martedì 31 gennaio 2017

Il Vittoriale di D'Annunzio: tutti gli interni e gli esterni



Il Vittoriale degli Italiani è un complesso di edifici, vie, piazze, un teatro all'aperto, giardini e corsi d'acqua eretto tra il 1921 e il 1938, costruito a Gardone Riviera sulla sponda bresciana del lago di Garda da Gabriele d'Annunzio con l'aiuto dell'architetto Giancarlo Maroni, a memoria della "vita inimitabile" del poeta-soldato e delle imprese degli italiani durante la Prima guerra mondiale. Spesso, per sineddoche, tale nome è riferito soltanto alla casa di d'Annunzio, situata all'interno del complesso.
Il Vittoriale oggi è una fondazione aperta al pubblico e visitata ogni anno da circa 210.000 persone[1].
«Ho trovato qui sul Garda una vecchia villa appartenuta al defunto dottor Thode. È piena di bei libri... Il giardino è dolce, con le sue pergole e le sue terrazze in declivio. E la luce calda mi fa sospirare verso quella di Roma. Rimarrò qui qualche mese, per licenziare finalmente il Notturno» scrive d'Annunzio alla moglie Maria in una lettera del febbraio del 1921, cioè pochi giorni dopo il suo arrivo a Gardone; nelle intenzioni del poeta il soggiorno gardesano doveva durare dunque solo poche settimane per completare la stesura del suo ultimo romanzo, mentre oggi si sa che quella gardonese sarebbe diventata la sua ultima e definitiva dimora.

Il complesso monumentale


Vittoriale degli Italiani, L'ingresso a doppio arco
Il Vittoriale si estende per circa nove ettari sulle colline di Gardone Riviera in posizione panoramica, dominante il lago. Accoglie il visitatore l'ingresso monumentale costituito da una coppia di archi al cui centro è collocata una fontana che reca in lettere bronzee un passo del Libro segreto, ultima opera scritta da Gabriele d'Annunzio : «Dentro da questa triplice cerchia di mura, ove tradotto è già in pietre vive quel libro religioso ch'io mi pensai preposto ai riti della patria e dei vincitori latini chiamato Il Vittoriale». A sormontare la fontana una coppia di cornucopie e un timpano con il famoso motto dannunziano Io ho quel che ho donato. Dalle arcate d'ingresso si snoda un duplice percorso: il primo in leggera salita conduce alla Prioria, la casa-museo di Gabriele d'Annunzio, e salendo ancora alla nave militare Puglia e al Mausoleo degli Eroi con la tomba del poeta; il secondo porta verso i giardini, l'Arengo, e, attraverso una serie di terrazze degradanti verso il lago, si giunge alla limonaia e al frutteto.

Vittoriale degli Italiani, il teatro all'aperto
Superato l'ingresso e presa la via verso la Prioria si incontrano il Pilo del Piave con la scultura della Vittoria incatenata dello scultore Arrigo Minerbi, il Pilo del Dare in brocca cioè colpire nel segno, imbroccare. Sulla sinistra l'anfiteatro progettato da Maroni fra il 1931 e il 1938 ma ultimato soltanto nel 1953. Ispirato ai teatri della classicità, e in particolar modo a quello di Pompei dove Maroni venne mandato in missione insieme allo scultore Renato Brozzi, gode di uno strabiliante panorama sul lago avendo come naturale scenografia il Monte Baldo, l'isola del Garda, la rocca di Manerba nella quale al poeta tedesco Goethe parve di ravvisare il profilo di Dante e la penisola di Sirmione. È sede ogni estate di una prestigiosa stagione di spettacoli che negli anni ha portato a calcare il palco i più grandi attori italiani, étoiles del mondo della danza come Carla Fracci ed Eleonora Abbagnato, star della musica internazionale come Lou ReedMichael Bolton e Patti Smith.

Vittoriale degli Italiani. L'Isotta Fraschini Tipo 8B Cabriolet, denominata dal Poeta "Traù"
Salendo ancora si giunge alla Piazzetta Dalmata che prende il nome dal pilo sovrastato dalla Vergine di Dalmazia. Su questo spazio si affacciano la Prioria, la casa-museo di Gabriele d'Annunzio, lo Schifamondo, le torri degli Archivi e il tempietto della Vittoria con una copia bronzea della celebre Vittoria alata di Brescia di epoca classica. Sul lato destro è possibile ammirare due delle ultime automobili possedute da d'Annunzio nel corso della sua vita: la Fiat T4, con la quale fece il suo ingresso a Fiume il 12 settembre 1919, e l'Isotta Fraschini.

La Prioria

La casa, precedentemente di proprietà del critico d'arte tedesco Henry Thode, è denominata dal poeta Prioria ovvero casa del priore, secondo una simbologia conventuale che si ritrova in molte parti del Vittoriale. L'antica facciata settecentesca della casa colonica viene trasformata e arricchita dal Maroni, tra 1923 e il 1927, con l'inserimento di antichi stemmi e lapidi che richiamano alla memoria la facciata del Palazzo Pretorio di Arezzo. Al centro della facciata un araldico levriere illustra il motto dannunziano Né più fermo né più fedele. Il pronao d'ingresso, in stile Novecento, è decorato con due Vittorie attribuite a Jacopo Sansovino, mentre sul battente della porta, sopra una bronzea Vittoria crocifissa di Guido Marussig, si legge il motto Clausura, fin che s'apra - Silentium, fin che parli.

Ingresso


Ingresso al Vittoriale degli Italiani, olio su tavola, pittore Augusto Lozzia (anno 1938)
Comincia qui un percorso iniziatico fra presenze simboliche che rammentano il valore sacrale della casa: il cancello dorato, i sette scalini, gli stalli di un coro seicentesco alle pareti, un pastorale e un'acquasantiera, la colonnina francescana in pietra d'Assisi sormontata da un canestro in cemento con melograni, frutto che d'Annunzio ha eletto a emblema di sé, in quanto simbolo di abbondanza e fertilità. Due porte, sormontate da due lunette del pittore salodiano Angelo Landi e raffiguranti santa Chiara e san Francesco d'Assisi conducono a due differenti anticamere, una riservata alle visite ufficiali e una per gli amici del poeta.



Sala del Mappamondo

Risultati immagini per stanza del mascheraio

È la biblioteca principale della casa. Qui sono collocati i circa seimila libri d'arte già appartenuti al critico d'arte tedesco Henri Thode sul totale dei 33.000 complessivi raccolti da d'Annunzio nel corso della sua esistenza. Il nome della stanza deriva dalla grande sfera geografica settecentesca che troneggia sopra un tavolo. Nella nicchia al centro della sala la xilografica di Adolfo De Carolis raffigurante il Dantes Adriaticus; poco oltre la maschera funeraria di Napoleone Bonaparte e alcuni oggetti realmente appartenuti al condottiero francese durante il periodo di esilio trascorso a Sant'Elena. Sul lato opposto gessi che riproducono il busto di Michelangelo e, nella nicchia sopra il divanetto, il celebre tondo Pitti di Michelangelo Buonarroti il cui originale è conservato al Museo nazionale del Bargello di Firenze. Tra le due finestre un organo americano al quale solitamente sedeva Luisa Baccara, giovane pianista veneziana ma soprattutto compagna ufficiale di d'Annunzio a Fiume e per tutto il periodo del Vittoriale.

Stanza del Mascheraio


Immagine correlata

La stanza è così denominata dai versi sopra lo specchio del camino, composti in occasione della visita di Mussolini al Vittoriale nel maggio del 1925: Al visitatore / Teco porti lo specchio di Narciso? / Questo è piombato vetro, o mascheraio. / Aggiusta le tue maschere al tuo viso / ma pensa che sei vetro contro acciaio.
Questa anticamera fungeva da sala d'attesa per le visite ufficiali. Al suo interno sono collocati circa novecento volumi, fra cui anche spartiti musicali e una ricca collezione di dischi, una radio e un grammofono. Da segnalare il lampadario in vetro di Murano raffigurante quattro cornucopie, il cavallo in bronzo di Dario Elting presentato all'Esposizione di Arti Decorative a Parigi nel 1925 (Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne), le sedie con lo schienale a lira di Giancarlo Maroni e alcuni vasi faentini in stile déco di Pietro Melandri. Si dice che lo stesso Gabriele abbia fatto attendere due ore a Mussolini in quella stanza

Stanza della Musica


Risultati immagini per vittoriale stanza della musica

Inizialmente intitolata a Gasparo da Salò, ritenuto l'inventore del moderno violino, è una grande sala destinata ai concerti da camera. Qui in particolari occasioni suonava il Quartetto del Vittoriale. Per favorire l'acustica e il raccoglimento le pareti sono rivestite da preziosi damaschi neri e argento della ditta Ferrari di Milano raffiguranti bestie feroci e sostenuti da fermacorde a forma di lira: è un rimando al mito di Orfeo che con la musica riesce ad ammansire le fiere. Le vetrate gialle a imitazione dell'alabastro, di Pietro Chiesa, ricordano quelle già descritte nelle prime pagine del romanzo Il Piacere. Nella sala sono conservati due pianoforti e altri strumenti musicali: un clarino, uno zufolo e un arciliuto. Sulle pareti si trovano alcuni dipinti della collezione Thode fra i quali un ritratto di Cosima Liszt Wagner, opera di Franz von Lenbach, e le maschere funerarie di Ludwig van Beethoven e di Franz Liszt. L'arredamento accosta tra loro oggetti déco e statuette orientali, colonne romane sormontate da zucche policrome luminose e cesti di frutti in vetro di Murano di Napoleone Martinuzzi, calchi in gesso di sculture greche, pelli di serpenti come quella di pitone fissata al soffitto. Il gusto eclettico di d'Annunzio che mescola oggetti di diversa provenienza ed epoca trova qui la sua prima e immediata manifestazione.

Zambracca


Vittoriale, Prioria Zambracca
Il nome è derivato da un antico vocabolo provenzale che significa donna da camera. Anticamera alla stanza da letto e guardaroba, negli armadi e nei cassettoni ancora oggi vi è la biancheria del poeta, in questa stanza d'Annunzio sbrigava le ultime faccende della giornata e qui, seduto al tavolo, fu trovato morto la sera del 1º marzo 1938. Alle spalle della scrivania la fornita farmacia del poeta, sull'armadio riproduzioni in gesso dei cavalli fidiaci del Partenone. Sulla scrivania il completo da scrittoio firmato da Mario Buccellati, orafo del Vittoriale e soprannominato dal Poeta Mastro Paragon Coppella, la testa d'aquila in argento di Renato Brozzi, la testa dell'Aurora di Michelangelo.

Stanza della Leda

Era la camera da letto del Poeta e prende il nome da un grande gesso posto sul caminetto raffigurante Leda amata da Giove trasformatosi in cigno. Sulla porta si legge il motto Genio et voluptati, al genio e al piacere, e dall'altro lato è appesa una piastrella proveniente dal Palazzo Ducale di Mantova con il motto Per un dixir, per un solo desiderio. Sul soffitto, decorato da Guido Marussig, sono riportati i famosi versi della canzone dantesca Tre donne intorno al cor mi son venute... Anche qui l'assortimento di oggetti è straordinario: dagli elefanti in maiolica cinese ai piatti arabo-persiani, dai bronzi cinesi alle maioliche azzurre e ai mobili in stile orientale. Notevoli il copriletto in seta ricamata persiana con animali selvaggi, dono a d'Annunzio della moglie Maria Hardouin di Gallese, un dipinto di Mario de Maria, il Ritratto di Dogaressa di Astolfo de Maria e il calco monumentale del Prigione morente di Michelangelo, i cui fianchi d'Annunzio cinge con un drappo a nascondere le gambe ritenute troppo corte rispetto al busto.

Veranda dell'Apollino


Vittoriale, Prioria Veranda dell'Apollino
Il piccolo ambiente fu aggiunto da Maroni alla struttura originaria della villa per schermare la luce diretta del sole nella stanza della Leda e fungeva da saletta di lettura suggestivamente affacciata sui giardini del Vittoriale digradanti verso il lago. Il nome del vano deriva dal gesso di un kouros arcaico decorato dal Poeta con occhi azzurri, un prezioso perizoma e un fascio di spighe dorate, simbolo di abbondanza; la stanza è decorata da riproduzioni di ritratti famosi della pittura italiana del Rinascimento, animali in porcellana Lenci e Rosenthal, tappeti e vasi persiani. Su un tavolino le fotografie della madre e di Eleonora Duse.

Bagno Blu

Nel bagno, suddiviso alla francese in sala da toilette e ritirata, sono collocati oltre 600 oggetti i cui toni dominanti sono il blu e il verde. Per la ristrutturazione Maroni si avvalse della consulenza di Gio Ponti. Sul soffitto si legge il motto, da PindaroOttima è l'acqua, e alle pareti, oltre alle riproduzioni degli Ignudi della Cappella Sistina di Michelangelo, troviamo a fianco della vasca da bagno una ricchissima collezione di piastrelle di ceramica da parete di produzione persiana, alcune delle quali risalenti anche ai secoli XVII e XVIII. Sul tavolo oggetti da toeletta di Buccellati in argento e pietre, vetri muranesi, collezioni di pugnali e spade. La ritirata contiene tre maschere lignee del teatro giapponese del secolo XVIII e una figurina femminile di porcellana Rosenthal del 1927. La vetrata con i coloratissimi alcioni è opera di Pietro Chiesa.

Stanza del Lebbroso

Questa stanza, chiamata anche Zambra del Misello o Cella dei Puri Sogni, fu concepita da d'Annunzio come luogo di meditazione ove ritirarsi negli anniversari fatidici della sua vita. Alle pareti pelli di daino e sul soffitto nei cassettoni dorati i simboli del martirio di Cristo inframmezzati da figure eteree di sante - Caterina da Siena, Giuditta di Polonia, Elisabetta d'Ungheria, Odilla d'Alsazia e Sibilla di Fiandra - dipinte da Guido Cadorin e che il poeta disse che gli apparvero in sogno per invitarlo ad abbandonare i piaceri del mondo. Su un podio rialzato la statua lignea di San Sebastiano di scuola marchigiana e il letto chiamato dal poeta delle due età perché simile a una bara e al tempo stesso a una culla. Nel quadro in fondo alla parete è raffigurato invece San Francesco nell'atto di abbracciare un lebbroso che altri non è che lo stesso d'Annunzio. Di Cadorin è anche il dipinto sulla parete di fondo raffigurante Gesù Cristo nell'atto di benedire la Maddalena. Su un tavolino i ritratti fotografici della sorella Elvira, della madre Luisa e di Eleonora Duse, insieme con la splendida Coppa delle Vestali in vetro smaltato di Vittorio Zecchin. Fra tutte le stanze del Vittoriale quella del Lebbroso è forse la più densa di simboli la cui fonte principale sembra essere invece la Storia di San Francesco d'Assisi di Chavin de Malan tradotta da Cesare Guasti, pubblicata a Prato nel 1879.[2] In questa stanza, per la veglia privata, venne esposta la salma del poeta nella notte fra l'1 e il 2 marzo 1938.

Corridoio della Via Crucis

Prende questo nome dalle formelle in rame smaltato che rappresentano le quattordici stazioni della Via crucis, opera di Giuseppe Guidi. Le pareti sono rivestite con tessuti “vaiati” di Lisio e Ferrari di Milano, recanti il motto "Pax et bonum - malum et pax". All'angolo il calco del frate piangente del sepolcro di Philippe Pot conservato al Museo del Louvre. Dalle finestre si possono vedere il Cortile degli Schiavoni, con lo stemma di Monte Nevoso e il Portico del Parente.

Sala delle Reliquie


Vittoriale, Prioria Sala delle Reliquie
È la stanza dove d'Annunzio raccoglie immagini e simboli delle diverse fedi: una piramide di divinità e idoli orientali sormontata da una teoria di santi e martiri della religione cristiana in una sorta di sincretismo religioso affermato anche a lettere d'oro sulla trabeazione che corre lungo le pareti: Tutti gli idoli adombrano il Dio vivo / Tutte le fedi attestan l'uomo eterno.
Ma reliquia, intesa come simbolo sacro, è anche il volante spezzato – significativamente collocato dinnanzi ad un tabernacolo – del motoscafo di sir Henry Segrave, morto nel 1930 durante un tentativo di superare un record di velocità nelle acque del lago Windermere in Inghilterra. Per d'Annunzio quel volante rappresenta quella che lui definisce la "Religione del rischio", il tentativo cioè dell'uomo di superare i vincoli impostigli dalla natura. Sul soffitto il rosso gonfalone con le sette stelle dell'Orsa Maggiore della “Reggenza del Carnaro”, lo stato rivoluzionario che il poeta aveva fondato a Fiume. Alle pareti troviamo il bassorilievo del leone di San Marco donato a d'Annunzio dalla città di Genova in occasione del discorso interventista del 5 maggio 1915 e quello dipinto da Marussig che era collocato nello studio di d'Annunzio a Fiume e che venne colpito da una granata durante il cosiddetto "Natale di sangue". Le pareti sono rivestite da cortinaggi con disegni a melagrana di Mariano Fortuny e da un grande arazzo di soggetto biblico appeso alla travatura che reca il motto Cinque le dita, cinque le peccata: dai sette peccati capitali d'Annunzio escludeva lussuria e avarizia.

Stanza del Giglio

È uno studiolo contenente circa tremila volumi di storia e letteratura italiana decorato dal Marussig con pannelli raffiguranti steli di giglio, forse con riferimento al progettato ciclo dei Romanzi del Giglio, di cui il poeta scrisse solamente il primo volume, Le Vergini delle rocce. L'ambiente è caratterizzato da un piccolo armonium e da due nicchie-confessionali decorate da una preziosa raccolta di vasi da farmacia dei secoli XVI e XVII.

Oratorio Dalmata


Vittoriale, Prioria Oratorio Dalmata
Era la sala d'aspetto riservata agli amici ammessi all'interno della Prioria ed è caratterizzata da stalli cinquecenteschi sui quali sono indicati i posti del priore, del vice priore, del cancelliere. Presso il camino, una colonnetta romanica sorregge un leone proveniente dalla città dalmata di Arbe. Sulle pareti immagini religiose della più varia provenienza e un grande dipinto raffigurante Giobbe, attribuito alla scuola del Ribera. Al centro della stanza è invece raccolta una serie di oggetti liturgici - navicelle, turiboli, aspersori – con forte valore simbolico, mentre al centro del soffitto, ulteriore reliquia, è appesa l'elica dell'idrovolante con il quale nel 1925 Francesco De Pinedo compì il volo a tappe di 55.000 chilometri da Sesto Calende a Melbourne e Tokio.

Scrittoio del Monco

Il nome deriva dalla scultura di una mano sinistra tagliata e scuoiata collocata sull'architrave della porta con il motto Recisa quiescit, tagliata riposa. Era la saletta adibita al disbrigo della corrispondenza: d'Annunzio, non potendo o non volendo rispondere a tutti, ironicamente si dichiarava monco e dunque impossibilitato a scrivere. Gli armadi sono gli unici mobili del Vittoriale provenienti dalla Capponcina, la famosa villa presso Firenze abitata dal Poeta dal 1898 al 1910. Sull'architrave degli scaffali quattro sentenze di Leonardo da Vinci: E chi non ha sepoltura è coperto dal cieloAcciocché tu più cose possa più ne sostieniSe tu vuoi che la tua casa ti paia grandissima, pensa del sepolcroNiuna casa è si piccola che non la faccia grande uno magnifico abitatore. Sul soffitto, un motivo di mani stilizzate con i motti spagnoli “Tuerto y derecho” e “Todo es nada”. Fra gli oggetti vi è il vaso Libellula, realizzato a Murano su disegno di Vittorio Zecchin intorno al 1914-1915.

Officina


Vittoriale, Prioria L'Officina
È l'unica stanza della Prioria nella quale entra liberamente la luce naturale del giorno ed è l'unica arredata con mobili di rovere chiaro semplici e funzionali. Era lo studio di d'Annunzio, al quale si accede salendo tre alti scalini e passando sotto un basso architrave che costringe chi entra a chinarsi. L'architrave è sormontato dal verso virgiliano hoc opus hic labor est (qui sta l'impresa e la fatica) con cui nell'Eneide si ammonisce Enea che si accinge a scendere nell'Ade di quanto sia facile l'accesso agli inferi ma riuscire a ritornare nel mondo dei vivi sia appunto la vera difficile impresa. In effetti dopo la penombra che caratterizza il resto della prioria la luminosità di questa stanza fa al visitatore l'effetto di una risalita dal buio verso la luce. Leggii, scaffali inclinati e teche girevoli circondano il tavolo e lo scanno senza schienale su cui d'Annunzio scrive; a portata di mano stanno le opere di consultazione frequente, a cominciare dai vocabolari e dai repertori di cui l'autore si è sempre servito.
Su una delle due scrivanie spicca il busto velato di Eleonora Duse, opera dello scultore ferrarese Arrigo Minerbi. La grande attrice scomparsa nel 1924, fu per d'Annunzio compagna e musa ispiratrice; un foulard di seta ricopre il volto della donna, “testimone velata” del suo impegno ininterrotto di scrittore. Ma ad arredare la scena della scrittura sono altresì i calchi della Nike di Samotracia e delle metope equestri del Partenone, le immagini fotografiche della Cappella Sistina. Qui d'Annunzio lavorava anche per sedici ore consecutive e qui, dopo aver ultimato il Notturno compose il Libro segreto, ultima sua opera.

Vittoriale, Prioria Sala della Cheli

Corridoio del Labirinto

Il nome deriva dall'emblema del Labirinto, che si ripete sulle porte e le rilegature dei libri, ricavato da quello celebre del Palazzo Ducale di Mantova; dal motto dello stesso Labirinto, d'Annunzio aveva tratto nel 1910 il titolo del romanzo Forse che sì forse che no.

Sala della Cheli

Ultimata nel 1929, l'unica sala non triste della casa come d'Annunzio ebbe modo di dire al Maroni, la stanza deriva il suo nome da una grande tartaruga in bronzo opera di Renato Brozzi, ricavata dal carapace di una vera tartaruga donata a d'Annunzio dalla Marchesa Luisa Casati e morta nei giardini del Vittoriale per indigestione di tuberose: la sua presenza vale un monito contro l'ingordigia. Era la sala da pranzo per gli ospiti: negli ultimi anni della sua vita d'Annunzio preferiva pranzare solo nella Zambracca. I vividi colori azzurro e oro, la lacca rosso fuoco o nera, le vetrate a imitazione dell'alabastro ne fanno l'ambiente più compiutamente déco della casa e lo avvicinano a certe soluzioni dei saloni dei contemporanei transatlantici da crociera. Fra gli oggetti il gruppo bronzeo del Fauno e della Ninfa di Le Faguays, i bellissimi piatti in argento incisi da Renato Brozzi con motti dannunziani, i pavoni segnaposto in argento e pietre dure e, nella nicchia sulla destra, entrando, il calco dell'Antinoo Farnese, il giovinetto amato dall'imperatore Adriano.

Schifamondo


L'Ansaldo S.V.A. del volo su Vienna.
Schifamondo è l'edificio destinato a diventare la nuova residenza del poeta, ma che non era ancora ultimato al momento della sua morte (1º marzo 1938). Il nome, ispirato da un passo di Guittone d'Arezzo e dalla residenza rinascimentale di palazzo Schifanoia degli Estensi di Ferrara, manifesta il desiderio di isolamento del poeta. L'edificio venne concepito dall'architetto Giancarlo Maroni come l'interno di un transatlantico: finestre come oblò, vetrate alabastrine, ambienti rivestiti in boiserie di legno, corridoi alti e stretti e uno studio del tutto simile al ponte di comando di una nave, con decorazioni déco. Oggi ospita il Museo d'Annunzio Eroe. In quella che doveva diventare la sua nuova stanza da letto, venne esposto il corpo del poeta per la veglia pubblica nei giorni immediatamente successivi alla sua morte.
Schifamondo comprende anche l'auditorium con una platea per duecento persone, utilizzato anche per convegni e manifestazioni; alla cupola è appeso l'aereo Ansaldo S.V.A. del celebre volo su Vienna. Negli spazi dell'auditorium è possibile vedere due piccole mostre fotografiche sulla vita di Gabriele d'Annunzio, sulla costruzione del Vittoriale e l'Omaggio a d'Annunzio, una mostra di artisti contemporanei che a d'Annunzio si sono ispirati: fra questi Giorgio De Chirico e Mario Pompei con i bozzetti per i costumi rispettivamente della Figlia di Iorio e di Parisina, Jonathan Meese, Luigi Ontani.

Museo d'Annunzio Eroe


Museo d'Annunzio Eroe. Ritratto di Gabriele d'Annunzio di Enrico Marchiani.
D'Annunzio, dopo aver arredato la Prioria, pensò di realizzare un museo che celebrasse l'eroismo suo e le imprese del popolo italiano nella guerra del 1915-1918. La morte del poeta sopraggiunse prima che vedesse iniziata questa nuova opera, anche se l'aereo SVA che troneggia appeso al soffitto dell'Auditorium ne rimane evidente testimonianza. Questo suo desiderio tuttavia è stato realizzato nel 2000 quando gli spazi di Schifamondo, sono stati aperti al pubblico valorizzando così il ricco e prezioso patrimonio storico legato all'esperienza militare di Gabriele d'Annunzio e alle grandi imprese che lo videro protagonista: il Volo su Vienna, la Beffa di Buccari, l'impresa delle bocche di Cattaro e la grande epopea fiumana.
Fra gli oggetti più significativi visibili nelle grandi sale arredate secondo il gusto déco dell'epoca, il medagliere personale di d'Annunzio con la medaglia d'oro al Valor Militare, quattro d'argento ed una in bronzo; le divise da Lanciere di Novara, da Bersagliere, da Ardito e da Generale dell'Aeronautica; le tenute complete utilizzate per il volo su Vienna e nella Beffa di Buccari; le bandiere fra cui quella nella quale si avvolse il corpo di Giovanni Randaccio, il Gonfalone della Reggenza italiana del Carnaro, il motore dell'aereo del volo su Vienna.
Nel luglio 2011 il Museo della Guerra ha cambiato titolatura in museo d'Annunzio Eroe e si è arricchito di due nuove sale che ospitano settantaquattro oggetti, fra armi, bandiere e autografi, della Collezione dannunziana dell'Ambasciatore Antonio Benedetto Spada. Fra questi una daga d'onore in avorio e acciaio, un versatoio in argento dorato con simbologie fiumane, un teschio in cristallo di rocca, il messaggio lasciato nella Baia di Buccari nella notte fra il 10 e l'11 febbraio 1918, il manoscritto autografo de La notte di Caprera. Nell'allestimento non si sono volutamente adottate tecnologie espositive moderne ma si è realizzato un museo che rispecchiasse nel suo complesso l'atmosfera della Prioria e continuasse lo spirito e l'essenza della casa così come d'Annunzio e Maroni l'avevano voluta e realizzata.

Il Parco


La tomba di Gabriele d'Annunzio nel parco del Vittoriale
Dalla piazzetta Dalmata si sale al Parco attraverso il viale di Aligi che prende il nome dal personaggio dell'opera teatrale "La figlia di Iorio"; nel 1927 questa tragedia fu messa in scena proprio nel Parco del Vittoriale.
La sommità del Vittoriale è occupata dal Mausoleo, monumento funebre realizzato dal Maroni dopo la morte di d'Annunzio. Il monumento è ispirato ai tumuli funerari di tradizione etrusco-romana ed è costituito da tre gironi in marmo botticino a rappresentare le vittorie degli Umili, degli Artieri e degli Eroi. Al centro della spianata superiore è collocata la sepoltura di d'Annunzio e intorno le arche di nove fra eroi e legionari fiumani cari al poeta fra cui Guido Keller, Giuseppe Piffer, Ernesto Cabruna, Asso, Conci, Locatelli, Bacula, Siviero, Gottardo e lo stesso Gian Carlo Maroni.
Nei pressi del Mausoleo vi è anche l'hangar che ospita il MAS 96 a bordo del quale d'Annunzio con Luigi Rizzo e Costanzo Ciano partecipò alla Beffa di Buccari. Al tempo di d'Annunzio il MAS era ormeggiato alla darsena di Torre San Marco e veniva utilizzato dal poeta per escursioni sulle acque del Garda. All'esterno, l'acronimo Memento audere semper riproduce un motto latino coniato da d'Annunzio ("ricorda di osare sempre").
Sotto il colle mastio è collocata la nave militare Puglia, forse il più suggestivo cimelio del Vittoriale. La nave, sulla quale trovò la morte Tommaso Gulli nelle acque di Spalato, fu donata a d'Annunzio dalla Marina Militare nel 1923. I lavori per portarla al Vittoriale si rilevarono particolarmente impegnativi: si trattava di sezionare una nave e trasportarne per via ferroviaria la prora a 300 km da La Spezia; per l'impresa furono necessari venti vagoni ferroviari e numerosi camion militari. A coordinare l'invio dei materiali e dirigere i lavori di ricostruzione venne designato l'ingegner Silla Giuseppe Fortunato, allora tenente del Genio Navale. La prua, simbolicamente rivolta verso l'Adriatico e la Dalmazia, fu adornata da una polena raffigurante una Vittoria scolpita da Renato Brozzi.
Nel sottoscafo della nave, dal 2002, è stato allestito il Museo di Bordo che raccoglie alcuni preziosi modelli d'epoca di navi da guerra della collezione di Amedeo di Savoia, duca d'Aosta.

Vittoriale, la nave militare Puglia nel parco del Vittoriale
Dalla Nave Puglia si può ammirare la valletta formata dai corsi dei torrenti dell' Acquapazza e dell' Acquasavia che si uniscono a valle nel laghetto delle Danze a forma di violino. Questo luogo, pensato da d'Annunzio per spettacoli coreutici, è stato riaperto al pubblico nella primavera del 2013, dopo lavori di restauro per rimediare al dissesto idrogeologico dell'area restituendo così al pubblico un altro tassello del parco. Dal Maggio 2015 Sono state aggiunte al percorso le due vallette con interessanti scorci paesaggistici.

I Giardini

Dalla Piazzetta Dalmata si accede ai Giardini. Sulla sinistra si incontra dapprima il Cortiletto degli Schiavoni, ornato da vere da pozzo veneziane. Il cortile richiama nelle forme quello della casa natale di d'Annunzio a Pescara. Intorno al cortile corre il Portico del Parente, intitolato a Michelangelo Buonarroti, figura alla quale d'Annunzio si sentiva prossimo per affinità e genio. Il cortile e il porticato circostante, durante la permanenza gardonese di Gabriele d'Annunzio venivano spesso arredati con tappeti persiani, tavoli e altro mobilio trasformando questi spazi in una sorta di cenacolo all'aperto dove il poeta riceveva e intratteneva i propri ospiti.
Proseguendo nei giardini, oltrepassato un architrave in pietra sormontato da una Venere acefala e la scritta rossa Rosam cape, spinam cave, (cogli la rosa, ma stai attento alla spina), si arriva a un boschetto di magnolie al centro del quale si trova l'Arengo. Questo è il luogo simbolico dove d'Annunzio riuniva i fedeli fiumani per cerimonie commemorative. Un alto scranno, quasi un trono, e sedili in pietra sono collocati intorno alla Colonna del giuramento, dal capitello bizantino; fuori dal recinto dei sedili si ergono diciassette colonne simboleggianti le diciassette vittorie di guerra. La colonna raffigurante la vittoria della Battaglia di Caporetto è quella più scura e reca sulla sommità un'urna contenente terra del Carso. Unica statua, qui, la Vittoria in bronzo di Napoleone Martinuzzi, coronata di spine e con il motto: Et haec spinas amat Victoria.
Scendendo le terrazze verso il lago si incontra la limonaia con il Belvedere e più sotto la tomba di Renata, la sirenetta, figlia di d'Annunzio e protagonista del Notturno. Proseguendo, in prossimità di un gruppo di cipressi, si arriva al cimitero dei cani e al frutteto al centro del quale su di un'alta colonna è collocata la Canefora di Martinuzzi, una grande statua di bronzo raffigurante una donna accosciata che porta sul capo un canestro di frutti. Recingono il frutteto pilastri con grandi aquile e gigli simili a quelli che d'Annunzio aveva, molti anni addietro, ammirato nei giardini di Villa d'Este.
Il 19 settembre 2014 a causa di una forte tempesta abbattutasi sul Gardone, tra i vari danni ai giardini, c'è stata la caduta di alcuni cipressi secolari dai quali sono state ricavate delle rondelle messe in vendita dalla Fondazione Il Vittoriale. I proventi sono stati utilizzati per sostenere vari progetti di restauro del complesso.[3]

Museo d'Annunzio Segreto

Inaugurato nel 2010 nel grande spazio espositivo del sottoteatro, il museo d'Annunzio Segreto raccoglie quanto fino ad ora era rimasto sconosciuto al grande pubblico perché chiuso negli armadi e nei cassetti della Prioria: i vestiti del Vate, le scarpe e gli stivali, la biancheria, le vesti appositamente fatte confezionare da d'Annunzio per le sue donne, i collari dei cani, gli oggetti da scrivania, il vasellame da tavola, i gioielli. Un'intera sezione è dedicata alle eleganti valigie, alle cappelliere e ai bauli a incastro. Le gigantografie del poeta alla Capponcina o nel Parco del Vittoriale, le immagini di alcune fra le sue più note amanti, le lettere d'amore, i tessuti che arredano le stanze della Prioria, vestono l'emiciclo e le undici colonne della sala espositiva. All'ingresso sei schermi trasmettono filmati d'epoca dell'Istituto Luce o dell'Archivio storico RAI. Il museo d'Annunzio Segreto rappresenta dunque un incontro ravvicinato, intimo con il mondo quotidiano di Gabriele d'Annunzio nel suo stile di vita inimitabile e raffinatissimo.

Vittoriale: gli abiti di d'Annunzio nell'allestimento del nuovo museo d'Annunzio Segreto al Vittoriale

Nella cultura di massa

Una scena del film Ti amo in tutte le lingue del mondo di Leonardo Pieraccioni è stata girata sulla prua della nave "Puglia".

Note

  1. ^ visitatori vittoriale degli italianigardapost.it.
  2. ^ C. Arnaudi, Dal Misello al Lebbroso. Storia di una stanza francescana al Vittoriale, in Quaderni del Vittoriale n° 7, nuova serie, pagine 73-93, Cinisello Balsamo, Silvana 2011
  3. ^ Raffaele Cecoro, I Cipressi Dannunziani: Il Vittoriale Condivide Con Gli Estimatori Del Vate Un Pezzo Di Storia E Poesia, Scrigno Magazine, 2 Febbraio 2015.

Bibliografia

lunedì 30 gennaio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 12. Le ragioni di Diana e le pressioni della signorina De Toschi

Risultati immagini per leia and jabba

Diana Orsini non poteva ignorare una convocazione ufficiale da parte della signorina De Toschi, i cui agganci nell'alta società erano necessari per far fronte alla situazione di crisi finanziaria in cui si trovava la sua famiglia.
L'invito si estendeva anche alla madre, la contessa Emilia.
Vennero ricevute, come sempre, dalla cameriera Assuntina, la madre del parroco, nel salottino degli ospiti, al piano terra della Villetta De Toschi.
Nessuno, tranne il personale di servizio, era mai stato ammesso nei piani superiori.
Gli appartamenti privati della professoressa Mariuccia De Toschi erano una specie di Sancta Sanctorum, inaccessibile da parte dei comuni mortali.
Dopo il classico quarto d'ora accademico, la De Toschi comparve in tutta la sua massiccia imponenza, con il faccione obeso arrossato, gli occhi da batrace fuori dalle orbite, l'immancabile sigaretta nella mano destra e l'altrettanto immancabile fazzoletto bagnato nella mano sinistra. L'espressione del suo viso era sdegnata e nel contempo eccessivamente affranta.
Sia Diana che la contessa Emilia si alzarono in piedi, come se fosse entrato il Papa.
La signorina De Toschi ne fu compiaciuta.
«Avete fatto bèene a rivolgervi a mée» disse con spiccato accento fiorentino fasullo.
La contessa Emilia, colma di gratitudine, le prese la mano sinistra, quella del fazzoletto umido:
«Lo so. Quando la situazione si fa critica, il mio primo pensiero è sempre: “non c’è che la Signorina!” Lei è l’unica che ha l’autorità morale, culturale»
La signorina De Toschi si schermì ritraendo la mano grassoccia e agitando il fazzoletto, ma lasciando trapelare una certa soddisfazione e una malcelata aria d’importanza.
«Per mée Diana è come una figlia…» e guardò con occhio possessivo la ragazza «e i Conti Orsini di Casemurate… so’ i parenti della mi’ povera mamma» (e qui sospirò, indicando con il fazzoletto bagnato una vecchia foto della compianta Violetta Orsini, coniugata De Toschi).
La contessa Emilia si unì al sospiro e aggiunse:
 «Il fatto è che Diana non vuol sentir ragioni>>
Mariuccia De Toschi spalancò i grandi occhi da batrace: 
«Mi dica, mi dica tutto!»
Emilia Orsini guardò la figlia e poi, a testa bassa e a mezza voce, spiegò: «Se Diana continuerà a rifiutare la proposta di matrimonio da parte di Ettore Ricci, il padre di lui farà valere le ipoteche sul Feudo e sulla Villa, e ci sbatterà fuori di casa»
La signorina De Toschi scosse ripetutamente il testone, mentre le gote e il doppio mento tremolavano e la sigaretta che teneva nella mano destra faceva cadere tutta la polvere sul tavolino di mogano:
«Nooo! Nooo! Dio liberi da certe idee! Il buon nome degli Orsini non dovrà mai essere macchiato da uno scandalo del genere! Io non potrei mai permetterlo, ne va anche della mia reputazione… Gli Orsini ridotti sul lastrico? Ma scherziamo? 
Ricordatevi che in questi momenti di difficoltà io ci sono sèmpre!»
Diana fraintese il discorso:
<<Intende dire che ci concederà un prestito?>>
Il volto della De Toschi da paonazzo divenne viola:
<<Ah, bambina cara, mi piacerebbe tanto, ma purtroppo io so' povera. Eh, sì... so' povera, ma avvezza a viver nel pulito. Ora spiegami perché insisti nello spezzare il cuore a quel povero ragazzo, che tra l'altro è così ben piantato che se solo fossi un po' più giovane e il mi’ babbo fosse d’accordo… me lo sposerei io!>>
Diana, conoscendo i gusti dozzinali della De Toschi, non ne aveva dubbi.
«Io non lo amo»
La signorina Mariuccia rimase per un attimo indecisa se ridere o indignarsi, poi alla fine scoppiò in una risata la cui eco fu avvertita a tre isolati di distanza.
«Eh, cara mia!» sbottò tra una risata e l'altra «mica si può pretendere che arrivi il principe azzurro a prendersi i debiti degli altri!
E poi cosa ne sai tu dell'amore? Ami forse qualcun altro? Dillo! Sai che a mmméee puoi dire tutto!»
Diana scosse il capo:
<<Non c'è nessun altro. Ma un giorno potrebbe esserci>>
Un'altra risata a tremila decibel della signorina De Toschi la travolse:
«Un giorno? Ma tu sei in età da marito adesso! Se lasci passare questo periodo, non ti vorrà più nessuno!» 
<<Meglio soli che male accompagnati>>
La De Toschi si oscurò in volto e assunse l'espressione militaresca e adirata che aveva appreso dal padre e che sfoggiava quasi sempre in classe davanti agli alunni terrorizzati:
<<Tu non sai niente neanche della solitudine! Dell'andare a dormire in un letto freddo, del sentire la mancanza di un abbraccio, del trascinarsi nella vecchiaia senza fremiti, senza palpiti, senza un momento di tenerezza umana.
E non è solo una questione che riguarda il matrimonio. 
Io ti conosco come le mie tasche, bambina, e ho notato il tuo atteggiamento di superiorità, il tuo tenere a distanza le persone...>>>
Diana la fissò negli occhi, perché questa volta era stata punta sul vivo:
«Non è per presunzione che tengo a distanza la gente. E' che non voglio affezionarmi, perché non voglio soffrire. Chi si affeziona si pone fin da subito in una condizione di inferiorità. Chi si affeziona è ricattabile. L'attaccamento genera la paura di perdere ciò a cui siamo affezionati. La paura di perdere genera rabbia. La rabbia genera odio. Io non voglio seguire questo cammino. Lo hanno seguito i miei avi, ma io non lo seguirò. 
Ci sono molti modi di intendere la nobiltà... e questo modo mi ripugna!» 
La De Toschi aspirò profondamente dalla sigaretta.
L'aria era greve di fumo.
<<Tu della rea progenie degli oppressor discesa... non è così? Non l'hai forse appreso in questa stessa stanza il Coro dell'Adelchi? In un certo senso è anche colpa mia se ti sei messa in testa certe idee strampalate. Ma se da qui è venuta la malattia, da qui verrà la guarigione!
Tu non sei Ermengarda, non ci saranno per te i tepidi lavacri d'Aquisgrano...
Te collocò la Provvida Sventura infra gli oppressi... no, la similitudine non regge.
Sai io non riesco proprio ad immaginare come saresti se fossi povera.
Una come te, schizzinosa come te, non ce la vedo a fare i conti con la miseria»
Espirò una nube di fumo bianco.
Diana guardò fuori dalla finestra, nel cortiletto ghiaioso e arido del Villino De Toschi.
Cercò di prendere tempo:
<<L'unica cosa che sono disposta a concedere è di conoscerlo. Se Ettore Ricci vorrà passare in visita a Villa Orsini, io lo riceverò e cercherò di conoscerlo meglio>>
Un sorriso sornione si dipinse sul volto da ippopotamo della signorina De Toschi, che fece un cenno alla contessa Orsini, come per dire: "Vede... la mia autorità morale, culturale..."
Poi esplose in un'esclamazione:
<<Bèeeene, bèeeeeeene!!!>>
E si alzò, considerando terminata l'Udienza.
La contessa le baciò il fazzoletto pieno di virus e di microbi.
Diana fu costretta a baciarle la gota dipinta di trucco pesante e screpolato, su una peluria giallastra.
L'odore del fondotinta misto a quello del fumo le fece venire la nausea.
O forse era tutta quella situazione.
O la vergogna di aver ceduto a un ricatto per paura della povertà.

Le ragioni per cui Trump ha bloccato l'immigrazione solo da alcuni paesi musulmani e non da altri

Risultati immagini per countries of the immigration ban

Il provvedimento firmato dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, riguarda i paesi che nella mappa sovrastante sono indicati in rosso, mentre non riguarda i paesi indicati in azzurro.
La ragione è molto semplice, ma i mainstream media preferiscono cercare spiegazioni dietrologiche e inconsistenti. La vera ragione è che nei paesi in rosso (tranne l'Iran) è in corso una guerra, e questo li rende più rischiosi dal punto di vista delle infiltrazioni terroristiche.
Nel caso dell'Iran, la sospensione è dovuta a ragioni geopolitiche di lunga data: dal 1979 in avanti la teocrazia islamica iraniana ha indicato negli Stati Uniti il "grande Satana" da distruggere. Questa realtà non può essere ignorata e non può essere dimenticata.

Riassunto del romanzo "Solomon Gursky è stato qui" di Mordecai Richler, Parte Prima

Risultati immagini per eskimo

Risultati immagini per solomon gursky was here
Risultati immagini per richard dawkins the selfish gene

Risultati immagini per solomon gursky was here

Risultati immagini per solomon gursky was here

Immagine correlata

Parte I

Capitolo I

1851. Ephraim arriva a Magog e fonda la Chiesa dei Millenaristi.

Truffa basata sull'idea che il mondo sta per finire e chi vuole andare in Paradiso deve spogliarsi dei propri beni terreni.
Le parole sull'inferno sono riprese da quanto detto da Mrs Nicholson


Capitolo II

1983. Moses Berger, 52 anni, ha dedicato la vita a preparare una biografia di Solomon Gursky, scoprendo tutti i segreti della potente famiglia di miliardari.

Moses è consapevole di aver sprecato il proprio talento per inseguire un fantasma.
E' alcolizzato.
Ogni tanto trascorre periodi in clinica di riabilitazione.
Parlando col medico evoca il periodo felice della sua infanzia.

Le cene nella sala da pranzo di Jeanne Mance Street, i venerdì sera. Intellettuali ebrei si ritrovano avendo come punto di riferimento L.B. Berger, che si ritiene un grande poeta incompreso.
Battuta: "Quando vincerà il Nobel, io potrò dire che lo conoscevo ai tempi in cui..."

La carriera di L.B. fino alla sua assunzione da parte di Bernard Gursky.
Ritratto dissacrante di L.B.
Ci sono elementi autoironici in tutto questo: Richler si sdoppia in Moses e in L.B. che rappresentano la sua parte buona e la sua Ombra.


Capitolo III

1942. Compleanno di Lionel Gursky.

Moses conosce di persona i Gursky, rimanendo impressionato per la loro ricchezza esibita senza ritegno.
Fa amicizia con Henry Gursky, figlio di Solomon.
Sente per la prima volta parlare di Solomon.
Henry gli dice solo che è morto.
L.B. ricorda con irritazione una domanda di Solomon. ("Il poeta fa uso del rimario?"). Forse Solomon voleva indicare, ironicamente, che le rime erano piuttosto scontate.

Capitolo IV

1950.  L.B. scrive una poesia per celebrare i 20 anni di matrimonio di Bernard e Libby Gursky.

Moses, che coltiva idee socialiste, accusa L.B. di essersi venduto ai padroni del grande capitale.

Moses incomincia a bere troppi alcolici. E' studente di storia all'università McGill.

Si sfoga con Sam Birenbaum, che è sposato con Molly. da cui ha avuto un figlio, e ha lasciato l'università per dedicarsi a tempo pieno alla professione di giornalista alla Gazette di Montreal, anche se ha già avuto contatti col New York Times e attende un'offerta di lavoro.

Incontrano Harvey Schwartz e la fidanzata Rebecca Rosen. Harwey annuncia che dopo l'università lavorerà per i Gursky alla McTavish.
Moses risponde in maniera pesantemente sarcastica.

Sam gli chiede chiarimenti sui suoi rapporti con i Gursky. Moses dice di essere amico di Henry, ma di detestare tutti gli altri, in particolare Mr Bernard, ma ipotizza che "il vero bastardo" fosse Solomon.
Chiede di poter esaminare il materiale su Solomon Gurky alla Gazette.
Scopre però che tutto il dossier su Solomon è stato rubato e gli articoli sui vecchi giornali sono stati ritagliati.
E' "stregato per sempre" dal mistero di Solomon Gursky.

Capitolo V

1908. Fort McEwen, Alberta

Ephraim, dopo aver commesso un omicidio durante una rissa, fugge a nord, lontano, verso il Mar Glaciale Artico, con la slitta e i cani, e decide di portarsi dietro il nipote preferito, Solomon, per insegnargli tutto quello che deve sapere per diventare un grande uomo.

Capitolo VI

1983. Casa nel bosco.

Moses, sempre alla ricerca di un'esca per salmoni nel disordine della sua stanza, ritrova alcuni testi sulla spedizione di Franklin, che nel 1845 partì dall'Inghilterra alla ricerca del Passaggio a Nord-Ovest e non ritornò più.

Ricordo della lite di Moses con il presidente della Artic Society.
"Sorriso sbilenco da ubriaco".

Capitolo VII

1969-70

Sean Riley
è guidatore di aerei da Yellowknife fino all'estremo nord.

Moses conosce Beatrice e i due diventano amanti.

Festa del centenario dei Territori del Nord-Ovest. Visita della Famiglia Reale.

Moses rievoca le prime tracce da lui scoperte della presenza di Ephraim Gursky nelle terre vicine a dove morirono i membri della spedizione di Franklin.
McNair racconta che Ephraim era chiamato Tulugaq (corvo) e venerato come una divinità dagli Inuit.

Capitolo VIII

1971 Moses è licenziato dalla New York University per "turpitudine morale" dopo essere stato coinvolto in una rissa tra ubriachi.

La convivenza di Moses e Beatrice a Montreal diventa sempre più difficile.

L'estate successiva si separano e Moses torna in clinica di riabilitazione.

Moses descrive il suo locale preferito, il Caboose, vicino alla sua casa nel bosco.
Qui incontra l'amico Strawberry, pronipote di Ebenezer Watson, uno dei cittadini di Magog truffati da Ephraim Gursky.
Il proprietario del Caboose è Gord, che lo gestisce insieme alla seconda moglie, una vedova bisbetica, sposata solo perché gli faccia i lavori domestici.
Il padre di Gord, il vecchio Albert Crawley, conosceva Solomon Gursky e guidava i camion pieni di liquori verso gli Usa durante il proibizionismo.

Capitolo IX

1971. Moses torna temporaneamente a Montreal per assistere l'anziana Gitel Kugelmass, arrestata per taccheggio e poi rilasciata. Pranzano insieme.
Gitel ricorda che Solomon Gursky finanziò segretamente e sostenne uno sciopero a cui lei aveva partecipato.
Rievoca poi una scena del processo, quando il testimone chiave, il cinese Lin, che doveva testimoniare contro Solomon (per denunciarlo come baro e per insinuare il sospetto che per questa ragione McGraw, poi vittima di un misterioso omicidio, lo stesse ricattando). Solomon pronuncia la frase "Tiu na xinq", una maledizione contro la stirpe, che sconvolge il testimone a tal punto da far rinviare l'udienza. Il giorno dopo, Solomon fuggirà in aereo andando incontro alla presunta morte.

Moses torna alla casa nel bosco. Legge un telegramma non firmato, uno dei tanti ricevuti da un misterioso mittente.
Esamina i diari di Solomon, di cui ancora non sappiamo come ha fatto a entrare in possesso.
Apprendiamo che Solomon ha partecipato alla Lunga Marcia di Mao.

Capitolo X

1973.  Bert Smith abita a Montreal da dieci anni, presso una vecchia affittacamere di nome Olive Jenkins..

Smith esprime le sue idee xenofobe e antisemite.
In particolare ce l'ha con la famiglia Gursky, di cui è stato un oppositore ai tempi del suo incarico di ispettore delle dogane, durante il proibizionismo.

Storia dei genitori di Bert Smith, che da Londra migrarono in Canada, "la Terra del Latte e del Miele" al seguito di un finto reverendo che prometteva loro terre fertili e clima mite nella località che avrebbe preso il nome di Gloriana.
Naturalmente il lettore riconosce, dietro al truffatore reverendo Horn, il personaggio camaleontico di Ephraim Gursky.

Fine Prima Parte.

domenica 29 gennaio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 11. Camera con vista. A Firenze in tre.

Risultati immagini per a room with a view movie

Risultati immagini per camera con vista film

Romano Monterovere fece la sua proposta di matrimonio a Elisa Lanni durante una gita a Firenze, nel 1937.
Elisa era incinta.
Molti anni dopo, quando il figlio nato da quella gravidanza si apprestava ad andare a Firenze per la prima volta, Elisa gli avrebbe detto "Non è la prima. Ci sei già stato".
Romano era un tipo taciturno, per cui Elisa sapeva ben poco di lui, nonostante si frequentassero da più di un anno.
<<Accetto, ma a condizione che tu risponda a tutte le domande che ti farò>>
Non era una condizione facile, ma Romano Monterovere accettò, perché in fondo sapeva che, se non si vuole dare una risposta, è sufficiente dire una mezza verità.
Glielo aveva ripetuto spesso suo nonno Ferdinando, quello morto all'Orma del Diavolo: "Il vero mentitore non dice bugie, ma soltanto mezze verità".
Le domande incominciarono.
Tra le più singolari ce ne furono alcune che rimasero impresse nella mente di entrambi:
<<So che sei nato quando ancora la tua famiglia abitava in montagna, in mezzo ai boschi. Ti mancano quelle montagne e quei boschi?>>
Lui annuì:
<<Non passa giorno in cui non ne senta la mancanza. Ah, com'era verde la mia valle ...>>
Verde e infestata di spiriti, ma questa era una storia troppo incredibile per essere raccontata, pur essendo vera.
<<Ed è vero che quando eri in Africa hai avuto una storia con una ragazze etiope>>
Lui sorrise:
<<Se avessi voluto nasconderlo, non mi sarei portato dietro una sua fotografia. Ma era soltanto una storia senza futuro. I matrimoni misti non sono certo incoraggiati nell'Impero Italiano>>
Non le disse che aveva lasciato una parte del suo cuore ad Asmara, ma lei lo aveva capito comunque.
Elisa lo incalzò:
<<Hai fatto molti errori nella tua vita?>>
Romano tornò ad annuire:
<<Tantissimi, ma tutti necessari. Senza certi errori non si può imparare a vivere>>
<<E adesso hai imparato?>>
<<Non del tutto. Ti avverto: non sarà facile convivere con me>>
Elisa aveva capito anche questo.
Le asperità del carattere del suo futuro marito le erano chiare, tranne una cosa:
<<E tu? Come fai a convivere con te stesso?>>
Gli occhi di lui si persero in una nube di pensieri, mentre rispondeva a voce bassa e roca:
<<Non lo so>>
Era difficile: la sua personalità era ossessivo-compulsiva, abitudinaria, perfezionista, fin troppo prudente.
<<Ti aiuterò io>> disse Elisa.
Si sposarono pochi mesi dopo.
Fintanto che Elisa ebbe vita, mantenne la sua promessa.

Vite quasi parallele. Capitolo 10. La Signorina De Toschi



Ospite fissa agli eventi mondani dell’Alta Società, la signorina Mariuccia De Toschi era un’attempata nubile di buona famiglia e, per parte di padre, di ostentate origini fiorentine (anche se tutti sapevano che era nata e cresciuta a Forlì), unica figlia ed erede del glorioso generale Ardito De Toschi e della compianta nobildonna Violetta Orsini di Casemurate, sorella del defunto Conte Alberico.
Di Violetta Orsini quasi nulla si sapeva, essendo morta di tisi poco dopo aver dato alla luce la figlia Mariuccia. Del resto la stessa Violetta aveva sempre sostenuto che una donna onesta di buona famiglia compare solo tre volte nei giornali: quando nasce, quando si sposa e quando muore.
Del generale De Toschi, invece, erano note tutte le gesta, decantate dalla moltitudine di attendenti succedutisi al suo servizio, per poi elevarsi verso luminose carriere nei più svariati ambiti dell’Alta Società.
Ardito De Toschi, nato a Firenze nel 1865, era stato in gioventù allievo ufficiale all’Accademia di Modena, poi tenente nella Guerra di Eritrea e Somalia, capitano nella guerra di Libia, colonnello durante la Grande Guerra, Cavaliere di Vittorio Veneto (medaglia d’oro, secondo le leggende più accreditate). Generale nella Guerra d'Etiopia, comandante della spedizione spagnola a fianco dei sostenitori di Francisco Franco (“il babbo salverà la Spagna dai comunisti” soleva rammentare sua figlia), aveva da poco ottenuto il grado di generale di corpo d'armata.
Di ritorno dalle imprese iberiche, carico di gloria in seguito ad una ferita alla gamba destra, si era congedato dal servizio alla Patria e aveva preso dimora a Forlì, la città vicino al Feudo della defunta moglie Violetta Orsini. E proprio a Forlì sua figlia Mariuccia aveva studiato e ottenuto l’incarico di docente di Latino e Greco presso il Liceo Classico.
A tal proposito, nella città della bassa romagnola si narra ancora questo simpatico aneddoto.
Laureatasi a 23 anni in Lettere Classiche a Bologna nel 1913, la signorina Mariuccia aveva sostenuto a Roma il concorso per la docenza superiore: in tale occasione, agli orali, ella sarebbe stata accompagnata “dal babbo” in alta uniforme e decorazioni militari, che con aria cupa e vagamente minacciosa avrebbe così apostrofato (con spiccato accento toscano) la commissione d’esame: «Chodesta è la mi’ unicha figliola! Che Dio la benedicha! Trattatemela bene o chonoscerete la lealtà degl’atthendhenti del cholonnello De Toschi!»
Inutile dire che la “cara figliola” passò l’esame col massimo dei voti.
I suoi primi studenti giuravano che la signorina Mariuccia all’inizio della carriera fosse bellissima: si elogiavano le sue lunghe trecce bionde acconciate sul capo, gli occhi color acquamarina, e il fisico prosperoso.
Eppure Diana Orsini, che andava a ripetizione di latino e greco da lei, (non che ne avesse bisogno, ma la Signorina ci teneva, in quanto Diana era figlia di suo cugino, il Conte Achille) nei primi anni Trenta, la ricordava già obesa, gonfia, catarrosa, afflitta da raffreddori perenni e accanita fumatrice (“con una mano teneva la sigaretta e con l’altra il fazzoletto da naso”).
Che fosse una mangiatrice da competizione era cosa nota: in particolare era ghiotta di salumi e insaccati, e tra i regali più graditi che potesse ricevere vi erano prosciutti, mortadelle, cotechini, zamponi e salsicce, o, come lei diceva: “salcicce”.
Diana l’aveva imparato a sue spese. Una volta infatti, pensando di farle cosa gradita, le aveva regalato per Natale alcuni libri di cultura letteraria e classica. La signorina Mariuccia, gelida e quasi offesa, non aveva neppure scartato i pacchi. Il Natale successivo alcuni giurarono di avere ricevuto gli stessi pacchi in regalo dalla signorina.
Per Pasqua, Diana le aveva regalato una spilla: questa volta la signorina aveva mostrato un qualche segno di apprezzamento, ma subito, quasi in lacrime, aveva dichiarato che, onde evitare che il regalo portasse sfortuna, c’erano solo due soluzioni: o lei stessa avrebbe dovuto dare 5 lire a Diana, oppure avrebbe dovuto farsi pungere dalla spilla.
Preferì farsi pungere.
Diana, che aveva capito l’antifona, il Natale successivo le regalò un cesto pieno di salumi e formaggi, e la signorina la baciò e l’abbracciò più volte, piangendo a dirotto per la gioia.
A scuola era il terrore dei suoi studenti, mentre con quelli di ripetizione privata soleva mostrarsi materna, specialmente se erano figli di medici, avvocati, notai, dentisti, ma anche, non si sapeva mai, di idraulici, elettricisti, muratori e altri professionisti di comprovata utilità.
Teneva le ripetizioni tutto il pomeriggio in uno stanzino a piano terra della sua villetta, freddissimo e scomodo.
Nessuno mai ebbe accesso al piano nobile, il “sancta sanctorum”, dove l’anziano generale-padre trascorreva la sua dignitosa vecchiaia.
Alle 5 in punto del pomeriggio la governante, signora Gelsomina, madre del parroco locale, le portava il tè e le sigarette.
Ogni mattina la signorina Mariuccia e la signora Gelsomina si recavano a messa alle 6, con la carrozza di proprietà dei Conti Orsini, mandata apposta quotidianamente dalla loro Villa di Casemurate, poiché la signorina, pur essendo benestante, non possedeva mezzi di trasporto e tantomeno andava in bicicletta, cosa disonorevole per una persona del suo rango e comunque non compatibile con i suoi mai del tutto definiti problema alla vista.
Dopo la Santa Messa, le due pie donne si recavano al cimitero, a portare fiori sulla tomba della defunta madre della signorina.
Poi, con l’anima monda dai peccati e il Corpo di Cristo in petto, la signorina si recava al lavoro, al Liceo Classico a terrorizzare i malcapitati studenti con interrogazioni a tappeto sulla consecutio temporum.
Se prendeva in antipatia uno di questi, per lui era finita. Tartassato, rimandato, bocciato, costretto a cambiare istituto, quasi sempre lo sventurato finiva per abbandonare gli studi.
Se al contrario prendeva uno studente in simpatia, costui si diplomava a pieni voti, e gli si apriva un avvenire florido, sostenuto dai vari “attendenti del babbo” infiltrati in ogni angolo dell’Alta Società.
Esempio di tale simpatia era l’Onorevole Avvocato Everardo Meloni, eterno e onnipotente Sottosegretario alla Difesa, nonché marito di Caterina Ricci, la sorella di Ettore.
In verità la signorina De Toschi, pur essendo in grande amicizia con i vecchi notabili liberali (ai quali faceva capire strizzando l’occhiolino che era ancora dalla loro parte). e pur avendo giurato eterna fedeltà solo e soltanto al Papa e al Re (come aveva confidato ad un imprecisato numero di “attendenti del babbo”), ostentava pubblicamente il gagliardetto fascista.
Ma non era tanto il voto politico a costituire il grande mistero della signorina De Toschi, quanto la sua vita sentimentale.
Su questa materia si favoleggiavano le più disparate leggende.
Innanzi tutto era assodato che la signorina aveva una speciale attrazione per gli uomini giovani e robusti, in genere lavoratori manuali, meglio se poco istruiti.
Ai tempi dell’università aveva preso una sbandata per un aitante giovanotto, che ella presentò al padre prima come studente di ingegneria, poi come diplomato geometra, infine, quando la nuda verità non poteva essere più nascosta, come muratore a cottimo.
Di costui non si seppe più niente, anche se molti dicono che una sera fu preso a bastonate da alcuni individui non identificati.
Il secondo grande amore della signorina fu, manco a dirlo, un altro muratore, che era marito di una collega con gli stessi gusti “ruspanti”, che divenne in breve tempo la sua migliore amica.
Costei si chiamava Liliana e il marito Primo o Priamo o Priapo…non è dato sapere con esattezza, comunque si diceva che fosse un nome ben rappresentativo del personaggio.
La signora Liliana era donna di buon cuore e spesso invitava a pranzi luculliani la vorace signorina De Toschi, la quale, non paga di ingozzarsi di tortellini e piadine al salame, si mangiava con gli occhi pure il carissimo Priapo.
Accadde poi che la signora Liliana morisse di una leucemia fulminante.
Da quel momento la signorina De Toschi fu in prima fila a consolare l’inconsolabile vedovo.
Dopo alcuni mesi la si vide indossare la pelliccia che era stata della signora Liliana, e poi la collana di turchese, sempre della defunta, e gli orecchini di corallo, e il collier d’oro bianco e via dicendo.
Quando l’intera eredità della compianta Liliana fu incamerata in casa De Toschi, escluso il vedovo, la grande storia d’amore finì, ufficialmente perché “il babbo non voleva”, ma secondo altri perché le doti priapiche del suddetto Priapo non soddisfacevano abbastanza la pia signorina.
Il terzo grande amore fu per il marito di un'altra sua amica, la maestra Clara Ricci.
Giorgio Ricci, il cui irsutismo ipertricotico denotava una debordante presenza di testosterone nel suo organismo, aveva doti priapiche di cui si narravano leggende oscene.
Il suo stesso figlio Ettore ricordava di averlo visto nudo una volta che faceva il bagno in una tinozza nella penombra del tugurio adibito a lavanderia. Per quanto buio fosse l'ambiente, avrebbe giurato sulla sua stessa testa che i testicoli del vecchio padre fossero grossi come uova di piccione.
L'attempata signorina De Toschi non dimenticava le ore di sollazzo che il vecchio Giorgio Ricci le aveva regalato, ed era sempre pronta a ricambiare il favore.
A parlarle fu la maestra Clara, che le spiegò quando fosse doloroso, per la sua famiglia, l'ostinato rifiuto di Diana Orsini nell'accettare il corteggiamento di Ettore Ricci.
Mariuccia De Toschi annuì vigorosamente, facendo tremolare tutta la pappagorgia, poi sollevò un indice verso il cielo e disse: <<Ci penso io!>>

sabato 28 gennaio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 9. Il "prode" Ettore Ricci e i suoi alleati



Ettore Ricci era sinceramente innamorato di Diana Orsini e questo fu, fin dall'inizio, il vero problema.
Se si fosse trattato solo di un'infatuazione, di un capriccio o di un "trofeo di caccia", forse avrebbe anche lasciato perdere. Magari sarebbe riuscito persino a dimenticarla del tutto.
Ma lui era innamorato.
Diana rappresentava tutto ciò di cui lui sentiva il bisogno, ciò che gli mancava.
La bellezza, la raffinatezza, l'educazione, la cultura, il fascino.
Lui era virile, forte, passionale, irascibile, ambizioso, tenace. Sapeva anche essere ironico, ma in maniera ruvida, grezza, insofferente nei confronti del bon ton salottiero. Il galateo gli sembrava una forma intollerabile di effeminatezza. La cultura era per i topi di biblioteca, non per i veri uomini. Il fascino, be', o ce l'hai o non ce l'hai...
Insomma, tutto ciò che gli mancava erano cose che giudicava inappropriate per un uomo e perfette per una donna.
Nel 1935, in Italia, era piuttosto naturale che un uomo la pensasse così.
Oggi per noi tutto questo è inconcepibile, ma forse ha ragione Clint Eastwood nel dire che siamo una "pussy generation",
La ritrosia di Diana, che si rifiutava persino di parlargli, era qualcosa di incomprensibile ai suoi occhi, ma non faceva altro che acuire il suo desiderio, perché ciò che ognuno desidera di più è quello che non può avere. Il frutto proibito.
Ma Ettore, che non era affatto uno stupido, anzi, aveva una certa sagacia istintiva, come quella di un segugio o di un cane da tartufo, aveva individuato i deboli di Diana e il modo per comunicare con lei.
Diana infatti riponeva troppa fiducia nella governante di Villa Orsini, la signora Ida Braghiri, una matrona talmente sicura di sé da far soggezione persino al Conte e alla Contessa.
Ida Braghiri era a sua volta moglie di Michele Braghiri, un fattore furbo e astuto, che era riuscito a diventare amministratore agricolo del Feudo Orsini e nel contempo informatore privilegiato della famiglia Ricci.
Ma c'era un'altra persona che godeva della fiducia di Diana, e cioè la cugina di suo padre, la professoressa Mariuccia De Toschi, che era una Orsini per parte di madre, ed era anche un'ottima amica della maestra Clara Ricci, madre di Ettore.
Poiché Ida Braghiri e Mariuccia De Toschi erano due persone completamente diverse tra loro, Ettore Ricci sapeva che andavano contattate ognuna a modo suo.
Per quanto riguardava la governante Ida Braghiri, Ettore Ricci decise di parlare prima con suo marito Michele.
Quest'ultimo era un personaggio molto particolare.
Anche lui aveva cominciato dal niente, ma dietro alla sua carriera c'era la famiglia Ricci, e questo all'insaputa di tutti, in modo particolare della famiglia Orsini.
Michele Braghiri un uomo estremamente vanitoso e un donnaiolo impenitente.
Queste sue caratteristiche lo resero facilmente corruttibile: per pagarsi i vestiti, gli orologi, le scarpe, il barbiere tutti i giorni, i profumi, le lacche, circoli ricreativi, automobili e naturalmente tutto ciò che serviva per corteggiare le donne o anche solo per accedere a bordelli esclusivi, aveva bisogno di molti soldi e li trovò presso la famiglia Ricci.
Il vecchio Giorgio Ricci fu abile nel solleticare le ambizioni del vanesio Michele Braghiri e della sua orgogliosissima moglie.
Per questo, nel momento in cui le ipoteche sul Feudo Orsini garantirono alla famiglia Ricci una pressoché totale influenza sulle decisioni del Conte, quest'ultimo nominò Michele Braghiri amministratore delle terre e sua moglie Ida governante della Villa.
Quando Michele Braghiri fu convocato da Ettore Ricci, sapeva già il motivo dell'incontro.
Il prode Ettore dichiarò, senza giri di parole, che:
<<Tua moglie ha la fiducia di Diana Orsini, il che mostra il punto debole della contessina e cioè l'ingenuità. Ida deve solo dirle, ogni tanto, come per caso, alcune parole che ora io ti riferirò.
In particolare deve chiedersi cosa accadrà ai fratelli più piccoli di Diana quando la famiglia si ritroverà sul lastrico. 



Deve buttare là l'idea che in condizioni difficili è necessario un uomo forte per rimettere le cose in sesto, ma non deve fare assolutamente il mio nome, nemmeno se richiesta. A questo penserà la professoressa De Toschi>>