dove alla fine aveva accettato un 24 al terzo tentativo.
In quei giorni il suo umore era sprofondato nella depressione più nera.
Ma piuttosto che ammettere di aver sbagliato la scelta universitaria, cosa che avrebbe fatto gongolare tutti i suoi detrattori e disperare i suoi sostenitori, decise di far finta che andasse tutto bene.
Tutto questo stupido orgoglio, però, aveva un prezzo.
Riccardo si era accorto che tra i suoi coinquilini del quinto piano del famigerato studentato San Mansueto, circolava quella che con un nobilitante eufemismo veniva definita: la pozione magica.
Si chiamava Deadyn (già il nome non prometteva bene) ed era un farmaco stimolante, simile alle anfetamine, ma meno dannoso e pertanto, all'epoca, ancora reperibile in farmacia su ricetta di qualche medico compiacente che non stesse troppo a sottilizzare.
Riccardo, che non aveva alcun vizio (non fumava, beveva poco alcool e teneva moltissimo ad avere un fisico atletico), decise di andare dal medico compiacente, di cui è meglio tacere il nome, per farsi visitare e consigliare. Il Dottore gli diagnosticò un affaticamento da stress e gli prescrisse il Deadyn così come aveva fatto con tutti gli altri studenti del quinto piano del San Mansueto.
All'inizio Riccardo era scettico e in preda a scrupoli morali, ma poi decise di provare e gli si aprì un continente inesplorato.
Bastava quella piccola pastiglia per far sparire come d'incanto tutta la stanchezza, la noia, l'ansia, la tristezza: ci si sentiva pieni di energie, carichi, senza fame, senza sonno, e si riuscivano a fare mille cose.
Una volta entrato nel Club, come in gergo si chiamava il giro dei consumatori di Deadyn (in pratica tutti i più ambiziosi, danarosi e spregiudicati studenti del San Mansueto), Riccardo incominciò a fare anche vita notturna, insieme al solito gruppetto di esaltati, tra pub, discoteche, in particolare quella frequentata dai bocconiani, il famigerato Parco delle Rose di Piazzale Corvetto.
Fu lì che, sotto l'effetto congiunto del Deadyn e della Vodka alla pesca, perse ogni freno inibitore e corteggiò spudoratamente quella bambola ereditiera sexy di nome Barbara, detta Barbie (non a caso), che nel giro di pochi mesi divenne, nell'incredulità di tutti, la sua fidanzata ufficiale.
Tutto sembrava andare a meraviglia.
Macinava esami uno dietro l'altro, trovava il tempo per fare tutto, anche andare in palestra, in piscina e accompagnare Barbie a fare shopping in Via Monte Napoleone, dove poteva capitare di incontrare in boutique Miuccia Prada in persona, oppure le grandi top model, tipo Kate Moss o Gisele Bundchen,  mentre adesso ci si deve accontentare della Ferragni e delle sue emulatrici.
Poteva persino capitare che, in una torrida giornata di luglio del 1997, Barbie fosse riuscita a procurarsi un esclusivissimo invito per partecipare ai funerali di Gianni Versace, a solo due panche di distanza da lady Diana Spencer, Principessa di Galles, ignara del fatto che un mese dopo avrebbe seguito il suo stilista preferito nella tomba.
La giornata media milanese di Riccardo e Barbie terminava poi con il sesso sfrenato (il Deadyn potenziava anche la libido), a cui faceva seguito, però, il cosiddetto "rebound", ossia il rimbalzo dell'umore, che, unito alla fisiologica disforia postcoitale (post coitum omne animal triste, dicevano saggiamente i Latini), sfociava in agghiancianti minuti di amara consapevolezza della propria condizione di sostanziale tossicodipendente.
Si può mentire alla propria coscienza, ma non al proprio inconscio, e per questo Riccardo era perseguitato da incubi catastrofici, nei quali il mondo intero lo accusava di avere barato.
Fu così che perse la fiducia in se stesso e anche la propria innocenza.
Il resto fu una specie di film che oscillava tra la commedia brillante in stile "Sex and the City" e l'horror demenziale del tipo "American horror story".
Ma nessuna pacchia può durare in eterno.
Prima o poi, nella vita, chiunque viene chiamato a pagare il conto delle proprie scelte.
La tegola cadde improvvisamente nel 1999.
Riccardo era impegnato nella tesi di laurea, quando la Commissione Unica del Farmaco mise il Deadyn fuori commercio per danni epatici.
A quel punto procurarsi il farmaco, ormai parificato a una droga sintetica, diventava molto più difficile, costoso e rischioso, per non parlare poi delle preoccupazioni relative agli effetti collaterali.
Riccardo decise di farsi le analisi del sangue e scoprì di avere le transaminasi epatiche a livello di allarme. Ritornò dal famoso medico compiacente, il quale ammise che si era scoperto poco tempo prima che un uso continuativo del Deadyn poteva portare ad un'epatite tossica.
Per Riccardo fu una doccia gelida.
<<E adesso come faccio? Ci sarà pure qualcosa che mi permetta di gestire la crisi di astinenza?>>
Il medico, che era un neurologo, gli prescrisse degli epatoprotettori per il fegato e degli antidepressivi uniti a benzodiazepine per gestire la crisi di astinenza. Nel dire questo non sembrava affatto preoccupato, o almeno non lo dava a vedere:
<<Stia tranquillo, signor Monterovere. Vedrà che la situazione si risolverà presto>>
<<Non credo proprio, dottore, perché i farmaci possono mitigare i sintomi, ma non possono risolvere i problemi>>
Il medico allargò le braccia:
<<Non abbia paura. Lei non è in pericolo di vita, e questa è l'unica cosa che conta, dal punto di vista medico>>
Riccardo scosse il capo:
<<Ma non capisce? Non è la morte che mi spaventa! E' la vita! Ho uno stile di vita che non è più sostenibile, ma non voglio rinunciarci. Il solo pensiero di ritornare al grigiore di prima mi terrorizza>>
<<Mi dispiace, ma questo non è il mio campo. Posso segnalarle qualche bravo terapeuta, ma io, come neurologo, posso solo "costringerla a vivere">>
Riccardo allora scoprì una verità, su se stesso, che fino ad allora non aveva voluto ammettere:
<<Mi fa più paura chi mi costringe a vivere di chi mi costringe a morire>>

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