domenica 10 agosto 2025

Langobardia Major e Langobardia Minor: massima espansione del Regno dei Longobardi sotto re Liutprando nell'anno 751


I territori che nel 751 non erano ancora sotto occupazione dei Longobardi erano ufficialmente sotto il dominio bizantino: il Ducato Romano, il Ducato di Venezia, il Ducato di Apulia et Calabria, il Ducato di Sicilia e il Ducato di Sardegna.
L'apice della potenza politica longobarda si ebbe con Liutprando (712-744): egli incrementò i possedimenti del regno, arrivando fino alle porte di Roma e sottomettendo i ducati ancora indipendenti di Spoleto e Benevento; seppe inoltre contenere il Papato e svolse una politica di respiro europeo.




L'espansione della Langobardia Maior avvenne nella direzione dell'Esarcato di Ravenna, che cadde in mano longobarda nel 751 sotto re Liutprando.


Il corridoio bizantino tra Roma e Ravenna era stato dunque conquistato e la Langobardia Maior si era unita ai ducati del sud della Langobardia Minor.






Langobardia Maior era il nome che, in età altomedievale, veniva dato ai domini longobardi dell'Italia settentrionale e dell'attuale Toscana (Ducato di Tuscia). Gli altri ducati, tra cui Spoleto, Benevento e Salerno erano invece parte della Langobardia Minor che per anni fu in lotta con l'Impero Bizantino. Alla fine i Franchi usarono il termine Langobardia riferendosi soltanto a quella Maior, che fu ripartita in nuove contee e marche, mantenendo la capitale del regno dei Longobardi a Pavia anche quando nell'anno 774 entrò a far parte dell'Impero carolingio.






Nelle mappe sovrastanti si vede un fatto importante: gli effettivi domini del Papato consistevano di fatto soltanto nel Patrimonium Petri, e anche se nelle città i Vescovi esercitavano una funzione preminente, essi non erano ancora soggetti al Papa di Roma (la nomina papale dei vescovi fu rivendicata da Gregorio VII nel Dictatus Papae del XII secolo), ed i feudatari godevano di un'ampia e concretamente totale indipendenza. Le "recuperationes" dei domini donati da Pipino il Breve e Carlo Magno avvennero soltanto a partire dal ponfiticato di Innocenzo III nel XIII.




Altre mappe italiane ed europee

Nelle zone settentrionali la componente germanica dei Longobardi e degli Ostrogoti si aggiunse ai discendenti della componente celtica dei Galli, che ormai si erano integrati con i Romani e i Bizantini.






Seguono mappe, stemmi, bandiere più o meno immaginarie
















sabato 9 agosto 2025

Massima espansione del Regno d'Italia nel 1942





Confronto tra l'originale e il "sequel" mal riuscito

Le rivendicazioni degli Irredentisti nel periodo 1915-45








domenica 3 agosto 2025

Significato della canzone "E dimmi che non vuoi morire" di Vasco Rossi cantata da Patty Pravo



Una donna si rivolge a un uomo con cui in passato ha avuto una relazione finita male, nel senso che lui l'ha delusa (ed è una delusione superiore persino a quella di una vita di per sé deludente). Ora però ad essere debole non è lei, ma lui. Lui, il dongiovanni della situazione, ormai è rimasto solo, perché ha preteso troppo da tutte le donne con cui è stato. Ha preteso più di quanto fosse disposto a dare. Ed ora, se non vuole restare solo, deve cambiare. 

Lei gli fa visita, ed è passato molto tempo dall'ultima volta che si sono visti. Lo invita a ricordarsi della loro relazione e a farlo riflettere sui suoi errori. Nello stesso tempo, però, lei non vuole eccedere nei rimproveri e anzi gli dice di essere lì con lui perché le fa piacere rivederlo e parlare con lui, dopo che è passato tanto tempo. La frase "eri come loro te" è ambigua. Chi sono "loro"? Sono tutti quelli che ci appaiono felici e vincentil, ma in fondo, se anche fosse vera la loro felicità e la loro vittoria, sarebbe pur sempre una condizione temporanea. Tutti questi "vincenti" si credono degli eroi, quando le cose vanno bene, ma poiché nella vita non può andare sempre tutto bene, succede che nel momento della crisi essi devono ridimensionare il proprio ego e chiedere aiuto "a chi può sentirli", cioè alle persone che, nonostante tutto, sono ancora disponibili a dargli un'altra possibilità. 

Lei quindi, che lo ha perdonato, è pronta a dargli una seconda possibilità, ora che si è rivelata quella più forte, quella che ha saputo resistere alle delusioni  della vita e a rimanere fedele alla propria personalità e coerente nelle proprie azioni. E' rimasta ancora giovane nello spirito e gli offre nuovamente amore, passione, affetto, divertimento, comprensione, a patto che lui abbia ancora voglia di vivere e di ricominciare qualcosa che si è interrotto. 

Lo invita anche a sfogarsi, a parlare dei suoi guai, sui quali però lei vuole cercare di sdrammatizzare la situazione, forse ammettendo che anche lei può avergli causato qualche guaio, e d'altra parte in ogni relazione bisogna mettere in conto il rischio di andare incontro a dei guai. Poi però lo rassicura, dicendo che anche lei ha bisogno di lui (forse lo dice anche per farlo sentire di nuovo importante, ora che è lui in crisi), ed essendo entrambi commossi, lui può lasciarsi andare, può persino piangere insieme a lei ricordando gli errori che entrambi hanno commesso. 

Alla fine lo invita alla chiarezza: "dimmi cosa cerchi". Lui deve capire quali sono le proprie priorità ed essere sincero con lei e con tutti, al riguardo. In ultimo, lei gli rinnova il proprio invito e la propria disponibilità: ora sta a lui decidere e ritrovare la forza di vivere e di essere un uomo migliore. 






Testo
Guarda, io sono la sola ormaiCredi, non c'è più nessuna cheQuando chiedi troppo e lo saiQuando vuoi quello che non sei teRicordati di me, forse non mi credi
Sguardi, guarda sono qui per meNon ti ricordi, eri come loro teTutti quanti sono degli eroiQuando vogliono qualcosa, behLo chiedono lo sai, a chi può sentirli
La cambio io la vita cheNon ce la fa a cambiare meBevi qualcosa, cosa voleviVuoi far l'amore con meLa cambio io la vita cheChe mi ha deluso più di tePortami al mare, fammi sognareE dimmi che non vuoi morire
Dimmi, sono solo guai per teDimmi, ti sei ricordato cheHai una donna che se non ci seiCome fa a resistere senza tePiangi insieme a me, dimmi cosa cerchi
La cambio io la vita cheNon ce la fa a cambiare meBevi qualcosa, se non ti siediVuoi far l'amore con meLa cambio io la vita cheChe mi ha deluso più di tePortami al mare, fammi sognareE dimmi che non vuoi morire, la la la, la la la
E dimmi che non vuoi morire, la la la, la la laLa la la la la la
Fonte: LyricFind
Compositori: Gaetano Curreri / Roberto Ferri / Vasco Rossi
Testo di E dimmi che non vuoi morire © Sony/ATV Music Publishing LLC


venerdì 1 agosto 2025

Una con tutte stelle nella vita. Capitolo 4. Segreti inconfessabili.

 

I pomeriggi di studio insieme a Vittoria si trasformarono presto in qualcosa di difficilmente definibile, che, pur mettendo a dura prova il mio segreto innamoramento per lei, appagava il mio desiderio di essere in sua compagnia in maniera molto confidenziale, condividendo cose che due innamorati, sbagliando, non condividerebbero mai. L'attrazione che provavo per lei era molto forte, ma la sua vicinanza fisica e il fatto che lei mi confidasse i suoi segreti, le sue debolezze, le sue paure, mi facevano sentire importante.
Tuttavia non capivo perché si fidasse di me a tal punto da scegliermi come confidente pur non conoscendomi quasi per nulla. Glielo chiesi e lei rispose che io ero una brava persona, il che era vero soltanto a metà, anche se mi guardai bene dal dirle che, per quanto io fossi un uomo pacifico e di parola, una parte di me non poteva fare a meno di vedere con fin troppa chiarezza i difetti degli altri e di esprimerli con parole terribilmente taglienti, quando si arrivava al momento del litigio (e ci si arrivava sempre, perché la pazienza è una virtù che io, purtroppo, non ho mai posseduto).
Lei non mi chiedeva niente, voleva parlare soltanto di se stessa, ed era un segno di egocentrismo e narcisismo, ma io lo tolleravo bene, perché ero molto curioso di sapere tutto su di lei.
Vittoria parlava velocemente, a bassa voce, come in un confessionale, standomi così vicino che potevo sentire il suo alito fresco dal profumo di menta oppure di fragola, a seconda del tipo di gomme che masticava, le stesse che usavo anch'io per manentere la bocca fresca.
In queste lunghe confessioni, a volte ripetitive, mi sembrava che Vittoria stesse girando intorno a una serie di segreti indicibili, che moriva dalla voglia di confessarmi, ma che nel contempo si imponeva di nascondere, per qualche ragione che mi sfuggiva.
Tutti noi abbiamo dei segreti di cui ci vergogniamo, o che abbiamo giurato di non rivelare a nessuno per non nuocere ad altre persone coinvolte in tali eventi, ma i segreti di Vittoria, resi evidenti dalle sue improvvise reticenze che la spingevano a cambiare argomento di colpo, o a rifiutare di rispondere ad una mia domanda di chiarimento, mi facevano pensare che si trattasse di qualcosa di grave.
Certe volte l'eccesso di riservatezza, su alcuni argomenti, porta gli altri a pensar male e a immaginarsi che il motivo di tanto silenzio riguardo ad alcuni elementi, fosse dovuto ad una verità orribile che non si doveva scoperchiare, così come mai si dovrebbe profanare una tomba, non fosse altro che per risparmiarsi macabre e terrificanti visioni.
Eppure tra me e lei si era creato un rapporto simile a quello tra una paziente con disturbi dell'umore e uno psicoanalista che deve individuarne l'origine per poter raggiungere un effetto terapeutico.
All'inizio pensavo, ironicamente, a questi segreti a cui Vittoria alludeva senza dirli, come a qualcosa di ingigantito dal vittimismo che spesso si sviluppa nelle persone privilegiate, e pensavo: "Eh, la dura vita di una bella ragazza di buona famiglia ricca che sguaza nell'oro!".
Un giorno glielo feci capire dicendo:
<<Mi è capitato di conoscere alcune persone molto fortunate ed ho notato che quasi tutti hanno reagito in due modi alla loro fortuna: alcuni si vantano spudoratamente, altri invece si lamentano altrettanto spudoratamente, perché ritengono di non aver avuto abbastanza fortuna. Non so quale delle due categorie sia la peggiore>>
Vittoria si sentì punta sul vivo:
<<E secondo te io a quale categoria appartengo?>>
E io, sorridendo, ma rincarando la dose:
<<Ad entrambe. Sui social ti vanti spudoratamente e con me ti lamenti altrettanto spudoratamente. A quale delle due versioni di te devo credere?>>
Lei per un attimo parve offesa, ma poi qualcosa che io non sapevo le fece sparire quasi subito l'aria indignata:
<<Certo che sai essere davvero tagliente con le parole, direi quasi spietato, ma almeno mi avevi avvertita di questa tua... come l'hai chiamata... ah, sì: spietatezza verbale. Diciamo che la tua severa autocritica rende più sopportabile la critica .
E comunque devo ammettere che è una critica intelligente, per cui merita una risposta sincera.
L'immagine che io mostro sui social è falsa, mentre quella che confido a te, nella speranza di un tuo aiuto e consiglio, è vera. Quindi diciamo che devi credere alle mie lamentele, non alle vanterie che sbandiero nei social>>

Mi è capitato di conoscere alcune persone fortunate ed ho notato che quasi tutti hanno reagito in due modi al







Io allora credetti che fosse il momento della rivelazione:
<<Ti credo, ma se non mi dici il motivo che sta dietro alle tue insicurezze e alla malinconia che leggo nei tuoi occhi, allora non posso aiutarti>>
Lei fu sul punto di rivelarmi tutto, ma poi parve ricredersi, forse, perché, con mia grande delusione, adottò la solita strategia del cambiare argomento.
<<Torniamo a studiare. Di quel che c'è dietro alla mia facciata ti parlerò un'altra volta, perché non sono ancora pronta>>
Io ovviamente rispettai la sua scelta, ma mi chiesi se sarebbe mai stata pronta a dire la verità.




martedì 1 luglio 2025

Una con tutte stelle nella vita. Capitolo 4. Il vero mentitore non dice bugie, ma solo mezze verità



La prima volta in cui Vittoria Prinsivalli ed io studiammo insieme fu interessante, ma non per quel che accadde, bensì per quello che capimmo l'uno dell'altra.
Per un po' di tempo rimanemmo concentrati sullo studio per il famoso esame di storia dell'arte contemporanea e, come avevo immaginato, questo ripasso delle lezioni e riassunto del libro si svolse più che altro sotto forma di domande e dubbi da parte di lei e di risposte e chiarimenti da parte mia, non perché io fossi più intelligente, ma perché ero di sicuro più studioso.
Vittoria aveva mille impegni e gli esami universitari erano molto in basso nel suo ordine di priorità.
Una prima divergenza di gusti tra noi emerse quando io mostrai di preferire l'arte dell'Ottocento a quella del Novecento e, all'interno dell'arte ottocentesca, quella inglese dei Preraffaelliti e dell'architettura del Neogotico vittoriano. 
Lei invece, pur chiamandosi Vittoria come la regina durante il cui regno fiorirono l'arte e la letteratura che a me tanto piacevano, preferiva il Novecento e le avanguardie, e questo non mi stupì, essendo lei così ben inserita nel presente, mentre io vagheggiavo la bellezza di un passato che forse era stato meno bello, nobile e cavalleresco di quanto io m'immaginassi.
Da questa divergenza di gusti nacque però un dialogo in cui riuscimmo comunque a trovare, tra le schermaglie, un'intesa che fu, prima di tutto, "spirituale".
Il momento esatto in cui suscitai per la prima volta la sua sincera attenzione fu quando risposi a una domanda che lei mi rivolse:<
<<Da dove derivano i tuoi gusti così particolari?>>
Io risposi, come sempre, con una mezza verità (che era dunque anche una mezza menzogna):
<<Sono cresciuto nella villa di campagna di una mia bisnonna contessa alcolizzata>>
Vittoria rise e disse:
<<Questo spiega molte cose>>, ma nei suoi occhi io lessi interesse e persino ammirazione.
L'aristocrazia dello spirito può trionfare su quella del denaro e persino su quella della bellezza, quando quelle altre doti sono accompagnate da un carattere noioso o prevaricatore.
Io ho sempre cercato di avere una battuta o una citazione pronta per ogni circostanza, anche se ho evitato di abusare di questa capacità.
In ogni caso, da quel momento il nostro colloquio prese il volo e lei incominciò a farmi qualche domanda, aspettandosi risposte non banali.
<<Cose buone o cose cattive?>> chiesi io.
E lei:
<<Cose originali. Se la tua bisnonna era una contessa, sei anche tu un nobile?>>
In realtà la mia bisnonna era chiamata "la Contessa" perché era una donna molto elegante ed aveva sposato un uomo ancor più elegante, che per primo aveva avuto l'appellativo di "Conte" pur non essendolo. Ma come sempre io risposi con una mezza verità:
<<Be', ho solo un quarto di nobiltà, nel senso che la bisnonna Emilia Orsini e suo marito Attilio Balducci erano nobili, i Conti di Casemurate, e la loro figlia ed erede, Diana Orsini-Balducci, era la mia nonna materna, che però sposò un borghese, un proprietario terriero>>
Mio nonno Ettore Ricci era un contadino arricchito che si era impadronito delle terre degli Orsini-Balducci prima prestando soldi ai futuri suoceri, che spendevano molto e non lavorano per niente, e poi, quando si trattò di riscuotere capitale e interessi fece valere le ipoteche sulle terre e sulla Villa Orsini, e i miei bisnonni poterono rimanere in quella casa soltanto a patto di far sposare la loro figlia, mia nonna Diana, col suddetto Ettore.
<<Quindi tuo nonno era un latifondista?>>
E io proseguii con le mie mezze verità:
<<Sì, certo, si chiamava Ettore Ricci e il suo matrimonio con mia nonna materna Diana Orsini-Balducci di Casemurate fu un evento memorabile>>
Vittoria era affascinata:
<<Ma quindi tua nonna Diana era una contessa?>>
Anche qui si imponeva una mezza verità:
<<La chiamavano contessa, ma era solo la figlia di un conte. Il titolo passò a suo fratello>>
Lei non parve troppo delusa:
<<Be', avendo sposato un uomo ricco, era lei la vera contessa, anche se non formalmente. E dalla parte di tuo padre quali sono le tue origini?>>
Io continuai imperterrito con le mezze verità:
<<Mio padre è insegnante al Liceo Scientifico da trent'anni, è molto stimato e suo padre possedeva una quota dell'azienda di marmi Fratelli Monterovere, che mio padre ha ereditato>>
In realtà mio padre aveva lasciato la sua quota a sua sorella, che aveva gravi difficoltà economiche.
Vittoria era impressionata:
<<Monterovere è un bellissimo cognome, da dove deriva?>>
Io proseguii imperterrito con le mezze verità e le mezze menzogne:
<<I miei antenati in linea maschile discendevano da un figlio bastardo di Raimondo Montecuccoli, Conte di Querciagrossa e Feldmaresciallo del Sacro Romano Impero. Il conte Montecuccoli riconobbe questo figlio, Domenico, e gli diede il cognome Monterovere, che assomigliava al suo. Ma in questo caso non si può parlare di vera nobiltà, perché la madre del mio antenato, l'amante giovanile di Raimondo, era una donna di umili origini>>
Questo mio apparente sminuire l'origine dei Monterovere rendeva più credibile un racconto della cui verità non esistevano prove, ma Vittoria non lo sapeva e non l'avrebbe mai saputo:
<<Quindi hai sangue blu anche da parte di padre. E poi tuo padre è un aristocratico dello spirito e tuo nonno era un esponente dell'alta borghesia, per cui hai un ottimo pedigree>>
Io mi schermii:
<<Ah, ma io non do importanza a queste cose. Non mi vanto nemmeno delle cose cose che mi merito, figuriamoci se mi vantassi di quelle che ho avuto in sorte senza merito alcuno>>
Vittoria a quel punto si sentì in dovere di mostrare anche lei un pensiero meritocratico:
<<Ma certo, è giusto. La fortuna non è un merito. Tu non puoi immaginare quanto io sia stata oggetto di invidie e dispetti per aver avuto la fortuna di nascere, perdona la schiettezza, bella e ricca e nobile>>




Io la guardavo, mentre diceva queste cose, e ascoltavo la sua voce flautata, e mi perdevo nell'osservare la sua bellezza e il suo stile da donna emancipata, che si vestiva sempre come businesswoman, con abito giacca e pantaloni, camicia bianca e una cravatta spessa e ampia, di seta (una scelta volontariamente contraria alla perniciosa moda delle skinny ties, imbarazzanti già nei teen ager e improponibili oltre i diciotto anni), con un nodo Double Windsor, che io le avevo insegnato la settimana precedente, poiché anch'io avevo iniziato a vestirmi come lei, a lezione, tanto che ci chiamavano: "Il Re e la Regina", i più benevoli, mentre gli altri ci deridevano con epiteti del tipo: "I due bancari precari".
Quando poi si era venuto a sapere, nella nostra classe di storia dell'arte contemporanea e nell'intera facoltà di Lettere, che Vittoria era una promettente influencer di moda e un astro nascente, in molti avevano incominciato a corteggiarla, ma lei si trincerava dietro al suo ufficiale fidanzamento (che purtroppo non era con me, per quanto il tipo "quadrato" stesse facendo molti autogol), mentre le ragazze la punzecchiavano con battute al vetriolo.
Lei sorrideva agli uni e alle altre e mi diceva:
<<Nei momenti difficili mi impongo questa regola: sorridi e vai avanti, a qualsiasi costo, e non dare soddisfazione a nemici e detrattori>>
Io ne sarei stato capace, ma annuii e rilanciai:
<<Facciamo la gara dei mantra dei combattenti. Parto io: non conta quante volte cadi, ma quante volte ti rialzi>>
E lei, a sua volta, rilanciò:
<<L'importante non è vincere ma rimanere in gioco>>
E io, con un pizzico di umorismo, che non guasta mai:
<<Forse io non potrò più vincere, ma voi potete ancora perdere>>
E lei, puntando su un approccio più filosofico/psicologico:
<<Il pericolo maggiore deriva dal non sapersi accontentare>>
Ero meravigliato dalla saggezza di Vittoria (che, da ragazza privilegiata quale era, non mi dava certo l'idea di chi si sa accontentare) e dal modo in cui riusciva a tenermi testa:
<<Cercate di prendere il meglio dal peggio che la vita vi butterà addosso>>
E da quel momento sconfinammo nel pessimismo cosmico con un'ombra di cinismo:
Io: <<Conoscendo la vita e la gente, credo che il terrore perpetuo sia una risposta razionale>>
E Vittoria, con un fendente improvviso e quasi letale:
<<Di te diranno: "Voleva conquistare il mondo rimanendo seduto">>
Io risi e ribattei:
<<Il mio tempo potrà anche essere perduto, ma non è stato sprecato>>
Era una critica implicita alle frivolezze di lei, la quale ribatté:
<<Puoi dire di me quel che vuoi: in fondo nemmeno i re sono padroni di quello che la Storia racconterà di loro>>
E io:
<<Sulla moda. Chi segue gli altri non arriverà mai per primo>>
E lei:
<<Sul tuo monolocale. Prima di varcare la porta ho pensato: Creati una via di fuga, prima di entrare!">>
Io risi e ribattei:
<<E' quello che pensi o è quello che vogliono farti pensare?>>
E lei:
<<Le persone esistono per deluderti>>
E io: 
<<E' per questo che stai fuggendo? Perché non sai più chi è il cattivo?>>
Ci avvicinavamo alle questioni personali:
Vittoria mi guardò negli occhi e disse:
<<Pensi di essere l'eccezione, vero? E invece diventerai come uno di loro!>>
E io:
<<Quando punti l'indice contro qualcuno, ricorda che tre dita della tua mano restano puntante contro di te>>
E lei:
<<E se puntassi il medio contro di te?>>
Io risi e ribattei:
<<La bellezza è certamente un grande dono, ma non c'è niente di più patetico delle persone belle quando invecchiano e si ritrovano disarmate. A quel punto si può dire a loro: benvenute nella vita reale>>
Questa frase, che io dissi scherzosamente, provocò in Vittoria un'improvvisa insicurezza:
<<E' un colpo basso, da parte tua. La capacità di parlare non fa di te un essere intelligente>>
Era solo una battuta, ma sentivo che lei già temeva le mie parole, e allora dovetti mitigarle e usarle come in poesia:
<<Farò ammenda tramite una confessione. Delle persone come me si dice che "vivono poco per non morire molto", intendendo che "non si lasciano coinvolgere troppo per evitare di essere feriti". E' forse un male?>>
E lei:
<<Non c'è mezzo per eludere la vita. Ovunque vai, lei ti rincorre, ti perseguita, ti trova sempre... e ti fa innamorare, sconvolgendo i privilegi della solitudine che avevi duramente conquistato>>
Io rimasi sorpreso dalla sua capacità di comprendermi:
<<E' come se tu mi leggessi nel pensiero. Ci frequentiamo da poco eppure sembra che ci conosciamo da sempre>>
E lei:
<<C'è una storia nei tuoi occhi. Una storia di lacrime, fatica, sudore e sangue. Una storia di tradimenti subiti e di cuori infranti. Dimmi se mi sbaglio>>
Io non seppi mai come fece a capirlo, ma dovetti ammettere la verità:
<<E' così. Non lo nego. Ma ho superato la prova del dolore>>
Vittoria annuì:
<<Ed è questo che ti rende un uomo. Un uomo vero. Un vero uomo>>






Come il silenzio, 
noi scenderemo ognuno
per le proprie scale,
non penseremo più
al tuo bene ed al mio male,
senza guardare in giù,
e tutto il resto vada poi
come gli pare.
Come il deserto,
che avanza dentro me
veloce come il suono,
la nostra storia brucerà
un'ultima volta
e finalmente poi sarà
soltanto fumo.
Che ne faremo 
di questa farsa
che si ferma e poi riparte,
di questa vita
che non nasce e che non muore?
Dal grande fiume
svogliatamente
ci faremo trascinare
dalla sorgente alla foce, 
fino al mare, 
dalla corrente alla deriva
e non nuotare.
Dentro l'abisso,
che si spalanca sotto noi
come una fauce,
potremo infine
dolcemente sprofondare
e tutto il male 
ora e per sempre svanirà, 
svanirà, 
svanirà.