sabato 30 luglio 2016

Il Trono del Toro. Capitolo 22. Gli scandali di Fedra e Ippolito ed Erope e Tieste.



La sala del trono del palazzo di Cnosso non era mai stata così piena come quel giorno.
Per festeggiare il ritorno del principe Althamenes tutti i parenti della dinastia e i sovrani alleati erano stati invitati con i massimi onori.

Il vecchio re Catreus sedeva sul Trono del Toro, affiancato come sempre dalle due regine Indis e Pasifae, dall'Enuco Capo Edelmas e dal Primo Consigliere Amasis.
Catreus appariva decrepito: i vizi di tutta una vita gli erano scritti sul volto cadente. Il colore giallognolo della pelle era dovuto all’abuso di vino. Le occhiaie alle notti insonni, alle orge sfrenate che negli anni si erano fatte sempre più stravaganti per mantenere viva la sua declinante virilità. I poveri vecchi Edelmas e Gabaal si erano dovuti sforzare oltre ogni limite per trovare giovani che riuscissero a soddisfare i gusti sempre più difficili e perversi del re.
Catreus sentiva che la sua vita stava giungendo alla sera, e solo per questo aveva permesso il ritorno del figlio che secondo tutti gli indovini lo avrebbe sicuramente ucciso. Sentiva freddo, e si avvolse il manto reale intorno al corpo, come in una vestizione funebre.
«Amasis!» chiamò e il Primo Consigliere si chinò verso di lui «Amasis… voglio che tu sappia che per me tu resti il solo e l’unico…»



«Sire, io…»

«No, lasciami finire… oggi ritorna qui un figlio che per me è un estraneo. Tu sei per me più di un figlio… nella mia vita dissoluta tu sei stata l’unica luce… la mia stella del mattino e della sera…» la sua voce si incrinò ed egli ricadde sfinito sullo schienale del Trono del Toro.

Le presentazioni degli invitati stavano per avere inizio. C’erano volute settimane per stabilire con la massima scrupolosità l’ordine di chiamata, per rispettare tutte le gerarchie e i gradi di parentela e alleanza.
Edelmas aprì il rotolo del papiro, si schiarì la voce e chiamò: «Sua Maestà il Grande Re degli Achei Atreo, sovrano di Micene, con la regina Erope e le loro altezze i principi loro figli Agamennone e Menelao»

La famiglia reale degli Achei si avvicinò.

Il Re Atreo era tremendamente invecchiato: i capelli e la barba erano grigi, il viso solcato di rughe e di cicatrici, gli occhi erano cupi e infossati.


Non sono state solo le guerre a ridurlo così pensò Indis, chiedendosi se erano fondate le dicerie secondo cui sua figlia Erope era stata una moglie difficile e infedele.
Ora è qui davanti a me, lo scoprirò di persona
Guardò Erope e vide subito negli occhi di lei un’arroganza ostentata, nella piega ironica del suo sorriso un’impudenza evidente, nell’eccessiva pesantezza del suo trucco, come nell’esagerato sfarzo del suo abbigliamento e della sua acconciatura una civetteria divenuta abitudine e regola di vita.
Dei immortali! Allora le voci erano vere! Erope ha imboccato la strada proibita alle donne achee
La bocca di Indis divenne una piega sottile e triste.
Mentre Atreo porgeva i suoi omaggi al re, Erope avanzò verso Indis, la quale affrontò lo sguardo insolente della figlia: «Bentornata, figlia mia»
«Nei contesti formali mi si saluta come Grande Regina degli Achei» fu la fredda replica di Erope.
«Sono tua madre!»
«Tu sei la regina Indis, che diciotto anni fa mi mandò tra i barbari senza farsi troppi problemi»
«Fu un ordine di Pasifae! E solo gli Dei sanno quanto mi sono opposta» sussurrò Indis
Erope rise maliziosamente: 
«Non hai alcuna credibilità come madre affettuosa»
Indis la affrontò: 
«Mi sono giunte delle voci allarmanti sul tuo comportamento! Prega gli Dei che tuo marito non ti scopra mai in flagrante!»


«Gli Dei non esistono! E tu sei solo una vecchia patetica...» queste parole uscirono dalla bocca di Erope senza che il finto sorriso si scomponesse.
Indis impiegò alcuni istanti a riprendersi.
Nel frattempo Atreo le aveva rivolto un inchino: 
«Reali di Creta, vi presento i miei figli: Agamennone, che mi succederà come Grande Re e sovrano di Micene e Menelao, che sposerà Elena di Sparta e ne diverrà re»
Erano entrambi alti, slanciati: Agamennone aveva occhi e capelli castani, Menelao assomigliava di più al padre, ed era biondo con gli occhi azzurri, ma entrambi avevano acquisito la grazia dei lineamenti di Erope.
«Agamennone ha già sposato Clitennestra, la sorella minore di Elena. Entrambe le fanciulle sono al seguito di Tindaro e Leda, i reali di Sparta» disse Atreo.

«Veramente io avrei preferito che Agamennone sposasse Pelopia, la figlia di Tieste, per consolidare il nostro potere sull’Argolide» commentò Erope ad alta voce, mettendo tutti in imbarazzo.
L’arroganza con cui prende partito pubblicamente  non depone certo a favore della sua intelligenza pensò Indis e, trattenendo a stento le lacrime, dovette ammettere a se stessa di averla perduta.
I miei nipoti però sono ancora in tempo per salvarsi. Che gli Dei concedano loro delle spose più degne della loro madre.
Il gruppo reale prese congedo.
Indis si voltò verso Pasifae e ne notò il sorriso beffardo.
Ora vedremo se la tua Fedra è stata una moglie migliore!

Il gran cerimoniere annunciò:
 «Teseo, Re di Atene, sua moglie la regina Fedra e il principe Ippolito»


Anche  nei confronti di Teseo il tempo non era stato clemente: il re di Atene era canuto, molto dimagrito, quasi rinsecchitto. Il suo volto aveva un’espressione severa.
Pasifae guardò immediatamente sua figlia Fedra e suo nipote, il figlio di Arianna.
Ippolito era un bel giovane, ma i suoi occhi erano tristi, come velati da una nebbia di malinconia.


Fedra lo teneva a braccetto e quasi si appoggiava a lui.
Ma che fa quella sciocca? fu il primo pensiero di Pasifae.

«Madre!» salutò Fedra con un gridolino vezzoso «hai visto com’è bello il mio Ippolito?»

Pasifae la fissò con occhi gelidi.


Ma cosa significa questa buffonata?

«Fedra, dovresti dare il braccio a tuo marito» la rimproverò.

«Madre, ma che dici, non è meglio essere a fianco di questo adorabile…»
Pasifae la prese con forza per un braccio: 
«Ma che cosa ti salta in mente? Ippolito è figlio di tua sorella! Stai dando uno spettacolo indegno!»
Fedra pareva non udire nemmeno: 
«Madre, perché mi stai strattonando, non vuoi conoscere tuo nipote, guardalo…»
Pasifae la spintonò verso Teseo: Dio Sole aiutami! Mia figlia è impazzita!, poi guardò Ippolito e gli lesse negli occhi quello che mai avrebbe voluto vedere: in quello sguardo triste e disorientato c’era scritto a lettere scarlatte l’abominio commesso da Fedra, il peccato indicibile.
Per la prima volta nella sua vita Pasifae si sentì impotente di fronte al destino.
«Ippolito… nipote mio» disse piano con voce imbarazzata «assomigli tanto a tua madre, la mia povera Arianna. Speravo che Fedra sarebbe potuta essere come una madre, per te, ma forse...»
Non riuscì ad aggiungere altro.
Lui chinò il viso imbronciato per nascondere una lacrima.
Pasifae non osava neppure toccarlo, come se temesse di contaminarsi.

Poi prese da parte sua figlia.
«Fedra! Come hai osato!» le disse nell’orecchio.
 Fedra si mostrò molto stupita e rispose: «Ma se Ippolito non è mio figlio… dov’è lo scandalo?»
Pasifae non replicò neppure: non era il caso.
Dov’è lo scandalo? E’ il figlio di Arianna, maledizione! Sangue del suo sangue!
Ed il figlio di suo marito!
Incontrò lo sguardo cupo di Teseo, lo fissò con un misto di pietà e disperazione.
Il re di Atene annuì, come a confermarle l’indicibile.
E ha dovuto far finta di niente per evitare che lo scandalo scoppiasse
Ma non poteva durare all’infinito. La tragedia era dietro l’angolo, Pasifae se lo sentiva nella pelle: Arianna… ovunque sia migrato il tuo spirito, proteggi tuo figlio!
Indis aveva osservato tutta la scena, ma non aveva capito molto, se non che Fedra era diventata ancora più stupida di quanto fosse da ragazza.
Quando però vide lo sguardo terreo di Pasifae, si rese conto che anche sua figlia doveva aver commesso qualcosa di molto grave.
E così siamo pari pensò fissando Pasifae, che per la prima volta in vita sua non riuscì a reggere lo sguardo e si voltò, con una mano sugli occhi.
Dunque anche la donna di ghiaccio può sciogliersi in lacrime! Ma non mi è concesso di godere della sua sventura, ora che anche mia figlia mi ha disonorata
Così pensò Indis, mentre seguiva il congedo del Re di Atene da quello di Creta.
Poi si appoggiò ad Amasis e gli chiese: «Hai visto?»
«Purtroppo sì» rispose lui.
Indis sospirò: 
«E pensare che credevo che i barbari fossero gli Achei e invece ora Atreo e Teseo hanno tutti i motivi per maledirci» Istintivamente toccò una statuetta d’avorio della Dea Madre, che teneva in tasca: «Minosse aveva maledetto Pelope ed Egeo per aver ucciso il suo amato primogenito, Adregin. Ora la maledizione agisce sui loro figli, che ce la stanno scagliando addosso. Gli oracoli l’avevano previsto, come hanno previsto la fine della dinastia. Proprio ora che torna mio figlio Althamenes!»




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