lunedì 17 marzo 2014

Quali sono i rischi dell'uscita dall'Euro in termini di inflazione, debito e speculazione?




Le elezioni europee si avvicinano e alcuni partiti hanno apertamente proposto l'uscita dell'Italia dall'Eurozona. Questi partiti o movimenti sono: la Lista Tsipras (che comprende SEL, IDV, RC e altri partiti della sinistra radicale), il Movimento 5 Stelle, la Lega Nord, Fratelli d'Italia e altre formazioni della destra identitaria. La permanenza dell'Italia nell'Euro è invece sostenuta da PD, Forza Italia, NCD, UDC e SC.
L'esito delle elezioni europee del 25 maggio sarà dunque una sorta di referendum pro o contro l'Euro. I sondaggi per ora indicano esiti che si aggirano su queste cifre:

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Ma si può uscire davvero dall’euro? E' tecnicamente possibile? Quali sarebbero le conseguenze e i rischi?
 Dal dopoguerra a oggi, sono stati contati almeno settanta casi, dal Bangladesh alla Cecoslovacchia, in cui c’è stata la dissoluzione di un’Unione monetaria o in cui le monete nazionali sono state cambiate con operazioni lampo, ad esempio il Brasile – una federazione di ventisei Stati con 200 milioni di abitanti -, che il 1° luglio 1994 sostituì il vecchio cruzeiro con il real. 

 

Sì, però ci sarà la svalutazione, cioè la nuova lira, in rapporto con le altre valute, perderebbe valore. Quali sarebbero le conseguenze della svalutazione? Guardando la storia dagli anni Novanta a oggi si possono riscontrare alcuni dati. Nella maggior parte dei casi, nei trentasei mesi successivi alla svalutazione, il prodotto interno lordo del Paese in questione è cresciuto a causa dell'aumento delle esportazioni: del 6 per cento in Messico (1994), addirittura del 17 per cento in Argentina (2001), del 2 per cento in Cile e dell’1 per cento in Italia nel 1992, quando uscì per alcuni anni dal Sistema Monetario Europeo. 
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La grande paura è l’iperinflazioneSe si svaluta, salgono i prezzi delle importazioni e questo provoca un aumento dei prezzi dei prodotti finiti e quindi una diminuzione del valore dei redditi e dei patrimoni espressi in valuta. Anche su questo punto si dipingono scenari apocalittici: «con una svalutazione del 50 per cento, i nostri stipendi varranno immediatamente la metà». Il  professor Bagnai la pensa diversamente:
a) la svalutazione, secondo i principali studiosi, non sarà del 50 per cento ma oscillerà tra il 10 e il 20 per cento;
b) l’inflazione sarà inferiore perché, come è noto, non tutta la svalutazione si trasforma in inflazione: stando ai medesimi studiosi dovrebbe aggirarsi fra il 3,5 e il 7 per cento in più dell’attuale, dunque fra il 5,5 e il 9 per cento.

 

Ci sono molti modi per contenere l’inflazione, in effetti, anche di fronte a una svalutazione molto forte. Alcuni sono naturali: laddove è possibile, per esempio, si può aumentare la domanda di beni interni, che al contrario di quelli stranieri non costeranno di più nemmeno dopo la svalutazione. Nel dicembre 2013 la Coldiretti ha bloccato le frontiere denunciando la forte importazione di prodotti alimentari dall’estero: se anziché consumare latte polacco, patate tedesche, salumi olandesi e formaggi di Baviera comprassimo prodotti locali non sarebbe meglio?
 

 Ma ci sono alcuni beni, come l’energia per i quali dipendiamo totalmente dall’estero. Per quella via un po’ di inflazione ce la porteremmo sicuramente in casa. 
Ma lo Stato potrebbe intervenire tagliando le accise, per esempio, o tagliando l’Iva e andando così a compensare gli aumenti di prezzi, almeno nei settori strategici. L’esperienza del passato ci conforta: nel 1992, con una svalutazione del 20 per cento, l’inflazione restò sotto il 5 per cento. 

 L’altra obiezione è che alla lira non si può ritornare perché andremmo immediatamente in default: la nostra moneta, infatti, verrebbe svalutata mentre il debito pubblico resterebbe espresso in euro, facendo così saltare il banco

Minori problemi ci sarebbero, naturalmente, sul fronte dei debiti interni. I mutui verranno riconvertiti in lire, come gli stipendi: se il cambio sarà di 1 a 1, come suggerisce ancora Bagnai, chi prendeva 1500 euro prenderà 1500 lire, e chi pagava 500 euro di mutuo pagherà 500 lire. Non cambierà nulla, o quasi, a parte i rialzi (quelli sì, inevitabili) dei mutui a tasso variabile. Ma non è vero che gli stipendi passeranno in lire e i mutui resteranno in euro. Sarà tutto riconvertito nella nuova valuta, a parte, ovviamente, i debiti accesi all’estero. Quello è sicuramente un problema per i conti pubblici. E per le banche, che comunque lo potrebbero sopportare accadde dopo la svalutazione del 1992.


Di sicuro, se si cominciasse ad annunciare l’uscita dall’euro con mesi di anticipo, l’ondata di panico si impadronirebbe dei piccoli risparmiatori
Ma il rischio più grande sarebbe un altro e cioè la vendetta dell'Eurozona, attuata tramite manovre speculative, da parte delle grandi banche d'affari, oltre che dalla Bce, tali da affossare i mercati finanziari italiani e far crollare il valore delle azioni e delle obbligazioni, come punizione esemplare nel caso ad altri paesi dovesse venire l'idea di uscire dalla moneta unica.



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