mercoledì 23 aprile 2025

Dal Patrimonium Sancti Petri allo Stato Pontificio: mappe e storia del Papato


Durante l'Alto Medioevo, mentre l'Italia passava dalla dominazione duplice e rivale dei Longobardi e dei Bizantini, in seguito alla conquista dell'Esarcato di Ravenna e del Ducato Romano-Bizantino da parte del re longobardo Liutprando, e al successivo intervento dei Franchi, l'autorità bizantina su Roma cessò definitivamente ed i poteri politici sulla città e sul Lazio passarono al Pontefice Massimo, il Vescovo di Roma, che già dai tempi di Gregorio Magno amministrava il Patrimonium Sancti Petri, ossia l'entità che riuniva la proprietà della diocesi del pontefice di Roma (sede apostolica petrina che però ancora non deteneva un primato amministrativo sulle altre diocesi della Chiesa cattolica, ma solo un primato in termini di prestigio) che i documenti chiamano Patrimonium Sanctae Romanae Ecclesiae (rivendicando il primato di Roma).

Il successore di Liutprando, Astolfo, cercò di unificare l'Italia sotto il loro dominio, ma i pontefici Zaccaria e Stefano II si opposero. Papa Zaccaria siglò un'alleanza con i Franchi, autorizzando Pipino il Breve a deporre l'ultimo re merovingio, Childerico III, nel 751. ma l'intervento di Pipino il Breve. Quando Astolfo conquistò l'Esarcato di Ravenna, la Pentapoli e marciò verso Roma, nel 754, il nuovo papa, Stefano II, formalizzò l'alleanza con Pipino il Breve tramite la Promissio Carisiaca, impropriamente detta Donazione di Pipino, in base alla quale Pipino e suo figlio Carlo ricevettero l'unzione regale in cambio del loro sostegno contro i Longobardi. Pipino sconfisse Astolfo e conquistò l'Esarcato di Ravenna e la Pentapoli che, formalmente e teoricamente furono promessi al Pontefice come donazione feudale, cosa che divenne concreta soltanto secoli dopo, dal momento che il reale controllo militare spettò ai Franchi e al dominio dell'Esarca succedette quello dell'Arcivescovo di Ravenna, all'epoca molto autonomo rispetto alla Santa Sede di Roma.

Fu così che sorse l'entità che gli storici chiamano Papato, perché sarebbe anacronistico usare il termine Stato Pontificio o Stato della Chiesa, in quanto lo stesso termine Stato designa un'entità centralistica che controlla politicamente e burocraticamente un territorio , cosa che nel Medioevo, almeno fino al Trecento, non esisteva.
Nel periodo medievale centrale il territorio poteva essere controllato da un regno, un principato o un repubblica che esercitava tale autorità in maniera indiretta e decentrata, per mezzo del sistema vassallatico-beneficiario, base del feudalesimo.




Il termine Stato, che prima significava solo "status Regni", ha iniziato ad avere l'accezione moderna dal XV secolo, e si è poi affermata attraverso l'uso che ne fa Niccolò Machiavelli nell'incipit della sua celebre opera Il principe (1513), in cui lo usa come termine analogo a dominio. Il mutamento che ha portato la parola "Stato" da un significato generico di situazione a uno specifico di condizione di possesso di un territorio (e di comando sui suoi cittadini) non è ancora stato ben chiarito. Il concetto di sovranità è invece stato introdotto da Jean Bodin (1586), che ha definito le caratteristiche dello Stato assoluto.

Una cosa è certa, fino al Rinascimento non si usò mai il termine Stato Pontificio o Stato della Chiesa. C'era il Patrimonium Petri, che coincideva, all'incirca, all'ex ducato romano di età bizantina, e poi c'erano altri patrimonia sui quali la Curia Romana avanzava diritti di proprietà o di signoria feudale.

In molti atlanti storici e manuali scolastici di Storia e negli atlanti meno precisi si commette un errore grossolano sostenendo che le Donazioni dei Carolingi ai papi Stefano II e Leone III, negli anni successivi alla Promissio Carisiaca (754) e alla cosiddetta Donazione di Carlo Magno (774), conferissero l'effettivo controllo, da parte del Papato di Roma, della Romagna, o Romandiola, in precedenza costituita dall'Esarcato bizantino di Ravenna e da parte della Pentapoli (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona). Questi territori non divennero un reale dominio del Papa, ma costituirono tre entità relativamente autonome: l'Arcivescovato di Ravenna, la Marca di Ancona e il Ducato di Spoleto, che solo teoricamente e astrattamente risultavano feudi del Papato, mentre in realtà, come si è detto, erano controllati militarmente dai Franchi e dai Longobardi a loro sottomessi.

Papa Adriano I, con molto senso della realtà, avanzò richieste solo su territori che confinavano con il Lazio. Fu così che ottenne da Carlo Magno una parte della Sabina (781); una serie di città da Soana a Populonia a nord e, a sud, Sora, Arpino, Arce e Aquino (787).

L'insieme dei territori cui la Sede Apostolica aspirò con Stefano II e Leone III assomigliava molto all'Italia suburbicaria di romana memoria. Quello che ottenne effettivamente invece parve ricalcare il distretto giudiziario del Praefectus Urbis, che si estendeva sul Lazio per cento miglia romane sia nord che a sud dell'Urbe, cioè da Talamone, presso il Monte Argentario, fino a Minturno, sul fiume.




Va quindi ribadito chiaramente che le donazioni di Esarcato e Pentapoli in teoria le avrebbero rese feudi del Papa, ma in pratica, almeno fino ad Innocenzo III, questo vassallaggio fu solo nominale, mentre il potere reale venne detenuto dall'Arcivescovo di Ravenna, che all'epoca non riconosceva la supremazia apostolica del Papa di Roma, e dalle grandi famiglie franche, longobarde e italiche che poi divennero, sotto la dinastia imperiale sveva, il centro delle signorie ghibelline in Italia.

Intorno all'anno 1000, sotto il regno dell'imperatore Ottone III, il centro-nord dell'Italia, si presentava all'incirca come le mappe che vediamo qui sotto. Il Regnum Italiae comprendeva la Longobardia, la Romandiola (che coincide con la Romagna attuale, mentre l'Emilia era longobarda da secoli e poi inserita nei domini dei Franchi), la Pentapoli (da Rimini ad Ancona), la Marca di Toscana, il Ducato di Spoleto e naturalmente il Patrimonium Petri, signoria territoriale del Papa di Roma. 







In riferimento alle mappe sottostanti, va ricordato che la Longobardia Maior si era estesa fino a inglobare l'Esarcato, il quale soltanto in teoria fu donato alla Sede Romana, ma nella pratica la signoria papale era solo nominale e sistematicamente ignorata e anche apertamente contestata, persino dal Arcivescovo di Ravenna (la Diocesi ravennate, infatti, aspirava a diventare qualcosa di simile a ciò che erano i vescovi-conti nell'Impero degli Ottoni e della dinastia Salica).

La successiva dinastia imperiale degli Hohenstaufen di Svevia tentò, sotto Federico II, di unificare l'Italia sotto il dominio imperiale, ma la la morte di Federico nel 1250, seguita dalle sconfitte di Corrado IV, suo figlio Corrado V (detto Corradino) e del fratello Manfredi, re di Sicilia, sancirono la vittoria del Papato, alleato con Carlo d'Angiò, fratello di San Luigi IX, re di Francia.

Nel 1278 l'imperatore Rodolfo I d'Asburgo rinunciò a ogni pretesa feudale sulla Romandiola, consentendo a papa Niccolò III Orsini di nominare suo nipote Bertoldo alla carica di Conte di Romagna. 

Bertoldo Orsini dovette però scontrarsi con le resistenze dei Comuni e delle Signorie locali.






A Niccolò III succedette brevemente Celestino V, che rinunciò alla carica pontificia a favore del cardinale Caetani, che divenne papa Bonifacio VIII.
Contrariamente ai suoi predecessori, papa Bonifacio, pur inizialmente alleato col Re di Francia Filippo IV il Bello e al fratello di lui, il conte Carlo di Valois, osò successivamente infrangere l'alleanza francese, quando re Filippo pretese che la Chiesa pagasse le tasse alla Corona di Francia. 

Quando Bonifacio VIII si oppose, Filippo mandò il suo primo ministro Nogaret ad Anagni, dove il Papa si trovava per questioni di salute. Nogaret osò percuotere il Papa, episodio passato alla storia come "lo Schiaffo di Anagni". Papa Bonifacio ne fu a tal punto sconvolto che morì poche settimane dopo, nel 1304.

Gli succedette, per dirla con i versi di Dante "di ver ponente e di più laida opra un pastor sanza legge", ossia Clemente V, che spostò la sede del Papato ad Avignone.
Seguirono anni turbolenti, che videro lo sterminio dell'Ordine dei Templari, ordinato sempre da Filippo il Bello, e il rischio di scomunica dei Francescani "spirituali" da parte di papa Giovanni XXII, negli anni tra il 1314 e il 1327.

Papa Innocenzo VI, per riprendere il controllo dei territori del Papato in Italia, nominò l'arcivescovo di Toledo, Cardinale Edigio Albornoz, al rango di Nunzio Pontificio e Vicario Generale terrarum et provinciarum Romane Ecclesie in Italie partibus citra Regnum Siciliae.

L'Albornoz fu sotto molti aspetti il vero fondatore dello Stato Pontificio.
 
Le Constituziones Egidiane del cardinale Albornoz rappresentano la prima fase del passaggio della Signoria Papale all'entità che poi, in Età Moderna, sarebbe diventata lo Stato Pontificio.
Tale documento, redatto a metà del Trecento, durante il periodo avignonese, rivendicava la proprietà o il vassallaggio dei territori donati in base ai seguenti trattati:

Ducato romano (754) donato da Pipino il Breve
Sabina (dal Tevere fino a Farfa, 781) donato da Carlo Magno
(Queste prime due entità costituirono il Patrimonium Petri)

Benevento (1052) donato da Roberto I d'Altavilla, re normanno di Sicilia.
Avignone e Contado Venassino (1229) donati dal re di Francia, Luigi IX il Santo.

Provincia Romandiolæ (1278) ceduta dall'imperatore Rodolfo I d'Asburgo (in cambio dell'incoronazione imperiale che però non ebbe mai luogo, perché Rodolfo a stento riusciva a controllare i feudi tedeschi)
Marca Anconitana e Ducato di Spoleto (1278) ceduti da Rodolfo I d'Asburgo e rinconquistati dal cardinale Egidio Albornoz.

Fu però soltanto tra il pontificato di Alessandro VI Borgia e quello di Giulio II Della Rovere che le annessioni precedenti divennero effettive e stabili.




Le successive annessioni furono:

Umbria (1424)
Città di Ancona (1532)
Ducato di Castro (1649)
Ducato di Ferrara, divenuto legazione (1598)
Ducato di Urbino, divenuto legazione (1631)




Dopo il superamento dello Scisma Occidentale e il ritorno di papa Martino V a Roma, lo Stato Pontificio iniziò a consolidarsi e ad assumere un controllo sempre più diretto sui territori rivendicati dai tempi delle donazioni carolinge.

Giulio II della Rovere annesse definitivamente le Marche, la Romagna e Bologna. Da quel momento, fino al 1870, lo Stato della Chiesa divenne un principato potente dell'Italia centrale.
Lo Stato Pontificio cadde sotto il pontificato di Pio IX, quando venne a mancare la protezione francese da parte di Napoleone III, sconfitto a Sedan.
La breccia di Porta Pia segnò l'annessione dello Stato Pontificio al Regno d'Italia.
Pio IX si ritirò nel Vaticano e solo con i patti Lateranensi, nel 1929, si giunse al riconoscimento della Città del Vaticano come stato autonomo della Santa Sede.



lunedì 21 aprile 2025

La possibile "soluzione Kellogg" per l'armistizio in Ucraina


 Gli analisti la chiamano "soluzione Kellogg", dal nome dell'inviato americano Ketih Kellogg che da oltre un mese sta tenendo le fila di una trattativa ad ampio spettro per l'armistizio in Ucraina, un compromesso che sembra trovare consensi persino tra i cosiddetti "volenterosi" riguardo al futuro di un paese che da tre anni vive le devastazioni di una guerra che nessuno si rassegna a perdere, ma che nessuno può vincere.
Il punto interessante della proposta di Kellogg, quello che sembra piacere sia a Trump che a Macron e a Starmer, con una sorta di silenzio assenso da parte di Putin e Zelensky è il seguente: il presidente ucraino, consapevole del fatto che ormai più che i fondi e le armi mancano gli uomini, sarebbe disposto a permettere la permanenza delle truppe russe nei territori attualmente occupati, in cambio di un cessate il fuoco che preveda una sorta di tripartizione militare del paese. 
Come si è detto, la parte occupata dai russi rimarrebbe sotto il loro controllo "de facto", mentre la restante parte dell'Ucraina si dividerebbe ufficiosamente in due zone: una a oriente del fiume Dniepr sotto l'esclusivo controllo delle truppe ucraine, onde evitare che, nella zona del fronte, ci possa essere un confronto diretto tra truppe occidentali e truppe russe; l'altra zona, a occidente del Dniepr prevedrebbe una temporanea presenza di contingenti britannici e francesi come bilanciamento della presenza russa nel sud-est.
La questione estremamente delicata e tutti sono consapevoli che la presenza di truppe occidentali in Ucraina sarebbe un grande pericolo per la pace globale, ma Keith Kellogg ritiene, e non è il solo, che, se a Putin fosse concesso di mantenere il controllo russo sul sud-est ucraino, dalla Crimea fino al Lugansk, allora lo Zar potrebbe accettare che l'Ucraina occidentale diventasse una sorta di protettorato "anglo-francese". 
La novità della proposta di Kellogg, che ha avuto carta bianca da Trump, consiste nell'evitare ogni possibile punto di contatto nella zone del fronte tra le truppe russe e quelle occidentali: la zona demilitarizzata dovrebbe essere completamente priva di operatori militari, idea che all'inizio è apparsa bizzarra e non sostenibile, ma che col passare dei giorni e il dilungarsi delle trattative ufficiali, si è fatta strada come unico compromesso che offra a tutte le parti in gioco un "contentino".
Putin potrebbe rivendicare il successo dell'Operazione Militare Speciale, Zelensky potrebbe rivendicare il merito di aver salvato dall'occupazione russa la grande maggioranza del territorio ucraino, i "Volenterosi" potrebbero ottenere la loro fetta della torta nell'Ucraina occidentale e gli USA, tramite un accordo più o meno formale con il presidente ucraino potrebbero avere i contratti di collaborazione per i rilevamenti delle fantomatiche "terre rare" e delle meno fantomatiche risorse minerarie e agricole di cui l'Ucraina orientale dispone.
Il punto debole rimarrebbe la zona di contatto dell'area occidentale con quella russa nella zona dell'oblast di Kherson e anche qui Kellogg ha messo in tavola un compromesso che potrebbe risolvere una volta per tutte il contenzioso che ha dato inizio alla guerra già nel 2014 e cioè la questione della Crimea e quella di Odessa e dell'accesso al mare dello stato ucraino.
Zelensky potrebbe essere disposto a rinunciare alla Crimea a patto che Putin rinunci definitivamente ad ogni rivendicazione sull'oblast di Odessa e sulla città di Kherson, pur mantenendo il controllo dell'oblast a oriente del Dniepr.
L'adesione alla Nato sarebbe rinviata "sine die", ma di fatto ci troveremmo di fronte a una soluzione che può ricordare quella decisa a Yalta sulla Germania nel '45 oppure la famosa soluzione "coreana".
In realtà qui si salverebbero le apparenze: ufficialmente i confini restano quelli teorici del '94, ma ufficiosamente l'Ucraina occidentale vedrebbe un'influenza europea militare nella zona a sinistra del Dniepr, un'influenza economica statunitense nella zona a oriente del fiume, e una occupazione russa radicata nelle zone che Putin considera ormai sue e quindi non negoziabili.
La diplomazia sta lavorando intensamente da ormai un mese su questo possibile compromesso e, dietro al "gioco delle parti" svolto dai leader per riaffermare le rispettive istanze, ci sarebbero degli ammiccamenti dettati dall'oggettiva stanchezza da parte dei cittadini dell'Ucraina e della Russia per una guerra che sta annientando un'intera generazione in entrambi i paesi, senza però scalfire il potere dei rispettivi presidenti che continuano a guardarsi ovviamente in cagnesco, ma sotto sotto si rendono conto che per ragioni demografiche, oltre che umanitarie, politiche ed economiche, questa potrebbe essere una onorevole via d'uscita da un tunnel che da tre anni sembra senza vie d'uscita.
Ora esiste un compromesso che sta circolando, una tregua pasquale offerta da Mosca e una volontà statunitense di arrivare il prima possibile a un accordo, tenendo conto anche dei fermenti di Parigi, Londra e Bruxelles.


venerdì 11 aprile 2025

La nostra storia

 

Tu 
che non mi riconosceresti;
io 
che ti confondo in mille volti;
tu 
che sei andata molto avanti;
io 
che sono fermo da una vita;
tu 
che non sei più quella di un tempo;
io 
che per amore tuo ho perduto tutto;
tu 
che non dicevi mai né sì, né no;
io 
che camminavo sui carboni ardenti;
tu 
che facevi finta un po' di non capire;
io 
che non osavo dir quel che sapevi già;
tu 
che non ricordi più di me nemmeno il volto;
io 
che ho tatuato il tuo su occhi e cuore;

esci 
dalla mia mente,
esci, 
fuggi dalla mia mente,
fuggi!

Come il silenzio, 
noi scenderemo ognuno
per le proprie scale,
non penseremo più
al tuo bene ed al mio male,
e poi che vada tutto un po' 
come gli pare!
Come il deserto,
che avanza dentro me
veloce come il suono,
la nostra storia brucerà
un'ultima volta
e finalmente poi sarà
soltanto fumo!
Che ne faremo 
di questa fiaba 
che si ferma e poi riparte
di questo amore
che non nasce e che non muore?
Dalla corrente 
ci faremo trasportare
e finalmente tutto svanirà.
Svanirà,
svanirà,
svanirà...


Il freddo della stanza che raggela
e il luogo dove tu posasti lieta 
ora deserto e nel silenzio solo 
si sente l'aspra loquela
dei presenti, e l'eco dei ricordi, muta,
oltre la biblioteca, e sento che è reale
solo la tua assenza:
tutto il resto è morto, finto, vano
e come queste scale 
tutto scende, precipita, si schianta.


Gli oggetti sono ancora al loro posto
a custodire muti la quiete polverosa 
delle stanze, nell'oppiaceo incantesimo 
che inutilmente finge un'illusione:
come se i decenni non fossero sfumati
nell'inconcludenza di un tempo nascosto
già negli interstizi e sotto i tappeti.
E non serve a nulla fare l'inventario 
delle cose perdute, per poi soffocare dentro
l'urlo dei rimpianti e appoggiarsi a questi 
arredi fragili come fossero pilastri
mentre tutto frana intorno
e i volti a poco a poco si congedano.









martedì 1 aprile 2025

La sirena


Se nel profondo più remoto del tuo cuore
vi fosse anche solo una grana di zucchero,
un briciolo di dolcezza, un'eco dello splendore
magico, malinconico del tuo sguardo d'angelo
falso, della fatale tua malia di fata e di sirena,
allora forse avrei potuto amarti e piangere
di gioia e di dolore una vita intera insieme a te, 
nella beata valle dei rari ricambiati palpiti. 
E invece il cuore tu l'hai massacrato a me,
tu a cui troppi doni ha regalato la fortuna:
anche per te verrà il giorno in cui i petali
di una privilegiata giovinezza ad uno ad uno
precipiteranno a terra e la vita sarà inquieta
e ti ricorderai di me, che t'avrò dimenticata.




Gli oggetti sono ancora al loro posto
a custodire muti la quiete polverosa 
delle stanze, nell'oppiaceo incantesimo 
che inutilmente finge un'illusione:
come se i decenni non fossero sfumati
nell'inconcludenza di un tempo nascosto
già negli interstizi e sotto i tappeti.
E non serve a nulla fare l'inventario 
delle cose perdute, per poi soffocare dentro
l'urlo dei rimpianti e appoggiarsi a questi 
arredi fragili come fossero pilastri
mentre tutto frana intorno
e i volti a poco a poco si congedano.


Tu 
che non mi riconosceresti;
io 
che ti confondo in mille volti;
tu 
che sei andata molto avanti;
io 
che sono fermo da una vita;
tu 
che non sei più quella di un tempo;
io 
che per amore tuo ho perso proprio tutto;
tu 
che non dicevi mai né sì, né no;
io 
che camminavo sui carboni ardenti;
tu 
che facevi finta ancor di non capire;
io 
che non osavo dire quello che già sapevi;
tu 
che non ricordi più di me nemmeno il volto;
io 
che ho tatuato il tuo su occhi e cuore;
esci 
dalla mia mente,
esci, 
fuggi dalla mia mente,
fuggi!
Come il silenzio, 
noi scenderemo ognuno
per le proprie scale,
non penseremo più
al tuo bene ed al mio male,
e poi che vada tutto un po' 
come gli pare!
Come il deserto,
che avanza dentro me
veloce come il suono,
la nostra storia brucerà
un'ultima volta
e finalmente poi sarà
soltanto fumo!
Che ne faremo 
di questa fiaba 
che si ferma e poi riparte
di questo amore
che non nasce e che non muore?
Dalla corrente 
ci faremo trasportare
e finalmente tutto svanirà.
Svanirà.
Svanirà...