venerdì 5 febbraio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 108. Omni parte vitae detestabilis


Per descrivere Felice Porcu sarebbe sufficiente prendere come modello il personaggio di Ramsay Bolton in Game of Thrones e dire che Porcu era simile, ma molto più brutto e molto più cattivo.
Due righe. E la narrazione potrebbe andare oltre, un po' come fece, da par suo, l'effervescente ed esilarante Svetonio, che liquidò Gneo Domizio Enobarbo, (padre biologico di Nerone), con sole quattro parole: "Omni parte vitae detestabilis".
Saremmo tentati di imitare lo stile icastico e le descrizioni volutamente esagerate dell'autore del De vita Caesarum, ma non possiamo, perché il personaggio in questione ebbe un ruolo troppo devastante nelle vite dei nostri protagonisti per poter essere ridotto a una mera macchietta.
Felice Porcu nasce nel 1975 come figlio di Maria Carolina Tartaglia e di Taddeo Porcu, ragioniere di origine sarda e capo-contabile presso la Visconti & Tartaglia Idrocarburi.
Dalla madre ereditò una forte miopia, che lo costrinse a portare fin da piccolo le lenti a contatto, le quali tuttavia non riuscirono del tutto a cancellare una certa vacuità e fissità dello sguardo.
Questo particolare, unito al naso a becco di gufo, uguale a quello dalla madre e della nonna materna, gli conferivano un'espressione da barbagianni, o meglio ancora da allocco


Dal padre, invece, ereditò il fisico massiccio, tarchiato, tendente alla pinguedine e mostruosamente peloso a causa di un eccesso di testosterone che gli provocò una smodata e precoce libido sessuale.
Dal punto di vista delle capacità mentali, gli vanno riconosciute una predisposizione per le materie tecnico-scientifiche, una qualche praticità in campo sportivo e una una notevole astuzia che gli permise di schivare molti pericoli, derivanti dai guai in cui finiva a causa della sua indole sadica.
Al tutto si può aggiungere una grossolana comicità, a volte involontaria.

Questa era la base genetica, ma di per sé certi elementi disfunzionali sarebbero stati contenibili, se lui non fosse cresciuto in un ambiente che esercitò su di lui un imprinting molto negativo, dovuto in particolare dalla nefasta influenza che ebbe su di lui il nonno materno, Paride Tartaglia, un altro "omni parte vitae detestabilis".
Paride era sempre stato un uomo sadico e violento e aveva trovato la sua prima occupazione come capo-squadrista ai tempi in cui Mussolini reclutava giovani volenterosi per i nascenti Fasci di Combattimento.
Avrebbe potuto fare una buona carriera politica, ma non gli interessava: a lui piaceva solo prendere a manganellate chi non gli stava simpatico, poi legarlo, fargli bere litri di olio di ricino, e infine assistere alle disgustose conseguenze digestive che tutto ciò comportava sulle vittime.
Ed era talmente assiduo in questa attività che lui stesso, alla fine, per dirla tutta, puzzava di merda.
Divenne il capo della Milizia per le zone di Pievequinta e Casemurate ed ebbe sempre la copertura, ogni volta che si spingeva troppo in là con le sevizie, di suo fratello, l'ispettore Onofrio Tartaglia, una nostra vecchia conoscenza.
Gli agricoltori locali, in particolare le grandi proprietà, si rivolgevano a lui, qualora dovessero sorgere controversie di tipo sindacale con i braccianti o i mezzadri.
Ettore Ricci diceva di loro: <<Paride o Onofrio? Sono due figli di puttana, ma, attenzione, sono i nostri figli di puttana>>
Li disprezzava, ma allo stesso tempo aveva bisogno di loro e li ricompensava lautamente.
Dopo la guerra, tra il 1945 e il 1946, i due fratelli Tartaglia si diedero alla macchia, fino a quando non furono certi che ci sarebbe stata un'amnistia.
A quel punto Onofrio venne reintegrato nel suo incarico di ispettore.
Paride capì che era venuto il momento di mettere la testa a posto, ossia cercarsi una moglie con una buona dote che gli permettesse una rendita "decorosa".
A dispetto del nome, il nostro Paride non era bello come il principe troiano suo omonimo, ed era anche, naturalmente, molto più rozzo e volgare, per cui non fu gli fu facile trovare una moglie adatta.
Tra le vergini ricche, finite tutte le Ricci a disposizione (tranne Adriana, che però era troppo brutta persino per un Tartaglia), rimaneva soltanto una certa Paolina Vaccarelli, una biondina tisica e anemica, molto miope, leggermente strabica, con un naso a becco, un accenno di baffi dorati, un inizio di gobba e una gamba più corta dell'altra a causa di una poliomielite infantile.
Il padre di lei era il proprietario di un distributore di benzina, nei pressi di Pievequinta.
L'attività rendeva bene e c'erano già due dipendenti che facevano quasi tutto.
Paride sposò Paolina, e fece finta di lavorare al distributore, lasciando tutto il lavoro sporco ai dipendenti. Ma non era soddisfatto.
Si annoiava, gli mancavano i bei tempi in cui poteva randellare chi gli pareva senza alcuna conseguenza spiacevole, anzi, con il plauso e il contributo pecuniario dei pesci grossi.
Andò in giro a trovare i grandi proprietari, ma la maggior parte gli sbatté la porta in faccia.
Si rivolse allora a Michele Braghiri, amministratore del Feudo Orsini, che gli promise di mettere una buona parola per lui con Ettore Ricci.
In un primo momento Ettore reagì negativamente: <<Paride non è come suo fratello. Onofrio capisce quando è il punto di fermarsi, Paride no, anzi, è proprio in quel momento che inizia a divertirsi, e io non ho bisogno di ulteriori scandali>>
Michele Braghiri aveva annuito, ma aveva replicato:
<<Però noi abbiamo bisogno di Onofrio e non possiamo liquidare suo fratello senza offrirgli qualcosa, anche solo un prestito per ampliare il distributore...>>
Ettore si accigliò, valutando un progetto che aveva in mente da tempo, e poi disse:
<<Senti Michele... se, per ipotesi, avessimo a disposizione del denaro in contanti, messo da parte per le emergenze, non necessariamente dichiarato, ma io non so niente di queste cose, sei tu l'esperto. Comunque, se Paride volesse un prestito e fosse disposto a reinvestirli, un po' per volta, in qualcosa di redditizio, magari un altro distributore di benzina... Potrebbe rendere parecchio, sai. 
Io vorrei mettere uno zampino in quel settore, mantenendo però un profilo basso, perché se mi muovo apertamente, tutti i pezzi grossi si coalizzano per farmi fuori,  e questo è un rischio che non voglio correre.
Io ufficialmente non comparirei da nessuna parte, se non, al limite, come obbligazionista. 
A Paride non chiedo altro che farmi avere, a titolo di interessi, una piccola percentuale annua dei suoi guadagni.  Mi sembra un buon accomodamento.
E anche tu avrai la tua parte, naturalmente. Sai già quel che devi fare...>>
Michele annuì, col suo sguardo da faina, ed eseguì gli ordini.
Paride accettò con entusiasmo, perché ricevere soldi dal nulla era una cosa che lo esaltava decisamente, e chi potrebbe dargli torto?
Suo suocero gli diede validi consigli su come procedere nell'investire quei soldi e i risultati furono molto incoraggianti.
Nel giro di una decina d'anni la società Vaccarelli & Tartaglia divenne una delle principali fornitrici di idrocarburi della provincia e anche oltre.
Quando il vecchio Vaccarelli morì e Paride divenne l'unico padrone, si sentì sufficientemente forte da sfidare Ettore Ricci.
Gli restituì il prestito e si rifiutò di continuare a versargli la percentuale.
Formalmente la cosa era ineccepibile, ma come si può immaginare, Ettore fece il diavolo a quattro, lo chiamò "miserabile traditore", minacciò ritorsioni di ogni genere, disse che gli avrebbe mandato qualche suo amico pugile a insegnargli "come si sta al mondo", ma poi alla fine prevalse la prudenza, perché, come sempre, bisognava mantenere buoni rapporti con l'ispettore Onofrio e non sollevare altri polveroni.

E fu così che la società dei Tartaglia divenne una macchina da soldi molto più redditizia di tutte le aziende di Ettore Ricci messe insieme.
Ettore si mangiava le mani per la rabbia e sarebbe dato delle botte in testa per essersi fidato di Paride, ma ormai era troppo tardi. 
Tartaglia era diventato il più ricco di tutti, ma anche lui non era riuscito ad avere un figlio maschio e questo alleviava in parte le sofferenze di Ettore.

Le sue due figlie, Maria Antonietta e Maria Carolina, erano diversissime tra loro: la prima era bella e molto raffinata, la seconda era un mostro, sia nell'aspetto fisico che nel carattere.
Era come se i difetti di Paride e Paolina si fossero concentrati tutti sulla secondogenita, la quale, naturalmente, ne risentì moltissimo, alimentando quella componente sadica del suo carattere che era già presente nei geni paterni.
Il resto è storia nota: Maria Antonietta ricevette la proposta di matrimonio del visconte Bartolomeo II, il quale però richiese come dote il conferimento alla futura viscontessa della quota maggioranza dell'azienda di famiglia, mentre Maria Carolina avrebbe avuto, a suo tempo, tutto il resto: case, terre, depositi bancari e così via.
All'epoca parve una richiesta ragionevole e la famiglia Tartaglia acconsentì, con atti di donazione, testamento e rinunce, ma ben presto divenne chiaro che la famiglia Porcu era stata imbrogliata.
L'azienda era destinata a crescere di valore in maniera diecimila volte più grande dell'eredità che la secondogenita aveva accettato, rinunciando ad ogni pretesa riguardante la società di famiglia.
Questo acuì enormemente l'acredine di Maria Carolina contro il mondo intero, e alimentò anche il senso di frustrazione di Taddeo Porcu, che già nutriva un certo rancore nei confronti di tutti coloro che avevano avuto più fortuna di lui, in primis il cognato e datore di lavoro, il Visconte.
Evitarono però una causa legale e preferirono far parte della corte dei visconti di Bertinoro con ruoli di primo piano.
Anche questo però fu un errore e a pagarne le spese fu principalmente loro figlio, Felice Porcu.

Fin dalla più tenera età, il giovane Porcu divenne una specie di "guardia del corpo" della cugina Aurora Visconti. Ovunque lei andasse, c'era sempre anche lui: all'asilo, alle elementari, alle mede, alle superiori e naturalmente in tutti gli eventi sociali e mondani.
C'era qualcosa di malsano nell'atteggiamento iperprotettivo e possessivo che egli mostrava nei confronti della cugina.
Ma la cosa più strana di tutte era il fatto che Aurora tollerasse senza protestare l'ingombrante presenza di Porcu.
I Visconti permettevano tutto questo, perché in fondo Felice dissuadeva da ogni approccio tutti coloro che volevano avvicinarsi a sua cugina, preservandone così la virtù.
Questo suo ruolo favorì anche l'integrazione dei Porcu come parte integrante del clan Visconti-Ordelaffi.
Felice, però, a dispetto del suo nome, non era per nulla contento del fatto che i Porcu fossero subordinati ai Visconti: in fondo i soldi dei visconti di Bertinoro provenivano per lo più dalla Visconti & Tartaglia Idrocarburi, che era stata fondata da suo nonno Paride, a cui lui tanto assomigliava.
Paride, per placare l'invidia del nipote, gli promise che avrebbe fatto in modo di fargli avere una quota dell'azienda, in un modo o nell'altro: in cambio però Felice doveva trascorrere molto tempo con lui, apprendendo la "nobile" arte della tortura.
Non fu difficile: Porcu aveva già, dentro di sé, tutto il sadismo del nonno, con in più alcuni elementi che preferiva tenere nascosti e che sarebbero emersi solo in seguito.

In un primo momento, fino alla prima media, Felice sfogò la sua violenza innata su oggetti, piante e persino sugli animali, ma con gli esseri umani manteneva un atteggiamento neutrale.
 Avendo frequentato, con la cugina, scuole materne ed elementari private, aveva ricevuto un'educazione morale ispirata ai valori cristiani e questo lo aveva preservato, per qualche anno, da certi aspetti che, in un altro contesto, sarebbero emersi prima. Per esempio: fino agli 11 anni, non era volgare, limitava l'uso delle "parolacce", non aveva quasi alcuna cognizione riguardante la sessualità e non aveva ancora manifestato tendenze al bullismo.
La sua unica anomalia evidente era il rapporto strettissimo ed esclusivo con Aurora, con la quale, tutti ne erano convinti, condivideva alcune reazioni all'ambiente troppo rigido e severo nel quale entrambi erano cresciuti.

Alle medie, lui e Aurora entrarono in una scuola pubblica, per una decisione delle loro madri, che insegnavano entrambe in quella scuola, e tra i colleghi c'erano le loro cugine Maria Giovanna e Maria Amelia Tartaglia, figlie dell'ispettore Onofrio Tartaglia e di Maria Teresa Ricci, la Prozia.
Per non parlare poi di altre personalità notevoli: Anna De Gubernatis coniugata Trombatore (il Sommo Poeta) e sorella di Elisabetta Braghiri, e alcune frequentatrici del salotto Visconti, tra cui Alessandra Parronchi Troiani, moglie di un importante generale della Finanza Ursula Zebedei Gordini, consorte di un viceprefetto. In più c'erano le Grandi Zitelle e Vedove del Club del Pettegolezzo, ospiti fisse alle famose partite di canasta di Ginevra Orsini, detta "La Sorella".

Ma c'era anche un altro motivo, segreto e inconfessabile per la sua incomprensibilità, per il quale Maria Antonietta Tartaglia Visconti-Ordelaffi aveva iscritto la figlia in una scuola media pubblica, ed era il desiderio che conoscesse Roberto Monterovere, che infatti fu assegnato alla stessa classe di Aurora e quindi anche di Felice.
Si ricordava di quando, da ragazza, andava a lezione privata di latino dalla Signorina De Toschi, e vedeva le sorelle Ricci-Orsini trattate con tutti i riguardi, come se fossero tre principesse, mentre lei e sua sorella erano solo figlie di un benzinaio arricchito.
Maria Antonietta però non ce l'aveva con le tre sorelle, anzi, le ammirava, e voleva diventare loro amica e magari loro parente, mentre sua sorella Maria Carolina provava solo una rancorosa invidia.
Dopo il matrimonio di Antonietta col visconte Bartolomeo le cose cambiarono e i rapporti di forza si invertirono, ma ci fu un evento che risveglio nella viscontessa l'interesse per i Ricci-Orsini, e cioè la scoperta, nelle cantine, del ritratto di Emilia Paolucci de' Calboli, madre di Diana Orsini, nella stessa posa e con la stessa acconciatura che si può osservare nel ritratto di Giovanna Tornabuoni del Ghirlandaio.



Questo ritrovamento era stato considerato dalla giovane viscontessa come un segno del destino, un invito a proseguire nella direzione di avvicinamento al clan Ricci-Orsini, anche nel momento in cui quest'ultimo veniva travolto dagli scandali.
<<In fondo>> diceva Maria Antonietta alla sorella << gli scandali non sono necessariamente un male. Guarda la famiglia reale inglese: cosa sarebbero senza gli scandali? Mummie noiosissime. 
E invece sono diventati delle star in grado di oscurare i divi di Hollywood. Al giorno d'oggi solo uno scandalo ti rende una very important person>>
Maria Carolina scuoteva la testa:
<<Tu vorresti essere la Diana Spencer della situazione, ma i Ricci-Orsini-Monterovere non sono certo i Windsor>>

Felice Porcu ascoltava queste conversazioni fingendo di non capire.  In realtà aveva ben chiara la predilezione di sua zia nei confronti del figlio di Silvia Ricci-Orsini, quell'odioso secchione, ma non aveva dato troppa importanza alla cosa, in fondo era certo che sua cugina non avrebbe mai mostrato il minimo interesse nei confronti di quel rammollito di Monterovere.
E invece, all'inizio, si era verificato l'esatto contrario: Aurora teneva d'occhio ogni movimento di Roberto, arrivando persino a pedinarlo durante la ricreazione, ma lui non se ne accorgeva nemmeno.
E lei ne soffriva.
Un giorno Felice decise di affrontare l'argomento:
<<Ma insomma, si può sapere perché ti interessa tanto quel topo di fogna? Io dico che è frocio, sicuro come la merda, te lo dico io>>
Aveva fatto presto, Porcu, a imparare le parolacce e a comportarsi da bullo.
I neofiti sono spesso i più fanatici.
Aurora sembrava distante, assente, ma poi aveva risposto in maniera molto lucida:
<<Io dico di no. Forse è solo timido, inesperto e troppo concentrato nello studio. Non dovresti offenderlo, anche perché credo che abbia qualcosa in comune con noi, anche se forse non lo sa ancora. Dovremmo cooptarlo... se capisci cosa intendo dire>>
Porcu divenne paonazzo per la gelosia:
<<Capisco benissimo, e te lo dico adesso : non te lo permetterò mai. Ricordatelo bene: mai e poi mai>>
Aurora sapeva che il cugino non stava bluffando, ma cercò comunque di blandirlo:
<<Non hai nulla da temere, Felix, tu sei insostituibile. Io dico solo che sbagli a disprezzare Roberto. Se tu lo trattassi un po' meglio, lui potrebbe diventare per noi un amico leale, e magari disponibile... capisci?>>
Porcu capiva fin troppo bene, ma non avrebbe mai potuto accettare un compromesso su quell'argomento.
<<E' un cacciatore di dote, come suo padre e suo nonno>>
Omise di aggiungere alla schiera anche il proprio padre e il proprio nonno.
<<Se lo fosse mi sbaverebbe dietro come tutti gli altri, e invece no. Per lui è come se fossi trasparente>>
Porcu ne aveva abbastanza:
<< Lui fa finta di non vederti perché sa di non avere speranze con te! E' un perdente, e lo sa benissimo, per cui ha imparato a stare al suo posto. Questo è l'unico motivo per cui fino ad ora non l'ho riempito di botte. Non c'è gusto, con uno così. Ma se dovesse alzare la cresta, allora sarebbe tutto un altro discorso>>

Il tempo passava e l'aggressività di Felice Porcu cresceva. Con grande imparzialità picchiava un po' tutti, perché sapeva che nessuno avrebbe avuto il coraggio di fare la spia.
Il "non fare la spia" è la regola numero uno a scuola, nei collegi, nelle carceri e in altre situazioni dove chi avrebbe dovuto far rispettare le regole faceva finta di non vedere, di non sentire...
Porcu sapeva bene che Monterovere non era il tipo da fare la spia, ma sapeva anche che era meglio evitare un conflitto aperto con il suo clan, che aveva anche un qualche legame di parentela con il proprio.
Suo nonno Paride era stato chiaro:
<<Felix, tu puoi picchiare chi ti pare, tranne Monterovere. Con lui bisogna usare altri metodi, ma fintanto che non ronza attorno ad Aurora, è meglio lasciarlo perdere>>
Porcu eseguiva senza discutere gli ordini del nonno, ma voleva spiegazioni:
<<Ma si può sapere perché avete tutti tanta paura della sua famiglia? Cosa sono, dei boss della mafia?>>
Paride Tartaglia fece una smorfia:
<<Magari. Sarebbe tutto più facile se fosse così. No, adesso che Ettore è morto, loro sono puliti. Integerrimi, e non c'è nulla di più spaventoso, a questo mondo, di un uomo integerrimo>>
Felix non capiva:
<<Ma allora da dove viene la loro forza?>>
Il vecchio sospirò:
<<Ci sono molti motivi. Il primo è evidente: sono nelle grazie di tua zia Maria Antonietta, ed è lei che tiene i cordoni della borsa. E' stato un mio errore cederle il controllo, ma all'epoca eravamo solo dei benzinai arricchiti. Non immaginavo che l'azienda potesse crescere così tanto.
Ma il secondo motivo è quello più importante.
 Edoardo Monterovere, il prozio di Roberto, è un politico che conta molto in Emilia-Romagna, e potrebbe crearci molti problemi, se volesse. Potrebbe persino farci revocare la concessione. 
I suoi fratelli poi hanno un'azienda che è tra i nostri clienti più importanti.
E infine c'è Lorenzo... >>
Porcu non conosceva nessuno con quel nome:
<<E chi sarebbe?>>
Paride fissò il nipote con uno sguardo che non ammetteva repliche:
<<E' lo zio di Roberto. Il fratello minore di suo padre. Persino Ida Braghiri ha paura di Lorenzo. Lei e le sue sorelle lo chiamano "l'Iniziato". Fa parte di una confraternita di cui si sa ben poco, ma una cosa è certa: chi si li sfida apertamente fa una brutta fine. E non chiedermi altro: ci sono cose, a questo mondo, che è meglio non sapere>>
E così, per alcuni anni, Porcu lasciò stare Monterovere.
Ma quando venne a sapere che Roberto aveva pranzato con Aurora a Palazzo Visconti-Ordelaffi, la sua rabbia divenne incontenibile.
Tutto ciò che in tanti anni aveva represso, riemerse sotto forma di odio allo stato puro e di sadismo oltre ogni immaginazione.
Tornò da suo nonno e gli spiego la situazione, concludendo:
<<Questa volta Monterovere ha fatto il passo più lungo della gamba. Non può passarla liscia>>
Paride Tartaglia valutò la situazione e infine disse:
<<Il clan Braghiri-De Gubernatis ha un piano. Il problema è che vogliono usare noi come strumento, e questo non mi piace. Dovremo mostrare di essere astuti anche noi: l'unica strada è fare il doppio gioco, magari anche il triplo. 
Mostrati neutrale, in apparenza, in modo da far abbassare la guardia a Monterovere. 
Dobbiamo incastrarlo in modo che la colpa ricada tutta su di lui e che risulti indifendibile persino dai suoi parenti. E ho una mezza idea su come riuscirci...>>
Porcu sorrise, e fu qualcosa di terribile a vedersi:
<<Dimmi che cos'hai in mente e io farò la mia parte>>


Nessun commento:

Posta un commento