domenica 1 giugno 2025

Una con tutte stelle della vita. Capitolo II.



<<Tu hai la faccia di uno che ne sa a pacchi>>: queste furono le stravaganti parole che Vittoria mi disse al termine di quella famosa lezione di storia dell'arte contemporanea in cui per la prima volta la vidi di persona, all'università.
Non era il tipo di complimento che avrei sperato di sentire, perché io sapevo già di essere, modestia a parte, una persona molto colta e uno studente modello. Diciamo pure un secchione, ma non un nerd, perché almeno i nerd sono bravi in informatica, io invece ero negato per la tecnologia: ero un letterato, uno storico, forse anche un filosofo, un umanista, insomma, ma scientificamente non ero un gran che e a livello pratico ero una nullità completa.
Avrei preferito un complimento sul mio aspetto fisico, in fondo, quando avevo 22 anni, ero abbastanza carino, non bello, questo sarebbe dire troppo, ma avevo un mio fascino.
Non che nutrissi speranze riguardo a Vittoria: sapevo che lei era fidanzata con un bocconiano molto portato per la finanza e con grandi prospettive di carriera. Non era bellissimo, ma aveva l'aspetto del tipo molto sicuro di sé e molto, se mi passate il termine, "fighetto".

Quando Vittoria si era seduta nel posto a fianco a me, seppure a una certa distanza, io mi ero imposto un assoluto autocontrollo, senza dare alcuna impressione di riconoscerla e persino cercando di non guardarla. I miei amici, Fabio e Nicola, che l'avevano riconosciuta, mi avevano fatto cenni verso di lei, ma io, dopo averli zittiti con un'occhiataccia, ero rimasto completamente imperturbabile. 
Loro non avevano mai approvato questo mio atteggiamento, che consideravano rinunciatario.
Mi dicevano: "Se fai così ti autoescludi in partenza".
Io rispondevo: "Quando non c'è speranza, tutto ciò che resta è la dignità. Io scelgo un comportamento dignitoso".
E mi attenni a questo motto.
Il fatto che, durante quella lezione, io avessi mostrato la massima indifferenza nei confronti di Vittoria, poteva non essere stato da lei notato o comunque poteva essere interpretato  in tanti modi, tra cui quello, falso, che non mi piacessero le donne (al massimo si poteva dire che non mi piacessero gli esseri umani, ma si trattava di una delle mie raggelanti battute misantrope), ma venni a sapere in seguito, da lei stessa, che invece era rimasta colpita dal fatto che fossi estremamente concentrato e attento alla lezione e prendessi appunti con la velocità del fulmine, riuscendo comunque a scrivere in calligrafia leggibile. 

Questo le poteva tornare utile, e fu per questo che al termine di quella fatale lezione, mi disse la frase gergale che ho riferito all'inizio e che ripeto, perché fu l'inizio del nostro primo colloquio.
<<Tu hai la faccia di uno che ne sa a pacchi>>
Io la guardai dritto negli occhi, che in quel momento erano di un blu così scuro non si sarebbe trovato nemmeno in una fossa oceanica, e le risposi, asciutto:
<<Di cosa?>>
E lei, con un lieve sorriso canzonatorio:
<<Di questa materia. Arte contemporanea>>
Io intuivo dove lei volesse arrivare: molte volte mi era stato chiesto in prestito il quaderno degli appunti, che lei non aveva preso quasi per niente.
<<Io so solo quello che dice che la prof. Non è il mio settore e devo dire che non mi piace nemmeno gran che, soprattutto dopo le avanguardie>>
Lei scrollò le spalle, come a dire che quello non contava niente:
<<Eh, ma a me interessa più che altro sapere informazioni sull'esame, su quello che avete fatto nelle prime lezioni, se vale la pena dare l'esame da frequentante...>>
Dopo quelle parole, i miei amici si scambiarono uno sguardo d'intesa e mi dissero che loro andavano in biblioteca, mentre io rimasi lì, davanti alla ragazza di cui ero tremendamente innamorato e a cui dovevo dare una risposta che avrebbe determinato la possibilità di rivederla ancora, con tutti i rischi connessi alla mia serenità mentale.
Sapevo che la prospettiva che lei frequentasse sarebbe stata per me come l'avere davanti una torta deliziosa che però non mi era concesso di assaggiare. E così scelsi, onestamente, la sincerità:
<<La prof. segue il libro. Tra l'altro l'autore del libro è suo marito. Per i non frequentanti c'è da portare in più un libricino di estetica, che dicono sia breve e interessante, per cui non so se valga la pena frequentare. Io frequento solo nella speranza che si ricordi di me all'esame... con i frequentanti forse è più tenera, ma chi può dirlo?>>
Lei parve sorpresa dal mio tono distaccato e poco incoraggiante.
<<Ma spiega bene? Aiuta a capire e memorizzare quel che c'è scritto nel libro. Perché io ho letto qualche riga e mi sembra assurdo. Usa parole senza senso, tipo biomorfismo o meccanomorfismo, che roba è?>>
A quel punto ammetto che mi diedi un po' di arie da grande sapiente:
<<Be', è l'etimologia che suggerisce il significato. Il biomorfismo c'è quando le figure rappresentate ricordano esseri viventi, anche piante, come nello stile floreale o art nuveau, mentre il meccanomorfismo si ha quando le figure ricordano oggetti meccanici, come nel cubismo, o nell'art deco>>
Lei annuì:
<<Lo sapevo che eri uno che ne sapeva a pacchi. Io da sola non riesco a studiare, mi perdo e mi distraggo, ho altre cose per la testa, sai sono un'influencer di moda...>>
Io annuii a mia volta:
<<Lo so, io sono uno dei tuoi follower>>
Vittoria rimase di sasso:
<<Ah... e me lo dici solo adesso? E con questo tono distaccato?! Di solito i miei follower appena mi vedono si mettono a fare salti di gioia. Insomma, nel mio piccolo sono famosa...>>
Io provai un sottile piacere nel mostrarmi più distaccato rispetto al "follower medio":
<<Be', io immagino che una persona... famosa...>> e la pausa valse più di mille parole <<preferisca, nella vita privata, vivere le cose in maniera normale, non come una star, dico bene?>>

Lei non ne era affatto convinta:
<<No, sinceramente a me piace essere trattata come una star, anche se ancora non ho abbastanza follower. Ma è solo questione di tempo: sarò io a sottrarre la corona alla Ferragni, ora che lei è caduta in disgrazia dopo la questione del pandoro. E comunque qui, in questo dipartimento, sono, come dire...>>
Io colsi l'occasione per sfoggiare il mio latino, perché dovete sapere che una bella citazione latina fa sempre colpo:
<<...in partibus infidelium>>
Lei fu colta di sorpresa:
<<Ehm, io ho fatto il classico, il Parini, quindi in teoria dovrei capire tutte le citazioni, ma questa mi manca...>>
Io, sorridendo con aria da saggio "sensei" che guarda un allieva che ha "ancora molto da imparare", risposi:
<<Oh, è una frase ecclesiastica, che ho appreso studiando storia: si riferisce ai prelati la cui diocesi è caduta nelle mani degli infedeli e che quindi si trovano fuori dal loro ambiente>>
Vittoria afferrò il concetto e approvò:
<<Esatto! Qui siete tutti così seriosi! Nel mio corso di laurea invece mi conoscono tutti, e sono più divertenti, ad essere sinceri... qui siete un po' snob... i letterati, gli storici, i filosofi... quelli che non abbassano a seguire la moda... eppure tu sei un mio follower, anche se non credo che tu mi segua perché ti interessano i vestiti che indosso>>
Non era del tutto vero:
<<In realtà io sono affascinato dall'eleganza. I letterati sono degli esteti, ma più che la moda si interessano allo stile. La moda va e viene, ma lo stile è ciò che contraddistingue una persona, in tutto, compreso l'abbigliamento>>
Lei colse una specie di rimprovero:
<<E secondo te io seguo la moda, oppure ho un mio stile?>>
Mi meravigliò il fatto che le interessasse il mio parere, perché non pensavo che avesse bisogno di conferme, e di certo non da uno studioso come me:
<<Entrambe le cose. Il tuo stile valorizza il tuo aspetto fisico. Certo è uno stile forse troppo sportivo per i miei gusti, ma oggi, per esempio, sei molto elegante>>
Lei mi fissò con gli occhi socchiusi e le pupille leggermente dilatate da un disappunto incipiente:
<<Davvero? Non mi hai degnata di uno sguardo durante tutta la lezione. E da come parli, lo dico senza pregiudizi, sembrerebbe che tu sia gay...>>
Io risi:
<<Ah, ah... no, mi dispiace deluderti, ma sono etero! Credevo che il non sbirciare solo fosse un gesto di buona educazione. Del resto, al giorno d'oggi, persino uno sguardo può essere percepito come un forma di molestia>>
Vittoria non era d'accordo:
<<Solo se è uno sguardo indiscreto e insistente. Tu invece proprio non mi hai, scusa il francesismo, "cagato" neanche di striscio. Ma comunque, ora che abbiamo chiarito l'equivoco, apprezzo il fatto che tu abbia promosso il mio outfit di oggi: temevo di aver osato troppo>>
Era l'inizio del secondo semestre, nel febbraio del 2023: l'inverno era stato mite, per fortuna, considerando il costo del gas dovuto alla guerra, e quella era una giornata soleggiata.
Vittoria aveva scelto un look da scuola privata, con una uniforme con camicia bianca attillata, cravatta e gonna plissettata, calze a rete, molto sexy.
Io non ero abituato a fare troppi complimenti alle ragazze per le quali nutrivo un amore impossibile.
Cercai di mantenere una certa obiettività:
<<Il fascino della divisa vale anche per le donne. E confesso che uniformi scolastiche incontrano il mio gusto un po' feticistico>>
Come elogio non era abbastanza, per lei:
<<Capisco i tuoi gusti, ma vorrei un giudizio più preciso, che tenga conto del mio look nella sua totalità. Voglio dire, ci sono delle haters che mi hanno criticata perché ho i seni troppo grandi per portare camicie attillate, specialmente a lezione>>
In effetti era vero, ma non volevo certo dare ragione a coloro che la odiavano:
<<Non bisogna dare importanza a cosa dicono gli haters! Comunque io trovo che sia un outfit molto sexy e nel contempo molto accademico. Mette in risalto la tua indiscutibile bellezza, ma non occorre certo che sia io a confermarti quello che è evidente di per sé, non credi?>>
Lei sembrava un po' incerta, come se pensasse che nelle mie parole ci fosse qualche nota stonata, qualche critica implicita:
<<A me importa il giudizio di tutti i miei follower. Purtroppo non posso rispondere ai vostri commenti perché se rispondo a uno, gli altri si offendono e se rispondessi a tutti non avrei tempo nemmeno per respirare. Ma non mi pare di aver mai visto tuoi commenti, o mi sbaglio?>>
Era l'ora della pausa pranzo, ma lei sembrava molto presa da questa conversazione, con mia grande meraviglia, per cui cercai di rispondere in una maniera onesta:
<<In effetti è vero, non ho mai commentato, ma più che altro per non essere invadente. E del resto non credo che tu abbia bisogno di aumentare il... come si chiama il tasso di interazione... ah, sì, l'engagement!>>
Lei parve divertita:
<<Vedo che ne sai a pacchi anche riguardo a questioni meno culturali. Comunque d'ora in avanti ti autorizzo, anzi ti invito a commentare, a esprimere la tua ammirazione senza timidezza. L'engagement non è mai abbastanza alto! Ma non è solo per quello: mi fanno piacere i commenti positivi, anche gli apprezzamenti, se espressi in maniera educata>>
Percepivo un certo narcisismo, dietro quelle parole e quell'invito in apparenza cortese.
<<Il tuo fidanzato non è geloso?>>

Lei si rabbuiò come se avessi nominato uno stalker. Ebbi la netta impressione che avessero litigato di recente e che lei avesse un gran bisogno di sfogarsi. E le sue parole me lo confermarono:
<<Lui non è entusiasta del fatto che io faccia l'influencer, è un po' all'antica, forse un po' geloso e invece dovrebbe essere fiero che io abbia tanti ammiratori e che, tra i tanti, io scelga di stare con lui>>
Io non mi ero mai accorto che ci fosse quel tipo di problema, tra loro:
<<Dalle vostre foto e dai vostri filmati mi sembrate una coppia perfetta. State insieme da tanto tempo, e si vede chiaramente che vi amate. E poi gli scrivi sempre parole molto commoventi... insomma, sono convinto che siate anime gemelle, ed è una gran fortuna per voi>>
Vittoria scosse il capo:
<<Una volta lo credevo anch'io, ma non ne sono più così sicura. Tu mi sembri una brava persona, per cui credo di potermi confidare sperando nella tua discrezione. Vedi, lui è un po' troppo, come dire, "precisino"... non so se mi spiego... un po' troppo fighetto... poi, sai, è un ingegnere... un tipo quadrato come la sua testa...>>
Io non potei fare a meno di dire:
<<In effetti ha la testa un po' quadrata, o per meglio dire, rettangolare...>>
Lei rise:
<<Ah ah, lo dicono tutti... a me all'inizio piaceva molto la sua mascella squadrata, ma adesso meno... è come se rispecchiasse il suo carattere: un tipo dalle solide certezze, uno che non ha dubbi, che non cambia mai idea, che non comprende i miei sbalzi d'umore... insomma, lui ha poca sensibilità>>
Io l'avevo capito da molto tempo, e mi erano bastate le immagini e i filmati:
<<Ma in genere le donne cercano un uomo forte, un maschio alpha, una roccia a cui appoggiarsi durante le tempeste, uno che le faccia sentire al sicuro>>
Vittoria scosse vigorosamente il capo:
<<Questo lo cercano le ragazzine, oppure le donne deboli che hanno bisogno di attaccarsi a quella roccia che dici tu come se fossero delle cozze! Io sono una donna emancipata e lui mi fa sentire in gabbia. Non mi prende sul serio. Viene da una famiglia patriarcale, molto conservatrice...>>
Io avevo intuito anche quello, ma non pensavo che a lei dispiacesse così tanto.
In ogni caso, pur essendo io segretamente innamorato di lei, non mi compiacevo certo del ruolo che in quel momento lei mi attribuiva, ossia quello di spalla su cui piangere, una delle caratteristiche di coloro che finiscono nella friendzone: la zona degli amici che non saranno mai amanti.
Non era certo una bella condizione, e lo sapevo per esperienza, a causa della mia malaugurata tendenza a innamorarmi sempre di donne fuori dalla mia portata. Era una tremenda maledizione che mi aveva portato inizialmente ad avere relazioni con donne di cui non ero innamorato, giusto per "fare esperienza", come mi consigliavano gli altri, ma purtroppo non sono mai stato capace di accontentarmi, cosa che invece fa la maggior parte delle persone.
Di conseguenza, i miei innamoramenti, di cui non facevo mistero con gli amici più fidati, rimanevano però, almeno da parte mia, non manifestati alle troppo perfette ragazze di cui ero infatuato. 
Certo era una cosa frustrante e dolorosa, ma c'era un modo per sublimare quel sentimento e quella pulsione insoddisfatta, e quel modo era la poesia. Ero consapevole del fatto che tutte le poesie d'amore corrono il rischio di essere patetiche, ma oso affermare che le mie non lo erano: io emulavo lo stile di Montalemisterioso e dignitoso, nel trattare il tema della mancanza e quello della disarmonia rispetto all'universo, senza mai cedere alle lamentazioni esplicite, perché il dolore può essere espresso, ma non spiattellato. Per questo bisognava essere criptici, soprattutto nella poesia.
Non pretendo di avere ragione, anche perché aver ragione non serve a niente, e di certo non è piacevole essere consapevoli del fatto che le donne che ho amato di più, tranne Vittoria, ovviamente, sapevano a malapena della mia esistenza, e non perché io fossi timido o perché mi sentissi ferito da un eventuale rifiuto, ma perché semplicemente non mi facevo illusioni e sapevo stare al mio posto. 
Avevo imparato presto, nella prima adolescenza, a conoscere i miei limiti, in particolare sapevo di essere piuttosto impacciato e imbranato per natura, e negato per gli sport, e le mie doti non in grado di compensare quei difetti, agli occhi di quelle ragazze troppo perfette di cui mi innamoravo.
Questo tipo di riflessione non c'entra niente con la teoria LMS (look, money, status) o da quella degli "incel", i celibi involontari, nel senso che io attribuisco molto valore alla personalità e alla capacità di essere disinvolti, ironici, avere la risposta pronta, la citazione giusta, efficace, e saper fare le cose con abilità, stile e naturalezza. 
Quel tipo di capacità, che io acquisii solo in parte e molti anni dopo, con l'esperienza, all'epoca erano ancora in una fase di rodaggio. Incominciavo ad essere noto per certe mie risposte basate su un umorismo disincantato e ironicamente pessimista, da film noir, con freddure del tipo: "Ho conosciuto uomini coraggiosi, alcuni di loro sono morti, gli altri vorrebbero esserlo", che spiazzavano gli interlocutori e non necessariamente in maniera positiva.
Poi però gli eventi della vita possono condurre a circostanze particolari e sorprendenti, ed è proprio questo ciò che avvenne con Vittoria.
Mi chiedevo che cosa l'avesse spinta a frequentare il corso di storia dell'arte contemporanea, quando avrebbe potuto sostenere l'esame da non frequentante.
Non mi rendevo conto, all'epoca, che la stavo sottovalutando, nel senso che, conoscendola solo tramite i social, ed esclusivamente come osservatore silenzioso, credevo che lei fosse identica all'immagine che voleva dare di sé sui social, un'immagine un po' troppo frivola, troppo allegra, ma il mio era un pregiudizio.
In quella realtà più prosaica e grigia, come spesso appare il mondo reale se confrontato con quello a cui si accede con lo smartphone (oggetto che io non ho mai amato, ma solo usato per necessità, preferendo il pc tradizionale, con i suoi ampi spazi e il suo radicamento in casa, per il tempo limitato che dedicavo alla navigazione sul web), Vittoria si stava confidando con me rivelandomi di avere una personalità più complessa, forse più tormentata, il che ai miei occhi le faceva onore.

<<Capisco. Le tue confidenze sono al sicuro con me: non ne parlerò con nessuno, finché tu non me ne darai il permesso. Comunque vadano le cose, per questo esame puoi sempre contare su di me, nel caso ti servissero gli appunti>>
Lei annuì:
<<Ti ringrazio. Ci rivediamo a lezione e poi, magari, potremmo anche studiare insieme>>
Quelle parole mi collocarono chiaramente nella friendzone, ma era pur sempre piacevole il pensiero di stare in sua compagnia.
<<Ma sì, certo, volentieri!>>
Se avessi immaginato le conseguenze di quel mio "sì", sarei fuggito a gambe levate. Ma la vita ci gioca brutti scherzi, all'improvviso e quando meno ce lo aspettiamo.














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