sabato 1 maggio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 130. Lady Jessica Burke-Roche



Aurora e Roberto erano ancora a letto insieme, quando la mattina dopo, a tarda ora, Battista suonò con decisione il campanello finché lei trovò la forza di andargli ad aprire.
Le consegnò allora, con aria solenne, l'invito di Lord Ravensbourne, il quale esprimeva il suo grande desiderio di averli come ospiti a cena, nella Suite Royale, insieme a lady Jessica Burke-Roche, che conosceva molto bene la lingua e la cultura italiana, di cui era grande ammiratrice.

Aurora guardò Roberto, il quale annuì, poi tornò a rivolgersi a Battista e gli disse:
<<Va bene, fagli sapere che accettiamo l'invito... >>
E con quelle semplici parole segnò il destino di molte persone, compreso il proprio.

Quello fu il momento in cui Jessica entrò in scena nella vita di Roberto, facendo dunque la sua prima comparsa nella nostra narrazione e diventerà una delle tante vite "quasi" parallele destinate a collidere con le altre, concorrendo alla realizzazione di qualcosa che fu nel contempo mirabile e terribile.
Perciò è necessaria, anche in questo caso, una premessa introduttiva.

Se Aurora Visconti-Ordelaffi fu il primo grande amore di Roberto Monterovere, lady Jessica Burke-Roche era destinata ad essere, molto tempo dopo, l'ultimo, e il più importante.

Prima di tutto va notato che, come nel caso di Aurora, sarebbero dovuti passare anni prima che Roberto si innamorasse di lei.
E del resto Roberto era felicemente fidanzato con Aurora, la amava profondamente ed era senza ombra di dubbio intenzionato a sposarla.

Non c'era nessuna ragione al mondo che gli facesse prevedere che Jessica, negli anni a venire, sarebbe salita e scesa sulla Ruota del suo Destino per tante volte, ed ogni volta sarebbe stata un po' più grande nel suo cuore.

E' difficile da spiegare, persino per noi che abbiamo udito raccontare questa storia da più fonti, come sia potuto accadere.
Ci sono esempi simili anche nella grande Storia, quella dei personaggi famosi del passato, e forse il modo migliore per capire tutto questo sono proprio le similitudini.

Il primo esempio che ci viene in mente è molto famoso e controverso: Jessica fu per Roberto qualcosa di simile a ciò che Wallis Simpson fu per Edoardo VIII, nel bene e nel male.

E per dare significato a questa similitudine, ci sia consentita l'ennesima digressione sui reali inglesi e le loro consorti e amanti. 

Wallis Warfield Spencer Simpson Windsor (Baltimora 1896 - Parigi 1986) ebbe tre mariti, divorziò dai primi due per sposare un uomo che per lei aveva rinunciato alla corona dell'Impero Britannico.
Come fu possibile? Wallis non era bella, né giovane, né fertile, né inglese, né nobile, né, soprattutto, nubile: era sposata con altro uomo, Ernest Simpson, dopo aver divorziato dal primo marito, un certo Spencer, ufficiale dell'aviazione statunitense di stanza a Shangai e Pechino.

Ma Wallis era interessante, elegante, brillante, ironica, carismatica, seducente, sicura di sé e molto esperta nelle questioni erotiche, apprese negli anni in cui visse in Cina, ai tempi dei Signori della Guerra, che dominarono la scena dopo l'esautorazione dell'ultima Dinastia e la fine dell'Impero.

La sua personalità fu tale da far tremare la Corona britannica e nel contempo, però, fu capace di dare il via ad una secolare stagione di scandali drammaturgicamente appassionanti e aventi come fulcro le vicende dei reali, specie per quel che riguarda i matrimoni, i tradimenti, i divorzi e le tragedie, perché c'è una cosa che bisogna ammettere, senza l'adulterio e lo scandalo, la Monarchia britannica sarebbe morta a causa della noia.










Alla fine lo capirono anche Elisabetta II e il principe Filippo, quando decisero di riconciliarsi con Wallis, durante la malattia di Edoardo VIII e dopo la morte di quest'ultimo, nel 1972.
La Regina acconsentì persino che Wallis fosse seppellita accanto al marito, nel cimitero reale di Frogmore, a Windsor, a pochi metri di distanza dal mausoleo di Vittoria e Alberto.

L'unico membro della Famiglia Reale che non perdonò mai Wallis fu la Regina Madre, e possiamo comprendere le sue ragioni, che trovarono espressione limpidissima nel sorriso trionfale con cui osservò passare la bara della Duchessa di Windsor, nel 1986.




Ma Elisabetta II e Filippo concessero a Wallis un funerale molto dignitoso, a Windsor, che, paradossalmente, servì allo stesso Filippo come prima prova per il suo stesso funerale, le cui linee principali incominciarono a definirsi già due anni dopo, a partire dal 1988.

Uscire di scena in punta di piedi è qualcosa di molto dignitoso, e le esequie del Principe, nel 2021, ci fanno pensare che egli fosse una persona migliore di quanto lo descrivessero i media e le serie tv.
E' risaputo infatti che Filippo (pace all'anima sua) fu un marito infedele, ma gli va comunque riconosciuto il non indifferente merito di essere stato sempre molto discreto. 
Se però il suo matrimonio è durato così a lungo, il merito principale va attribuito a Elisabetta, che oltre a possedere le doti della pazienza, della prudenza, della riservatezza e del senso di responsabilità che il suo ruolo le imponeva, amava profondamente suo marito e sentiva di aver bisogno di lui, della sua forza di ruvido nostromo, di navigato ufficiale di marina, come tutti i Mountbatten, zio e nonno, prima di lui.

Massima ammirazione quindi per una coppia che ha dimostrato che i matrimoni, a volte, possono anche riuscire bene. Ma se tutti i matrimoni dei Windsor fossero stati così, la Corona, paradossalmente, avrebbe perso parte del suo fascino, quel tipo di fascino che deriva dallo scandalo, dal tormento, dalla passione e dalla tragedia.

Più volte abbiamo sostenuto la tesi secondo cui in genere i lettori non sono interessati a leggere storie di amori felici.

La felicità degli altri, nel migliore dei casi, genera noia e quindi disinteresse, e nel peggiore genera invidia e persino odio, e adesso lo sappiamo ancor meglio attraverso il fenomeno degli haters, gli "odiatori" da tastiera che, non essendo riusciti a farsi una vita propria, non hanno niente di meglio da fare che insultare coloro che sembrano felici, e dico "sembrano", perché ognuno porta la sua croce, ed è turbato dalle sue paure. 

Quisque suos patimur manes: ognuno di noi soffre per i propri fantasmi. Ognuno, senza eccezioni.

"Chi più e chi meno", si potrebbe obiettare, ma questo vale per il presente: riguardo al futuro, anche i più previdenti sono esposti egualmente agli eventi imprevisti e imprevedibili.

L'invidia, oltre che essere meschina, perché non riconosce il merito e gioisce dei mali altrui, è anche infondata, perché non tiene conto la fortuna è volubile, la felicità è effimera, le cose materiali si logorano, e niente, assolutamente niente è indistruttibile, nessuno può considerarsi fuori pericolo, e questa è la Ruota del Destino o del Caso o della Provvidenza o del Karma o di qualunque cosa che eccede la nostra umana comprensione.

Ma se anche sconfiggiamo il demone dell'invidia, resta pur sempre presente quello della noia.
La preoccupazione primaria di chi scrive è cercare di non annoiare, e come disse Manzoni, "se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta".

E così come i lettori si annoiano di fronte agli amori eternamente felici, allo stesso modo si sarebbero annoiati i cittadini britannici, e se non ci fosse stato nemmeno un adulterio, nemmeno uno scandalo, nemmeno una tragedia, allora col tempo questi cittadini avrebbero incominciato persino per provare antipatia ed invidia verso queste persone troppo felici e troppo baciate dalla fortuna.

Gli Inglesi, che crescono studiando o "respirando" nell'aria  le tragedie di Shakespeare, sono abituati a veder scorrere il sangue tra fratelli e tra cugini, e ad appassionarsi alle vicende degli York e dei Lancaster che si sterminano a vicenda per poi regalare la Corona a un gallese tisico e sconosciuto come Enrico VII Tudor.
La Monarchia Britannica, che ci piaccia o no, è anche questo.
I Britannici, e gli Inglesi in modo particolare, si sentono parte di questo infinito dramma shakespeariano.

Certo, nella famiglia ci deve essere una persona autorevole che tiene in piedi la baracca, e in questo caso a farlo sono state principalmente le donne, anch'esse, come le loro rivali, donne di carattere: Eleonora d'Aquitania, Elisabetta Woodville, Margaret Beaufort, Elisabetta I, Vittoria, Mary di Teck, Lizzie Bowes-Lyon ed Elisabetta II.







Vale la pena soffermarsi sul mistero che circonda lady Margaret Beaufort Tudor, Contessa di Richmond, che fu la vera vincitrice della Guerra delle Due Rose.
Donna di grande cultura e di granitica fede cattolica, lady Margaret, appartenente a un ramo cadetto e morganatico del Casato dei Lancaster, sposò il gallese Edmund Tudor, conte di Richmond, all'età di soli dodici anni ed ebbe un unico figlio, Enrico, destinato a diventare Enrico VII, il fondatore della dinastia Tudor.
Quando Enrico nacque, lady Margaret era consapevole del fatto che l'unico modo con cui suo figlio sarebbe potuto diventare Re, era passare sopra sette bare: quella di Enrico VI, di suo figlio Edoardo di Galles, di Edoardo IV di York e dei i suoi due figli Edoardo V e Riccardo, di Giorgio di Clarence e di Riccardo III, ma non smise mai di credere che suo figlio avrebbe vinto e lei sarebbe diventata la vera dominatrice del Regno.

Margaret seppellì anche suo figlio, e nel breve periodo che intercorse tra la sua reggenza e l'incoronazione del nipote, cercò di convincere quest'ultimo a non sposare la vedova di suo fratello, Caterina d'Aragona, perché facendo questo si contravveniva a un precetto religioso, che rendeva annullabili le nozze, ma Enrico giurò che Caterina era una "virgo intacta" e dunque il matrimonio era valido.

E così, quando molti anni dopo chiese l'annullamento sostenendo il contrario, creò uno dei più controversi casi di diritto canonico della storia.

A questo punto è legittimo chiedersi: come sarebbe stata la storia inglese senza quella specie di stallone sanguinario, violento, brutale, spergiuro e paranoico che fu Enrico VIII ?
Ovviamente non possiamo saperlo, forse sarebbe stata migliore, ma di una cosa possiamo stare certi, sarebbe stata molto più noiosa.

Purtroppo i personaggi come Enrico VIII sono il sale della Storia: senza di loro la storia sarebbe insipida.
Ma se lui non fosse stato ciò che era, non ci sarebbe stata Elisabetta I, considerata la vera fondatrice della supremazia marittima britannica.





Ma non è necessario arrivare alle vette di crudeltà di Enrico VIII, o all'eccessivo ricorso, da parte delle sue figlie, del rogo (nel caso di Maria I) , della scure e della forca, nel caso di Elisabetta (e se il malcapitato non aveva la "fortuna" di soffocare o rompersi l'osso del collo, l'esecuzione sarebbe proseguita con eviscerazione e squartamento. Si consiglia la lettura di Sorvegliare e punire, di Michel Foucault)

Ai cittadini britannici, per divertirsi un po', basta semplicemente che ad un principe o una principessa del sangue reale un matrimonio d'amore sia negato e che uno non voluto sia imposto: basta questo per creare uno psicodramma destinato a durare mezzo secolo e anche più, coinvolgendo generazioni su generazioni, e questo vorrà pur dire qualcosa!

E non stiamo parlando solo di Wallis Simpson o di Diana Spencer.
Crediamo che persino l'amore vero tra Carlo e Camilla, vituperati e derisi, ma uniti e coerenti da mezzo secolo di affetto reciproco, un giorno diventerà esso stesso materia di leggenda, perché ha resistito a tutto, si è imposto su tutti, e pur avendo tutti contro, ha continuato e continua a procedere, da cinquant'anni, verso la meta finale: il Trono.

Ce la faranno? Tutto dipende dalla longevità di Elisabetta II. La legge di successione parla chiaro, nel momento stesso in cui il cuore dell'attuale sovrana smetterà di battere, il Principe di Galles e la sua consorte, se saranno ancora vivi (ed è un "se" grande come una casa, anzi, come il castello di Windsor) saranno Re e Regina del Regno Unito, (con o senza la Scozia), con grande scorno dei tanti ignorantelli che credono che la Corona si erediti mediante testamento, come se fosse una pelliccia di castorino, e vorrebbero "saltare una generazione", come se l'esperienza maturata in tanti anni di attività diplomatica sia qualcosa di insignificante rispetto a ciò che a loro dire conta davvero, ossia il colore del cappotto di Kate Middleton (ottima persona, ma la vedremmo meglio, per un po', come futura Principessa di Galles).

Carlo, uomo colto e reso saggio dall'età e dalle tormentate esperienze della vita, paga, in termini di popolarità, lo scotto di aver avuto una madre fredda, distante ed eterna, e una prima moglie caratterialmente incompatibile con lui, ma abilissima a rubargli la scena per poi recitare il ruolo di vittima indifesa.

Ovviamente ci dispiace molto per la sorte della Principessa di Galles, soprattutto per il dolore enorme dei suoi figli, perché come madre era stata immensamente più brava della regale suocera.
Ma colpevolizzare Carlo significa cadere in una trappola mediatica, perché lui ha amato una sola donna nella sua vita, Camilla, e l'ha amata davvero, mentre Diana ha avuto innumerevoli amanti, salvo poi andare alla BBC a lamentarsi perché il suo matrimonio era "affollato".

I lettori potranno obiettare che Carlo, se non era innamorato di Diana, non avrebbe dovuto sposarla. Ma ormai, essendo Camilla già sposata, era suo dovere sposarsi a sua volta e avere dei figli.

Gli haters di Camilla obietteranno che lei non amava Carlo, visto che sposò un altro uomo, ma anche qui ci fu un imbroglio.
Le due promotrici del matrimonio di Carlo con una delle sorelle Spencer erano Elizabeth Bowes-Lyon, la Regina Madre, e lady Ruth Burke-Roche, Baronessa Fermoy, Prima Lady-in-Waiting.

Le due anziane signore sapevano però che bisognava prima togliere di mezzo Camilla, sgradita per molti dei motivi per i quali era sgradita Wallis.

Carlo, all'epoca ufficiale di marina, fu spedito in una missione del tutto inutile nei Tropici, e nel frattempo fu fatto capire molto chiaramente a Camilla che il "partito di Clarence House". all'epoca residenza della Regina Madre, avrebbe impedito in tutti i modi il suo matrimonio con il Principe di Galles, mentre avrebbe favorito con generosità e prebende le nozze con Andrew Parker-Bowles, l'altro suo spasimante, la cui famiglia era nelle grazie della vedova di Giorgio VI.
 Non escludiamo che Camilla provasse affetto anche per il suo primo marito, ma quel matrimonio fu un ripiego, così come quello del Principe di Galles con Diana.

Certo, Diana era troppo giovane e ingenua per rendersi conto del fatto che sua nonna le aveva combinato un matrimonio dove l'amore non c'entrava assolutamente niente, e in questo fu vittima non tanto di Carlo, quanto di tutta una intera mentalità basata sul pedrigree, che all'epoca, nell'aristocrazia inglese e non solo, era ancora dominante.
Ma se avesse avuto un minimo di ragionevolezza, Diana avrebbe potuto accettare una separazione "de facto", che le permetteva persino l'adulterio, purché praticato con discrezione, salvando almeno la facciata, senza comportamenti tali da portare al divorzio.
E invece, come ben sappiamo, accadde l'esatto contrario. 
Diana sapeva di avere i sondaggi di popolarità dalla propria parte, e se ne avvalse, alimentando questa popolarità con lodevoli iniziative filantropiche e molto presenzialismo "glamour" sulla scena del jet-set internazionale, del mondo della moda, dello spettacolo e in generale dello star system.

Questa popolarità sarebbe evaporata nel nulla se Diana non fosse morta giovane, in tragiche e oscure circostanze, che la resero una martire agli occhi di chi già la venerava e a quelli delle generazioni successive.

La morte, paradossalmente, l'ha resa immortale, eternamente giovane, per sempre martire agli occhi del mondo, per sempre consegnata ad una leggenda decisamente faziosa.
Se fosse sopravvissuta, oggi sarebbe una delle tante vecchie glorie rese ridicole dai lifting, dal botox e dal silicone: non certo materia di leggenda!
Si sarebbe rovinata con le proprie mani.
Ma se muori a Parigi a 36 anni, all'apice della tua popolarità, allora continueranno a fare film e serie tv su di te per secoli, con un processo di beatificazione laica, simile a quella di tanti personaggi dello spettacolo che la morte ha preso con sé prima che loro avessero il tempo di distruggere in maniera irrimediabile la propria reputazione.

E a questo punto ci avviciniamo all'argomento e cioè, in primo luogo, alla famiglia Burke-Roche.

Lady Jessica Burke-Roche, pur essendo una lontanissima parente di lady Frances Burke-Roche, la madre di Diana Spencer, non aveva niente in comune con l'allora Principessa di Galles.
Del resto, i rapporti interni alla famiglia Burke-Roche erano tesi, specie nel ramo dei Fermoy.
Per esempio. quando lady Frances divorziò dal conte Spencer, la sua stessa madre, lady Ruth Fermoy testimoniò contro sua figlia, che perse a sua volta la custodia dei propri figli.
Diana subì un trauma, aveva sei anni quando fu separata da sua madre, e soltanto in età adulta lady Frances e lady Diana ricostruirono il loro rapporto, e anche questa volta fu per poco tempo: dopo la morte della figlia, lady Frances si ritirò in solitudine e si spense sette anni dopo, e possiamo solo immaginare quanto grande sia stato il suo dolore.




I termini di parentela tra il ramo dei Fermoy e gli altri rami della famiglia Burke-Roche erano così complessi che gli stessi membri della famiglia si conoscevano a malapena.

Lady Jessica aveva avuto modo di incontrare sia lady Ruth Fermoy, sia lady Frances, sia lady Diana, e di parlare con loro, ma con nessuna di loro stabilì un rapporto di confidenza.

Jessica era un altro tipo di persona, e ci basta una parola per dare l'idea di che tipo fosse: intellettuale. 
Sì, questa è la parola giusta. Prima di ogni altra cosa, Jessica era ed è un'intellettuale, una donna estremamente colta, di straordinaria intelligenza, impegnata nello studio della storia e della filologia.

Jessica non si poteva definire "bella" nel senso convenzionale del termine: era bassa, piatta, col naso lungo e le labbra sottili.
Però aveva altre caratteristiche fisiche che la rendevano interessante e. almeno agli occhi di Roberto. molto attraente: era magrissima (e a lui piacevano magre), aveva grandi occhioni tra il verde e il blu, uno sguardo dolce e un sorriso gentile, una grazia aristocratica, ma soprattutto un'aria da eterna ragazzina, che conservò nel tempo, miracolosamente, ma non per caso, come avremo modo di scoprire in seguito.

Le immagini che alleghiamo, la ritraggono all'età di 26 anni, e poteva dimostrarne dieci di meno.
Sono immagini di dominio pubblico essendo lei stessa, per varie ragioni, un personaggio pubblico. 






Ma ci furono altre doti che resero lady Jessica attraente agli occhi di molti: era elegante, ironica e aveva una forza di carattere ineguagliabile.

Roberto Monterovere, che la conobbe durante quel famoso soggiorno a Londra del 1992, ha sempre parlato di lei con grande rispetto e vale la pena ricordare le esatte parole che ci disse quando affrontammo l'argomento per la prima volta:
<<Ciò che mi colpì immediatamente furono la sua ironia e la sua raffinatezza, e poi, naturalmente, la sua straordinaria cultura, di fronte alla quale io mi sentivo come un analfabeta. E poi aveva un tipo di intelligenza non vulnerabile, un carattere d'acciaio e una capacità di prendere sempre le decisioni migliori, specie nei momenti difficili. 
Quando la conobbi non avevo idea che lei sarebbe diventata così importante nella mia vita, non potevo neanche immaginare fino a che punto i nostri destini si sarebbero ripetutamente incontrati, fino al momento in cui lei riuscì a farmi dimenticare tutte le donne di cui ero stato innamorato in precedenza, e a diventare senza dubbio il più grande amore della mia vita, e anche l'ultimo>>

Nel biglietto d'invito, Lord Ravensbourne aveva scritto che la cena sarebbe incominciata alle ore 20 (a dire il vero, nel mondo anglosassone si preferisce scrivere 8 pm, post meridiem, ma siccome questo è un romanzo in lingua italiana, noi continueremo ad usare la numerazione italiana dell'orario, che peraltro si presta meno ad equivoci).

Aurora era molto sospettosa:
<<C'è qualcosa sotto, è evidente. In tanti anni che vengo al Savoy, questa è la prima volta che un Pari del Regno mi invita a cena. E guarda caso è uno studente ammiratore di tuo zio>>
Roberto annuì:
<<Dovremo stare molto attenti e capire con chi abbiamo a che fare>>
La giovane Visconti era preoccupata, e giustamente, per la presenza dell'altra invitata:
<<E poi c'è quella tipa, quella lady Jessica... la grande ammiratrice dell'Italia... quella che conosce l'italiano... troppe coincidenze. 
Devi tener conto del fatto che Lorenzo, oltre ad avere amici potenti, come quel tale Albedo, potrebbe avere nemici altrettanto potenti>>
Il giovane Monterovere era d'accordo:
<<Sì, lo credo anch'io. Ne parlerò al telefono con i miei. In ogni caso, la prudenza dovrà essere massima. Non dobbiamo rivelare nulla di personale.
In questo tipo di contesti vince chi riesce a estorcere all'altro più informazioni>>
<<L'ha detto Sun Tzu?>>
<<No, l'ha detto mia nonna, la quale conosce l'arte della guerra molto meglio del maestro cinese>>
Risero entrambi, e si prepararono ad affrontare una nuova giornata, perché i problemi si affrontano uno alla volta ed ad ogni giorno basta la sua pena.



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