Seduto sulla candida e levigata
pietra in cui era stato scolpito nella notte dei tempi il Trono del Toro, nella
Sala delle Udienze, il re Minosse XIV appariva ancora possente e temibile.
Il Trono era addossato ad una
parete affrescata prevalentemente di colore porpora, e da entrambi i lati era
circondato da panche, per gli altri membri della famiglia reale e per i massimi
dignitari di corte.
Era un seggio piccolo, soprattutto
se si pensava al potere di colui che vi si poteva accomodare sopra, ma l’antichità
e il mito che circondavano la sua costruzione, ai tempi del primo Minosse, lo
rendevano simbolicamente l’Ombelico del Mondo.
Tanti secoli erano passati, ma il
Trono del Toro era sopravvissuto ai terremoti e alle crisi dinastiche, ed era
sempre là, a ricordare chi, nel Mediterraneo, detenesse il potere egemone.
E comunque, il Minosse XIV, il cui
nome da principe era stato Astèrus, conferiva al Trono una ulteriore aura di
sacralità e regalità.
Il Re era drappeggiato da tuniche
e mantelli della miglior fattura. Al petto teneva ancora, per antica prudenza,
la corazza dorata delle battaglie e come copricapo, per tradizione, l’elmo di
bronzo con le corna di toro.
Minosse il Toro, che gli Achei
chiamavano Mìnos Tàuros, era un uomo di settantatre anni, con una folta barba
grigia che gli incorniciava il volto severo.
Quel pomeriggio aveva amministrato
la giustizia di persona, come era solito fare da quarant’anni: la sua fama di
giudice imparziale e scrupoloso era nota in tutta l’isola e nell’Impero.
I postulanti venivano ricevuti
separatamente, uno per uno, o a coppie nel caso di una lite, ed esponevano al
Re il loro problema, e Minosse, dopo aver consultato i dignitari di corte,
dettava la sua sentenza.
Non amava gli affollamenti, per
cui aveva voluto che la sala del Trono non fosse troppo grande, e che comunque
la zona regia era decisamente sopraelevata rispetto al resto della stanza,
suddivisa da colonnati e scale.
Ultimamente le udienze concesse
dal Re erano più brevi. La stanchezza si faceva sentire, ogni giorno più
pesante. La vecchiaia, alla fine, aveva infiacchito anche lui, il Toro, il
grande guerriero, il conquistatore dei mondi, colui che aveva portato l’Impero
marittimo di Creta all’apogeo.
Fece cenno ai presenti di
andarsene, esclusi i suoi assistenti personali che lo aiutarono a scendere dal
trono e a distendersi su una portantina, poi lo condussero ai suoi appartamenti
privati.
Dopo un bagno caldo ristoratore,
il sovrano fu aiutato dai servi a cambiarsi d’abito, e poi si sedette su una
comoda poltrona e fece chiamare il Primo Consigliere, l’egiziano Harameb, un ex
schiavo divenuto scriba, che aveva fatto carriera nell’amministrazione del
regno.
Quando l’anziano Consigliere
arrivò, Minosse gli chiese:
«E’ tornato mio figlio?»
«Sì, e si sono sentite le grida di rimprovero della principessa Indis fino a un miglio di distanza»
Minosse rise:
«Qui a Creta
comandano le donne! In nessun altro regno una moglie potrebbe fare simili
scenate al marito. Ma da noi la donna è sacra, perché porta in sé la benedizione
della Dea Madre …»
«Mio signore, proprio riguardo
alla questione delle donne, ma c’è un’informazione delicata che voi dovreste conoscere subito.
Riguarda la regina…»
Minosse cambiò espressione,
aggrottando le sopracciglia e facendo balenare rabbia dagli occhi neri.
«Lo so, lo so, lo so!» tuonò la
sua voce possente « dovrei farla controllare, tenerla rinchiusa… è una storia
vecchia. Solo gli Dei sanno quante preoccupazioni mi ha dato quella donna!
Ormai sono anni che faccio finta di non sentire le voci dei suoi tradimenti! Glieli
ho concessi solo perché quando l’ho prelevata dalla sua terra, la lontana
Colchide, era solo una ragazzina impaurita, poteva essere mia figlia, forse
anche mia nipote, per non parlare di Circe, che era solo una bambina. Dovevo
concludere un trattato importante con il re Eete, loro fratello, e le ho portate qui come ostaggi. Pasifae e sua
sorella non conoscevano nessuno, nemmeno la nostra lingua, le nostre usanze. Io
ero vedovo da tempo, e quel matrimonio mi serviva per stringere un’alleanza coi
popoli dell’est.
All’inizio Pasifae fu una moglie
esemplare: mi diede subito un figlio maschio e due bellissime figlie, ma ahimé,
presto mi accorsi che era infelice e che sarebbe morta di tristezza se l’avessi
tenuta chiusa nei suoi appartamenti. Per questo la lasciai libera, e le permisi
persino di avere degli uomini, a patto che fosse massimamente discreta e che
bevesse ogni giorno la pozione per evitare le gravidanze… e fino ad oggi devo
dire che ha rispettato il mio comandamento…»
«Appunto…» fece Harameb.
«Appunto cosa?» il volto di
Minosse si incupì.
«La regina è… che gli Antichi Dei
mi proteggano… non so come dirvelo mio signore…»
«Dirmi cosa?»
Harameb fece cenno ai servi di
andarsene e di chiudere bene le porte, poi sussurrò:
«La regina è incinta»
Minosse si alzò di scatto,
ritrovando le forze:
«Ma che dici?»
Harameb non sapeva dove guardare e
si limitò ad annuire.
Il re, furibondo, lo prese per il
collo della tunica:
«Com’è possibile? Chi te l’ha detto?»
«Me l’ha confessato una sua giovanissima
ancella stamattina. Era disperata: temeva la punizione di Vostra Maestà. Ma voi
non sapete ancora il peggio…»
Minosse lasciò la presa, sentendo
di nuovo la stanchezza piombare sulle sue vecchie spalle: «Parla dunque…»
«E’ di quattro mesi. Non vuole
abortire, dice che piuttosto si butta dalla finestra»
Il re scosse il capo:
«La butto io dalla finestra, se questa storia è vera! Non condividiamo il letto da dieci anni! In quindici anni di matrimonio non ha mai mostrato la
minima vocazione materna, e adesso si mette a fare questi discorsi?»
Harameb sospirò con l'espressione più costernata che si fosse mai vista:
«E’ per il padre. Perdonatemi sire, ma l’ancella mi ha
riferito che Pasifae lo ama»
Minosse rise:
«Lo ama?! Proprio
lei che non ha mai amato nessuno tranne che se stessa… Per anni ha avuto solo amanti casuali… No, non
ci credo: chi sarebbe poi questo padre?»
Harameb si guardò i piedi, imbarazzato:
«Un ex favorito del principe
Catreus, lo scriba Taron di Festo»
Minosse scattò in piedi con un'agilità che non pensava più di avere:
«Taron! Quel bellimbusto amico di mio figlio! E ora anche di
mia moglie, a quanto pare!»
«Pasifae se n’è infatuata, e ha
voluto che nascesse un figlio che unisse le doti fisiche e mentali sia di lei che di lui»
Il re era furibondo:
«Non so
cosa le è preso! Ha già tre figli grandi! Ma io l’avevo avvertita. Niente
scandali! E soprattutto niente figli! Tutti al Palazzo sanno che io e Pasifae
non condividiamo più il letto da anni. Oh, ma questa volta la pagherà cara!
Risolverò questa faccenda personalmente. Tu fa in modo che nessuno sappia la
verità, e dì alle ancelle di mia moglie che se si lasciano sfuggire anche solo
una parola gli faccio strappare la lingua!»
«Certo maestà. Con il vostro
permesso…» Harameb si inchinò per prendere congedo.
«No, resta… dovrò pur sfogarmi con
qualcuno di fidato!»
«Sì, sire…» il volto di Harameb
tradiva il desiderio di trovarsi in qualsiasi altro luogo del mondo, ma non lì, non in quel momento..
«Lo so cosa pensi: che ho
sbagliato tutto con la mia famiglia!»
«Maestà, io non…»
«Ma sì, lo pensano tutti! E hanno
ragione! Pasifae è una puttana, Catreus un rammollito, Ashtor un bifolco,
Deucaliònes un idiota, Glauco un irresponsabile, Arianna e Fedra due civette
viziate… ho stima solo di Indis e dei suoi figli!»
«Parli così perché sei adirato…»
«Ho sopportato di tutto, per anni!
Ma adesso basta, devo riprendere il controllo della mia famiglia» sospirò: «Ah,
quanto mi manca la mia povera Mìriel. Lei sì che era una degna moglie e con lei
sono stato felice, nei miei anni migliori. E dire che nessuno la ricorda più,
per tutti sembra che la regina sia sempre stata Pasifae. Che ingiustizia!
Mìriel era una buona regina e un’ottima madre. Il nostro primogenito, Adregin,
era un grande guerriero, degno di succedermi sul trono del Toro. E quei
maledetti Achei me lo hanno ucciso! Da quando sono mancati Mìriel e Adregin, è
come se non mi fosse importato più nulla degli altri. Per questo ho lasciato
che la famiglia andasse allo sbando…»
Harameb sapeva fin troppo bene che era vero:
«Sire, il principe Catreus sarà un
degno erede»
«Puah! Sarebbe capace di mandare a
picco l’Impero Minoico nel giro di una settimana! Io mi sono illuso che col tempo
sarebbe maturato. Credevo che le lezioni di politica dei miei collaboratori gli
fossero servite a qualcosa. Macché. Lui pensa solo a divertirsi! Per lui va
tutto bene! Non ci sono mai problemi!»
Anche questo era vero, ma Harameb non voleva inimicarsi il sole nascente:
«Sire, ora lo caricate anche delle
colpe di Pasifae»
«Pasifae… si è portata a letto
pure lui… è inutile che lo neghi, lo sanno tutti… e io zitto, perché “erano
solo ragazzi”…»
Harameb sapeva di trovarsi nel bel
mezzo di una delle rare, ma terribilmente famose, esplosioni d’ira del re
Minosse.
L’esperienza gli aveva insegnato che in quei casi il re
andava lasciato sfogare, senza provocarlo, perché era come un toro nell’arena.
Per più di un’ora tuonò contro
tutto e contro tutti, finché la stanchezza ebbe la meglio e cadde sfinito sulla
portantina.
A quel punto Harameb andò ad
aprire le porte e vi trovò i servi che origliavano.
Li minacciò di farli impalare se avessero rivelato quanto
era accaduto.
Poi si recò dalla principessa
Indis, in una delle ali più disabitate del Palazzo, dove spesso avvenivano i
loro incontri di natura esclusivamente politica.
«Allora, come l’ha presa? » chiese
Indis.
«Male, malissimo… Pasifae sarà
punita in modo esemplare»
Nel sentire quelle parole Indis
sorrise: «Finalmente! Sono quindici anni che cerco in tutti i modi di farla
cadere in disgrazia, ma lei è sempre stata troppo furba. Ora però ha commesso
un grave errore! Innamorarsi, che assurdità!»
«Mia principessa, io non credo che
Pasifae sia innamorata. Lei voleva un figlio suo, senza il sangue dei Minosse.
Un figlio da plasmare, e da contrapporre agli altri suoi figli, avuti
dall’odiato marito. Questa almeno è la mia impressione»
Indis scrollò le spalle:
«Può
essere! Potrebbero essere vere entrambe le cose. Forse ha deciso di fare quel
figlio con l’uomo che più ha attirato la sua passione. Pasifae è capace di
manipolare anche l’amore, per i suoi fini. Ma stavolta ha osato troppo»
«Eh, sì, mia principessa. Domani
potremo finalmente brindare alla caduta della regina straniera!»
Gli occhi di Indis si illuminarono
di gioia e di malvagità.
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