lunedì 15 agosto 2016

Alpha-Omega. Capitolo 3. Come l'Ordine convertì Thomas Ariston




"Ci sono alcuni intellettuali che pensano troppo per poter essere veramente utili o affidabili: per questo il nostro Ordine deve evitare al suo interno quelle forme di deriva intellettualistica che non possono essere utilizzate al fine di giustificare, di fronte alle masse, la sostanziale arbitrarietà su cui si basa il nostro potere".

MARY ANN RIPLEY, VICEPRESIDENTE OEU, DIRETTIVE GENERALI PER L’UNIVERSITA’ GLOBALE
III




      Inizialmente, il Consiglio Supremo dell'OEU aveva avuto sede New York, presso il Palazzo di Vetro dell’ONU, di cui l’Ordine aveva ereditato le funzioni.
Poi il sovrappopolamento, l’inquinamento e il caos della megalopoli l’avevano resa una sede poco consona alle esigenze di benessere personale dei Maestri, e nell’anno 2103 si era deciso di costruire una nuova sede nel verde stato dell’Oregon, sulla West Coast degli ex Stati Uniti.
     La nuova capitale dell’OEU era un vero paradiso: una città immersa nel verde, battezzata col nome di Dracon, in onore della maggioranza cinese che aveva colonizzato da anni la zona dell’Oregon.
Questa nuova capitale ospitava numerosi edifici governativi in un ambiente completamente bonificato e protetto, dove tutto era funzionale al benessere e alla serenità della classe dirigente.
      Tra i complessi principali di Dracon spiccava il maestoso campus della Università Globale dell’Ordine, dove si laureavano i Maestri. Poco distante dal campus sorgeva il parco centrale, circondato dalle colline su cui sorgevano i palazzi del potere. Era una bizzarra riedizione dell’ormai distrutto Central Park di New York, però, attorno, più che i grattacieli aveva delle verdi colline con in cima qualche palazzo.
      Un silenzio quasi irreale regnava in quella strana capitale del mondo.
Solo poche aeromobili erano autorizzate a transitare nella zona, e tutte erano state dotate di impianti antinquinamento.
      Al lato opposto rispetto al distretto governativo, e ad una certa distanza dal parco e dal campus, c’era l’aeroporto, divenuto col tempo un vero e proprio “spazioporto” negli anni della prima colonizzazione della Luna.
       Ma per “traffico spaziale” si intendeva soprattutto quello delle aeromobili.
Solo I Maestri erano autorizzati a possedere un’aeromobile per uso privato: misura restrittiva resa necessaria dal numero intollerabile di incidenti dei primi anni del secolo XXII, soprattutto dopo l’introduzione dei primi modelli di utilitarie meno costose e accessibili ad altri ceti sociali.
      I Maestri più ricchi, per distinguersi, preferivano far guidare un pilota-autista, la cui patente era rilasciata direttamente dalla Gastac: Galaxy Space Travel Aeromobile Corporation.
      I piloti-autisti, come del resto i piloti di aeronavi, erano rappresentati da un potente sindacato, uno dei pochi che era stato in grado di tenere testa alla Gastac nella definizione dei contratti. Tuttavia, da quando la Gastac, dopo anni di crisi finanziaria e ristrutturazione, era finita sotto il controllo azionario della Alpha-Omega, il potere dei piloti era diminuito senza ragioni apparenti: non c’erano più stati scioperi e non erano neppure stati richiesti aumenti salariali, il che era assolutamente inusuale.
     Tutto ciò lo sapeva bene il Maestro Thomas Ariston: suo padre era stato, molti anni prima, un pilota-autista della Gastac.
Thomas, al solo ricordo, si sentì pervadere dalla nostalgia.
Nei tempi felici.
Era un lavoro ben remunerato, che aveva garantito alla famiglia una relativa stabilità economica, e una serenità che pochi potevano vantare in quegli anni turbolenti per la storia umana. Vivevano a Vancouver, in una villetta.
Ma, quando Thomas aveva solo sette anni, era incominciata una recessione economica, la Gastac era entrata in crisi e il padre era stato licenziato dal suo superiore, un Maestro dell'OEU con incarichi dirigenziali.
Troppo poco erano durati quei tempi felici.
Ristrutturazione, dissero: le necessità economiche prima di tutto!
Suo padre aveva tentato di lavorare come pilota-autista autonomo, ma per acquistare una aeromobile si era dovuto indebitare. I clienti non erano molti e la concorrenza era spietata: gli affari andavano sempre peggio. Alla fine si era trovato costretto a rivendere l’aeromobile per pagare i debiti e gli interessi.
Si era messo a cercare lavoro come operaio generico e aveva ottenuto alcuni contratti a termine, ma a condizioni umilianti e in contesti precari.
Erano anni di crisi, dicevano i datori di lavoro, e “noi non siamo enti di beneficenza”. E chi poteva dargli torto?
Da quel momento suo padre era cambiato: era diventato cinico, nervoso, irascibile, come non era mai stato prima, ed anche il rapporto con la moglie e il figlio ne aveva risentito. La serenità era svanita, come pure la speranza: la crisi economica perdurava ormai da quattro anni e non si vedevano miglioramenti sostanziali.
Ma poi un bambino cosa poteva capire di queste cose? Io ricordo solo le liti e la miseria…
Tutto ciò ancora provocava in Ariston una amarezza inesprimibile.
La cosa peggiore era vedere suo padre incupirsi, spegnersi…
Thomas aveva adorato suo padre, negli anni felici: era stato il suo punto di riferimento, la colonna della sua vita.
Ma poi la situazione era precipitata: passando da un lavoro temporaneo ad un altro, il padre diventava sempre più tetro, e la sua angoscia, crescendo di giorno in giorno, si stava trasformando in disperazione.
 Che fosse gravemente depresso era evidente da tempo, ma non si era potuto curare in modo adeguato…sì, perché i disoccupati e i lavoratori saltuari non erano in grado di pagarsi l'assicurazione sanitaria e dovevano affidarsi alle istituzioni di assistenza per i poveri: organizzazioni senza scopo di lucro, per lo più religiose.
Il primo ente a cui suo padre si era rivolto era gestito da volontari molto motivati, ma nel contempo molto scettici nei confronti delle cure farmacologiche (che tra l’altro erano costosissime), per cui si limitarono ad una serie di colloqui.
Thomas non aveva mai capito se quei dottori avevano sottovalutato il caso di suo padre o se avevano voluto risparmiare sui farmaci.
Fatto sta che suo padre era sprofondato in un abisso.
A quel punto gli avevano prescritto qualche farmaco molto blando e poco costoso, che non aveva sortito alcun effetto.
Si rivolsero ad altri enti, con risultati analoghi, finché, per disperazione, arrivarono persino ad affidarsi alle cure di un sacerdote che aveva idee particolari sulle cause dei disturbi depressivi e per curarli non utilizzava né farmaci, né colloqui, ma esorcismi.
Niente da fare: anche l’esorcismo non aveva migliorato le condizioni di suo padre.
Alla fine, come accadeva a molti disoccupati di mezza età, in crisi depressiva, anche suo padre era caduto vittima dell’alcolismo.
     Nel giro di pochi mesi anche le sue condizioni fisiche di salute precipitarono.
Una sera non tornò a casa. Lo trovarono morto in una panchina. L’autopsia registrò come causa del decesso un’overdose di alcool e farmaci generici, “quasi sicuramente a scopo di suicidio”.
Il coroner, un Maestro dell’Ordine, come tutti i laureati, aveva posto una mano sulla spalla di Thomas commentando:
Una morte iniqua”.
I Maestri amavano molto gli eufemismi.
Del resto, le parole non costavano niente e a parte quelle Thomas Ariston non ebbe nient’altro.
Aveva nove anni.
Sua madre, una donna forte, aveva reagito lavorando di più, come addetta alle pulizie o cameriera nelle ville dei ricchi.
Lavorò sodo per mantenere il figlio e fargli frequentare scuole di buon livello, visto che, a detta degli insegnati elementari, "il ragazzo prometteva bene".
E’ stato allora che la mamma mi ha spronato a studiare.
Lo aveva fatto con le migliori intenzioni, perché sapeva che le ottime doti intellettive di suo figlio andavano valorizzate.
I risultati non mancarono: Thomas divenne uno studente brillante e molto promettente.
Troppo promettente…
Al termine della scuola superiore, di indirizzo economico-commerciale, incominciò a farsi strada in lui l’ambizione di entrare a far parte dell’Oligarchia.
Era la massima ambizione possibile, e le probabilità di successo erano pochissime, perché in realtà l’Oligarchia non solo riservava i posti chiave ai figli degli stessi oligarchi, ma anche plasmava geneticamente questi stessi figli, con la fecondazione assistita o la clonazione, in modo tale che nascessero già predisposti ad essere dei leader.
In questo, si diceva che avesse proseguito un Programma Genetico antichissimo e segreto, chiamato, in codice, Il Serpente Rosso, e gestito da una società segreta che, secondo alcuni, si faceva chiamare L’Aristocrazia Nera.
L’Oligarchia negava quelle voci, eppure quando, durante il Grande Cataclisma di fine XXI secolo, molte famiglie dell’elite scomparvero misteriosamente, nacquero numerose leggende, con le versioni più disparate, ma tutte concordi su un unico punto: coloro che erano “spariti” facevano parte di un gruppo di Iniziati dediti a pratiche esoteriche.
Thomas non aveva mai dato credito a quelle leggende.
L’unica cosa certa era l’esistenza del Programma Genetico.
Ma la loro genetica ha creato dei mostri.
Nascevano figli apparentemente perfetti, bellissimi, e venivano educati secondo le migliori dottrine pedagogiche. Eppure assai spesso, senza alcuna spiegazione, i rampolli diventavano tristi e fragili e cadevano nella dipendenza di droghe più o meno pesanti.
Invece capitava, paradossalmente, che molti figli della “plebe”, come sprezzantemente veniva chiamata quella stragrande parte dell’umanità che non apparteneva all’Oligarchia, crescessero più sani e più forti, temprati dalle avversità, e dimostrassero di avere tutte le qualità per diventare degli ottimi Maestri dell’OEU.
Questo fatto non era molto gradito agli oligarchi, che vedevano la propria prole decadere, a vantaggio “di quegli straccioni” (così una volta, in un momento di rabbia, li aveva definiti l’onorevole Mary Ann Ripley, Vicepresidente dell’OEU), e tuttavia essi stessi si rendevano conto che c’era bisogno di immettere nell’Ordine del personale valido, per evitare la paralisi dell’economia.

 

Le crisi del XXI secolo hanno lasciato cicatrici evidenti. Per questo hanno ampliato le “borse di studio” per noi “plebei”.
Quel pensiero lo turbò, perché era stata quella “finestra” verso il presunto paradiso degli oligarchi a creare in Ariston un’ambizione smodata che lo aveva condotto poi a tanta sofferenza.
A diciotto anni, dopo uno studio folle, vinse l'ambitissima borsa di studio per l'Università Globale, e si trasferì al campus di Dracon.
 Furono anni durissimi.
All’Università Globale, accanto alle materie economiche, giuridiche, matematiche, statistiche, sociologiche e psicologiche per diventare un perfetto Maestro, si veniva anche, (e soprattutto!), sottoposti ad un condizionamento psicologico continuo e rigoroso, basato principalmente sul “pensiero positivo”, sull’ottimismo della volontà e sulla Programmazione Neuro-Linguistica.
L’uso del lessico “politicamente corretto” era imprescindibile.
Ma il “lavaggio del cervello” avveniva anche in maniera indiretta, attraverso una sorta di moral suasion, una persuasione sottile, per mezzo della quale il codice etico emergeva come corollario immediato delle teorie scientifiche, in ambito sia naturale che sociale.
Dietro a teorie economiche caratterizzate da un formalismo astratto, si celavano delle ipotesi date per scontate, considerate ovvie e naturali e la cui “normalità” si “respirava nell’aria”.
Un “credo” implicito secondo cui, tra l’altro, il libero mercato globale, senza frontiere, era il contesto che garantiva la massima efficienza e l’OEU ne era il Garante supremo, il “gendarme benevolente”, come amava definirsi, e il “solerte soccorritore” nei momenti di crisi.
E le crisi avveniva spesso.
Uno dei dogmi dell’OEU impone che, durante le crisi, gli unici enti da finanziare siano le banche. Mai le famiglie. Mai!
Quel Dogma si scontrava, nella mente di Thomas, col ricordo della sua storia familiare: il licenziamento del padre, i lavori precari, la miseria, la malattia, la mancanza di assistenza valida, il velleitarismo delle organizzazioni caritative, e infine… orribile… l’oscenità di quel cadavere gonfio…
Basta!
Il condizionamento psicologico gli imponeva di “pensare positivo” e di “incanalare la sua rabbia verso direzioni costruttive”: affari, e non politica.
     Ma proprio nella politica Ariston era riuscito a dirottare quel residuo di ossessività che neppure il condizionamento aveva del tutto cancellato. Era una sopravvivenza di idee estranee al Credo dell’OEU: un rifiuto lucido, e non emotivo, alla sua totalizzante imposizione.
Quel rifiuto era tutto ciò che gli restava della sua libertà.
     La lezione della mia infanzia è sopravvissuta a tutte le sovrastrutture che le hanno creato intorno. E’ il miracolo della mente umana ai suoi inizi.
     Provava sempre fierezza a quel pensiero. Era riuscito a trasformare le sue debolezze in quel tipo di forza necessaria per mantenere un margine di autonomia.
      Una forza tranquilla, come dice Yeras.
E non era l’unico a possederla: c’era una “opposizione interna” all’Ordine, un manipolo di idealisti che non riusciva ad accettare pienamente il Credo. Era la corrente cosiddetta "keynesiana” guidata dal Maestro Consigliere Abraham Yeras, e appena tollerata in seno all’Oligarchia, solo per mostrare un minimo di coerenza dell’Ordine nei confronti dei principi politici del liberalismo, a cui diceva di ispirarsi.
 La rappresentanza dei “solidaristi” all’interno del Consiglio Supremo era minoritaria e poco influente.
Però c’è! E l’opposizione ha i suoi diritti!
 Il solo fatto che ci fosse dimostrava, oltre a una certa “tolleranza” del regime, anche il fatto che il Credo non era così granitico come voleva sembrare e che il condizionamento poteva fallire.
La spiegazione di questa resistenza albergava nelle storie personali degli allievi, nella loro individualità, nel loro vissuto.
Ricordava ancora un discorso che Yeras aveva tenuto agli studenti “keynesiani”:
Nell’epoca della menzogna universale, dire la verità è di per sé un atto rivoluzionario
Era una citazione di Orwell, un autore che l’OEU aveva fatto di tutto per screditare, finendo però soltanto con lo screditare se stessa.
Thomas ricordava con nostalgia gli anni in cui si era legato al gruppo di studio di un docente che era stato allievo del Maestro Yeras, e si era laureato con una tesi di stampo keynesiano, che aveva sfiorato l’eresia.
 Ciò gli era costato molti punti in termini di valutazione, nonché varie note di biasimo, ma alla fine tutto gli fu perdonato in considerazione dei “vissuti familiari traumatici”, così recitava il giudizio finale.
Insomma, eretico sì, ma recuperabile.
E in fondo non si erano sbagliati.
Dopo tutto, sono qui, al loro servizio!
Ricordò come era stata orgogliosa di lui sua madre: aveva pianto di gioia il giorno in cui era stato proclamato Maestro dell'OEU e dopo tanti sacrifici, giustamente, si aspettava che il figlio ottenesse un lavoro che permettesse anche a lei di condurre finalmente una vita agiata.
Povera mamma, ancora si illude che ci sia sicurezza in questo sistema…
      All’inizio tutto era sembrato perfetto.
Come premio di laurea dall'Università aveva ricevuto in “leasing” a prezzo vantaggioso: un androide personale di sesso femminile straordinariamente realistico, un bonus per una plastica globale del proprio corpo e un kit standard per la riproduzione artificiale (era stato da poco autorizzato l’utilizzo di incubatrici bio-tecnologiche al posto delle “madri surrogate”). Il tutto per un valore equivalente a 10000 crediti, anticipati come “prestito d’onore” a tasso zero da restituire entro cinque anni dalla prima assunzione ad incarico “di formazione”.
Ma io ho atteso un po’…
Dopo la laurea, aveva viaggiato per vedere ciò che restava di bello sulla Terra, prima che anche questo fosse distrutto. Poi aveva comprato una casa nuova per sé e sua madre a Dracon, nell’illusione di inserirsi nella vita mondana della classe dirigente. Ma presto quella vita ad Ariston era divenuta estranea: anzi lo era sempre stata.
Alla mamma piaceva però, si sentiva finalmente rispettata…
Ma quella vita era molto costosa, e bisognava lavorare sodo per mantenere gli standard imposti dalle mode dell’Oligarchia.
Il suo primo incarico con contratto fisso, fu come contabile in una azienda di Hong Kong: guadagnò discretamente, poté mandare molti crediti alla madre, la quale, inebriata dalla nuova situazione, incominciò a spendere in modo preoccupante. Ciò rendeva ancor più necessario ad Ariston lavorare ulteriormente e fare carriera.
Carriera io? Come ho potuto illudermi?
Il suo “vissuto traumatico”, così come l’eresia keynesiana, non erano stati dimenticati nelle alte sfere e il suo carattere resistente al condizionamento gli costò quasi subito una nota di demerito ed un incarico “di punizione, come supervisore di una azienda di riso in Bangladesh, nel fangoso delta del Brahmaputra, una delle zone più inospitali del pianeta.
Lì era rimasto per due anni, tagliato fuori dal mondo, e stordito dal clima monsonico a cui era quasi impossibile adattarsi.
Poi, non avendo ancora ottenuto la fiducia dei superiori, ebbe un contratto triennale presso le rovine di Kandahar, come direttore di una piccola azienda agricolo-chimica produttrice di oppio e di morfina a fini medici.
Volevano farlo cadere in tentazione.
Hanno sperato che mi drogassi. Mi hanno messo alla prova, nel deserto freddo e roccioso con un popolo di fanatici oscurantisti.
Speravano che cedesse al fascino dell’oppio, e invece, con grande sorpresa di tutti, lui aveva resistito, e l’azienda aveva persino ottenuto dei buoni rendimenti.
Mi hanno rivalutato perché ho saputo tener buoni i terroristi con qualche donazione sottobanco. O mi adattavo, o mi avrebbero ucciso. Forse per me sarebbe stato meglio, ma per mia madre…
Aveva scelto la vita, ed era sceso a compromessi.
La vita è tutta un compromesso.
Questo gli era valso il perdono delle alte sfere e il diritto di tornare a lavorare a Dracon.
Poi era arrivata la chiamata di Marfol e l'incarico di Maestro Dirigente alla Spotlight di Montreal, ultimo baluardo contro l’espansione della Alpha-Omega.
Una bella promozione che farà felice la mamma…
Le avrebbe parlato solo dei benefici di quella promozione, tacendo i rischi, per non farla preoccupare.
       Sì, sarà felice…
Ma lui…lui, Thomas Ariston, era felice? Che domanda fuori luogo!
Un giorno aveva provocato un docente universitario con un intervento sul fatto che la maggioranza della popolazione viveva un’esistenza infelice.
Il vecchio volpone lo aveva fissato con un’espressione di disgusto: “E chi ha mai detto che gli uomini debbano essere felici?”
Thomas non aveva saputo replicare, e dopo tanti anni non era certo di aver trovato le parole giuste. Rimase a lungo a pensarci, anche quella sera, dopo essere salito sull’aerotaxi che l'avrebbe riportato a casa da sua madre.
Non trovò risposta.
Forse non c’erano risposte.
Forse…



 Cast

Keanu Reeves nel ruolo di Thomas Ariston
Hillary Clinton nel ruolo dell'onorevole Mary Ann Ripley, Vicepresidente dell'Ordine Economico Universale




domenica 14 agosto 2016

Alpha-Omega. Capitolo 2. Il Nuovo Ordine Mondiale e i segreti di Emily Van Garrett








                                  Una volta parlando con una Veridica le chiesi se pensava
                                  veramente che io fossi pazza e lei mi rispose: «Una di noi due
                                  lo, è, mia cara Emily…una di noi due lo è…».

                                           EMILY VAN GARRETT

                           
           Emily Van Garret uscì dall’ufficio della Dottoressa Julia Jones con la netta consapevolezza di avere parlato troppo.
Il senso di colpa per non essere stata all’altezza della situazione le ghermì lo stomaco, e dovette respirare a fondo per ritrovare la calma.
Ma poi la colpa non era tutta sua! Era di quella maledetta strizzacervelli che suo cognato le aveva messo alle calcagna.
La Jones è troppo abile! è una Veridica, oltre che una psichiatra…
I Veridici sapevano interpretare anche i minimi segni per stabilire se un testimone diceva la verità.
Però anche le Veridiche eminenti come la Jones potevano sbagliare, specie se avevano davanti un Maestro dell’OEU: per l’Ordine Economico Universale, l'ente preposto al governo del Nuovo Ordine Mondiale, l’autocontrollo ferreo dei propri adepti era la regola basilare, che si otteneva mediante il famoso “condizionamento psicologico”.
Ed Emily aveva ottenuto a pieni voti il titolo di Maestro dell’Ordine.
Ma erano altri tempi…avevo dieci anni di meno, e in questo decennio è successo di tutto.
Quegli anni l’avevano logorata nello spirito.
Si sentì stanca, ma era una stanchezza dell’anima, pallidamente venata da una dolorosa screziatura di cupio dissolvi.
     Prima della seduta con la Jones, Emily si era riproposta di non dire nulla o quasi, e invece, alla fine, si era trovata costretta a fare alcune ammissioni.
Le sue domande erano troppo ben formulate…c’è lo zampino di Charles! 
     Ebbe un gesto di stizza al solo pensiero di suo cognato e con una mano colpì uno dei robot-uscieri che pattugliavano il corridoio dietro l’ambulatorio.
Se ne pentì subito, pensando alle telecamere che riprendevano tutti i locali nella grande Piramide della Alpha-Omega.
Aveva dato loro un argomento in più per sostenere la tesi della sua incapacità di intendere.
Ci stavano riuscendo.
Lui e mia sorella Amanda…e i cortigiani!
C'era un complotto ai suoi danni che faceva parte di una più ampia Cospirazione, di cui lei sapeva troppe cose per poter essere lasciata libera di agire e soprattutto di parlare.
Il modo migliore per metterla a tacere era farla dichiarare pazza.
Le stavano provando tutte per farla crollare e se ci fossero riusciti l’avrebbero anche fatta interdire, magari con una bella diagnosi di paranoia firmata dai Veridici più quotati.…e così non sono avrebbero ottenuto il controllo del suo consistente pacchetto azionario nella Alpha-Omega, ma sarebbero anche riusciti a zittirla per sempre.
Loro sospettano di me! E non si sbagliano!
Emily era l'ultimo ostacolo che si frapponeva tra i vertici della Alpha-Omega e la conquista della maggioranza nel Consiglio dell'OEU.
Se Emily avesse rivelato i segreti della Alpha-Omega e del suo inspiegabile successo, sarebbe potuto accadere di tutto.
Ed era chiaro che sua sorella Amanda e il marito di lei, il Maestro Charles Louis Correnson, Presidente della Alpha-Omega Investment Corporation, erano disposti a tutto pur di far tacere Emily Van Garrett.
 Ma lei aveva ancora molti alleati e diverse carte da giocare…persino un asso nella manica.
Respirò di nuovo profondamente e cercò di rilassarsi.
Non era facile, ma non poteva certo permettersi di cedere ora, a un passo dal momento cruciale.
Se io crollo, sarà la fine per tutti. Per tutti! Nessuno escluso…
Il peso della responsabilità la stava schiacciando. Ma non era solo questo.
Da quando suo padre era morto, dieci anni prima, niente aveva più funzionato nella sua vita. Se solo fosse vissuto un po’ più a lungo, non avrebbe mai permesso a Correnson di rovinare tutto.
Questi pensieri non mi aiutano…
E allora, che fare? Da mesi stava meditando sulle strategie: il piano era quasi del tutto definito. I contatti con le persone giuste erano stati presi e i segnali necessari erano stati lanciati… non restava che attendere gli eventi e prepararsi ad intervenire appena se ne fosse presentata l’opportunità.
Devo reggere ancora per un po’…presto tutto sarà compiuto…
Anche per lei sarebbe arrivato il momento in cui poter esclamare: consummatum est.
Ancora pochi mesi, forse anche meno e la Cospirazione sarebbe stata svelata, se i suoi calcoli erano esatti.
Dovevano essere esatti! In questo si fidava ciecamente dei dati che gli sussurravano all'orecchio i suoi informatori, coloro che la tenevano in contatto con Nayan e con i ribelli.
Di Nayan mi fido!
Pensare a lui la faceva sentire meglio…
Ma nessun Veridico avrebbe mai dovuto nemmeno sospettare tutto ciò!
Per fortuna le rivelazioni di quel giorno non avevano nemmeno sfiorato quel delicato “versante” dei suoi segreti.
Però quanta energia le costava quella recita!
Sono stanca, stanca, stanca…
In fondo al breve tratto di corridoio, trovò il suo seguito di androidi, guardie del corpo e dame di compagnia. Persino di loro aveva incominciato a dubitare: tutti ormai potevano tradirla, soprattutto ora che le voci sulle sue presunte turbe psichiche avevano cominciato a circolare alla Corte di Correnson.
Ah, erano stati abili! Un’ottima strategia!
E poi c’era quella maledetta Jones! Le sue domande…i suoi perché…
 Non c’era modo di eludere quei test.
Se si fosse tirata indietro, però, avrebbero sospettato di più.
Il Giuramento dell’Ordine parlava chiaro: “Nessuno può rifiutarsi di essere sottoposto a perizia psichiatrica e ad esame veridico”.
Certo, se solo avesse anche lontanamente immaginato come sarebbero andate a finire le cose, mai avrebbe accettato di entrare a far parte dell’Ordine, ma allora era una ragazzina inesperta e suo padre era appena mancato.
Basta con questi pensieri!
Notò lo sguardo muto e interrogativo del suo seguito, che attendeva le sue decisioni.
Rimase per un attimo incerta su come trascorrere il resto della giornata. Avrebbe avuto molti lavori da concludere, ma si sentiva troppo male.
Cercò di non lasciar trapelare il suo disagio, mantenendo il consueto atteggiamento altero che metteva in soggezione tutti coloro che le stavano intorno. Era consapevole di essere una donna di rara bellezza naturale ed innata eleganza: alta, snella, sguardo intenso, labbra carnose, lunghi capelli scuri. Aveva una classe, un garbo nei movimenti, nei gesti, nelle parole, che le davano autorevolezza.
«Andiamo nel mio giardino pensile» ordinò, dirigendosi verso l’ascensore. Il corteo di servitori la seguì senza fiatare. Nessuno osava contraddirla e nemmeno interloquire senza essere interrogato.
Il guaio di crescere come regine. Si diventava glaciali…
Ah, se solo potessi permettermi di amare qualcuno…di fidarmi…
E invece neppure sua madre e sua sorella Amanda erano affidabili.



Mio padre era affidabile, mia zia Greta lo era…
A dire il vero Greta era una pro-pro-zia, che nascondeva molti segreti ed era sparita nel nulla, come quella parte di umanità che si era volatilizzata ai tempi del Grande Cataclisma.
Chi era rimasto sulla Terra, aveva dovuto piegarsi al dominio dell’Ordine Economico Universale e, all’interno di esso, a quello dell’Alpha-Omega Investment Corporation.

E lei, come azionista di rilievo della società, continuava ad essere un bersaglio di chiunque volesse conquistarne il controllo, familiari compresi.
Anzi, lo erano meno di tutti gli altri. E gli amici…bah…quali amici? Aveva solo alleati, e nessuno era all’altezza della situazione…
L’amicizia era un’altra cosa, e l’amore, poi, meglio non parlarne, in quel momento e in quelle condizioni…no, non era il caso.
Aveva un bel domandare la Jones: “Perché”? Nemmeno lei, Emily, riusciva veramente a capire perché le cose dovevano andare così, e soprattutto perché anche in passato erano andate in quel modo…
A parte l’elemento di predestinazione, se così si poteva chiamare l’insieme di circostanze che avevano determinato quel maledetto imbroglio della Alpha-Omega, c’era da capire come mai lei stessa avesse deciso di seguire una strategia alternativa a quella di Correnson.
Lui aveva sempre voluto eliminarla: era un intralcio nel suo “grande disegno”.
 Quindi all’inizio per lei si era trattato solo di una legittima difesa…ma poi…
Poi aveva capito tutta la verità, e si era resa conto delle conseguenze del piano di Correnson. Conseguenze che avrebbero riguardato tutti…
Rabbrividì al pensiero.
Appena l’ascensore arrivò alla piattaforma di imbarco, si introdusse nella sua navicella personale, sempre col suo seguito dietro. Ogni volta che saliva sul suo mezzo di trasporto aveva per un attimo il timore di un incidente…magari provocato dagli uomini di suo cognato…
No, non gli converrebbe agire in modo così scoperto.
 La guerra sarebbe esplosa troppo presto per gli interessi di Correnson… dopotutto il Grande Maestro Orcfeller non era ancora morto e uno scandalo non sarebbe giovato certo alla causa della Alpha-Omega.
C’erano dei tempi ben precisi, e tutti lo sapevano.
Emily si sedette nel suo divano, accanto al finestrino e osservò il paesaggio sotto di lei. La Piramide di plastacciaio, cemento e vetroresina della Alpha-Omega si ergeva mostruosa a fianco della navicella.
C’erano voluti solo pochi mesi per erigere quell’immenso Moloch, una vera è propria montagna d’acciaio alta 2000 metri standard, nel bel mezzo di un deserto di asfalto.
     La nuova Torre di Babele! Il monumento a Correnson! Mio padre non avrebbe mai permesso una simile mostruosità…
E pensare che quelle zone dell’antico Quebec un tempo erano state ricoperte di foreste! Vicino ai grandi laghi, alcune erano sopravvissute persino alla grande crisi della fine del XXI secolo.
Se chiudeva gli occhi, Emily poteva ancora rivedere nella memoria le ultime foreste e praterie degli anni della sua infanzia…quando suo padre, lasciate le zone ormai allagate dell’Olanda, si era trasferito nelle campagne vicino a Montreal.
Altri tempi!
Altra felicità fingendo al viver mio…
Nel giro di vent’anni la Alpha-Omega aveva devastato anche quel poco di verde che il Canada francese era riuscito a conservare.
Hanno distrutto ogni cosa, e questo è solo l’inizio!
Scacciò l’orrendo pensiero…non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto succedere se…
Ma poi non era solo la paura per la sorte del Quebec: ciò che era accaduto lì erano solo la prova generale per quello che sarebbe accaduto all’intero pianeta, forse persino all’intero sistema solare…
Se rivelassi ciò che so mi prenderebbero per pazza!
I profeti inascoltati erano sempre presi per pazzi…
“Vox clamantis in deserto”: voce di uno che grida nel deserto.
Quello era il suo motto.
Sorrise fra sé, mentre la navicella si avvicinava ad un enorme giardino pensile, che sporgeva dalla Piramide a mo’ di terrazza ricoperta da una serra.
«Ecco, il mio piccolo paradiso artificiale! Il mio Petit Trianon» esclamò mentre vi entravano: «Ditemi la verità ragazze, è molto più bello, intimo e accogliente dei giardini della Nouvelle Versailles di mio cognato!»
Le dame di compagnia sorrisero diplomaticamente, annuendo senza sbilanciarsi troppo.
Emily sospirò.
Avevano paura di Correnson, alcune persino lo rispettavano e forse avevano già deciso di stare dalla sua parte.
Gli uomini hanno sempre preferito le tenebre alla luce… non vogliono sapere, non vogliono vedere, si rifiutano di farlo.
Lo avrebbero fatto anche stavolta?
Era quasi sicuro, ma esisteva un barlume di speranza.
«Fate il bagno con me?»
Almeno quello!
Non lasciatemi sola!
Il tepore che regnava in quell’Eden la fece sentire meglio.
Mentre si svestiva e si immergeva nelle acque della piscina, le ritornarono in mente i bagni che faceva nell’ultimo dei Grandi Laghi: l’acqua era fredda, ma tutto era così bello. Ora quel lago era stato prosciugato per favorire la costruzione di Nouvelle Versailles.
Non ho saputo impedire che tutto ciò venisse distrutto, ma posso ancora impedire il peggio…




sabato 13 agosto 2016

Arianna Huffington: la parabola di una moglie miliardaria divenuta icona dei Radical-Chic





Arianna Huffington (nata Arianna StassinopoulosAtene15 luglio 1950) è una giornalista e scrittrice greca naturalizzata statunitense, nota per aver fondato The Huffington Post, uno dei blog più letti ed influenti degli Stati Uniti.
Figlia di Konstantinos e Georgiadi Stasinopoúlou, Arianna è nata ad Atene e ha studiato al Girton College dell'Università di Cambridge.
Negli anni ottanta si trasferì a New York, dove intraprese la professione di scrittrice e giornalista, occupandosi soprattutto di politica. 
Dal 1986 al 1997 è stata sposata con l'imprenditore e politico repubblicano Michael Huffington, deputato alla Camera dei Rappresentanti dal 1993 al 1995. Dal matrimonio sono nate due figlie: Christina Sophia e Isabella Diana. Poco dopo il divorzio dei due, Michael dichiarò ufficialmente la propria bisessualità e divenne un attivista per i diritti LGBT.
Nel corso degli anni il suo schieramento politico è cambiato varie volte: all'inizio considerata una voce conservatrice di destra, nel 2003 si candidò alla carica di governatore contro il repubblicano Arnold Schwarzenegger presentandosi alle elezioni in california come indipendente, per poi rivendicare la propria appartenenza al Partito Democratico nel 2008.
Nel 2005 Arianna Huffington ha fondato un giornale on-lineThe Huffington Post, divenuto ben presto uno fra i più seguiti a livello mondiale.
Fin qui i fatti.
Ora, noi non vogliamo mettere in dubbio il talento giornalistico della signora Huffington, ma ci interessa seguire la sua parabola umana e professionale, perché rappresenta un prototipo, un ideal-tipo, dell'evoluzione dei miliardari del mondo occidentale, che a un certo punto della loro vita hanno capito che il modo migliore per difendere il proprio status sociale e aumentare addirittura il proprio prestigio, il proprio potere e anche la propria ricchezza, era schierarsi con la sinistra "liberal", puntando tutto sulle battaglie per i diritti civili e mettendo in secondo piano quelle per i diritti sociali.
Un elemento comune a molte giornaliste o donne di successo che si ispirano alla Huffington è quello di farsi conoscere, inizialmente, attraverso un matrimonio prestigioso o comunque una frequentazione del jet set.
Il paradosso è che dopo una gavetta di questo tipo, che ricalca vecchissime strategie di tipo seduttivo tutte interne ad un contesto maschilista, queste mogli miliardarie mettono su, con i soldi del marito, la propria impresa e si scoprono eroine del femminismo, pur continuando a firmarsi con il cognome del coniuge.
In fondo è anche la storia di Hillary Clinton, che si chiamerebbe Hillary Rodham, ma con quel cognome nessuno se la filerebbe, o di Angela Merkel, che usa ancora il cognome del primo marito da cui ha divorziato secoli fa.  Al riguardo vi rimando alle biografie non autorizzate che ho scritto in questo blog sia di Hillary ("la guerrafondaia che piace ai radical-chic") e di Angela ("la ragazza dell'est").
Ma torniamo alla Huffington.
Folgorata sulla via di Washington, Arianna Huffington ha scoperto che per sdoganarsi nel mondo snob dei salotti buoni radical chic era necessaria una rivoluzione formale, che, pur salvando la struttura filo-capitalistica e filo-globalizzazione del suo "pensiero" economico, desse una patina di sinistra al suo blog.
Attenzione però, quando si parla di sinistra radical-chic non si intende più qualcosa che abbia a che fare con un progetto di stato sociale o di socialdemocrazia, concetti che sono stati sbrigativamente messi in cantina nell'ultimo decennio, complice la Grande Recessione e il Nuovo Ordine Mondiale che ne ha approfittato per imporsi.
Ora per dirsi di sinistra, secondo i radical chic, basta essere favorevoli all'immigrazione indiscriminata e ai matrimoni gay con adozioni e maternità surrogate, il tutto condito con qualche superficiale riverniciatura femminista e ambientalista, più di facciata che altro, perché si ferma subito di fronte al rispetto paradossale del velo islamico, della tecnologia più futile e del mondialismo guerrafondaio di chi vuole esportare la democrazia a suon di bombardamenti, colpi di stato, finanziamento di gruppi eversivi e di rivoluzioni arabe o ucraine più o meno colorate.
Arianna Huffington ha rappresentato la quintessenza di tutto questo e non è un caso che l'Huffington Post italiano abbia trovato spazio tra le colonne di Repubblica, il salotto buono dei perbenisti radical-chic delle terrazze romane.
Ora che la Huffington ha fatto soldi a palate grazie ai suoi amici radical chic e al gregge di chi li segue, ha deciso di dedicarsi all'imprenditoria nel campo della sanità, dove certamente troverà un ottimo business, dal momento che si può sempre fare affidamento sul fatto che gli esseri umani si ammalano continuamente e che la sanità pubblica, nonostante i proclami dei progressisti, continua a perdere colpi e a non garantire affatto il diritto alla salute, che invece dovrebbe essere una preoccupazione primaria.
Vedremo se l'azienda della Huffington offrirà cure a buon mercato oppure continuerà a rivolgersi al suo salotto buono di miliardari col cuore a sinistra e il portafoglio saldamente a destra.

I dieci principi del conservatorismo classico (paleoconservatorismo) secondo Russell Kirk






Russell Kirk
Being neither a religion nor an ideology, the body of opinion termed conservatism possesses no Holy Writ and no Das Kapital to provide dogmata. So far as it is possible to determine what conservatives believe, the first principles of the conservative persuasion are derived from what leading conservative writers and public men have professed during the past two centuries. After some introductory remarks on this general theme, I will proceed to list ten such conservative principles.
Perhaps it would be well, most of the time, to use this word “conservative” as an adjective chiefly. For there exists no Model Conservative, and conservatism is the negation of ideology: it is a state of mind, a type of character, a way of looking at the civil social order.
The attitude we call conservatism is sustained by a body of sentiments, rather than by a system of ideological dogmata. It is almost true that a conservative may be defined as a person who thinks himself such. The conservative movement or body of opinion can accommodate a considerable diversity of views on a good many subjects, there being no Test Act or Thirty-Nine Articles of the conservative creed.
In essence, the conservative person is simply one who finds the permanent things more pleasing than Chaos and Old Night. (Yet conservatives know, with Burke, that healthy “change is the means of our preservation.”) A people’s historic continuity of experience, says the conservative, offers a guide to policy far better than the abstract designs of coffee-house philosophers. But of course there is more to the conservative persuasion than this general attitude.
It is not possible to draw up a neat catalogue of conservatives’ convictions; nevertheless, I offer you, summarily, ten general principles; it seems safe to say that most conservatives would subscribe to most of these maxims. In various editions of my book The Conservative Mind I have listed certain canons of conservative thought—the list differing somewhat from edition to edition; in my anthology The Portable Conservative Reader I offer variations upon this theme. Now I present to you a summary of conservative assumptions differing somewhat from my canons in those two books of mine. In fine, the diversity of ways in which conservative views may find expression is itself proof that conservatism is no fixed ideology. What particular principles conservatives emphasize during any given time will vary with the circumstances and necessities of that era. The following ten articles of belief reflect the emphases of conservatives in America nowadays.
First, the conservative believes that there exists an enduring moral order. That order is made for man, and man is made for it: human nature is a constant, and moral truths are permanent.
This word order signifies harmony. There are two aspects or types of order: the inner order of the soul, and the outer order of the commonwealth. Twenty-five centuries ago, Plato taught this doctrine, but even the educated nowadays find it difficult to understand. The problem of order has been a principal concern of conservatives ever since conservative became a term of politics.
Our twentieth-century world has experienced the hideous consequences of the collapse of belief in a moral order. Like the atrocities and disasters of Greece in the fifth century before Christ, the ruin of great nations in our century shows us the pit into which fall societies that mistake clever self-interest, or ingenious social controls, for pleasing alternatives to an oldfangled moral order.
It has been said by liberal intellectuals that the conservative believes all social questions, at heart, to be questions of private morality. Properly understood, this statement is quite true. A society in which men and women are governed by belief in an enduring moral order, by a strong sense of right and wrong, by personal convictions about justice and honor, will be a good society—whatever political machinery it may utilize; while a society in which men and women are morally adrift, ignorant of norms, and intent chiefly upon gratification of appetites, will be a bad society—no matter how many people vote and no matter how liberal its formal constitution may be.
Second, the conservative adheres to custom, convention, and continuity. It is old custom that enables people to live together peaceably; the destroyers of custom demolish more than they know or desire. It is through convention—a word much abused in our time—that we contrive to avoid perpetual disputes about rights and duties: law at base is a body of conventions. Continuity is the means of linking generation to generation; it matters as much for society as it does for the individual; without it, life is meaningless. When successful revolutionaries have effaced old customs, derided old conventions, and broken the continuity of social institutions—why, presently they discover the necessity of establishing fresh customs, conventions, and continuity; but that process is painful and slow; and the new social order that eventually emerges may be much inferior to the old order that radicals overthrew in their zeal for the Earthly Paradise.
Conservatives are champions of custom, convention, and continuity because they prefer the devil they know to the devil they don’t know. Order and justice and freedom, they believe, are the artificial products of a long social experience, the result of centuries of trial and reflection and sacrifice. Thus the body social is a kind of spiritual corporation, comparable to the church; it may even be called a community of souls. Human society is no machine, to be treated mechanically. The continuity, the life-blood, of a society must not be interrupted. Burke’s reminder of the necessity for prudent change is in the mind of the conservative. But necessary change, conservatives argue, ought to be gradual and discriminatory, never unfixing old interests at once.
Third, conservatives believe in what may be called the principle of prescription. Conservatives sense that modern people are dwarfs on the shoulders of giants, able to see farther than their ancestors only because of the great stature of those who have preceded us in time. Therefore conservatives very often emphasize the importance of prescription—that is, of things established by immemorial usage, so that the mind of man runneth not to the contrary. There exist rights of which the chief sanction is their antiquity—including rights to property, often. Similarly, our morals are prescriptive in great part. Conservatives argue that we are unlikely, we moderns, to make any brave new discoveries in morals or politics or taste. It is perilous to weigh every passing issue on the basis of private judgment and private rationality. The individual is foolish, but the species is wise, Burke declared. In politics we do well to abide by precedent and precept and even prejudice, for the great mysterious incorporation of the human race has acquired a prescriptive wisdom far greater than any man’s petty private rationality.
Fourth, conservatives are guided by their principle of prudence. Burke agrees with Plato that in the statesman, prudence is chief among virtues. Any public measure ought to be judged by its probable long-run consequences, not merely by temporary advantage or popularity. Liberals and radicals, the conservative says, are imprudent: for they dash at their objectives without giving much heed to the risk of new abuses worse than the evils they hope to sweep away. As John Randolph of Roanoke put it, Providence moves slowly, but the devil always hurries. Human society being complex, remedies cannot be simple if they are to be efficacious. The conservative declares that he acts only after sufficient reflection, having weighed the consequences. Sudden and slashing reforms are as perilous as sudden and slashing surgery.
Fifth, conservatives pay attention to the principle of variety. They feel affection for the proliferating intricacy of long-established social institutions and modes of life, as distinguished from the narrowing uniformity and deadening egalitarianism of radical systems. For the preservation of a healthy diversity in any civilization, there must survive orders and classes, differences in material condition, and many sorts of inequality. The only true forms of equality are equality at the Last Judgment and equality before a just court of law; all other attempts at levelling must lead, at best, to social stagnation. Society requires honest and able leadership; and if natural and institutional differences are destroyed, presently some tyrant or host of squalid oligarchs will create new forms of inequality.
Sixth, conservatives are chastened by their principle of imperfectability. Human nature suffers irremediably from certain grave faults, the conservatives know. Man being imperfect, no perfect social order ever can be created. Because of human restlessness, mankind would grow rebellious under any utopian domination, and would break out once more in violent discontent—or else expire of boredom. To seek for utopia is to end in disaster, the conservative says: we are not made for perfect things. All that we reasonably can expect is a tolerably ordered, just, and free society, in which some evils, maladjustments, and suffering will continue to lurk. By proper attention to prudent reform, we may preserve and improve this tolerable order. But if the old institutional and moral safeguards of a nation are neglected, then the anarchic impulse in humankind breaks loose: “the ceremony of innocence is drowned.” The ideologues who promise the perfection of man and society have converted a great part of the twentieth-century world into a terrestrial hell.
Seventh, conservatives are persuaded that freedom and property are closely linked. Separate property from private possession, and Leviathan becomes master of all. Upon the foundation of private property, great civilizations are built. The more widespread is the possession of private property, the more stable and productive is a commonwealth. Economic levelling, conservatives maintain, is not economic progress. Getting and spending are not the chief aims of human existence; but a sound economic basis for the person, the family, and the commonwealth is much to be desired.
Sir Henry Maine, in his Village Communities, puts strongly the case for private property, as distinguished from communal property: “Nobody is at liberty to attack several property and to say at the same time that he values civilization. The history of the two cannot be disentangled.” For the institution of several property—that is, private property—has been a powerful instrument for teaching men and women responsibility, for providing motives to integrity, for supporting general culture, for raising mankind above the level of mere drudgery, for affording leisure to think and freedom to act. To be able to retain the fruits of one’s labor; to be able to see one’s work made permanent; to be able to bequeath one’s property to one’s posterity; to be able to rise from the natural condition of grinding poverty to the security of enduring accomplishment; to have something that is really one’s own—these are advantages difficult to deny. The conservative acknowledges that the possession of property fixes certain duties upon the possessor; he accepts those moral and legal obligations cheerfully.
Eighth, conservatives uphold voluntary community, quite as they oppose involuntary collectivism. Although Americans have been attached strongly to privacy and private rights, they also have been a people conspicuous for a successful spirit of community. In a genuine community, the decisions most directly affecting the lives of citizens are made locally and voluntarily. Some of these functions are carried out by local political bodies, others by private associations: so long as they are kept local, and are marked by the general agreement of those affected, they constitute healthy community. But when these functions pass by default or usurpation to centralized authority, then community is in serious danger. Whatever is beneficent and prudent in modern democracy is made possible through cooperative volition. If, then, in the name of an abstract Democracy, the functions of community are transferred to distant political direction—why, real government by the consent of the governed gives way to a standardizing process hostile to freedom and human dignity.
For a nation is no stronger than the numerous little communities of which it is composed. A central administration, or a corps of select managers and civil servants, however well intentioned and well trained, cannot confer justice and prosperity and tranquility upon a mass of men and women deprived of their old responsibilities. That experiment has been made before; and it has been disastrous. It is the performance of our duties in community that teaches us prudence and efficiency and charity.
Ninth, the conservative perceives the need for prudent restraints upon power and upon human passions. Politically speaking, power is the ability to do as one likes, regardless of the wills of one’s fellows. A state in which an individual or a small group are able to dominate the wills of their fellows without check is a despotism, whether it is called monarchical or aristocratic or democratic. When every person claims to be a power unto himself, then society falls into anarchy. Anarchy never lasts long, being intolerable for everyone, and contrary to the ineluctable fact that some persons are more strong and more clever than their neighbors. To anarchy there succeeds tyranny or oligarchy, in which power is monopolized by a very few.
The conservative endeavors to so limit and balance political power that anarchy or tyranny may not arise. In every age, nevertheless, men and women are tempted to overthrow the limitations upon power, for the sake of some fancied temporary advantage. It is characteristic of the radical that he thinks of power as a force for good—so long as the power falls into his hands. In the name of liberty, the French and Russian revolutionaries abolished the old restraints upon power; but power cannot be abolished; it always finds its way into someone’s hands. That power which the revolutionaries had thought oppressive in the hands of the old regime became many times as tyrannical in the hands of the radical new masters of the state.
Knowing human nature for a mixture of good and evil, the conservative does not put his trust in mere benevolence. Constitutional restrictions, political checks and balances, adequate enforcement of the laws, the old intricate web of restraints upon will and appetite—these the conservative approves as instruments of freedom and order. A just government maintains a healthy tension between the claims of authority and the claims of liberty.
Tenth, the thinking conservative understands that permanence and change must be recognized and reconciled in a vigorous society. The conservative is not opposed to social improvement, although he doubts whether there is any such force as a mystical Progress, with a Roman P, at work in the world. When a society is progressing in some respects, usually it is declining in other respects. The conservative knows that any healthy society is influenced by two forces, which Samuel Taylor Coleridge called its Permanence and its Progression. The Permanence of a society is formed by those enduring interests and convictions that gives us stability and continuity; without that Permanence, the fountains of the great deep are broken up, society slipping into anarchy. The Progression in a society is that spirit and that body of talents which urge us on to prudent reform and improvement; without that Progression, a people stagnate.
Therefore the intelligent conservative endeavors to reconcile the claims of Permanence and the claims of Progression. He thinks that the liberal and the radical, blind to the just claims of Permanence, would endanger the heritage bequeathed to us, in an endeavor to hurry us into some dubious Terrestrial Paradise. The conservative, in short, favors reasoned and temperate progress; he is opposed to the cult of Progress, whose votaries believe that everything new necessarily is superior to everything old.
Change is essential to the body social, the conservative reasons, just as it is essential to the human body. A body that has ceased to renew itself has begun to die. But if that body is to be vigorous, the change must occur in a regular manner, harmonizing with the form and nature of that body; otherwise change produces a monstrous growth, a cancer, which devours its host. The conservative takes care that nothing in a society should ever be wholly old, and that nothing should ever be wholly new. This is the means of the conservation of a nation, quite as it is the means of conservation of a living organism. Just how much change a society requires, and what sort of change, depend upon the circumstances of an age and a nation.
Such, then, are ten principles that have loomed large during the two centuries of modern conservative thought. Other principles of equal importance might have been discussed here: the conservative understanding of justice, for one, or the conservative view of education. But such subjects, time running on, I must leave to your private investigation.
The great line of demarcation in modern politics, Eric Voegelin used to point out, is not a division between liberals on one side and totalitarians on the other. No, on one side of that line are all those men and women who fancy that the temporal order is the only order, and that material needs are their only needs, and that they may do as they like with the human patrimony. On the other side of that line are all those people who recognize an enduring moral order in the universe, a constant human nature, and high duties toward the order spiritual and the order temporal.

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