Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
sabato 12 maggio 2018
Vite quasi parallele. Capitolo 117. Altro non sei che un nome
Joanna Virginia Dracu Burke-Roche, "the right honourable lady Fitzroy", per gli amici semplicemente Jenna: eccola lì, sempre più inspiegabilmente giovane, sempre più sfacciatamente bella, sempre più insopportabilmente perfetta!
Era una specie di Dorian Gray al femminile.
In quale soffitta hai nascosto il quadro che invecchia al posto tuo?
Il passare degli anni e il crescere dell'età non erano stati gentili con Luca Bosco.
Non avrei mai dovuto accettare di rivederla. Il solo guardarla mi fa star male.
Gli ricordava tutti i suoi fallimenti.
Per anni Luca Bosco aveva cercato, senza riuscirci, di operare una damnatio memoriae della donna di cui era stato dolorosamente e vanamente innamorato.
Per tutto quel tempo, ogni giorno, quando il ricordo si insinuava come una vipera nella sua mente, sussurrando il nome di lei, una voce interiore gridava: "Basta!".
Aveva cercato di demolire non solo il ricordo lei, ma anche e soprattutto l'ingiustificata idealizzazione di quel ricordo.
C'era un tempo in cui lei era stata tutto, per lui.
Tutto il bene e tutto il male del mondo.
L'amore per lei gli aveva intossicato l'anima, gli aveva rubato il sonno e le energie, e nei momenti più acuti gli aveva persino tolto la voglia di vivere.
Il "mal d'amore" non è solo un mito romantico: è qualcosa che uccide.
Lo dicevano persino i neuropsichiatri, osservando sperimentalmente l'alterazione della serotonina e della dopamina nelle TAC delle persone innamorate.
L'innamoramento è il punto debole di tutti noi, perché ci rende vulnerabili.
Persino Freud aveva dovuto ammetterlo:
"Non siamo mai così indifesi verso la sofferenza, come nel momento in cui amiamo".
Era stato difficile comunicarle la profondità e la serietà suoi sentimenti.
Che fosse innamorato di lei era evidente, ma grandezza di questo amore necessita di essere espressa a parole.
Eppure Luca aveva esitato.
Le parole d'amore ci espongono all'eventualità del fallimento.
E nel suo caso era quasi una certezza, poiché il suo rivale era, almeno in apparenza, migliore di lui sotto ogni punto di vista.
Niente parole d'amore dunque, ma qualche accenno scritto c'era stato, sotto forma di email, ammesso che queste ridicole forme di comunicazione potessero essere considerate "lettere d'amore".
Del resto, come scriveva Fernando Pessoa, tutte le lettere d'amore sono ridicole.
Era una delle poesie più belle e illuminanti del grande scrittore portoghese.
Anch'io ho scritto ai miei tempi lettere d'amore, come le altre, ridicole...
Le lettere d'amore, se c'è l'amore, devono essere ridicole.
Sentiva lo stesso peso dell'inconcludenza che incombe sulla mezza età di chi ha vissuto molte storie, ma non è riuscito a salvarne neanche una.
E magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo, senza accorgermene, lettere d'amore ridicole.
La verità è che oggi sono i miei ricordi di quelle lettere d'amore a essere ridicoli...
In effetti l'amore ci fa fare molto spesso cose ridicole.
A volte anche cose folli. Persino criminali, ingiustificabili sotto qualsiasi punto di vista.
L'amore è ossessione, è fanatismo, è malattia, è pazzia.
E tanto più lo era per le persone complicate come lui, che con amara ironia era solito scherzare sul fatto che non solo faticava a trovare soluzioni per i problemi, ma per ogni soluzione, trovava un problema nuovo.
Meglio rinunciare, se il rischio era quello di far del male a qualcuno, oppure a se stessi.
Certo, l'assenza di amore rendeva infelici, ma la sua presenza poteva renderlo di più, perché ogni gioia viene pagata a prezzo di grandi sofferenze,
La parola "amore" no, non basta più, non è più qui...
E questo è un vivere a metà. Ma con l'amore si sarebbe sofferto di più.
Con Jenna, ancora di più.
Lei era come sale su una ferita mai rimarginata.
Gli bastava sentir pronunciare il suo nome, o anche solo pensarlo, ed era come una coltellata al petto.
Un nome... In fondo che cosa c'è in un nome? Jenna è solo uno dei tanti nomi dell'amore.
Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo.
Così almeno la pensava Shakespeare.
La rosa non ammalia pur con altro nome?
Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d'avere il suo profumo se la chiamassimo in altro modo?
Ah, se solo avesse potuto togliersi dalla testa quel nome!
Persino Marco Giunio Bruto, secondo Cassio Dione, prima di gettarsi sulla daga, dopo la sconfitta di Filippi, aveva pronunciato la memorabile sentenza:
"O misera virtù, altro non sei che un nome!"
E così doveva valere per il nome di una donna troppo amata.
Anche tu, Jenna Burke-Roche de Fizroy, in fondo, altro non sei che un nome...
Ed era passato molto tempo.
Molta acqua sotto i ponti...
Gli anni erano sfumati nell'inconcludenza di un tempo nascosto ormai negli interstizi e sotto i tappeti.
Ed era inutile fare l'inventario delle cose perdute, per poi soffocare un urlo di rimpianto, e appoggiarsi a quegli arredi raffinati come fossero pilastri, mentre tutto franava intorno.
Pensava di essere riuscito a moderare quel sentimento, ma non era così.
Tutto ciò che aveva provato, si era risvegliato in un solo istante, nel momento stesso in cui l'aveva rivista.
Erano passati tanti anni, eppure sembrava ieri.
"Solo ieri, quando era più leggera la mia età"
Per tutto quel tempo, Luca aveva creduto, sbagliando, che Jenna e il suo fidanzato, Roman Waldemar, sarebbero stati felici insieme, e che dunque almeno il suo sacrificio fosse servito a qualcosa.
Einvece a un certo punto lei era spartita.
E dopo un po' era sparito anche Waldemar.
Tutto per nulla, dunque? Persino i miei passi indietro, le mie rinunce?
Per dimenticarla si era buttato anima e corpo nel lavoro, che gli aveva dato molta più soddisfazione, fintanto che i rapporti col Professor Monterovere si erano incrinati.
Ma quella sera l'anziano docente sembrava essere tornato benevolo e comprensivo:
<<Cherchez la femme, si diceva una volta!>>
Monterovere sapeva molto più di quel che avrebbe mai potuto o voluto ammettere.
Eppure mi aveva avvertito fin dall'inizio. "Attento... quella è una gatta morta... e tirerà fuori gli artigli quando meno ce l'aspettiamo. Ed è anche un vampiro, nel senso che prosciuga le energie di chi le sta intorno".
E l'aveva fatto, poi era sparita, e poi, come niente fosse, era tornata.
Sarebbe saggio, da parte mia, non darle corda. Ma la saggezza, purtroppo, è una virtù che non ho mai posseduto.
E così eccolo ancora una volta, vergognosamente, pateticamente, a pendere dalle labbra di lei.
E' la coazione a ripetere: l'assurda illusione che ci fa dire: "Questa volta sarò in grado di gestire la situazione. Questa volta saprò comportarmi nel modo giusto".
Ma non è forse follia credere, rifacendo sempre le stesse cose, di poter ottenere risultati diversi?
Non aveva avuto il tempo di darsi una risposta.
Lei era lì, come la manifestazione di una divinità volubile e spietata.
Quasi non riusciva a crederci.
Continuava scioccamente a domandarsi: è lei o no?
I capelli biondo scuri le scendevano dolcemente sul collo aristocratico e sulle spalle scoperte.
Portava una collana di diamanti con uno zaffiro, che faceva rifulgere il blu dei suoi occhi.
Simili erano gli orecchini.
I tratti del viso erano dolci, ma qualcuno avrebbe detto che quella faccia d'angelo le serviva per ingannare.
Portava un abito rosso scarlatto.
Mi guarda e sorride come se fosse davvero felice di rivedermi, ma sarebbe imperdonabilmente sciocco, da parte mia, farmi illusioni di qualsiasi genere sul suo conto.
Era assurdo solo pensarlo, eppure non poteva farne a meno.
Forse ora lei magari... sì, ma poi ti butta via...
Via dalle sue mani, in un deserto senza fine.
Jenna l'aveva fatto anche col fidanzato, Waldemar Richmond, quando l'aveva lasciato poco prima del matrimonio, spezzandogli il cuore.
Nell'incredulità e nella disperazione, Waldemar aveva telefonato a Luca e si era sfogato con lui:
"Da quando lei se n'è andata, ho visto la mia vita riempirsi di vuoto".
Jenna era fatta così: era una divoratrice di cuori.
Ma forse potrebbe essere cambiata, aver appreso qualcosa di nuovo. Forse è per questo che è tornata da me, ora, al mutare della marea.
Fece qualche passo nella sua direzione e gli parve come se questa scena si fosse già ripetuta infinite volte.
Ormai era a un passo a lui: poteva riconoscerne il profumo, ritrovare tutti i particolari del suo volto, le screziature degli occhi...
<<Non sono un fantasma>> disse lei mentre allargava le mani <<Abbracciami e vedrai che sono io in carne ed ossa>>
Fu un abbraccio dolce e forte, nello stesso tempo: un piacere così grande da fare male, da incrinare tutti i precari equilibri laboriosamente costruiti in anni di paziente sopportazione.
<<Sei davvero tu... ma prima di ogni altra cosa, prima di ogni convenevole, prima di ogni discorso, prima di tutto... una sola domanda: perché?>>
Lei continuò a tenergli strette le mani, come se temesse una sua fuga.
Perché sei fuggita? Perché sei sparita? Perché hai lasciato Waldemar? Perché non mi hai cercato?
Jenna sorrise e Luca sentì di essere di nuovo in trappola.
Lei sa di potermi dominare ancora.
Era molto abile a mentire.
Avrebbe mentito ancora?
("Fa prima una bugia a fare il giro del mondo che una verità a mettersi i pantaloni" aveva detto Churchill).
Lei gli si avvicinò ancora di più, tanto che lui poteva sentire il suo respiro, che era sempre profumato di fragola.
<<Perché, rispetto alle apparenze, la situazione era un po' più complessa>>
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