Roberto Monterovere, in tutta la sua vita, non pronunciò mai la frase "Sto bene", nemmeno nei momenti più felici.
E questo non tanto, o non solo, perché c'era quasi sempre qualche problema che gli procurava disagio, ma anche e soprattutto per motivi scaramantici: una simile frase infatti, a suo parere, poteva scatenare l'invidia degli uomini e degli dei.
Per non parlare poi della frase: "Andrà tutto bene". che, come è noto, nei film viene detta dal personaggio che morirà per primo, quasi sempre in maniera atroce.
E comunque è un dato di fatto che quelle due frasi portino una sfiga tremenda, e tutti ne sono consapevoli, anche nel Ducato della Romagna Centrale, compreso Roberto Monterovere, il quale, pur essendo incline a dubitare di tutto, di una sola cosa non dubitò mai e cioè dell'esistenza della Sfiga come principio ontologico e parte integrante dell'entropia che opera nell'universo.
La scaramanzia era una tradizione di famiglia: il massimo che i Ricci-Orsini-Monterovere potevano concedere era un "non c'è male", pronunciato con così scarsa convinzione da dare l'idea che invece le cose andassero malissimo.
Quando poi le cose incominciarono ad andare male sul serio, nonostante tutte le precauzioni e gli scongiuri, la risposta standard alle domande del tipo: "Come va?", divenne invariabilmente un "si tira a campare" di sapore decisamente andreottiano,
Queste abitudini scaramantiche, molto diffuse nelle campagne, potevano essere considerate quasi uno stile di vita, sintetizzato molto efficacemente da un colorito proverbio napoletano:
"Chiagni e fotti".
E così, anche in quello splendido agosto del 1992, a Londra, al Savoy, con Aurora, Roberto cercò di tenere per sé la propria gioia, quasi fosse un peccato mortale.
Persino adesso, quando ormai sono passati tre decenni da quel periodo, Roberto è reticente a parlare di gioia, e chiama in causa Francesca da Rimini e Dante Alighieri.
"Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria"
Oppure si identifica con Catullo, disperato per la fine della relazione con Lesbia, alias Clodia Pulchra:
"Fulsere quondam candidi tibi soles..." "...desinas ineptire, et quod vides perisse, perditum ducas"
Splendettero per te, un tempo, giorni scintillanti... [ma ora] ...smetti di vaneggiare, e ciò che vedi essere perduto, consideralo perduto per sempre.
L'altra frase che tende a ripetere sempre più spesso, come per sminuire la gioia autentica e profonda di quei giorni, è poi diventata uno dei suoi cavalli di battaglia:
<<Il ricordo della felicità non è più felicità, ma il ricordo del dolore è ancora dolore>>
E chi potrebbe dargli torto, in tutta onestà?
Questo era ed è il suo atteggiamento mentale, disilluso, scettico e disincantato, quando gli si chiede di raccontare le gioie della sua giovinezza.
Molti però sospettano che ancora si avvalga della strategia del "chiagni e fotti", reputandolo un uomo ozioso, pigro e ingordo, dagli appetiti insaziabili, a cui i piaceri non bastano mai, un vizioso "nella cui pancia ci sono tutti e sette i peccati capitali".
Ma soprattutto lo considerano un uomo finito, "interminabilmente sopravvissuto a se stesso".
Ed ecco che allora lui, per reazione, si riscuote e il suo eloquio prende il volo, come un'aquila, librandosi nei cieli, e poi, atteggiandosi a novello Zarathustra assume un tono solenne e si esprime come un oracolo:
<<Sono sopravvissuto, sì, ma non a me stesso: io sono sopravvissuto a mille battaglie, tra cui, lo ammetto, molte sconfitte e poche vittorie inutili, ma questo soltanto perché, poeticamente, amo le cause perse, specialmente quando sono perse davvero.
Però io sono sempre sopravvissuto, e se volete conoscere l'arte della sopravvivenza, ascoltate ciò che vi dico: spesso sopravvivere si può, persino quando le ferite sono state gravi e profonde, ma è necessario avere almeno una valida, importante, percepibile e plausibile ragione di vita.
Sì, io confesso che ho vissuto e il tempo è fuggito così velocemente che il mio animo non è riuscito ad invecchiare.
Eppure una cosa ho compreso: il saggio ricorda tutto, perdona molto e poi passa oltre, proseguendo per la propria strada.
E così io proseguo, come un cavaliere errante, in una terra desolata, in un mondo senza speranza.
Eppure è bello contemplare i papaveri sull'orlo della scarpata...
Io sono un uomo del secolo scorso, e forse il mio tempo è finito, ma non è finito il mio impegno di essere testimone trasparente e cronista fedele della Storia.
Io sono un rudere pieno di crepe, e non le nascondo, perché c'è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce.
In tempi remoti di sogni si nutriva il mondo,
ma ora boschi d'Arcadia sono morti.
Eppure la fantasia resta un diritto umano.
Continuate a sognare, perché anche questo è verità.
E ora che ne sarà del mio viaggio? Troppo accuratamente l'ho studiato, senza saperne nulla.
Ma vi sono ancora ragioni di vita, prima tra tutte la curiosità dell'avvenire.
Ma vi sono ancora ragioni di vita, prima tra tutte la curiosità dell'avvenire.
Per questo io vi dico che i tempi sono maturi per un evento fin troppo atteso.
Tarda è l'ora, un sole tramonta e un altro presto sorgerà.
Per questo io attendo, e per questo sarò ricompensato.
Presto verranno i giorni del Maestro, e saranno benedetti, poiché il Maestro ha atteso più di chiunque altro>>
Ora i lettori si chiederanno cosa possano significare quelle oscure parole, che sembrano i vaneggiamenti di un pazzo o di un licantropo che abbaia alla luna.
A tempo debito tutto sarà spiegato.
Ma c'è anche un'altra domanda, ossia com'è stato possibile che l'ingenuo diciassettenne entusiasta diventasse un solenne, folle ed enigmatico Predicatore, i cui occhi hanno visto sin troppe cose?
La risposta a tutto è una sola: continuate a leggere questa narrazione e lo saprete, ma non subito.
Torniamo dunque agli eventi mirabili e terribili che avvennero trent'anni fa.
Nell'agosto 1992, a Londra, al Savoy, con Aurora, Roberto era felice.
Nel secondo giorno di vacanza, decisero di rilassarsi nell'area Pool and Spa dell'Hotel.
L'impostazione delle piscine del Savoy era come quella delle terme romane, unita alla tecnologia moderna e alle attuali conoscenze mediche.
C'erano un calidarium, un tepidarium e un frigidarium.
Il calidarium era una piscina di medio/piccole dimensioni, vicino alle palestre, con acqua salsobromoiodica a temperatura elevata, e forti getti idromassaggio.
Il tepidarium era una piscina più grande, con acqua tiepida, e senza idromassaggio.
Quando si usciva dalla piscina, gli inservienti portavano subito un accappatoio caldo con cui avvolgersi, e poi invitavano gli ospiti a sdraiarsi sui lettini.
Per chi volesse proprio esercitarsi col nuoto c'era la piscina grande con acqua fresca.
Quando Roberto vide queste tre piscine, gli venne in mente non tanto il modello delle terme romane, ma quello della Villa Adriana, a Tivoli, dove era stato in gita scolastica.
L'enorme parco della Villa presentava vari bacini d'acqua simili a piscine, tra cui i più importanti erano il Canòpo e il Pecile.
Il Canopo era indubbiamente il più bello, con il colonnato di cariatidi da un lato e il Serapeo dall'altro, per quanto il suo nome derivasse dal ricordo di un evento tragico.
L'imperatore Adriano e il suo favorito Antinoo, durante un viaggio in Oriente, si erano fermati per un po' di tempo ad Alessandria d'Egitto, dove avevano osato aprire il sarcofago di Alessandro Magno, il cui corpo era stato imbalsamato, per poter guardare in faccia quel grande re e condottiero.
Ma così facendo avevano violato un antichissimo precetto romano, risalente alle leggi delle XII tavole: Deorum Manium iura sancta sunto: siano sacri i diritti degli dei Mani, ossia dei defunti.
Foscolo pone questa frase in epigrafe al carme de i Sepolcri.
Inoltre, anche Virgilio ci ricorda un dovere morale, nel terzo libro dell'Eneide, al verso 41, ossia il "Parce sepulto", l'avere rispetto e pietà per i defunti.
In generale valeva il proverbio: "De mortuis nihil nisi bonum". Riguardo ai morti non si dica nient'altro se non il bene.
Per uno storico è quasi impossibile rispettare queste leggi, per cui è giustificato, entro certi limiti, a esprimere il proprio parere.
Ma la violazione di questi precetti da parte di chiunque altro è nefasta, e questo presagio spinse Adriano e Antinoo a far visita ad una veggente, che si trovava nella città di Canopo, alla foce del ramo più occidentale del Nilo, detto anch'esso Canopo o Ramo canopico.
Purtroppo, come ci racconta Marguerite Yourcenar in Memorie di Adriano, il responso dell'oracolo fu infausto. Non c'era più niente da fare.
E la veggente aveva ragione, poiché il bellissimo Antinoo dai riccioli d'oro morì poco tempo dopo, giovanissimo, annegato nelle acque del Nilo.
Mentre Roberto, disteso sul lettino, raccontava ad Aurora questa storia, ecco che fece il suo ingresso il Duca di Ravensbourne, per quanto, sul momento, sia Aurora che Roberto lo avessero scambiato per una ragazza.
Se non fosse stato per l'assenza dei seni, sarebbe anche potuto essere una fanciulla, ma come giovane uomo era poco credibile.
Perfino l'imperatore Adriano lo avrebbe considerato troppo effeminato per i suoi gusti.
I lunghi capelli biondi e ondulati gli arrivavano fino alle spalle, il volto era femminile.
Portava una camicia bianca aperta sul petto glabro.
Il Duca, sorpreso, si sentì in dovere di scusarsi e lo fece con voce flautata, in un italiano perfetto e senza inflessioni:
<<Mi dispiace di aver violato la vostra privacy. Il fatto è che ho saputo che siete italiani, ed io sono per metà italiano, per parte di madre, e nella fattispecie lombardo: mia madre si chiama Elena Borromeo ed è imparentata con l'antica famiglia>>
Roberto, che da sempre provava una certa soggezione verso quelli che lui chiamava "i nobili veri", ossia con quattro quarti di nobiltà, e in particolare coloro che detenevano un titolo elevato, si sentì in dovere di scusarsi a sua volta:
<<Ci perdoni, Lord Ravensbourne, ma io e la mia fidanzata, in effetti, amiamo molto la privacy, ma in questo caso faremo volentieri un'eccezione>>
Il volto del Duca si illuminò:
<<Ne sono felice! Ma vi prego, chiamiamoci per nome e diamoci del tu: io sono Waldemar>>
Roberto guardò Aurora, la quale non pareva affatto contenta di quell'intrusione, e poi rispose:
<<Io sono Roberto e lei è la mia fidanzata Aurora>>
Si scambiarono una stretta di mano: quella di Waldemar apparve debole, ma calda.
<<Fidanzati ufficialmente? Così giovani?>>
Roberto e Aurora si guardarono di nuovo in faccia e si sorrisero a vicenda:
<<L'amore non ha età. Ma ci sposeremo soltanto dopo aver finito gli studi universitari. Tu sei studente all'università?>>
<<Ho appena ottenuto il Bachelor in storia dell'arte e storia delle religioni, a Oxford.
Sono stato anche sei mesi a Bologna, per l'Erasmus. Intendo continuare lo studio di queste materie fino al Master e poi mi piacerebbe fare il Dottorato a Bologna. Voi siete di quelle parti, mi pare di capire dal vostro accento>>
Aurora e Roberto si scambiarono, per la terza volta, uno sguardo tra l'allarmato e il divertito.
Fu lei a rispondere:
<<Siamo di Forlì, in Emilia-Romagna, a settanta chilometri da Bologna. E tu come mai sei qui, d'agosto, e non in qualche isola greca a festeggiare la laurea?>>
Waldemar si rabbuiò:
<<Purtroppo, da quanto mio padre è morto improvvisamente d'infarto a giugno, devo occuparmi di persona degli affari di famiglia, specie in questo periodo in cui la sterlina, come del resto anche la lira italiana, sotto sotto attacco dello speculatore George Soros, detto "lo Squalo">>
Roberto ne aveva sentito parlare:
<<L'Italia è messa molto peggio del Regno Unito. La lira dovrà uscire dal sistema monetario dei cambi fissi. La Banca d'Italia non può continuare a vendere le sue riserve auree per comprare titoli in lire ed evitare la svalutazione. Soros è troppo potente, molto più del governatore Ciampi>>
Waldemar mostrò ammirazione per il fatto che Roberto, per quanto adolescente, fosse preparato su un argomento che per lui era piuttosto ostico:
<<E' proprio come tu dici, ma credimi, anche la sterlina non è mai stata così debole.
E' un anno terribile per la Gran Bretagna. Domani dovrò incontrare i soci di mio padre, per prendere decisioni rischiose, ma mi fido del suo più caro amico, sir Alfred Burke-Roche>>
Aurora e Roberto si guardarono in faccia per la quarta volta, e il loro sguardo era decisamente preoccupato, perché c'erano troppe "singolari coincidenze".
A parlare fu Roberto:
<<Burke-Roche? E' per caso parente della baronessa lady Ruth Fermoy, la nonna materna della Principessa di Galles>>
Il Duca sorrise:
<<Sì, certo, vedo che sei informato anche su questi dettagli. Credo che Alfred sia un nipote o un lontano cugino di lady Fermoy, ma purtroppo, di questi tempi, non è certo un vantaggio essere imparentati con Diana Spencer>>
A quel punto intervenne Aurora:
<<Tu da che parte stai? Dalla parte del Principe o da quella della Principessa?>>
Waldemar rise:
<<In generale è consigliabile non interferire in alcun modo con le dinamiche interne della Famiglia Reale, ma la fedeltà e la lealtà dei Ravensbourne vanno sempre alla Corona e quindi al Principe di Galles.
Gli stessi membri della famiglia Burke-Roche hanno preso le distanze da lady Diana e dalla famiglia Spencer in generale.
Persino la madre di Diana, lady Frances Shand-Kydd, si è ritirata dalla scena pubblica e si è convertita al Cattolicesimo ed ora si dedica esclusivamente ad opere di carità.
Adesso i Burke-Roche stanno puntando tutto su lady Jessica, la figlia di sir Alfred, che credo abbia la vostra età, più o meno>>
Roberto intervenne:
<<Abbiamo diciassette anni>>
Il giovane Duca annuì:
<<Allora siete suoi coetanei. E' una ragazza davvero brillante, e anche lei conosce l'italiano.
Credo che sir Alfred gliel'abbia fatto studiare per favorire il nostro avvicinamento.
Lei ha intenzione di studiare lettere classiche e anche storia delle religioni: è molto affascinata dal tema delle religioni esoteriche dell'antichità e delle loro sopravvivenze durante l'era cristiana.
Del resto, questo è anche il mio campo di studi, mi piacerebbe specializzarmi su questo argomento>>
Per l'ennesima volta Aurora e Roberto si guardarono in faccia, e questa volta non ebbero dubbi: quell'incontro non era affatto una coincidenza.
Roberto decise di arrivare subito al dunque:
<<Hai detto di aver fatto un Erasmus a Bologna. Per una singolare coincidenza, lì insegna anche mio zio, Lorenzo Monterovere, non so se...>>
Il viso di Waldemar divenne più splendente del sole:
<<Lorenzo! Ma certo! E' stato il mio mentore e mi seguirà lui quando farò il Dottorato.
Ho letto tutti i suoi libri. E' un vero genio e un docente brillante, carismatico e di straordinaria cultura, non a caso è stato un allievo del grandissimo professor Franz Kranz, il Filosofo Metafisico, a sua volta allievo di Erich von Tomaten, l'autore dell'imprescindibile testo "Das tausendjaehrige Reich", l'Impero dei Mille Anni>>
Aurora non apparve per nulla entusiasta di tutto questo:
<<Lorenzo ha amici ovunque. E' quasi impossibile sfuggire al suo controllo>>
Il Duca parve non capire:
<<E perché mai dovrebbe controllarvi?>>
Roberto preferì tagliare corto:
<<E' una lunga storia, e questo non è il luogo adatto per parlarne. Ammesso che ve ne siano>>
Waldemar era molto incuriosito:
<<Sarei veramente lieto se una di queste sere mi faceste l'onore di essere miei ospiti a cena nella Royal Suite, potrei organizzare anche un incontro con lady Jessica Burke-Roche, che ammira l'Italia più di ogni altro paese, e la ama come solo uno straniero può amarla>>
Aurora era sempre meno contenta della piega che stava prendendo la conversazione:
<<Immagino che lady Jessica preferisca cenare da sola con te>>
Il Duca scosse il capo, amaramente, e la sua chioma riccioluta gli coprì per un attimo il viso:
<<No, non credo. Penso anzi che mi trovi noioso. Forse non sono il suo tipo, chissà. Ma se ci foste anche voi due, si divertirebbe molto di più>>
Roberto stava per accettare l'invito, ma Aurora intervenne:
<<Grazie, ci penseremo senz'altro e ti faremo sapere>>
Waldemar annuì, con quel sorriso lievemente imbronciato, come se, nonostante tutte le sue fortune, il suo cuore fosse gravato da un segreto inconfessabile, e forse più di uno.
Alla fine si congedò, si spogliò, e si tuffò in acqua.
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