giovedì 16 ottobre 2014

La Quarta Era. Capitolo 13. Notizie dalla Contea



<<Siete stati gentili ad accompagnare la regina Arwen e la principessa Silmarien nel loro viaggio verso l'esilio>> disse Gimli ai tre giovani Hobbit, che conosceva a malapena, ma che erano nipoti dei suoi defunti amici che avevano fatto parte della Compagnia dell'Anello, oltre un secolo prima.
<<Era il minimo che potessimo fare, visto che la regina e la principessa sono state, insieme a te e Legolas, le uniche che hanno preso apertamente le nostre difese durante il Consiglio>> dichiarò il conte Isengrim Tuc.
<<E poi>> aggiunse il sindaco Harding Gamgee <<credo che saremo più utili qui che nella Contea. Avevo messo in conto di fare un lungo viaggio per far conoscere a tutti come stanno veramente le cose, dalle nostre parti>>
Faradas Brandybuck lo guardò con aria preoccupata:
<<Forse è arrivato il momento di dire tutta la verità, almeno a Gimli. Credo che lui potrà comprenderci, visto che i Nani si trovano a dover affrontare un momento difficile, come sta accadendo anche a noi>>
Gimli rivolse ai tre Hobbit uno sguardo interrogativo:
<<Si può sapere di cosa state parlando?>>
I tre si rivolsero uno sguardo d'intesa e lasciarono parlare quello che, tra loro, appariva il più abile nel tenere discorsi importanti, e cioè il sindaco.
<<Eravamo un popolo felice>> esordì Harding Gamgee <<prima che l'Anello del Potere entrasse nella Contea. La nostra vita era tranquilla, serena: eravamo esattamente come volevamo essere e possedevamo tutto ciò di cui avevamo bisogno. Seguivamo il ritmo delle stagioni ed ogni cosa aveva il suo posto e il suo significato>>
Gimli, che pure era un conservatore, sorrise:
<<E non vi annoiavate?>>
Harding non ricambiò il sorriso:
<<Chi è felice non si annoia. La noia è di chi guarda la felicità altrui>>
Gli altri due Hobbit annuirono e Gimli pensò che era veramente difficile capire i Mezzuomini.
Harding continuò:
<<Poi giunse lo Stregone... Mithràndir lo chiamavano gli Elfi, Olòrin i Valar, ma a noi si presentò col nome di Gandalf. All'epoca era molto più giovane di quando lo conoscesti tu.


E quando ci proponeva una delle sue avventure, noi saggiamente, rifiutavamo, perché non volevamo che la nostra storia fosse turbata dagli eventi della Grande Storia. Sapevamo che la tranquillità si può difendere soltanto rimanendo appartati, facendosi dimenticare. 
E infatti quasi nessuno conosceva la nostra esistenza, prima che Bilbo Baggins accettasse di farsi coinvolgere nella questione della riconquista di Erebor. 
Quando Bilbo ritornò, con un baule pieno di tesori e un numero esorbitante di storie da raccontare, i giovani incominciarono a fremere, a non accontentarsi di quello che avevano>>
Gimli sospirò:
<<Ma è normale che i giovani fremano, che non si accontentino! Che gioventù sarebbe se si adeguassero alle vecchie usanze senza un minimo di trasgressione... e te lo dice uno che non è certo un ribelle!>>
Harding scosse il capo:
<<Non sto parlando di trasgressione! Ai giovani era consentito trasgredire, ma si trattava di marachelle innocenti, che non li guastavano. Non avevano desideri superiori alle loro risorse. 
Il mio bisnonno Ham Gamgee possedeva soltanto una piccola casetta, pochi mobili, un servizio da tè e una bottiglia di vetro rosso più antica della stessa Contea. Aveva una moglie che ricambiava il suo amore e tanti figli devoti. Era un artigiano e gli piaceva il suo lavoro. Insomma, pur nella sua povertà, era ricco. 
Noi tutti eravamo poveri, ma ci sentivamo ricchi. E' questo ciò che intendevo dire>>
Gimli annuì:
<<E quale fu la colpa di Bilbo?>>
Harding sorrise amaramente:
<<Mio nonno Sam mi cantava spesso una canzone che Bilbo gli aveva insegnato. Niente di particolare, ma spiega molte cose sugli effetti negativi che le avventure ebbero su di lui e poi su tutta la Contea.  Suonava all'incirca così:

Il vento ha spazzato la terra
e gli uomini via lontano...
Cos'è mai questo vento?
Ho conosciuto troppi mondi
troppi uomini, troppe terre,
troppi mari, troppi venti...
Ora so che non morirò più lì, 
nella mia perduta terra.

E' chiaro che qualcosa dentro di lui si era spezzato e lo stesso accadde a Frodo, e poi, alla fine, quel turbamento contagiò tutti noi. Era la nostalgia di qualcosa che non conoscevamo, la volontà di vedere il vasto mondo, oltre i confini sicuri della Contea>>

<<E l'hanno visto, poi, il " vasto mondo", gli altri Hobbit?>> chiese Gimli con una sfumatura di ironia scettica.
Harding annuì seriamente:
<<Purtroppo sì. I giovani della generazione di mio padre volevano visitare Minas Tirith e tutta Gondor. Alcuni parteciparono persino alla difesa dei confini dell'Harad e furono coinvolti nella battaglia di Narài, quando gli Haradrim migrarono in massa verso nord.
Mio padre perse un occhio in quella battaglia: una tragica ironia se consideriamo che era partito per vedere il mondo>>
Gimli capì dove il giovane Hobbit voleva arrivare:
<<Fu una grande sconfitta per noi. Non eravamo preparati. Purtroppo Aragorn, che era ormai vecchio e debole, si lasciò influenzare da Pallando, secondo cui gli Haradrim erano deboli.
Io non presi parte a quella battaglia, perché anch'io ero troppo vecchio, ma chi ci andò, ne rimase sconvolto>>
Il giovane Hobbit sospirò:
<<Coloro che fecero ritorno, e furono pochi, erano diventati persone completamente diverse. Avevano perso l'innocenza. Incominciarono a diffondere malumore, persino rancore nei confronti della Gente Alta. 
Tu sei un Nano, Gimli, e hai vissuto molte avventure, ma c'è una cosa degli Uomini che nemmeno tu conosci>>
Gimli si limitò a fissarlo con uno sguardo interrogativo.
Harding fu colto da una strana inquietudine:
<<Gli Uomini allo stato di natura sono malvagi. Solo una piccola patina di civilizzazione li rende apparentemente innocui, ma in realtà sono pericolosi. I più non se ne rendono nemmeno conto e giustificano ogni loro azione sulla base di un codice etico irreprensibile, ma proverebbero orrore di se stessi se potessero vedere cosa si nasconde nel profondo della loro anima. 
Dicono che la Quarta Era sia quella degli Uomini. Se è così, prepariamoci al peggio.
Iluvatar li ha creati, ma Melkor li ha corrotti irrimediabilmente. 
Qualcuno, tra gli Haradrim, chiama questo marchio "Peccato Originale" e afferma che solo Iluvatar stesso potrebbe cancellarlo>>
Il discorso si era fatto troppo pesante per i gusti di Gimli:
<<Ragazzo, tu credi che io sia nato ieri? So distinguere gli onesti dagli impostori! 
Aragorn, per esempio, era un uomo onesto, totalmente integro, senza alcuna malvagità. Se commise errori, fu a causa della sua troppa bontà>>



A quel punto intervenne Faradas Brandybuck:
<<Aragorn era un puro di cuore, così come anche Faramir. 
Ma loro erano l'eccezione, non la regola. Persino un sovrano valoroso come Theoden, che diede la vita per il suo popolo e per la salvezza della Terra di Mezzo, si era fatto abbindolare da persone viscide come Grima. 
Aragorn, alla fine, ha ascoltato troppo i consigli di Pallando.
E l'attuale re di Rohan, Aelfwine il Bello, come lo chiamano le donne, è solo apparentemente gentile e premuroso, ma cova una profonda invidia nei confronti di Eldarion. 
E dietro a tutto questo ci sono abili manipolatori. Sta' attento, Gimli.
Niente è ciò che sembra>>
Prima che il Nano potesse replicare, il conte Isengrim Tuc volle aggiungere un suo parere:
<<Eldarion è consapevole di tutto questo, ma ha imparato che nella vita ci sono cose che è meglio non vedere, o quantomeno far finta di non vedere. 
C'era anche lui alla battaglia di Narài. Vide lui stesso quella carneficina senza senso e si rese conto della nostra debolezza di fronte alla malvagità e all'astuzia degli Haradrim.
Fu un trauma che non è mai riuscito a superare, un'ombra che lo ha accompagnato per tutta la vita. Di fronte a quella tortura, fece l'unica cosa che si poteva fare per non impazzire di dolore: ne distolse lo sguardo>>
Gimli allora capì.
Abbiamo tutti distolto lo sguardo. E così facendo ci siamo resi complici di qualcosa che non doveva accadere. Abbiamo perduto la nostra innocenza.