domenica 3 luglio 2016

"The Winds of Winter" parody recap





"Al Gioco del Trono o si vince o si muore"
Cersei Lannister



La Friendzone colpisce ancora



Ditocorto: l'unico che riesce a farsi friendzonare prima dalla madre e poi dalla figlia





Il proverbiale senso della famiglia degli Stark



Prometti, Ned


Prometti!|


Il Gran Maestro





"Bruci la città e crolli il grattacielo, rimani tu da solo, nudo sul mio letto"
Baustelle, Irene Grandi featuring Cersei Lannister

Cersei FInale - Bruci la città e crolli il grattacielo irene grandi featuring cersei lannister


50 sfumature di Clegane



Il Dominio dei Lupi



Il Grande Inverno

La fine dei Lannister



Il parallelismo Bran Stark / Tommen Baratheon











Il Dominio della Regina



Jaime, il Valonqar



La regina Cersei e lo Sterminatore di Re (e anche di regine?)



I bei tempi di re Aerys II il Folle. In fondo anche Cersei ha qualcosa dei Targaryen



"I choose violence"
Cersei Lannister, Queen of the Andals and the First Men, Protector of the Seven Kingdoms and Warden of the Realm









Sei alcolista, piromane e sex addicted, allora sei un Lannister


Tommen campione di tuffi



R+L=J


No One






Lothar and Black Walder Frey



Il nemico del Pesce Nero









God Save The Queen



L'Ombra della Profezia



La Regina dei Draghi



La rivincita di Ser Jorah Mormont



Un'altra vittima eccellente della Friendzone












The White Wolf



Il Trono del Toro. Capitolo 2. Il Palazzo di Cnosso



Il corteo avanzava con lentezza. Le guardie armate precedevano e circondavano le varie portantine. Il principe Catreus stava sdraiato nella prima. Nella seconda e nella terza c’erano alti dignitari di corte, seduti. 
Nella quarta, più piccola, c’era Amasis con il capo degli schiavi del principe. 
Gli altri schiavi, alcuni di pelle molto scura, sorreggevano le portantine sotto il sole cocente.
La strada per Cnosso, sassosa e accidentata, costeggiava le colline di Creta, tra oliveti, vigneti e campi di grano. Amasis si sporgeva ogni tanto, scostando gli ampi tendaggi di seta, per osservare quei nuovi paesaggi.
«Presto ti verranno a noia queste coltivazioni» disse Gabàal, il capo degli schiavi, di stirpe fenicia. Amasis era troppo intimorito per fare domande.
Gabaal sogghignò: «Siete tutti così all’inizio, come dei pulcini bagnati. Poi però imparate in fretta, alla Reggia, le regole del gioco!» Quelle allusioni, accompagnate da sorrisi ironici, incominciarono a preoccupare il ragazzo, che rimaneva in un ostinato silenzio.Vide che all’orizzonte si stagliava una montagna.
«Quello è il monte Ida, sacro alla Dea Madre» indicò con reverenza Gabaal e aggiunse: «Nella mia terra d’origine la Dea è chiamata Ishtar, da voi in Egitto è Iside. Qui il suo nome sacro è Ida, come quello del monte, ma alcuni la chiamano Europa, come la madre del primo Minosse. I Cretesi considerano la Dea Madre Terra come la più importante degli Antichi Dei, ed è per questo che le donne, qui a Creta, godono di maggiore considerazione e libertà che in ogni altra parte del mondo, e possono scoprire i seni, mentre ovunque altrove è vietato. Qui, soprattutto a Palazzo, comandano le donne! Tieni a mente tutto ciò, se vorrai sopravvivere. In particolare abbi molto rispetto della principessa Indis, la moglie del nobile Catreus. A Palazzo è molto potente»
«E la regina?»
Gabaal parve imbrazzato: «Ehm… la regina Pasifae… come dire… è straniera… ed è molto più giovane del re. E’ la sua seconda moglie, sai? Non è la madre del nobile Catreus, ma solo dei figli minori del re: Glauco, Arianna e Fedra. E’ una donna molto bella, ma di una bellezza strana: ha i capelli colore dell’oro e gli occhi celesti, come quelli del suo popolo, i lontani Colchi. E sua sorella minore, Circe, è ancora più bella, ma, se vuoi un consiglio, stai alla larga da quelle due donne… »
«Perché? »
«Un giorno capirai»
La strada ben presto incominciò a discendere e il passo del corteo si fece più spedito.
«Prepàrati» disse Gabaal ad Amasis «tra poco vedrai la più grande reggia del nostro impero, il Palazzo di Cnosso, che sta sulla collina, ed è collegato con l’omonimo porto, che è una città vera.
Vedi, la reggia di Cnosso non è un semplice Palazzo, come si usa dire, ma un grande complesso di palazzi, una specie di città, abitata dalla famiglia reale, dagli alti dignitari, dagli amministratori del regno e da tutta la servitù.. .
Cnosso è stata ricostruita molte volte, dopo i grandi terremoti del passato, ed ogni volta è risorta più bella di prima. E’ la degna capitale per il nostro impero»
Amasis aveva però sentito dire che in Egitto c’erano città e monumenti ben più grandi. Ma l’Egitto non si poteva nominare, perché in quel periodo era considerato un nemico dell’impero marittimo di Creta. Il faraone egiziano Seti I era il rivale principale delle ambizioni di Creta di dominare tutte le coste del mar Mediterraneo.
«A Cnosso risiede il nostro grande sovrano Minosse XIV, che siede sul Trono del Toro da più di quarant’anni. Ora è molto anziano, ma in passato è stato un grande guerriero: ha sconfitto in battaglia gli Egizi, i Fenici, i Frigi e i Lidi, ma soprattutto ha sottomesso le città degli Achei, i barbari biondi che da secoli hanno colonizzato la Pelasgia, ed ora la chiamano Ellade. Gli Achei sono potenti, ma Creta lo è di più. Minosse ha fatto di Creta la regina dei mari»



Quei nomi di popoli e battaglie non significavano niente per Amasis, all’epoca: egli era preoccupato soprattutto per la sua sorte, per questo alla fine osò chiedere a Gabaal: «Perché il principe Catreus mi ha voluto a Cnosso? Non ha forse abbastanza schiavi?»
Gabaal rise: 
«Ah! Di schiavi ne ha in abbondanza, ma tu non sei destinato a fare lavori da manovale… Tu sarai educato per essere uno scriba e un segretario del principe»

«Ma perché proprio io
Gabaal lo guardò negli occhi con espressione triste: 
«Non posso dirtelo. Capirai in seguito i criteri in base ai quali il nostro principe sceglie i suoi futuri collaboratori»
Di nuovo quelle allusioni… Amasis era spaventato: «Ma è buono con gli schiavi, il Principe?»
L’uomo sospirò: 
«Ma certo che lo è! Ascoltami: da quando il primogenito del Re, Adregin, è morto in battaglia, Catreus è l’erede al trono, e diventerà il Minosse XV. Quel giorno, i suoi favoriti saranno gli uomini più potenti dell’impero. Se tu sarai all’altezza delle aspettative del principe, ti aspetterà un grande futuro. Altrimenti…»

«Altrimenti? »
«Beh, altrimenti finirai nell’arena dei danzatori con il toro. Qui, il  dio Toro, è secondo solo alla Dea Madre Terra, e dalla loro unione nacque la Dinastia reale»
Amasis incominciava a preoccuparsi seriamente, avrebbe voluto fare altre domande, ma non gli fu consentito dallo sguardo severo di Gabaal.
«Ora preparati» disse l’uomo « stiamo per arrivare. Si incomincia già a vedere il mare da qui. Scommetto che tu non te lo ricordi…»
Amasis guardò fuori e con suo grande stupore, all’orizzonte vide una striscia blu molto scura, perché era di quel colore indaco, il mare, intorno a Creta. Una strana nostalgia di cose perdute da tantissimo tempo lo colse. Lui era uno schiavo venuto dal mare…
Gabaal indicò all’orizzonte un agglomerato di case squadrate con file di torri: «La città portuale! Il cuore del nostro Impero marittimo! Da qui non si riesce a vedere il porto, ma un giorno tu lo visiterai e ne resterai stupefatto. Le navi più grandi e più belle del mare vi sono ormeggiate o vi fanno vela. Da un lato le navi mercantili, e dall’altro le navi da guerra. Sono l’orgoglio di Creta, la regina dei mari. Gli Antichi Dei hanno posto Creta qui, grande e ampia, in mezzo al mare, per dominarlo, e solcarne le onde. Il Dio del Mare è fratello della Dea della Terra».
Gabaal parlava con fierezza di Creta quasi fosse stata la sua vera patria. Essere il capo degli schiavi a Creta era per lui un onore, più che essere un cittadino libero altrove. Glielo si leggeva negli occhi.
Ma Amasis pensava ai suoi genitori. La gloria di Creta si basava sulla schiavitù di tanti uomini. Era veramente gloria?
«Guarda, ecco la strada che va al Palazzo!»
Era una via lastricata che dalla città portuale conduceva alle colline sovrastanti. Lungo la strada, nella quale si erano immessi, vi erano le dimore lussuose dei mercanti e dei notabili di Cnosso, con ampi giardini, e frutteti e oliveti.
E in fondo, ecco la collina del Palazzo, ergersi come un sovrano.
Ne vide gli ampi terrazzamenti, i colonnati, le torri, gli splendidi giardini. S’intravedeva un grandissimo numero di edifici squadrati, collegati fra loro, disposti su più piani, con ampi cortili, templi, scuderie, magazzini. I muri erano per lo più dipinti di rosso porpora, anche se ve n’erano di bianchi e di altri colori.
Amasis non aveva mai visto niente di simile e la sua ammirazione fu grande.
«E’ bello, vero?» commentò Gabaal «Ci sono volute molte generazioni di re per costruire e ricostruire la reggia di Cnosso in tutto il suo splendore. Ma certo chi più di tutti si è impegnato ad abbellire questo palazzo è stato l’attuale Minosse»
Più si avvicinavano al complesso della reggia, più Amasis poteva ammirarne le raffinatezze architettoniche e la bellezza dei colori.
«Ma non fidarti troppo di questa bellezza, ragazzo!» lo ammonì Gabaal con improvvisa serietà «Sono accaduti molti fatti tristi dentro queste splendide mura, e non mancano gli intrighi e le meschinità. Per questo io ti avviso: sii molto prudente e soprattutto fedele al Re e al Principe. Non dare ascolto alle malignità. Impara a guardare la realtà per quella che è, non per quella che appare, ma fa' finta di non aver visto nulla.
Tieni a mente questo mio consiglio: ci sono cose, nella vita, che è meglio non vedere»
Amasis annuì:
«Lo farò. Grazie per i tuoi saggi consigli» 
«Oh, è solo esperienza…» si schermì Gabaal «sono cose che dico a tutti i novizi quando arrivano a Cnosso. Forse spero che un giorno, magari, se faranno strada a corte, mi aiuteranno. Chissà… ancora non è accaduto… i favoriti di Catreus cadono in disgrazia troppo facilmente…»
«Cosa vuol dire?»
Lui allargò le braccia:
«Tu mi fai parlare troppo! Sono questioni delicate… ti ho già detto che col tempo capirai. Piuttosto, guarda: il Palazzo non ha mura di cinta, tanta è la potenza dell’impero di Minosse. Non ha bisogno di mura, perché le sue vere “mura” sono sul mare, dominato dalle navi!»
C’era solo un cancello, tra delle siepi, a delimitare la proprietà privata del Re, e alcuni soldati di guardia, solo per indicare che di lì non si poteva passare, a meno di non essere ospiti della famiglia reale.
«Ecco la Porta Occidentale» indicò Gabaal, nel punto ove la strada terminava per entrare nel complesso del Palazzo. La Porta era alta e maestosa, dipinta di rosso, e il suo architrave era un unico grande blocco di pietra. Qui le guardie reali resero omaggio al Principe, e aprirono il cancello. Da lì si dipartivano numerose strade che conducevano ai vari ambienti del Palazzo.
Il corteo si divise: la portantina del Principe e quelle degli alti dignitari si diressero verso il complesso più elegante e maestoso, che doveva essere la vera e propria reggia, la cosiddetta Casa dell’Ascia, mentre la portantina con Amasis e Gabaal venne condotta in un alloggio distante, ma comunque imponente, con una grande aia ghiaiosa davanti e una scalinata che conduceva a un peristilio e a un ampio portone d’ingresso, con ai lati due imponenti tori in pietra.



sabato 2 luglio 2016

Il Trono del Toro. Capitolo 1. Amasis e il principe Catreus




Amasis era sempre stato uno schiavo.
Non ricordava quasi nulla del suo paese natale, un villaggio di pescatori nel delta del Nilo, nel potente Egitto del Faraone Seti I.
Il villaggio era stato saccheggiato da mercanti di schiavi.
Il padre di Amasis era stato destinato alla dura sorte di rematore nelle navi, e di lui non si ebbe più notizia.  La madre era stata venduta a un bordello di Tiro, mentre lui, Amasis, era stato comprato per pochi soldi dal ricco mercante cretese Fàrgas, che lo aveva condotto nella sua immensa proprietà terriera, nelle campagne intorno a Cnosso, destinandolo ai lavori più umili, come pulire le stalle e i pollai, mungere le mucche, strigliare i cavalli, mandare al pascolo le capre. Da grande avrebbe poi dovuto incominciare il duro lavoro nei campi, nei frutteti e nelle vigne, ma questo solo dopo i quindici anni, quando fosse stato sufficientemente forte. Fino ad allora avrebbe servito come stalliere e pastore.

Per lui la vita non era altro, e non immaginava che le cose potessero andare diversamente. A dodici anni, non sapeva nulla del mondo: non sapeva né leggere, né scrivere, né contare; non conosceva nulla al di fuori di quello che vedeva e non era in grado di fare nulla tranne i suoi lavori.
 Essendo orfano e senza protezione, era sempre stato in balia delle prepotenze di chiunque fosse più forte di lui e aveva imparato la pazienza, l’umiltà, la prudenza, ma anche la capacità di difendersi, quando sapeva di averne le forze, specie se le angherie provenivano da qualche coetaneo nelle sue stesse condizioni.
Non aveva amici, persino gli schiavi lo evitavano, perché non era nato da quelle parti ed era senza famiglia, ma a lui non importava gran che: stava per lo più con gli animali. Adorava i cani, i gatti, ma anche gli asinelli, le pecore, le capre, i polli e i conigli, e tutti gli altri animali della fattoria.
Sapeva che quella vita bucolica sarebbe durata solo pochi anni ancora, e poi  avrebbe incominciato a lavorare duramente nei campi, se non fosse accaduto un evento eccezionale ed imprevisto.

 Il padrone Fargas era infatti rientrato da Cnosso in compagnia di un ospite di grandissima importanza, per il quale aveva ordinato si preparassero pasti sontuosi e si ripulisse tutta la villa e l’intera proprietà.



Amasis sentì alcuni schiavi parlare del “nobile Catréus”, l’ospite importante, con un timore reverenziale, quasi si fosse trattato di un eroe o di un dio delle leggende che si cantavano la sera intorno al fuoco. Presto venne a sapere che il nobile Catreus altri non era che il figlio secondogenito del re Minosse XIV, a cui un giorno, essendo prematuramente scomparso il primogenito Adregin,  sarebbe succeduto sul trono di Creta col nome di Minosse XV, come voleva la tradizione fin dai tempi della fondazione della dinastia.
Si era sparsa la voce che il nobile Catreus volesse passare in rassegna tutti gli schiavi di sesso maschile e di età compresa tra i dodici e i quattordici anni circa. Fu così che anche Amasis venne preparato per l’occasione: gli fecero fare un bagno, lo profumarono e lo vestirono con abiti nuovi.
Quando poi il nobile Catreus ebbe terminato la cena con il mercante Fargas, arrivò l’ordine agli schiavi adolescenti di mettersi in riga e di attendere in silenzio.
I due signori uscirono dal portico della villa e lentamente si diressero verso le residenze degli schiavi.
Il grassoccio Fargas appariva ridicolo in confronto al fisico atletico dell’altro uomo, un giovane di circa trent’anni, dai tratti regali e severi, bianco di pelle, ma scuro di occhi, di capelli e di barba, come tutti i Cretesi. I suoi capelli neri erano lunghi e intrecciati, secondo la tipica pettinatura minoica.
Fargas invece era calvo e portava una parrucca corvina con riflessi blu, che gli stava di sghimbescio. Entrambi erano truccati in viso, con la cipria per rendere ancor più bianco il volto, segno di distinzione aristocratica, e la porpora per dare risalto alle gote e alle labbra e persino l’ombretto nerazzurro sulle palpebre. Portavano collane e monili sfavillanti di pietre preziose, braccialetti e anelli. I loro mantelli e le tuniche cadevano lunghi e ricamati fino ai piedi.
Nel complesso Fargas faceva ridere, il nobile Catreus appariva simile a un dio.
I due passarono in rassegna la fila di schiavi, confabulando tra loro a bassa voce.
Quando furono davanti ad Amasis, il nobile Catreus si mostrò particolarmente interessato, lo fissò a lungo e fece alcune domande a Fargas, che incominciò a tessere le lodi del ragazzo come se si fosse trattato di un vitello da vendere al mercato. I due gli si avvicinarono e Fargas ordinò ad Amasis di mostrare i denti, che erano ancora sani. Catreus annuì.
Poco dopo i due chiamarono il fattore e gli dissero qualcosa. Quest’ultimo, non meno emozionato di Fargas, si diresse verso Amasis e con uno strano tono mellifluo lo invitò a seguirlo.
Il ragazzo era incuriosito e intimorito da quella situazione strana, di cui non capiva nulla. Venne condotto, con sua grande meraviglia, all’interno della villa di Fargas. Era la prima volta che vi metteva piede e rimase stupefatto dalla pulizia, dal profumo e dal lusso di quell’abitazione. Percorsi vari corridoi, arrivarono in uno stanzino, dove c’era un letto morbido e  pulito.

«Dormirai qui stanotte» gli disse il fattore, con un misto di rispetto e di invidia «e domattina seguirai il nobile Catreus a Cnosso». Amasis aggrottò le sopracciglia con aria dubbiosa.
«Il principe ti ha comprato come schiavo, ma non andrai certo a zappare la terra, ragazzo mio… la fortuna ha bussato alla tua porta. Gli schiavi del nobile Catreus vanno a vivere al Palazzo e se sono furbi fanno anche carriera» e ridacchiò.
Poi lo fissò con aria seria: «Capisci quello che ti sto dicendo?».
Amasis annuì, incerto. Il fattore scosse la testa, sbuffando: «Cnosso è la capitale dell’Impero, il suo Palazzo è il luogo più potente e lussuoso del mondo!»

Amasis aveva sentito parlare solo vagamente del Sovrano Minosse e delle meraviglie del palazzo di Cnosso, come di una realtà lontanissima e inaccessibile. Quando realizzò che il giorno dopo si sarebbe recato proprio in quel luogo, ebbe un sussulto di gioia. Nello stesso tempo però gli dispiaceva lasciare i luoghi dove era cresciuto e che gli erano familiari. E poi si chiedeva cosa volesse da lui il nobile Catreus. Perché l’aveva scelto? Non poteva saperlo, ma a dodici anni, il piccolo Amasis aveva già imparato che ogni cosa ha un prezzo, e nessuno fa niente per niente.

Il Trono del Toro. Prologo



Dal papiro di Amasis (databile circa 1250 a.C.)

« Gli Antichi Dei hanno voluto che io, Amasis, terminassi la mia esistenza là dov’era iniziata, in un misero villaggio di pescatori nel delta del Nilo, e i guadagnassi da vivere come istitutore e scriba, nella vecchiaia, dopo aver conosciuto, da giovane e nella maturità, la massima potenza e la massima gloria, lontano da qui, a Creta, negli anni ormai lontani in cui quell’isola dominava i mari e le coste.

Molti favoleggiano di quel tempo, ma con poco discernimento: non dicono il vero, perché non possono conoscerlo, come tutti coloro che hanno la pretesa di scrivere la storia.
Ma io, io ero là, nel Palazzo di Cnosso, negli anni gloriosi del potente Impero marittimo di Creta, e assistetti di persona a quegli eventi che ora sono già divenuti leggenda e conobbi i personaggi che adesso sono entrati nel mito.

E nessun altro oramai, tra coloro che erano con me a quei tempi, è ancora in vita, perché tante sono state le disgrazie che hanno funestato quel luogo, quasi che dovesse pagare agli Dei il prezzo della propria stessa grandezza.

Mai avrei immaginato che sarei stato proprio io l’unico a sopravvivere e a poter  testimoniare correttamente come l’Impero di Creta cadde, all’apice della sua potenza, io, che giunsi in quell’isola come schiavo, ed ebbi poi la buona sorte di essere istruito, e di salire ai supremi ranghi del potere e alle più intime vicende della dinastia reale, e alle lotte che si scatenarono dopo la morte di Minosse XIV il Grande, per il possesso del Trono del Toro.

Ma fu veramente fortuna la mia? Salire in alto per poi rovinare insieme a loro, rimanendo solo, privato dei miei affetti. Gli Antichi Dei sanno quanto ho amato quella terra e quella gente, e che sacrifici ho compiuto per loro. Ho avuto i miei momenti felici, ma come dice il proverbio, la felicità passata non è più felicità, ma il dolore passato è ancora dolore.

Mi chiedo se c'è fortuna nella sopravvivenza.
A volte vorrei  la Grande Madre  mi avesse sollevato dal peso dei ricordi e dal dolore di una vecchiaia miserevole e inutile.
La morte non è niente: è la vita che fa paura.
Eppure mai ho ritenuto onorevole sollevare me stesso dal peso di questa vita, uccidendomi, ora mi ritrovo qui, solo, davanti a un papiro ancora non scritto, con i fantasmi di un passato che chiede di essere raccontato, io mi impegno ora a narrare il più fedelmente possibile la storia del Trono del Toro, dall’apogeo alla caduta.

Questo sarà l’estremo sacrificio che io renderò a chi mi fece grande, ossia la testimonianza verace di quegli eventi enormi e terribili che condussero un così florido regno alla rovina.
Lascerò a queste carte le mie memorie, affinché un giorno qualcuno, trovandole e leggendole, possa di nuovo far rivivere questa storia che gli aedi hanno così stravolto, allontanandosi dal vero.

Ma nessuno mai dica che fu per Amasis un privilegio poter essere l’estremo sopravvissuto di questa vicenda. No: la vera fortuna sta nell’essere richiamati dagli Dei prima del tracollo. La morte in quel caso è leggera come una piuma, mentre non c’è destino più terribile della sopravvivenza a tutto ciò che si ha avuto di più caro.
Ed io ho avuto e perduto tutto ciò che si poteva avere e perdere, nella vita>>